SOTTO PALAZZO BARBERINI



 

Palazzo Barberini è un antico palazzo di Roma che ospita parte della Galleria Nazionale d'Arte Antica dal 1949, quando il palazzo fu acquistato dallo Stato, e l'Istituto Italiano di Numismatica. E' situato in via Quattro Fontane, nel centro storico, a circa 200 metri da Piazza Barberini, è stato nel settecento modello di ispirazione per il Palazzo Barberini di Potsdam, in Germania. 

Il palazzo fu costruito tra il 1625 e  il 1633 ampliando il precedente edificio della famiglia Sforza con una struttura ad acca, caratterizzata da un atrio a ninfeo, posto fra il portico d'ingresso e il giardino retrostante. Autore del progetto è l'anziano Carlo Maderno, con l'aiuto di Francesco Borromini. 

Alla morte di Maderno il cantiere passò sotto la direzione di Bernini sempre con la collaborazione di Francesco Borromini, cui si deve l'elegante scala elicoidale nell'ala ovest del palazzo, che raffronta lo scalone berniniano a pianta quadrata nell'ala est. L'ingresso si apre sulla via delle Quattro Fontane mediante una cancellata progettata dall'architetto Azzurri nel 1848 e realizzata nel 1865, con i grandi telamoni scolpiti da Adamo Tadolini. 

La facciata è formata da sette campate che si ripetono su tre piani con arcate sostenute da colonne dei tre ordini: doriche, ioniche e corinzie. Dalle arcate più basse si accede al piano terra entrando in un grande atrio ellittico fiancheggiato da due scale, mentre una scala centrale porta ai giardini, posti più in alto del piano terra.

NARCISO DEL CARAVAGGIO

URBANO VIII

La villa degli Sforza venne inserita entro una costruzione quadrangolare che nella facciata verso l’attuale  piazza  Barberini era di rappresentanza essendo esposto verso una zona già abitata della città, mentre per i prospetti su via delle Quattro Fontane e sui giardini era stata elaborata una soluzione ad ali aperte, dando all’ insieme una forma ad “H”.

L’intento del pontefice fu quello di ampliare le antiche fabbriche della famiglia Sforza, poste sul colle del Quirinale. Il progetto ingloba il nucleo preesistente,  ceduto dagli eredi di Giulio della Rovere al cardinal Alessandro Sforza di Santa Fiora nel 1581.

Il palazzo, o villa suburbana, era già appartenuto al cardinal Rodolfo Pio da Carpi dal 1549, che l’aveva poi venduto al cardinal Della Rovere e al tempo della famiglia Sforza di Santa Fiora la zona aveva già subito l’urbanizzazione, in seguito alla costruzione dell’acquedotto Felice e della via delle Quattro Fontane ad opera di Sisto V.

L’attuale edificio fu la dimora di rappresentanza di Urbano VIII, il cardinale Maffeo Barberini che lo ricevette in dono dal fratello Francesco dopo due anni dall’ elezione al soglio pontificio nel 1623Gian Lorenzo Bernini subentrò alla direzione dei lavori dopo la morte del Maderno avvenuta nel 1629 e completò il palazzo entro 1633.

Il  progetto di ampliamento venne affidato a Carlo Maderno che incluse nella ristrutturazione del palazzo il nucleo degli Sforza, mantendone le decorazioni interne. Ciò  permise alla famiglia Barberini di abitare il palazzo mentre i lavori erano in corso.

I reperti dell'antica Roma presenti nella collezione Barberini avevano subito varie dispersioni fin dal Settecento, ma, ancora cospicue nel 1934, grazie al fedecommesso, confermato nel passaggio dallo Stato pontificio al Regno d'Italia, aveva conservato anche altre importanti raccolte principesche romane, come quella Doria Pamphili, Torlonia, Borghese, ecc.





IL FIDECOMMESSO

Il fidecommesso è una disposizione testamentaria in cui il testatore istituisce erede o legatario un soggetto determinato con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno automaticamente ad un soggetto diverso indicato dal testatore stesso. 

SCALA DEL BORROMINI
Una variante meno rigida è il fedecommesso de residuo che non impone all'istituito di conservare i beni ricevuti, sicché la successione del sostituito è limitata a quelli non alienati. 

Il 26 aprile di quell'anno un discutibilissimo Regio Decreto aboliva il vincolo in cambio di appena 16 dipinti (su circa 640), consentendo la dispersione delle raccolte Barberini, anche all'estero. 

