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SOTTO CHIESA SS. NEREO E ACHILLEO


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FACCIATA E COLONNA ROMANA

Santi Nereo e Achilleo è una chiesa, situata nel rione Celio, a poca distanza dalle Terme di Caracalla, edificata sopra degli edifici romani. La colonna che qui si osserva di fronte alla chiesa presentava un tempo un capitello con teste leonine proveniente, secondo la tradizione, addirittura dal Tempio di Salomone a Gerusalemme, ma purtroppo il capitello è stato rubato nel 1984.

Secondo gli Atti di Pietro, testo cristiano apocrifo composto in greco verso la fine del II secolo, si narra della vita e morte dell'apostolo Pietro. Dunque Pietro, fuggito per intervento divino dal Carcere Mamertino posto ai piedi del Campidoglio, perdette una “fasciola”, la benda che gli copriva le caviglie piagate per essere state strette nei ceppi.

Però una pia matrona che l'aveva visto fuggire e aveva colto la perdita della fasciola, o che aveva scorto la fasciola per strada e aveva capito forse miracolosamente chi l'avesse indossata, aveva poi raccolto la benda.

Il luogo della caduta della fascia si troverebbe presso le Terme Antoniniane, fatte però edificare da Caracalla nel III secolo, per cui all'epoca non c'erano, ma qui sarebbe sorto il celebre "titulus fasciolae" frequentato dai Cristiani che abitavano lungo l’Appia. Nello stesso luogo nel IV secolo sarebbe sorta una chiesa dedicata a San Pietro.


Poi all'incrocio della la via Appia Antica con l’Ardeatina, dove oggi sorge la chiesetta del Quo vadis, Pietro, in fuga da Roma, avrebbe incontrato il Signore che gli avrebbe detto: «Vengo a Roma per essere crocifisso di nuovo». Al che Pietro, tornò sui suoi passi e andò a incontrare la morte nello stadio di Nerone, in Vaticano.

Della chiesa intitolata ai santi Nereo e Achilleo, si ha memoria fin dall’anno 377, ma fu rifatta più volte.
Un'iscrizione in tale data è presente in San Paolo fuori le mura celebrante un certo Cinammio, lector del titulus Fasciolae, il quale era costruito nel punto in cui, secondo la tradizione, san Pietro aveva perso un bendaggio al piede (fasciola) durante la fuga da Roma per evitare il martirio.

Il titulus Fasciolae, servito da cinque presbiteri, viene registrato per la prima volta da papa Simmaco  negli atti del sinodo da lui convocato nel 499, mentre il titulus Sanctorum Nerei et Achillei viene per la prima volta ricordato nel 595 al posto del titulus Fasciolae. 


Successivamente, probabilmente a partire dal VI secolo, la stessa chiesa fu intitolata ai santi martiri Nereo e Achilleo, le cui spoglie giacciono sotto l’altare. La titolazione della chiesa ai santi Nereo e Achilleo avviene perciò sotto il pontificato di san Gregorio Magno, quindi tra il 590 e il 604; l’edificio sacro mantenne pure nel nome il Titulus Fascicolae.

Nell'814 papa Leone III ricostruì la chiesa nei pressi del vecchio titulus per ospitare le reliquie dei due martiri traslate dalle catacombe di Domitilla. Nel corso dei secoli la chiesa subì la decadenza, tanto che nel catalogo di Torino del 1320 viene registrata come un titolo presbiteriale senza sacerdoti. 

Nel giubileo del 1475, la chiesa venne ricostruita da papa Sisto IV, mentre nel giubileo del 1600 il cardinale Cesare Baronio, a proprie spese, fece realizzare gli arredi del presbiterio: altare, plutei, amboni, cattedra) riutilizzando gli antichi arredi paleocristiani e romani. 

Durante questo restauro, inoltre, furono realizzati gli affreschi che ancora adornano l'interno della chiesa e gli altari laterali. Nel XIX secolo, invece, fu restaurato l'antico mosaico dell'arco absidale, del IX secolo.

SEGGIO VESCOVILE

I SANTI NEREO E ACHILLEO

Nereo e Achilleo, secondo la tradizione, erano servi della nobile Flavia Domitilla e con lei martirizzati per la loro fede cristiana sotto Diocleziano. Sembra però secondo una testimonianza storica di papa Damaso, che entrambi fossero soldati, uccisi sempre sotto Diocleziano, anche se sembra strano che due cristiani facessero per mestiere la guerra, visto che la leva non esisteva e i soldati erano volontari pagati dallo stato.

