PUBLIO CORNELIO SCIPIONE EMILIANO - P. CORNELIUS AEMILIANUS





Nome: Publius Cornelius Scipio Aemilianus Africanus Minor
Nascita: 185 a.c., (Roma?)
Gens: Cornelia
Console: 147 a.c. e 134 a.c. Roma
Morte: 129 a.c., Roma
Coniuge: Sempronia
Genitori: Lucio Emilio Paolo Macedonico, Publius Cornelius Scipio Africanus


Publio Cornelio Scipione Emiliano, ovvero Publius Cornelius Aemilianus, detto anche Africano minore, ovvero Africanus Minor, era nato non sappiamo dove nel 185 a.c. e morì a Roma, nel 129 a.c.. Anche conosciuto come Scipio Aemilianus (Scipione Emiliano) o Scipio Africanus il giovane, fu generale, politico, console nel 147 e 134, censore nel 142 a.c., guidò l'assedio e la distruzione di Cartagine nel 146 a.c., e fu leader nell'opposizione senatoria ai Gracchi nel 133 a.c..

Il nome Emiliano aveva valore di patronimico (espressione indicante il vincolo col padre), era infatti figlio più giovane di Lucio Emilio Paolo Macedonico (229 – 160 a.c. Lucius Aemilius Paulus Macedonicus), il conquistatore della Macedonia, e combattè a soli 17 anni a fianco di suo padre nella Battaglia di Pydna, che decise il destino della Macedonia e rese il nord della Grecia suddito di Roma.

Fu poi adottato da Publio Cornelio Scipione, il figlio di Publio Cornelio Scipione l'Africano e il suo nome fu cambiato in Publius Cornelius Scipio Aemilianus. Egli quindi fu il nipote della moglie di Publius Cornelius Scipio, Aemilia Tertia, come Aemilia e Lucius erano fratellastri, e il loro padre era Lucius Aemilius Paullus.

La sua educazione fu curata dallo storico Polibio (Megalopoli, 206 a.c. – Grecia, 124 a.c.) che lo seguì anche in guerra. Grande rappresentante della politica imperiale mediterranea dell'aristocrazia romana, console nel 147 a.c., vinse la III guerra punica (149 -146 a.c.) distruggendo Cartagine (146
a.c.) e la città iberica di Numanzia (133 a.c.).

Sappiamo dal "De res publica" di Cicerone che Cornelio Scipione era il suo personaggio politico preferito. Nell'opera ciceroniana, viene descritto infatti come ottima sintesi fra i mos maiorum e la nova sapientia ellenistica. Infatti Cicerone gli attribuiva come maestro Catone da un lato, ma dall'altro nel suo filoellenismo riconosceva le figure dello storico Polibio e di suo padre Lucio Emilio Paolo, il vincitore della battaglia di Pidna.

Era un uomo colto e raffinato, raccolse intorno a sé uomini come lo storico graco Polibio, il filosofo stoico Panezio, e poeti come Lucilio e Terenzio, creandone un gruppo conosciuto come il cerchio degli Scipioni, un gruppo simile a quello che sarà un giorno di Mecenate.

Allo stesso tempo, egli aveva tutte le virtù di un antico romano, secondo Polibio, perchè era valoroso, intelligente e moderato. Parlava fluentemente un puro latino, e particolarmente apprezzava un discorso serio e intellettuale.



CURSUM HONORUM

- 168 a.c. - Già da giovane, all'età di 17 anni, riuscì a conseguire dei notevoli successi militari in Macedonia assieme al padre.
- 151 a.c. - Nel 151 a.c. divenne tribuno militare e l'anno successivo legato del console Lucullo. Nel 149 a.c. tornò in Africa, sempre nel ruolo di tribuno militare, con la quarta legione sotto il comando del console Manio Manilio.
- 147 a.c. - Nel 147 a.c., ottenuta la carica di console, più per volere del Senato che per convinzione propria, condusse la guerra contro Cartagine e, dopo un lungo assedio, nel 146 a.c. sconfisse i Cartaginesi e rase al suolo la città.
- 134 a.c. - Successivamente nel 134 a.c. riuscì ad ottenere un secondo consolato, ottenendo così il comando contro i Celtiberi in Hispania, distruggendo la città di Numanzia nel 133 a.c., dopo oltre 15 mesi di assedio.

Per la gloria di queste vittorie gli vennero dati gli appellativi di Africano Minore e di Numantino.