Si venne incontro così ai cospicui interessi dei proprietari, degli intermediari e del mondo degli acquirenti di opere d'arte di prestigio, a fronte invece di una crescente domanda nata proveniente soprattutto dai ricchissimi Stati Uniti, che andavano creando proprio in quegli anni le proprie grandi collezioni pubbliche e private.

Lasciarono così l'Italia opere di statuaria antica, di Dürer (Cristo dodicenne tra i dottori), Caravaggio (Santa Caterina d'Alessandria e I bari), Guido Reni, Guercino e Poussin (Morte di Germanico, tra i capolavori dell'artista), oltre a un'innumerevole quantità di artisti minori. Ciò sollevò un tale scandalo che si dovettero creare norme di tutela per le altre opere d'arte.

Il palazzo, ancora nelle mani degli eredi Barberini, nel 1949 fu acquistato dallo Stato italiano, ma solo nel 1997 fu firmato un protocollo d'intesa per la liberazione dei locali in vista del Giubileo del 2000, 

Tuttavia si dovette attendere fino al 2006 affinché il palazzo fosse assegnato completamente alla Galleria d'Arte Antica (che fino ad allora poteva esporre solo il 20% delle proprie raccolte per la mancanza di spazi).


RICOSTRUZ. DEL TEMPIO DI QUIRINO

IL TEMPIO DI QUIRINO

Il Tempio di Quirino sorge su un antichissimo sacellum, al quale si sovrappose un primo edificio a metà del III secolo e poi una costruzione più grande, promossa da Giulio Cesare, dopo un incendio scoppiato nel 49 a,c,. Esso giace sotto terra a partire da un metro sotto il livello del giardino, fino a una profondità di quattro metri e sessanta.

Infatti il Tempio, sorto sul colle «Quirinalis» nell’età della fondazione di Roma e ricostruito da Cesare e poi da Augusto, secondo il famoso archeologo e divulgatore di storia romana Filippo Coarelli giacerebbe invece sotto Palazzo Barberini. Da oggi infatti il Prof. comincerà un nuovo ciclo di lezioni al Museo nazionale romano di Palazzo Massimo alle Terme, per illustrare le sue più recenti ricerche sulle scoperte frutto degli scavi degli ultimi vent’anni.

«La localizzazione del Tempio di Quirino sarà uno dei temi cruciali delle nuove lezioni - annuncia Filippo Coarelli - Il complesso monumentale sta proprio sotto Palazzo Barberini e non certo sotto i giardini del Quirinale. È d’accordo con me anche Adriano La Regina e si può dimostrare». 


GIARDINO DI PALAZZO BARBERINI

Le rilevazioni si intrecciano con altre fonti (del tempio parlano Vitruvio, Varrone, Plinio, Livio e Cicerone). Ecco che «portici e muri permettono di ricostruire, al centro dello spazio scoperto, un tempio che sappiamo essere stato circondato da due file di colonne, per cui doveva essere visibile da tutti i lati ».

Una serie di altre linee fornite dal Georadar evidenzia i gradini che scendevano dai portici alla corte dove doveva ergersi su un podio l'aedes Quirini, il santuario di Quirino, il cui accesso principale si apriva su una traversa dell' attuale via del Quirinale che fiancheggia il palazzo Barberini.  

Gli indizi chiave sarebbero emersi dallo studio dei risultati ottenuti da una serie di scavi, alcuni storici (risalenti al 1901), altri più recenti e ancora inediti, che hanno consentito all’archeologo di ricomporre lo straordinario monumento.

«Il tempio va collocato tra via Barberini e via delle Quattro Fontane». Durante i lavori per l’adeguamento dell’ingresso alla galleria d’arte di Palazzo Barberini, vennero riportate alla luce possenti murature e pure alcuni affreschi, identificabili oggi con le sostruzioni del grande podio-platea del tempio che sorgeva sul colle primitivo del Quirinale. E porzioni delle imponenti fondamenta del tempio sarebbero riscontrate anche sul lato di via Barberini.

« Lo scavo del traforo nel 1901 rimise in luce una fetta di gigantesca struttura residenziale identificabile, grazie al ritrovamento dei tubi con epigrafi, a Plauziano suocero dell’imperatore Caracalla ». Nel 293 a.c. il console Lucio Papirio Cursore ordinò la costruzione di un tempio dedicato al Dio Quirino, molto probabilmente sopra un santuario più antico risalente alle popolazioni sabine che in età arcaica occupavano il colle. 

Lo testimonia un rilievo in marmo del II secolo d.c. rinvenuto a piazza Esedra nel 1901 ed oggi conservato nei depositi di Palazzo Massimo, che l’architetto Vitruvio descrive fosse di ordine dorico con doppio colonnato, circondato da un portico.