Il luogo in cui fu costruita la chiesa era paludoso e malsano tanto che, sotto il pontificato di Leone III, nell’814, l’antico edificio sacro era ormai completamente diroccato e affondato nel terreno. Papa Leone III decise così di abbatterlo e di farne costruire uno nuovo di maggior decoro e bellezza in una zona più stabile nei pressi. A questa ricostruzione data il mosaico dell’arco trionfale, che ancora si può ammirare.

Di nuovo in degrado fino al Giubileo del 1600, quando, il cardinale Cesare Baronio, della Congregazione dell’Oratorio di Roma, ottenne la chiesa dal Papa Clemente VIII nel 1597, assegnata in perpetuo alla Congregazione dell’Oratorio. 

La chiesa venne così ristrutturata a tre navate e abbellita con crudi affreschi dei due martiri. Si trovano altresì nella chiesa un coro cosmatesco, un ambone medievale, un candelabro marmoreo del XV secolo e molti resti romani. 

All’esterno, davanti ad una semplice facciata caratterizzata da un protiro su due colonne, è una colonna di granito con la croce.
Il portale presenta entrambe le dediche della chiesa: 
“SS MARTYRUM NEREI ET ACHILLEI" e 
"TITULUS FASCIOLAE“

CATACOMBE DI DOMITILLA

DESCRIZIONE

La facciata della chiesa, che dà con un piccolo sagrato su viale delle Terme di Caracalla, risale ai restauri effettuati da papa Sisto IV. Essa è "a salienti" cioè con una successione di quattro spioventi, posti a differenti altezze, dove si aprivano tre finestre ogivali.


Oggi è aperta solo la finestra centrale, rifatta in stile barocco. Coevo agli affreschi è posto un protiro marmoreo, cioè un piccolo portico a cuspide a protezione e copertura dell'ingresso della chiesa, o pre-entrata, sorretto da due colonne corinzie e costituito da un timpano triangolare, anch'esso in marmo.

URNA IN PORFIDO DELLE TERME DI CARACALLA
La chiesa è strutturata a tre navate divise da pilastri ottagonali, che sostituirono nel XV secolo le colonne originali (sig!). La navata è decorata da affreschi commissionati dal cardinale Baronio ed è riccamente affrescata. L'altare maggiore, costruito con tre pannelli cosmateschi, contiene le reliquie dei santi Nereo, Achilleo e Domitilla, traslate dalle catacombe di Domitilla.

L'ambone medioevale, una tribuna in marmo, chiusa a tre lati da un parapetto e aperta su una scala, è posto su di un'urna in porfido proveniente dalle Terme di Caracalla, il coro è delimitato da pareti di spoglio decorate in stile cosmatesco, mentre il ciborio, risalente al XVI secolo, è costruito con marmi africani.

Dietro l'altare c'è il trono episcopale in stile cosmatesco (scuola del Vassalletto), sul quale è trascritta la XXVIII-a omelia di papa Gregorio I Magno, nella quale il papa affermava di aver pregato di fronte alle reliquie dei santi Nereo e Achilleo: il cardinale Baronio, che ordinò l'iscrizione, non sapeva della traslazione delle reliquie dalle catacombe, e pensò dunque che fosse questo il luogo riferito da Gregorio Magno.


I due spiriti alati posti vicino all'altare sono invece di origine pagana, in quanto tolti e riutilizzati da un tempio pagano che stava anticamente molto vicino alla chiesa, che fu spogliato e adoperato per il nuovo tempio cristiano, Da questo dovrebbero anche provenire i marmi di epoca imperiale che sono stati ritagliare per formare le decorazioni e i pavimenti cosmateschi che ornano l'attuale chiesa.


BIBLIO

- Carlo Pavolini - Resti romani sotto la chiesa dei SS. Nereo e Achilleo a Roma. Una rilettura archeologica - Scuola francese di Roma - 1999 -
- Maria Grazia Turco - Gli arredi liturgici controriformati, fra reimpiego, ricomposizione e ricostituzione. Il reimpiego in architettura - Recupero, trasformazione, uso - Collection de l’École -
- Agnese Guerrieri - La chiesa dei SS. Nereo e Achilleo - Pont. Ist. di Archeologia Cristiana - Roma - 1951 -
- Maria Grazia Turco - La chiesa dei Santi Nereo e Achilleo nel parco dell’Appia Antica - La definizione del progetto cinquecentesco nel manoscritto baroniano - in “Palladio” - 1994 -



SAN LORENZO IN DAMASO


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La Chiesa di San Lorenzo in Damaso, in Piazza della Cancelleria, è nota sin dall’antichità, dal sinodo di papa Simmaco, come Titulus Damasi. Secondo la tradizione San Lorenzo in Damaso fu costruita per la prima volta da papa Damaso I nella sua casa verso il 380 d.c..