CARTAGINE

Nel 151 a.c., erano brutti tempi per i romani in Spagna, e Publio volontariamente offrì i suoi servizi nella provincia ed acquisì una notevole influenza sulle tribù native, simile a quella che Scipio Africanus, suo nonno per adozione, aveva acquisito 60 anni prima. Sebbene i cartaginesi avessero ridotto il loro potere nella II Guerra Punica, essi nutrivano ancora un gran risentimento contro Roma, e altrettanto Roma contro di loro.

Catone il Vecchio, al termine di qualsiasi dibattito o discorso in senato concludeva dicendo: "Comunque Cartagine deve essere distrutta". (Delenda est Carthago). I cartginesi nel 150 a.c. rivolsero a Scipione un appello dai Cartaginesi per agire da mediatore tra loro e il principe nubiano Massinissa che, alleato di Roma, faceva continue incursioni nel territorio cartaginese.

Nel 149 a.c. un esercito romano, comandato dai consoli Manio Manilio Nepote e Lucio Marcio Censorino, pose il suo campo nei pressi di Utica che subito si arrese; Cartagine intimorita offrì ai romani 300 ostaggi della nobiltà punica, 200.000 armature, 2.000 catapulte e altro materiale bellico.

Ma per il console Censorino Cartagine doveva essere completamente distrutta: "Escano dunque dalle mura gli abitanti e vadano ad abitare ad ottanta stadi dal mare", il che voleva dire lontana dal mare e dalle sue vie commerciali.

Ma ogni intermediazione fu vana perchè nello stesso anno, cioè nel 149 a.c., Roma dichiarò guerra a Cartagine e ne decise l'assedio. I cartaginesi rifiutarono, uccisero tutti gli italici presenti in città, liberarono gli schiavi per avere aiuto nella difesa, richiamarono Asdrubale e altri esuli che erano stati allontanati per compiacere Roma e con il pretesto di inviare una delegazione a Roma ottennero una moratoria di 30 giorni. Ma i romani non sapevano ancora dell'eccidio degli italici.


In questo tempo, sbarrate le porte della città e rinforzate le mura, iniziò una frenetica corsa al riarmo. Usando ogni metallo recuperabile, i 300.000 cartaginesi riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi.

Intanto Asdrubale aveva raccolto circa 50.000 uomini ben armati. La città era ben difesa, le mura erano possenti, i difensori decisi e i rifornimenti giungevano sicuri e abbondanti tramite il porto.
Iniziò il lancio delle catapulte e i romani riuscirono a produrre una breccia nelle mura che però fu subito richiusa.

I difensori distrussero parte delle macchine belliche romane. I manipoli lanciati all'assalto della breccia, furono respinti. Censorino fu respinto da Asdrubale. In questi giorni si distinse il giovane tribuno Scipione Emiliano, che riuscì a portare nel campo dei romani Imilcone, uno dei capi della cavalleria cartaginese, con oltre 1.200 cavalieri.

L'anno successivo, siamo nel 148 a.c., la guerra fu affidata ai nuovi consoli Lucio Calpurnio Pisone e Lucio Ostilio Mancino, che però si rivelarono più incapaci dei precedenti. Asdrubale prese il potere con un colpo di Stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri romani, orrendamente mutilati. I romani non dimenticheranno mai.

Nelle operazioni iniziali della guerra coi due consoli precedenti, del tutto sfavorevoli per i romani, Scipione Emiliano, seppure funzionario subordinato, si distinse più volte, e nel 147 a.c., grazie al suo cursus honorum, ma soprattutto grazie al suo nome glorioso, fu eletto console, pur senza avere l'età minima richiesta per legge a ricoprire l'incarico, e gli vennero assegnate direttamente la provincia d'Africa e le operazioni militari senza che venissero estratte a sorte con l'altro console.

Ormai gli Scipioni erano una leggenda,  ed Emiliano venne nominato console dal popolo, con la speranza che rinnovasse le gesta del grande Scipione l'Africano.

Partito per l'Africa, dovette subito correre a salvare Lucio Ostilio Mancino e le sue truppe che, isolate da un contrattacco, correvano il rischio di morire di fame. Scipione Emiliano attaccò Asdrubale, che difendeva il porto con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa.

Scipione, con una diga di tre metri, bloccò il porto. I cartaginesi però scavarono un tunnel-canale per poter rifornire la città e riuscirono addirittura a costruire cinquanta navi. Scipione appena accortosi della novità, distrusse la flotta, chiuse il tunnel e lo fece presidiare.