Romolo, un personaggio storico e non solo mitologico, che al momento della sua uccisione da parte del consiglio regio, insofferenti del fatto che Roma avesse un governo centrale, si trasfigura in Quirino, muore e rinasce nel Dio.  

Quirino non verrà mai dimenticato nel corso dei secoli, un Dio legato alle armi più che alla guerra e presiede all'immagazzinamento dei raccolti.. A rievocarlo sono Cesare e poi Augusto, « i quali nel riaffermare il loro potere sentono il bisogno di riallacciarsi al mito della fondazione e ai suoi emblemi, Romolo e Quirino, risvegliando anche nell' élite il tema dell' uccisione-smembramento del fondatore, un tema ripreso anche da Cicerone  ». 

Una statua di Cesare, anche se ancora in vita, venne eretta nel tempio davanti a quella di Quirino, recando la dicitura "Deo invicto", al Dio che non fu mai vinto. Poco dopo, però, Cesare venne ucciso con 23 coltellate, accusato di aver accumulato un potere immenso e il suo omicidio, annota Carandini, venne interpretato « come un' attualizzazione del mito di morte del fondatore ». 

Ma Augusto, che morì tranquillo nel suo letto, decise di andare ad abitare sul Palatino, proprio accanto alla casa di Romolo, e inoltre restaurò templi di culti romulei come quelli di Giove Feretrio e di Giove Statore e infine completò il Tempio di Quirino. 





LA FAMIGLIA BARBERINI
 
I Barberini (anticamente Tafani sin dall'XI secolo), originari di Barberino Val d'Elsa, frazione di Barberino Tavarnelle, di Firenze in Toscana, furono un'influente famiglia nobiliare italiana, trasferitasi prima a Firenze e poi a Roma.

Un tempo le famiglie aristocratiche romane insegnavano ai figli l'arte della guerra, con una serrata scalata di gradi, per diventare generali e coprirsi di gloria e di ricchezze. Col cristianesimo le stesse famiglie avviarono i figli alla carriera religiosa, con altrettanto serrata scalata di gradi, perchè diventassero cardinali e magari papi onde coprirsi di potere e di ricchezze.

La famiglia ottenne infatti ricchezze e potere grazie al cardinale Maffeo Barberini, che nel 1623 venne eletto papa con il nome di Urbano VIII e che permise alla famiglia di appropriarsi di una grossa fortuna di terre e di centri abitati che amministravano, come usava all'epoca, sottraendo tutto il possibile ai poveri contadini e artigiani. 

I Barberini ottennero anche il titolo di "Principe di Palestrina" nel 1627 e furono mecenati e protettori delle arti, circondandosi di grandi artisti come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Pietro da Cortona. A loro si deve il maestoso palazzo Barberini e la chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, capolavori dell'arte barocca. 

Con la loro ascesa il loro nome fu mutato in "Barberini" (dal paese d'origine) e sul loro stemma i tafani vennero sostituiti dalle più nobili api. Peccato però che distrussero i più bei monumenti di Roma usandone i marmi, le colonne, le trabeazioni e i bronzi, tanto che di loro si disse "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" («Quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini»).

Papa Urbano VIII che di religioso aveva poco come quasi tutti gli alti prelati di allora, agevolò la carriera militare del fratello Carlo, creò cardinali due nipoti e nominò Principe di Palestrina un altro nipote, Taddeo Barberini, che fu anche nominato comandante dell'esercito pontificio.



IL PALAZZO BARBERINI

L' edificio fu iniziato da papa Gregorio XIII nel 1574 perché, sorgendo su un colle, luogo più ventilato e salubre del Vaticano e del Laterano, diventasse la residenza estiva dei pontefici.  «Lo conobbi, quel palazzo, come reggia inquietante dei Savoia e poi come amata Casa degli italiani». Secondo alcuni, tra cui Filippo Coarelli, il Tempio sarebbe stato più a nord, oltre la via delle Quattro Fontane, fin sotto Palazzo Barberini. 

Quirino, Dio antichissimo, era venerato lungo le sponde del Tevere prima ancora della fondazione di Roma, a metà dell' VIII secolo a.c., quando il territorio era occupato da diversi insediamenti. Romolo era un re, ha scritto Carandini, che non proveniva dall'aristocrazia, non era un despota, e operava, sulla base di una costituzione, in un circuito di poteri ognuno dei quali controllava l' altro. 

Il palazzo venne edificato dal 1625 al 1633 sul precedente edificio della famiglia Sforza creando una struttura ad atrio a ninfeo, fra il loggiato d'ingresso e il giardino sviluppato sul retro. Autore del progetto è l'anziano Carlo Maderno, coadiuvato da Francesco Borromini. Dopo la morte di Maderno il cantiere passò al Bernini sempre col Borromini, Nel 1639 fu inaugurato il "teatro grande" di Palazzo Barberini.

