Le lotte tra Roma e la potente città etrusca di Veio ebbero inizio addirittura sotto il regno di Romolo; altre avvennero sotto Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco e Servio Tullio. I territori presi a Veio sarebbero stati restituiti da Porsenna e riconquistati da Roma dopo la battaglia di Ariccia.
Anche se ammantate da leggende, non si possono negare le conquiste romane a nord del Tevere durante il periodo regio, dopo il quale, si ebbe un periodo di relativa tranquillità. Le guerre ricominciarono poi tra il 485 e il 483 a.c. e importantissima per Roma fu senz'altro la vittoria dei consoli Cn. Manlio e M. Fabio Vibulano del 480 a.c. contro Veio.
MARCO FABIO VIBULANO
Marco Fabio (Roma, ... - 477 a.c.) discendeva dalla nobile famiglia dei Fabii e fu console nel 483 e nel 480 a.c. alternando nella carica consolare i suoi fratelli Cesone e Quinto, negli anni tra il 485 ed il 479 a.c., La famiglia dei Fabii era una delle più importanti e influenti di Roma.
Dopo Quinto e Cesone, che avevano reso i Fabii ancor più odiati dal popolo, nel 483 a.c., per fronteggiare la plebe, i patrizi riuscirono a far eleggere Marco Fabio, rappresentante della stessa gens; il suo collega era Lucio Valerio Potito, un nome ancora più odiato, perché fu uno dei questori che avevano accusato e mandato a morte il popolarissimo console plebeo Spurio Cassio Vecellino.
In quell'anno i tribuni della plebe si batterono affinché venisse votata la legge agraria favorevole alla plebe, ma il senato era contrario alle donazioni e i consoli si opposero fortemente. Allora la plebe istigò Caio Manio, un tribuno della plebe, a che si opponesse alla coscrizione degli uomini, finché i Senatori non nominassero i componenti della commissione, che avrebbe dovuto individuare le terre pubbliche da dividere tra i cittadini romani, secondo quanto stabilito durante il consolato di Spurio Cassio.
I consoli superarono l'opposizione del tribuno, chiamando la leva fuori le mura cittadine, dove i tribuni della plebe non avevano potere. Si continuò così la campagna contro i Volsci, per cui a Fabio toccò la difesa dei territori degli alleati e a Valerio il comando dell'esercito accampato nel territorio dei Volsci.
Nel 480 a.c. Marco Fabio venne eletto console per la seconda volta, insieme a Gneo Manlio Cincinnato. In quell'anno Tiberio Pontificio, tribuno della plebe, propose una legge agraria cercando di ostacolare la leva militare, ma i senatori e i consoli corruppero alcuni tribuni della plebe e fecero il reclutamento: era la guerra contro Veio, e contro l'Etruria, che durò fino al 476 a.c.
LA DISFATTA DEI FABI
Nel 479 a.c., Marco Fabio, con il fratello Cesone Fabio Vibulano, console per quell'anno, parlò in Senato per dare alla sua gens la gestione dello scontro tra Roma e Veio. I Fabii, dopo aver costruito un fortilizio nei pressi del fiume Cremara, iniziarono a saccheggiare le terre di Veio, anche quelle più lontane da Roma con grave danno per i Veienti.
Nel 477 a.c. i Veienti si erano organizzati ed avevano teso una trappola lasciando perfino libero del bestiame per far credere che fosse stato abbandonato; i Fabii, pensando di razziare il bestiame, caddero nell'imboscata e subirono un massacro in cui perirono trecentosei Fabii, tra i quali Marco Fabio stesso e pertanto la famiglia praticamente si estinse, a parte il figlio di Marco, Quinto Fabio Vibulano, rimasto a Roma a causa della sua giovane età e che fu il capostipite della successiva stirpe dei Fabii.
GNEO MANLIO CINCINNATO
Gneo Manlio apparteneva alla nobile gens Manlia, eletto console nel 480 a.c. insieme a Marco Fabio Vibulano, fu il primo membro di questa gens a raggiungere il consolato e da allora vari Manlii ebbero incarichi nella magistratura della repubblica. Durante la battaglia di Veio, vinta dal collega Marco Fabio, caddero prima Quinto Fabio, console due anni prima, e poi lo stesso Gneo Manlio, morto in seguito ad una caduta da cavallo o per le troppe ferite in combattimento.
Creati consoli Gneo Mallio, e Marco Fabio per la seconda volta, finita in pochi giorni la coscrizione militare, uscirono contro i nemici; conducendo ciascuno due legioni, reclutate dall'interno di Roma, e milizia non minore, spedita dalle colonie e dai sudditi. Giunsero dai Latini e dagli Ernici il doppio del soccorso, ma i consoli non lo usarono tutto, e rimandandone la metà, molto li ringraziarono.
Accamparono innanzi di Roma una terza armata di due legioni, per guardia del territorio, e lasciarono a difenderne le fortezze e le mura gli altri non compresi nella iscrizione militare, ma validi ancora per le armi. Quindi giunti presso Vejo posero il campo su due colli non lontani fra loro.