Nel frattempo Nefari, che era presidiata da un grosso nucleo cartaginese, fu attaccata da truppe romane comandate dal legato Lelio e da Golussa: 70.000 nemici morti e solo 4.000 sfuggiti.

La caduta di Nefari convinse le altre città puniche ad arrendersi alle legioni di Roma. Cartagine restò sola e resistè per tutto l'inverno, ma la fame portò la pestilenza. Tuttavia Scipione attaccò solo nella primavera del 146 a.c., cioè l'anno successivo. I cartaginesi si batterono di casa in casa, di strada in strada, per circa quindici giorni. La guerriglia urbana costava sangue romano.

SCIPIONE EMILIANO TRA I RESTI DI CARTAGINE

LA FINE

Dopo un anno di lotta disperata e splendido eroismo dei difensori della città, Scipione promise salva la vita a chi si arrendeva e usciva disarmato dall'acropoli. Uscirono 50.000 persone, (circa un decimo della popolazione della città) fra cui Asdrubale. 
Dalle mura della cittadella, la moglie di Asdrubale pregò Scipione di punire il marito codardo, poi salì al tempio incendiato, sgozzò i figli e, come l'antica regina Didone (che però non aveva ucciso i suoi figli, anche perchè non ne aveva) si lanciò fra le fiamme.
Scipione recuperò alcune opere d'arte che i cartaginesi avevano predato in Sicilia e abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati. Quindi nel rispetto del mandato del Senato, mise la città a ferro e fuoco e vi fece cospargere il sale, terminando così la III Guerra Punica. Cartagine fu rasa al suolo, sistematicamente bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto. Ai 50.000 cartaginesi che si erano arresi, come promesso, fu fatta salva la vita, ma furono venduti come schiavi.
Varie fonti moderne riportano che furono tracciati solchi con l'aratro e sparso sale a terra, dichiarando il luogo maledetto. Lo stesso Scipione sarebbe stato riluttante ad eseguire tali ordini. Però nessuna fonte dell'antichità menziona questo rituale e i primi riferimenti allo spargimento di sale risalgono solo al XIX secolo.
Polibio, lo storico greco ostaggio a Roma ma amico degli Scipioni, narra che Scipione Emiliano pianse vedendo in quella catastrofe la possibile futura sorte di Roma stessa. Viene da commentare che Cartagine ebbe una sua bellezza, un suo eroismo e un suo valore nei suoi grandi capitani e nel suo popolo, ma la crudeltà e l'efferatezza nei confronti dei nemici ci fa capire  che la loro civiltà fu di molto inferiore a quella dei romani.

Anche il gesto della moglie di Asdrubale fa comprendere quanto poco i figli valessero in quella terra, nessuna madre ucciderebbe i suoi figli anche a costo di vederli schiavi. Molti schiavi a Roma venivano quotidianamente liberati e si facevano una vita propria, l'orgoglio può rifiutare la propria vita ma non quella dei figli.

"Scipione, quando capiva che la città nemica era negli ultimi spasimi della sua completa distruzione, si dice versò lacrime e pianse apertamente per i suoi nemici. Dopo aver riflettuto a lungo, rendendosi conto che tutte le città, le nazioni, e le autorità devono, come gli uomini, andare incontro al loro destino, e che questo accadde a Ilio, una volta città prospera, agli imperi di Assiria, Media e Persia, i più grande del loro tempo, e per stessa Macedonia, la brillantezza dei quali era così recente, recitò:
- Verrà un giorno in cui la sacra Troia perirà, E Priamo e il suo popolo saranno uccisi. "

E quando Polibio, suo maestro, gli chiese cosa volesse dire, rispose senza riserbo citando il proprio paese, per il quale temeva il destino di tutte le cose umane:  "E' una gran cosa, ma mi vengono i brividi a pensare che un giorno qualcuno possa dare lo stesso ordine per Roma."
Dopo la distruzione della città restituì alle città greche della Sicilia le opere d'arte di cui Cartagine li aveva derubati e al suo Ritorno a Roma egli ricevette il trionfo e l'onore di aggiungere al suo l'agnomen adottivo dell'Africano.