Il grande salone al primo piano è stato decorato nel periodo 1632-1639 da Pietro da Cortona con il Trionfo della Divina Provvidenza e alcuni affreschi nella cappella. Altre sale sono state decorate, tra gli altri, da Andrea Sacchi e Giovan Francesco Romanelli.

Le raccolte della collezione Barberini si erano arricchite lungo tutto il secolo XVII, dal pontificato di Urbano VIII, ed erano state divise tra l'antiquarium di Villa Barberini a Castel Gandolfo e il "palazzo Barberini alle quattro Fontane".

I reperti dell'antica Roma presenti nella collezione si dispersero fin dal Settecento, regalate in cambio di favori ma soprattutto vendute, tuttavia ancora esistenti e cospicue nel 1934, grazie al fedecommesso (disposizione testamentaria dove si istituisce erede un soggetto con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, pena il decadimento testamentario)

Infatti anche nel passaggio dallo Stato pontificio al Regno d'Italia, aveva conservato altre importanti raccolte principesche romane, come quella Doria Pamphili, Torlonia, Borghese, ecc. In quell'anno un discutibilissimo Regio Decreto aboliva il vincolo in cambio di appena 16 dipinti (su circa 640), consentendo la dispersione delle raccolte Barberini, anche all'estero.

Con evidente mala fede si era minimizzata l'importanza della raccolta, per venire incontro ai cospicui interessi privati dei proprietari, degli intermediari e degli acquirenti di opere d'arte di prestigio, in una fase di attenzione ai beni italiani ma a fronte di una crescente domanda dai ricchissimi Stati Uniti, che andavano creando le loro collezioni pubbliche e private.

Lasciarono così l'Italia opere di statuaria antica e di pittura, di Dürer (Cristo dodicenne tra i dottori), Caravaggio (Santa Caterina d'Alessandria e I bari), Guido Reni, Guercino e Poussin (Morte di Germanico, tra i capolavori dell'artista), oltre ad artisti minori, ma validissimi, come le rarissime tavolette del Maestro delle Tavole Barberini, poi identificato in Fra Carnevale.



L'ACQUISTO DA PARTE DELLO STATO

L'unica consolazione dalla vendita della collezione Barberini fu lo scandalo suscitato, tale da creare nuove e severe norme di tutela per i beni italiani. Il palazzo era nel frattempo rimasto nelle mani degli eredi Barberini, e nel 1949 fu acquistato dallo Stato italiano.

L'acquisto del palazzo mirava alla creazione di un museo che ampliasse la sede di palazzo Corsini alla Lungara, anche per l'acquisto di pezzi o intere raccolte dai Torlonia, dai Chigi, dagli Odescalchi, dai Colonna di Sciarra, e dei quadri residui della collezione Barberini, tra cui la celeberrima Fornarina di Raffaello.

Tuttavia i Barberini avevano però già concesso in affitto, dal 1934, una congrua parte del loro palazzo al Circolo Ufficiali delle Forze Armate, con un contratto che scadeva nel 1953. Nonostante i solleciti a reperire una nuova sede per il Circolo, l'affitto fu rinnovato fino al 1965, affinché gli Ufficiali "avessero il tempo di cercarsi un'altra sede".

Ma alla scadenza il Circolo non solo non traslocò, ma senza più pagare il canone di locazione e affittando invece a enti privati dei cui incassi beneficiava il Circolo stesso, si arrivò al 1974 ai ferri corti tra Ministero della Pubblica Istruzione (poi scorporato nel Ministero dei beni culturali) e Ministero della Difesa.

Nel 1997. venne finalmente firmato un accordo per la liberazione del palazzo in vista del Giubileo del 2000, a fronte della palazzina Savorgnan di Brazzà per gli Ufficiali (oltre alla concessione delle sale di rappresentanza del palazzo per 50 giorni all'anno), per il cui restauro e adeguamento lo Stato dovette spendere "alcune decine di milioni di euro".

Solo nel 2006 il palazzo venne assegnato completamente alla Galleria d'Arte Antica che poteva esporre solo il 20% delle proprie raccolte per mancanza di spazi. Oggi si restaurano edificio e giardino, per rendere usufruibile al pubblico l'intero palazzo per una galleria nazionale con opere in ordine cronologico, con possibilità di inserire acquisti e integrazioni.