L'edificio sacro compare come un'antica basilica civile romana, cioè una struttura a tre navate divise da pilastri (però quadrangolari), precedute da un vestibolo a cinque navate. Nel primo vestibolo c'è la tomba di Alessandro Voltrini, opera del Bernini (1598-1680), mentre nel secondo vestibolo c'è una statua di Carlo Borromeo opera di Stefano Maderno (1576-1636).

Nel vestibolo, a destra, c'è una cappella disegnata da Nicola Salvi, lo scultore di fontana di Trevi. Sempre nel vestibolo, a sinistra c'è la cappella del Sacramento, affrescata da Andrea Casali (1705-1784). La navata centrale termina con un'abside semicircolare, al centro della cui conca si trova un grande dipinto ad olio di Federico Zuccari (1540-1609) raffigurante l'Incoronazione di Maria e santi.

STATUA DI SANT'IPPOLITO

Al disotto dell'altare maggiore, che è sormontato da un ciborio neoclassico, sono custoditi i corpi
dei santi Eutichiano e Damaso, mentre alla sua sinistra c'è una statua di sant'Ippolito, copia di
quella che si trova nel Museo lateranense.

Il Palazzo della Cancelleria, di splendida architettura rinascimentale, fu iniziato intorno al 1485 per volere del cardinale Raffaele Riario, nominato da papa Sisto IV, suo zio, titolare della basilica di S. Lorenzo in Damaso. Avere un parente Papa era una benedizione per le famiglie aristocratiche, perchè questi nominava a raffica cardinali e vescovi i propri parenti, affidandogli i proventi di chiese e tenute varie, arricchendoli più di quanto fossero già benestanti.

I lavori, a cui secondo il Vasari prese parte il Bramante, comportarono la distruzione della precedente chiesa (che venne ricostruita ed inglobata nel nuovo edificio) e si conclusero, tra il 1511 ed il 1513, sotto il pontificato di Giulio II Della Rovere, il cui stemma araldico è visibile ai lati della facciata insieme a quello di Sisto IV, anch’egli appartenente alla famiglia Della Rovere. Ma poco dopo il suo completamento l’edificio venne confiscato ai Riario per divenire sede della Cancelleria Apostolica.

CERIMONIA MITRIACA


IL MITREO ROMANO

Ebbene, la chiesa è costruita su un mitreo romano; tagliati e deturpati dalle fondazioni del palazzo sono non solo il Mitreo, ma pure un cimitero cristiano in uso dall'VIII secolo fino a poco prima della costruzione dei palazzo. e le vestigia di una grande basilica paleocristiana che la tradizione vuole costruita sulla domus di Papa Damaso I (305-384).

Scavi sotto il cortile del palazzo della Cancelleria nel 1988 – 1991 hanno rivelato le fondazioni del IV e V secolo) della grande basilica fondata da papa Damaso I, una delle più importanti chiese paleocristiane di Roma. La chiesa paleocristiana aveva come particolarità una navata trasversale (transetto) posta dietro l'abside, sicché la basilica appariva circondata da portici.

IL LAGO SOTTERRANEO


LAGO SOTTERRANEO A PALAZZO DELLA CANCELLERIA

Scavi condotti intorno alla fine degli anni trenta nelle cantine del palazzo della Cancelleria
Apostolica hanno rivelato, agli occhi increduli degli operai, i resti di un sepolcro romano
sommerso da un placido laghetto color smeraldo, profondo dai 3 ai 6 metri.

IL LAGO
Il laghetto si è formato a seguito dell’ostruzione dell’ Euripus, canale impiegato per regolare il livello dell’acqua dello Stagnum Agrippae, la grande natatio (piscina per il nuoto) delle Termedi Agrippa alimentate dall’acqua Virgo.

L’Euripus attraversava tutto il Campo Marzio prima di gettarsi nel Tevere all’altezza
dell’attuale Ponte Vittorio Emanuele II, lì dove un tempo era il ponte di Nerone, e dove ora
sono gli alti muraglioni del Tevere che occludendo lo sbocco del canale hanno contribuito a
formare il suggestivo laghetto ipogeo alimentato anche dall’acqua di falda.