ACCUSA DI TRADIMENTO

Nel 142 ac, durante la sua censura, cercò di controllare il lusso e l'immoralità del periodo, cosa un po' strana, perchè proprio a suo nonno vennero rimproverati i lussi di sua moglie, cosa che lo fece solo sorridere. Nel 139 a.c. venne accusato di alto tradimento da Tiberio Claudio Asellus, il quale era stato degradato da Emiliano quando era censore.

Ancora una volta veniva meno la riconoscenza di alcune gentes verso l'eroe salvatore di Roma, esattamente come era accaduto con suo nonno. Gli interventi oratori in quella occasione (oggi perduti), a suo favore o contro di lui, vennero considerati molto brillanti, ma stavolta i suoi nemici dovettero retrocedere: non si diede luogo a procedere perchè l'accusa era infondata. Cornelio non si era mai avvalso delle tante opportunità che aveva di accumulare una fortuna, come tanti generali avevano fatto.


NAUMANTIA

NUMANZIA

Numanzia, ovvero Numantia, era un'antica roccaforte celtiberica posta in provincia di Soria, in Spagna, alla confluenza dei fiumi Tera e Duero. Venne ricordata per la sua tragica fine, con l'autodistruzione operata dai suoi abitanti che, fieri della loro indipendenza, non intendevano sottomettersi ai Romani.

Già gli abitanti avevano evitato la conquista dei Cartaginesi, e poi nel II secolo a.c., divennero la roccaforte della resistenza iberica contro i romani. Nell'anno 153 a.c. un esercito numantino, sotto la guida di un certo Segeda Caro, era riuscito a sconfiggere un esercito romano di 30.000 armati, guidato dal console Quinto Fulvio Nobiliore, che, nel 153 a.c., venne eletto console.

A quel tempo i consoli venivano eletti a dicembre, con qualche mese di anticipo rispetto alla data in cui sarebbero entrati in carica, cioè le idi di marzo (primo mese del vecchio calendario lunare).Ma dato che doveva sedare la rivolta dei Celtiberi, il console chiese e ottenne dal senato di entrare in carica immediatamente per difendere gli interessi di Roma.

Gli fu concesso e, da quel momento i consoli neoeletti trovarono più conveniente entrare in carica immediatamente, che non aspettare la scadenza del mandato dei predecessori. Da allora l'anno comincia il primo di gennaio e comunque Nobiliore venne sconfitto.

Presso Numantia un demoralizzato esercito romano tentava ormai da tempo e invano la conquista di Numanzia sul Durius (Duero) e la chiusura delle guerre Numantine. Era una eterna guerra che costava soldi e infiacchiva gli animi.



EMILIANO AL COMANDO

Dopo venti anni di inutili guerre fra gli Arevaci, appoggiati dai Celtiberi, e i Romani, l'esercito della Tarraconense venne affidato, nel 134 a.c., a Publio Cornelio Scipione Emiliano, nipote di Publio Cornelio Africano e generale della III guerra punica.

ROVINE DI NUMANZIA
Cornelio non prese in considerazione l'attacco alla città, perchè prima doveva disporre di un vero esercito. Dedicò diversi mesi a ripristinare la disciplina delle sue truppe, quindi fece bloccare ogni rifornimento alla città.
Per questo pose l'assedio a Numanzia nel 134–133 a.c. L'armata comandata da Scipione aveva con sè la cavalleria numidica, sotto il comando del giovane nipote del re, Giugurta, ormai diventato suo amico.

Scipione rincuorò e riorganizzò l'esercito scoraggiato, poi, capendo che la cittadella poteva essere presa solo per fame, fece costruire una doppia circonvallazione per isolarla da qualsiasi aiuto esterno.

Sarà lo stesso espediente che adottò Giulio Cesare nella battaglia di Alesia, per assediare la città bloccandole i rifornimenti e per bloccare dietro degli assedianti qualsiasi attacco. Emiliano diffidò comunque gli Iberi dal portare aiuto alla città, obbligando Lutia alla sottomissione e alla consegna di ostaggi.

Dopo quasi un anno di assedio i numantini, ridotti alla fame, cercarono un abboccamento con Scipione, che però accettava solo una resa incondizionata, per cui i pochi uomini rimasti si gettarono contro le fortificazioni romane. Fallito anche questo tentativo, almeno così di dice, bruciarono la città e si gettarono fra le fiamme.

Non tutti però persero la vita; alcuni, ridotti in schiavitù, sfilarono a Roma durante il trionfo di Scipione. La città fu rasa al suolo come Cartagine pochi anni prima. Il bellum numantinum affermò l'egemonia romana nell'Hispania centro-settentrionale e la pacificazione della massima parte della penisola iberica.