BORROMINI - SCALA ELLICOIDALE

L'INTERNO

Il progetto del Maderno prevedeva di inglobare il palazzo Sforza con lo schema rinascimentale del blocco quadrangolare con uno spazio centrale cinto da arcate. Successivamente ripiegò invece con una facciata regolare su piazza Barberini e una parte come villa suburbana con grandi giardini. L'ingresso si apre sulla via Quattro Fontane con la cancellata progettata dall'architetto Azzurri nel 1848, con i grandi telamoni scolpiti da Adamo Tadolini.

La facciata ha sette campate che si ripetono su tre piani di arcate sostenute da colonne con i tre stili classici: dorico, ionico e corinzio. Tramite le arcate più basse si accede al piano terra entrando in un ampio atrio ellittico fiancheggiato da due scale in cui centralmente si apre una scala che porta ai giardini, posti ad un livello più alto del piano terra. Il giardino nacque come giardino all'italiana, sui terreni lungo la strada Pia. oggi via XX Settembre, fino all'odierna salita di san Nicola da Tolentino, con giardino segreto, struzzi e cammelli.


Successivamente vi furono introdotti:

- Un'area di alberi ad alto fusto da giardino all'inglese,

- La cosiddetta casina di sughero di fronte alla cordonata di collegamento del giardino con il palazzo.

- Nell'angolo superiore tra via delle Quattro Fontane e strada Pia, vi fu costruito uno sferisterio aperto al pubblico (impianto sportivo per le varie specialità del gioco del pallone), che durò fino al 1881, quando il giardino cominciò occupato dall'urbanistica della capitale.

- Con l'unità d'Italia il giardino Barberini lasciò parte dei giardini lungo la via XX Settembre.

- Il giardino non venne completamente lottizzato come accadde a Villa Ludovisi che venne distrutta e lungo la rampa delle carrozze fu costruita la grande serra (1875).

- Durante il fascismo (1938) gli edifici padronali lungo via delle Quattro Fontane furono sostituiti dal palazzo dei Beni stabili e fu costruita alle spalle della casina di sughero la palazzina Savorgnan di Brazzà (1936, Giovannoni e Piacentini).

- Durante gli scavi di fondazione venne trovato uno splendido mitreo del II secolo.



LA GALLERIA NAZIONALE

Il museo ospita Le Gallerie Nazionali di Arte Antica con una galleria fondata nel 1895 per raccogliere opere di diverse collezioni private e dal Monte di Pietà, un'istituzione articolata in due sedi espositive, una a Palazzo Barberini e l'altra a Palazzo Corsini.

TRIONFO DELLA DIVINA PROVVIDENZA - PIETRO DA CORTONA


LE OPERE DI PALAZZO BARBERINI

- Andrea del Sarto - Sacra Famiglia Barberini, 1528 circa
- Bartolomeo Veneto - Ritratto di gentiluomo
- Pompeo Batoni - Ritratto di Abbondio Rezzonico, Ritratto di Sir Henry Peirse, Agar e l’angelo
- Gian Lorenzo Bernini - Ritratto di Urbano VIII, Busto di Urbano VIII, Busto di Clemente X
- Agnolo Bronzino - Ritratto di Stefano Colonna.
- Canaletto - Il Canal Grande, Piazza San Marco e piazzetta verso Sud, Ponte di Rialto, La piazzetta con la biblioteca di San Marco, Veduta di piazza San Marco con le Procuratie.
- Caravaggio - Giuditta e Oloferne, 1599, Narciso, 1599, San Francesco in meditazione, 1605.
- El Greco - Adorazione dei pastori, Battesimo di Cristo
- Pedro Fernández da Murcia - Visione del beato Amedeo Menez da Sylva, 1513 circa
- Garofalo - La vestale Claudia Quinta traina la nave con la statua di Cibele
- Giulio Romano - Madonna col Bambino (Madonna Herz), 1522-1523

CARAVAGGIO - GIUDITTA E OLOFERNE

- Guercino - Et in Arcadia ego, 1618-1622
- Hans Holbein - Ritratto di Enrico VIII
- Giovanni Lanfranco - Venere suona l'arpa
- Filippo Lippi -  Madonna di Tarquinia, 1437, Annunciazione e due donatori, 1440-1445
- Lorenzo Lotto - Matrimonio mistico di santa Caterina d'Alessandria e santi, 1524
- Quentin Massys - Ritratto di Erasmo da Rotterdam
- Pierre-Étienne Monnot - Modello del monumento funebre di Innocenzo XI Odescalchi, 1697 ca.
- Perugino - San Filippo Benizi
- Piero di Cosimo - Maddalena