Numerosi sepolcri affacciavano lungo il canale dell’Euripus, costruiti per commemorare
la memoria degli estinti senza contenerne le spoglie mortali. Tra questi, inabissato sotto il palazzo della
Cancelleria è il sepolcro di Aulo Irzio, luogotenente di Cesare, scoperto casualmente nel 1938, attualmente in gran parte sommerso dalle acque dell’Euripus.

PREGEVOLI BASSORILIEVI ROMANI DEL PALAZZO

Con la costruzione dei muraglioni sul Tevere alla fine dell’Ottocento, furono ostruiti gli sbocchi al fiume dell’Euripus e di altri canali di scarico della zona, provocando così l’innalzamento e il ristagno delle acque. Il sepolcro, tagliato in parte dalle fondazioni del Palazzo della Cancelleria, è costituito da un recinto con basamento in tufo, da un muro in laterizi e da una copertura a doppio spiovente in travertino.

Alcuni cippi che delimitavano l’area funeraria, riportano il nome del console Aulo Irzio, luogotenente di Cesare morto insieme al collega Vibio Pansa nella battaglia di Modena contro Antonio del 43 a.c. Dopo l’eroica morte dei due consoli, il Senato romano decretò che fossero costruiti per loro due sepolcri nel Campo Marzio a spese pubbliche.

La tomba di Vibio Pansa dovrebbe dunque trovarsi nelle immediate vicinanze. Appoggiate al sepolcro furono inoltre rinvenute alcune lastre scolpite a rilievo, la cosiddetta "Ara dei Vicomagistri" di epoca claudia (41-54 d.c.) e i due rilievi della Cancelleria dell’epoca di Domiziano (81-96 d.c.). Queste opere, tra le più importanti dell’arte romana, sono esposte ora ai Musei Vaticani, mentre nel palazzo della Cancelleria sono conservati i calchi.

AFFRESCHI DEL VASARI CON CENSURA SULLE NUDITA'

Si narra che il palazzo della Cancelleria venne costruito dal cardinal Raffaele Riario, nipote e cancelliere di papa Sisto IV della Rovere, grazie alle sue vincite di una singola notte di gioco. Forse il titolo di cardinale non era sufficiente per inculcare una vita di virtù e moderazione cristiana.

Alla realizzazione del palazzo (1485-1515) contribuirono diversi architetti fra cui Baccio Pontelli, Andrea Bregno e Donato Bramante, al quale sono attribuiti anche l’esecuzione del cortile, che è tra le
più alte manifestazioni architettoniche del Rinascimento, e il restauro della contigua chiesa di
San Lorenzo in Damaso.

Nel 1546 il cardinal Alessandro Farnese commissionò a Giorgio Vasari di celebrare la memoria
di papa Paolo III Farnese decorando ad affresco la volta del salone centrale del palazzo. Quando
Vasari si vantò con Michelangelo di aver terminato il lavoro in soli 100 giorni, questi ironico
rispose: “E si vede!”.

Ma si sa che da un lato Vasari era bravissimo, e dall'altro Michelangelo, pur nella sua assoluta eccellenza, non aveva un buon carattere e peccava, senza motivo, di un po' di invidia.

BIBLIO

- Pietro da Cortona, A Design for a Quarantore - at San Lorenzo in Damaso -
- M. Armellini - Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX -
- Frommel, Christoph Luitpold - L'architettura del Rinascimento italiano - Skira - 2009 -



SOTTO SAN BARTOLOMEO ALL'ISOLA


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ISOLA TIBERINA E CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

La basilica di San Bartolomeo all'Isola è un'antica chiesa che si trova sull'Isola Tiberina, nel rione Ripa,
edificata nell'anno 1000 sull'Isola Tiberina per conservare e mostrare all'adorazione dei fedeli le reliquie di san Bartolomeo apostolo.

Teniamo conto che l'anno 1000 era ritenuto l'anno della fine del mondo, "Mille non più mille" profetavano i preti e i falsi profeti, per cui tutti si battevano il petto e facevano penitenze. il terrore regnava sovrano perchè i barbari invadevano le terre un tempo difese dai romani e ora alla mercè dei barbari che razziavano, uccidevano e stupravano.



ISOLA TIBERINA

Nella Forma Urbis di età severiana viene definita "inter duos pontes"; infatti l'Isola Tiberina è collegata alle due rive del Tevere dal Ponte Cestio e dal Ponte Fabricio. Secondo la leggenda l'isola si sarebbe formata nel 510 a.c. dai covoni del grano mietuto a Campo Marzio, di proprietà del re Tarquinio il Superbo, gettati nel Tevere al momento della rivolta che ne causò la cacciata.