La caduta di Numanzia nel 133 istituì il dominio romano nella provincia della Spagna Citeriore e la gratitudine del senato per aver risparmiato al massimo l'esercito romano. La morte dei legionari significava una perdita non solo di rispetto dai popoli dominati, ma un costo elevato perchè occorreva ricominciare ad addestrare uomini, armandoli, sfamandoli e dando loro alloggio. Per i suoi servizi Scipione Emiliano ricevette stavolta l'agnomen supplementare di "Numantinus".



LA LEGGE AGRARIA

A Roma, grazie all'avvento di Tiberio Sempronio Gracco, fu approvata nel 133 a.c. la legge agraria, che prevedeva la distribuzione al popolo dei territori italici conquistati. Questi appezzamenti di terra, infatti, erano diventate possesso di importanti famiglie patrizie, che ne lasciavano la conduzione principalmente a manodopera servile.

POLIBIO
L'intenzione di Tiberio Gracco era di distribuire i terreni alla Plebe, come già previsto da una antica legge in vigore a Roma ma non applicata. Tiberio Gracco venne assassinato lo stesso anno dell'emanazione della legge, ma i suoi seguaci mantenevano un seguito specialmente tra la Plebe.

Il Patriziato auspicava misure forti per contrastare le aspirazioni popolari, tanto che fu proposto di nominare dittatore Scipione l'Emiliano.

La dittatura era una magistratura straordinaria, limitata nel tempo a sei mesi, ma illimitata nei poteri, il cui conferimento divenne progressivamente desueto, tanto che prima di Silla ci fu un periodo di quasi cent'anni senza ricorso a dittatori.

Nonostante fosse un moderato nella politica, speso nell'oratoria Scipione Emiliano aveva battute molto pungenti. Anche se non in sintonia con il partito conservatore estremo, era contrario agli schemi dei Gracchi, la cui sorella Sempronia era però sua moglie.

Quando seppe della morte di Tiberio Gracco, si dice che citasse dall'Odissea di Omero (I. 47), "Così periscano tutti coloro che fuori legge ordiscano questi complotti", e nemmeno fece nulla per nascondere il suo malanimo, perchè dopo il suo ritorno a Roma, gli venne chiesto pubblicamente dal tribuno Gaio Papirio Carbone cosa ne pensasse della morte di Gracco, e questi rispose che era stato giustamente ucciso.

La folla a questa risposta fischiò e Scipione rispose: "Non sono mai stato spaventato dalle grida del nemico in armi. Dovrei essere spaventato dalle vostre grida, figliastri d'Italia.?" (Ward). Ciò sollevò grande indignazione nel partito popolare, guidato ora da gente decisa a tutto.

Del resto era stato commesso non solo un omicidio ma un grave reato verso le istituzioni dello stato. I tribuni della plebe, come del resto i senatori, erano per legge inviolabili e il mancato rispetto di questa inviolabilità era gravissimo.



LA MORTE

Scipione riuscì a bloccare momentaneamente la legge agraria, rendendosi così molto impopolare. Morì, nel 129 a.c., poco prima del discorso con il quale si accingeva a motivare la necessità della sua abrogazione. La causa del suo decesso rimane tuttora ignota, e nonostante fossero stati trovati segni sul collo come di strangolamento, non si svolse alcuna indagine.

Alcuni la attribuirono ai sostenitori dei Gracchi, altri si limitarono a pensare ad una morte naturale (l'amico Lelio pensò anche ad un suicidio motivato dalle difficoltà trovate nel soddisfare le esigenze degli alleati italici e latini). Cicerone, che era un po' misogino, invece ne attribuisce la responsabilità ai parenti, in particolare alla moglie Sempronia, sorella dei Gracchi.

Le ipotesi furono omicidio, suicidio, o soffocamento. Il mistero della sua morte non fu mai risolto. Il sospetto che, come nella fine di Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione, gli esecutori fossero gente della plebe è molto forte, diremmo evidente. Viene da pensare che la rivolta popolare fosse così prossima che si credette bene di non procedere all'indagine per non esasperare gli animi.


BIBLIO

- Polibio - Storie -
- Sesto Aurelio Vittore - De viris illustribus Urbis Romae -
- Cicero - De republica -
- Cicero - De senectute -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo - I, 12. -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo - II -




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