ET IN ARCADIA EGO - GUERCINO

- Pietro da Cortona - Angelo custode
- Pittore romano - Madonna advocata e Cristo benedicente
- Nicolas Poussin - Paesaggio con Agar e l'angelo
- Aniello Falcone - L' anacoreta
- Mattia Preti - Allegoria dei cinque sensi, 1641-1646 (insieme al fratello Gregorio), Fuga da Troia, 1630 circa, Banchetto del ricco epulone, 1655 ca.
- Raffaello - La Fornarina, 1518-1519
 - Guido Reni - Maddalena 1630, Ritratto di Beatrice Cenci
- Giovanni Battista Tiepolo - Satiro e amorino
- Tintoretto - Cristo e l'adultera
- Tiziano - Venere e Adone, 1560 circa
- Simon Vouet - La buona ventura
- Gaspar van Witte - La passeggiata di Villa Medici
- Valentin de Boulogne - La cacciata dei mercanti dal tempio



NUOVE ACQUISIZIONI

- Pompeo Batoni - Ritratto di Abbondio Rezzonico, 1766, olio su tela.
- Pierre-Étienne Monnot - Modello del monumento funebre di Innocenzo XI Odescalchi, 1697 ca., legno dipinto e terracotta dorata.
- Giovanni Lanfranco -  Morte di Cleopatra, 1630, olio su tela.
- Simone Cantarini detto il Pesarese - Ritratto del Cardinale Antonio Barberini, 1631, olio su carta applicata su tela.

LE PARTI DELL'EDIFICIO

Dall’ingresso da via delle Quattro Fontane si nota la divisione dei due settori del palazzo, quello nord abitato dalla famiglia e la parte sud abitata dagli ecclesiastici. La rampa che dal porticato conduce ai giardini fu voluta dal Cardinal Francesco Barberini, interessato ai giardini che aveva popolato di piante particolari. Suo fratello Antonio poi, abitando da solo il palazzo, in seguito al trasferimento del fratello cardinale alla Cancelleria, progettò un complesso giardino all’ italiana.

La facciata di Bernini, del tutto innovativa, grazie al lungo porticato raggiunge, attraverso la rampa a gradoni, il giardino segreto posto sul retro. Il salone centrale si eleva per due piani e presenta la volta di Pietro da Cortona affrescata tra il 1632 e il 1639, con l’ apoteosi della famiglia Barberini espressa  nel Trionfo della Divina Provvidenza. 

Tra il 1629 e il 1631, Andrea Sacchi dipinse la volta di un’altra grande sala del piano nobile con la  Allegoria della divina Sapienza, con le teorie astronomiche dell'epoca. Nel XVIII secolo, per tema dell’estinzione della famiglia, si unì in matrimonio Cornelia Costanza, ultima discendente, con Giulio Cesare Colonna e Anna Colonna con Taddeo Barberini per assicurare continuità al cognome Barberini e di unire i beni fedecommissari. 


PARTI DELL'EDIFICIO


LE SPECULAZIONI EDILIZIE

Dopo l’Unità d’ Italia l’area di Palazzo Barberini fu oggetto di speculazioni edilizie che comportarono l’esproprio  di aree private del palazzo. Venne distrutto il teatro per far posto a via Barberini, mentre verso la piazza la facciata venne in parte nascosta da nuovi edifici più bassi, prendendo spazio al cortile della Cavallerizza.

L’ingresso di rappresentanza venne spostato su via delle Quattro Fontane, nei giardini retrostanti vennero insediati i Ministeri del Regno e il giardino superstite venne alterato dalla costruzione della grande serra. 

 

LA COLLEZIONE

Quando il palazzo divenne di proprietà statale era già stato privato delle collezioni d’arte della famiglia Barberini. L’alienazione era inizia già nel Settecento, quando l’ultima discendente Barberini, Cornelia Costanza, sposata a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, vendette le prime opere. Le liti dei loro figli divisero le collezioni fra i due rami della famiglia, con un accordo stipulato nel 1811. 

Alla fine dell’ Ottocento, la collezione Barberini, oltre ad essere divisa con gli Sciarra, venne divisa con i Corsini, in seguito al matrimonio delle figlie di Carlo Felice Barberini con due esponenti della famiglia Corsini.  A ciò si aggiunse la fine del ramo primogenito dei Barberini in Maria Barberini Sacchetti. Dopo il 1881 i 3/8 della collezione Barberini passarono nella collezione Corsini di Firenze, ma il patrimonio artistico in possesso dei Barberini era ancora immenso.