L'ACCAMPAMENTO ROMANO
L'armata nemica era maggiore non poco della Romana, per cui i consoli deliberarono di fortificare il campo, limitandosi a brevi scaramucce. Caduto un fulmine nel quartiere di Cajo Mallio, ne abbatté la tenda e ne uccise il migliore dei cavalli da combattimento, ed alcuni servi. Allora Mallio levò l'esercito, e di notte lo trasferì nello stesso campo dell'altro console.
I Tirreni, conosciuto l'evento si rallegrarono pensando di avere gli Dei dalla loro parte. Poi invasero con parte dell'esercito il campo abbandonato dai Romani, per usarlo contro l'altro. Il luogo era ben fortificato, e molto comodo per contrastare l'esercito Romano. Ma standosene i Romani in calma, deliberarono di rinserrare intorno i romani un muro, per costringerli, almeno colla fame, alla resa.
Però infine i consoli portarono fuori dall'accampamento l'esercito schierato in assetto di battaglia. Il combattimento ebbe inizio e i Romani dell'ala destra, comandati dal console Mallio, smontati da cavallo combattevano a piedi: ma quelli dell'ala sinistra erano circondati dal lato destro dei nemici, essendo ivi la milizia tirrena più elevata e numerosa, i Romani ne furono coperti di ferite.
Comandava questo lato Quinto Fabio, che resistè per lungo tempo, ma poi trafitto da una lancia nel petto fino alle viscere, esangue ne stramazzò. Come udì ciò Marco Fabio marciò e piombò sull'ala destra de' nemici, attaccando quelli che circondavano i suoi. Trovato il fratello che respirava ancora, lo sollevò; ma questi morì. Per vendicarsi, non più riguardando la propria salvezza lanciavasi in picciola schiera nel mezzo di essi, dove erano più folti, e vi alzò montagne di cadaveri.
ANTEFISSA VEIENTE |
MORTE DI MANLIO CINCINNATO
Cedeva così, da questa parte, la milizia toscana, per l'opposito quelli dell'ala sinistra che già crollavano, e già mettevansi in fuga là dove era Manlio, misero in fuga i Romani loro contrapposti. In quel momento Manlio venne trafitto con una lancia al ginocchio; e agli alloggiamenti i nemici lo credevano già estinto, così spingevano sempre di più sui Romani, ridotti senza duce. I Fabj dunque, lasciato il lato sinistro, furono di costretti a soccorrere il destro.
Intanto i Tirreni che avevano invaso gli alloggiamenti lasciati da Manlio, appena fu alzato il segnale dal capitano, marciarono con gran fretta ed ardore verso gli altri alloggiamenti Romani perché non bene forniti di guardie. Ma ristringendosi molti in picciolo spazio presso le porte, ci fu una terribile zuffa con strage copiosa. Accorso per aiuto con i cavalieri, il console Manlio cadde col cavallo, e non potendo rialzarsi per le molte ferite morì.
Gli alloggiamenti furono espugnati secondo i vaticini dei Tirreni che avrebbero potuto appropriarsi delle provviste de' Romani ma quando l'altro console vide la presa del campo, vi accorse con fanti e cavalieri. Tito Siccio, legato e propretore, consigliò il console alla ritirata e che si riunissero ed attaccassero tutti le trincee dal lato più facile. Infatti portatosi l'assalto in una sola parte; i Tirreni non potettero resistere; ma spalancarono le porte, e tornarono nei propri alloggi.
Questa battaglia dei Romani fu maggiore di tutte le antecedenti per la moltitudine degli uomini, per la durata del tempo, e per l'alternarsi della sorte; visto che ventimila erano i fanti, tutti di Roma, oltre mille duecento i cavalli e i cavalieri che accompagnavano le quattro legioni; ed altrettanta era la milizia dei coloni e degli alleati.
L'ESITO
La battaglia cominciata poco prima del mezzogiorno si estese fino al tramonto, e vi fu la morte di un console, di un legato (già due volte console), e di tanti altri capitani, tribuni, e centurioni, quanti mai accaduto prima.
I Tirreni nella notte lasciarono il proprio campo, e il giorno appresso i Romani saccheggiarono il campo Tirreno abbandonato, seppellirono i morti, e tornarono agli alloggiamenti. Qui, riunitisi a parlamento, diedero i premi d'onore a quelli che avevano combattuto da valorosi, e per primo a Fabio Cesone, fratello del console, che aveva fatto grandi e meravigliose gesta.
Poi premiarono Siccio, che aveva recuperato gli alloggi; e infine a Marco Lavoleio duce di una legione, per la magnanimità sua tra i pericoli. Rimasero alcuni giorni nel campo, ma non mostrandosi nemici tornarono in patria.
In Roma volevano tutti dare il trionfo al console che però non lo consentì, per la morte del fratello e del collega. E qui lasciate le insegne, congedò l'esercito, depose il consolato due mesi prima del termine suo, non potendo ormai più sostenerlo per la grande ferita che lo tormentava e che lo obbligava a letto.
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe Condita Libri - II -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - IX -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Polibio - Storie - Milano - Rizzoli - 2001 -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Milano - Sansoni - 2001 -
- Arnaldo D'Aversa - Veio etrusca - Ed. Paideia - 1991-
- A. De Agostino - Veio. La storia, i ruderi, le terrecotte - ed. Ist. Poligrafico dello Stato - 1972 -
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