La definitiva dispersione delle collezioni si ebbe nel 1934, grazie a una legge che permise  la vendita delle opere fedecommissarie, rinunciando alla tutela della collezione, in cambio di un piccolo nucleo di proprietà. Il Regio Decreto 1934, voluto dai principi Corsini e Barberini, consentiva di dividere le collezioni fedecommissarie in tre parti, delle quali una diventava proprietà dello Stato, una ai principi che avrebbero potuto anche vendere ed esportare, e una restava ai principi sottoposta al vincolo, nucleo poi acquisito dallo Stato nel 1952. 

Si contano circa seicento opere, tra dipinti e arredi, in deposito ad enti esterni. Dal 2006 la Galleria Nazionale d’Arte Antica torna Museo dopo il trasferimento del Circolo Ufficiali alla vicina Palazzina Savorgnan di Brazzà. Ciò ha consentito di recuperare più di 2.700 mq, mentre 700 resteranno disponibili esclusivamente per rappresentanza del Ministero della Difesa.


IL MITREO

SOTTO PALAZZO BARBERINI - IL MITREO ROMANO

Sotto la Palazzina Savorgnan di Brazzà si trova un monumento di epoca imperiale romana, il Mitreo Barberini, uno dei mitrei meglio conservati di Roma, posto tra la facciata posteriore di Palazzo Barberini, in via delle Quattro Fontane, e via San Nicola da Tolentino. Il monumento è sotto la responsabilità della Soprintendenza speciale Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma. ​

Il 16 dicembre 1933, il Conte Ascanio Savorgnan di Brazzà, nipote di Pietro Savorgnan di Brazzà, famoso come esploratore in Africa, acquistò dal principe don Urbano Barberini una parte dei giardini posta oltre la grande rampa centrale del Palazzo, onde edificare su questa una palazzina di famiglia.

Durante questi lavori edilizi nel 1936 furono scoperti sul sito i resti di un edificio del II secolo, che a ovest era stata trasformata in mitreo nel II e del III secolo. Questo luogo lasciò colpì tutti per l’importanza e l’eleganza della sua decorazione pittorica. Uno tra i più bei mitrei presenti a Roma.

La conservazione di questo e di altri musei ridiede nel fatto che il mondo cristiano ignorava questi monumenti essendo questi già sotterranei all'epoca degli antichi romani. Così poterono sfuggire alla furia selvaggia che abbattè una città enorme e meravigliosa solo per cancellarne ogni tratto pagano.

L'unico nel suo genere per gli affreschi presenti, è costituito da un piccolo edificio che, riutilizzando precedenti strutture del II secolo d.c. fu dedicato al culto di Mitra, divinità solare di origine iranica già garante dei patti e delle convenzioni, poi dal profilo più dichiaratamente militare e dunque particolarmente diffuso tra le legioni romane soprattutto nel medio e tardo impero.

L'ambiente, rinvenuto nel 1936 e consistente in una sala di m. 11,85 x 6,25 con volta a botte e banchine
laterali cd. praesepia, presenta una complessa ed interessante decorazione ad affresco, con pochi confronti (es. Marino e Capua; a Roma mitreo di S. Prisca). 


MITREO


In alto la volta celeste con i segni zodiacali, intorno dieci quadretti (pinakes) che raccontano la storia e le sacre imprese di Mitra; le personificazioni di Sole e Luna. L attenzione converge sulla scena centrale del taurobolio dove Mitra, affiancato come di consueto da Cautes e Cautopates, uccide ritualmente il toro.

Venne completato nel 16 a.c, per volontà di  Augusto e, spiega Carandini: « Segnali paralleli e lineari lungo i lati lunghi del rettangolo sono interpretabili come i portici sostenuti da un muro perimetrale e da due colonnati, alcune anomalie minute e di forma tonda sembrano rimandare alle colonne». 

Il culto era già tanto diffuso che quando Costantino, volendo realizzare una religione di stato al suo comando, chiese ai suoi consiglieri quale culto convenisse scegliere, questi dovettero ammettere che il culto cristiano e il culto mitriaco piuttosto equivalenti come numero di fedeli, ma che conveniva optare per il culto cristiano essendo quello mitriaco più difficile da comprendere in quanto misterico e non adatto alle donne per il suo seguito militare.

La Villa ed i suoi annessi, alla morte del Conte Savorgnan, prima, e della consorte, poi, venne donata all'ospedale civile di Udine che a sua volta, tentò di vendere la proprietà ad un acquirente privato ma lo Stato, nel 1972, esercitò il diritto di prelazione.

L’ambiente, rinvenuto nel 1936 è una sala di 11,85 x 6,25 metri con volta a botte e banchine laterali con decorazioni ad affresco, in alto la volta celeste con i segni zodiacali, intorno dieci quadretti che raccontano le sacre imprese di Mitra con le personificazioni di Sole e Luna. Nella scena centrale del taurobolio Mitra, affiancato da Cautes e Cautopates, uccide ritualmente il toro. Ai due lati due banconi ove i partecipanti stavano sdraiati per effettuare il pasto sacro.

Sul fondo primeggia una pittura simile a quelle del mitreo di Marino e di Capua. Il riquadro centrale presenta Mitra che uccide il toro, il cui sangue è lambito da un cane e un serpente (simboli della Luna e della Terra), mentre uno scorpione (simbolo di morte) gli punge i testicoli. Ai lati si trovano i due dadofori Cautes e Cautopates, che assistono alla scena recando le fiaccole.

In alto due linee curve indicano la volta celeste, entro le quali sono rappresentati i segni zodiacali e, al centro, il Dio Zurvan Akarana, il Tempo Illimitato, drago alato con testa di leone, stante sul globo, avvolto dalle spire di un serpente che rappresentano le spire del tempo, quindi l'eternità. .




L'EPOPEA DI MITRA

In alto, negli angoli a destra e sinistra, sono raffigurati il Sole e la Luna. Ai fianchi della scena centrale si trovano dieci quadretti di dimensioni variabili su due fasce verticali, che raffigurano la storia sacra di Mitra (a sinistra dall'alto in basso e poi a destra dall'alto in basso):

- Zeus che fulmina i Giganti
- Saturno
- Mitra che nasce dalla roccia
- Mitra che fa scaturire l'acqua da una roccia colpendola con una freccia
- Mitra che trasporta il toro
- Banchetto mistico
- Mitra che sale sulla quadriga del Sole
- Patto di alleanza tra Mitra e il Sole
- Mitra inginocchiato tra due alberi
- Mitra colpisce con una zampa del toro il dio Sole, inginocchiato davanti a lui (scena di iniziazione). 

Alla destra del dipinto c'è una spalletta che imita la roccia e che sorreggeva una voltina ad arco, su cui appare il segno dei pesci dello zodiaco. I mitrei venivano ricavati negli ambienti sotterranei degli edifici, sia per la riservatezza sia per evocare al tempo stesso la mitica grotta dove era nato il Dio Mitra.
Sebbene il mito prevedesse il "Tauribolio" (uccisione del toro sacro), era molto difficile e costoso praticare questo rito che sicuramente non veniva quasi mai praticato ma simboleggiato in qualche modo.

Sulla parete di fondo del santuario fu sistemata un'edicola in muratura, con le storie di Mitra, unico esempio a noi giunto, simile a quelle del mitrei di Marino e Capua. La decorazione si sviluppa tutta intorno ad un grande riquadro centrale raffigurante la scena del sacrificio del toro, dal cui sangue scaturirà la vita animale e vegetale della terra.

I neofìti, tutti maschi, erano accettati con il livello inferiore. I livelli erano 7, corrispondenti a sette gradi:

I primi tre gradi erano i "Senitori"
- I grado "Corvo" (Corax),
- II grado "Ninfa" (Nynphus)
- III grado "Soldato" (Miles).

Gli altri quattro gradi costituivano il gruppo di neofìti, detto dei "Partecipanti":
- IV grado "Leone" (Leo),
- V grado "Persiano" (Perses),
- VI grado "Messaggero del Sole" (Heliodromos)
- VII grado "Padre" (Pater).

Il culto venne introdotto in Italia dai soldati provenienti dalle province orientali, e raggiunse la massima diffusione sotto Commodo (180-192), Diocleziano (284-305) e Massimiano (284- 305). Con l'avvento del Cristianesimo, per tutti i culti pagani inizia un periodo di persecuzioni che si concluderà con la chiusura o la demolizione di tutti i santuari pagani, mitraici e non.


BIBLIO

- Procopius - De Aedificiis - 
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore -Verona - 1975 -
- Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità: Dalla elezione di Paolo V alla morte di Innocenzo XII - Quasar - 1994 -
- Dominique Briquel - Romulus jumeau et roi. Realites d'une legende - Les Belles Lettre - Paris - 2018 -
- Nino Burrascano - I misteri di Mithra - Genova - Il Basilisco - 1979 -
- Ruggero Iorio - Mitra. Il mito della forza invincibile - Marsilio - Venezia - 1998 -
- Blunt, Anthony - The Palazzo Barberini - Journal of the Warburg and Courtauld Institutes - 1958 -
- Paolo Carafa - Il tempio di Quirino. Considerazioni sulla topografia arcaica del Quirinale Archeologia classica - 1994 -






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