Nella prima metà del I secolo a.c. vennero costruiti il ponte Fabricio e il ponte Cestio, e il Vicus Censorius che li collegava, dando all'isola la forma di una nave (di cui oggi è ancora visibile la prua), con blocchi di travertino sopra all'interno in peperino, e alcune decorazioni raffiguranti Esculapio con il suo serpente e una testa di toro, forse per gli ormeggi.

Il Vicus Censorius (vico Censorio) che collegava il Ponte Cestio e il Ponte Fabricio era l'unico vicus dell'isola. Il vicus corrispondeva all'odierna strada di collegamento tra i due ponti, passando per il lato settentrionale di piazza di San Bartolomeo all'Isola.

Il vicus è citato nella Base Capitolina, o Base dei Vicomagistri, il basamento marmoreo di una statua dedicata all'imperatore Adriano dai vicomagistri nel 136 d.c. che consente la ricostruzione della topografia dell'antica Roma, in quanto vi è riportato l'elenco dei vicomagistri dedicanti, suddivisi ciascuno per il vicus di competenza.

La Base Capitolina venne rinvenuta sul Campidoglio nel XV secolo, è conservata presso i Musei capitolini, il Vico Censorio è citato sul basamento marmoreo ma pure in altre due epigrafi rinvenute poco lontano.

STAMPA DEL PIRANESI

LA CHIESA

Danneggiata in modo irreparabile da una piena del Tevere nel 1557, l’edificio sacro fu ricostruito nel XVII secolo dall’architetto Orazio Torriani. Esternamente, San Bartolomeo all’Isola presenta una facciata barocca su due piani con un portico a piano terra; internamente, è divisa in tre navate sorrette da colonne antiche evidentemente reperite nell'antico tempio.

Nella chiesa sono custoditi i resti di San Bartolomeo apostolo, il cui corpo riposa in un sarcofago antico di porfido rosso sotto l’altare maggiore, e quelli di Sant’Adalberto. Tra le opere di maggiore interesse la Flagellazione di Cristo, un dipinto di Antonio Carracci (1589-1618), nipote di Annibale.
 
La chiesa è anche nota per essere la sede della "Veneranda confraternita de' devoti di Gesù Cristo al Calvario e di Maria Santissima Addolorata”, congregazione nata per iniziativa di un gruppo di fedeli nel 1760. La confraternita ottenne il permesso, da parte di papa Pio VI Braschi di ricavare al piano seminterrato un cimitero per i fratelli defunti. Durante la sepoltura, gli adepti vestivano un mantello rosso con cappuccio che valse loro l’appellativo popolare di Sacconi Rossi.

Fin dal principio, si dedicarono al recupero delle salme rinvenute nel Tevere le cui ossa scarnificate venivano deposte nella cripta del convento che divenne quindi un cimitero analogo a quello più famoso della cripta dei Cappuccini di via Veneto.


INTERNO CON COLONNE DEL TEMPIO DI ESCULAPIO

SAN BARTOLOMEO

L'imperatore Ottone III di Sassonia, re dei Franchi Orientali dal 983 al 1001, costruì questa basilica dedicandola al proprio amico, sant'Adalberto di Praga, che voleva evangelizzare le terre pagane dei Prussi, e nel 996, assieme al fratello Gaudenzio e ad un giovane monaco, andò verso la Vistola in terra pagana. 

Vennero però arrestati nel 997 ed espulsi, con minaccia di morte se fossero tornati. Pochi giorni dopo i tre furono nuovamente sorpresi nel territorio pagano e uccisi a colpi di lancia. Tuttavia all'arrivo delle reliquie dell'apostolo Ottone cambiò idea e la basilica cambiò dedica. 

Le reliquie vennero poste in una vasca collocata sotto l'altare: erano giunte a Benevento dall'Armenia (Asia) nell'809, e poi da lì inviate a Roma. Nel 1018 la bolla "Quoties illa" di papa Benedetto VIII riferisce del definitivo trasferimento della cattedrale e dell'episcopio dei vescovi di Porto nella chiesa di san Bartolomeo.

IL SACRO CATINO MIRACOLOSO

Le spoglie di san Bartolomeo furono trasportate a Roma in un catino che però fu trafugato da ignoti nel gennaio 1981 e ritrovato nel maggio 1985. La cosa notevole è che pure il catino fu ed è oggetto di venerazione, ma pure ingabbiato in un'inferriata per timore che qualcun altro possa pensare di rubarlo, perchè si pensa che essendo stato a contatto con le sante reliquie ne possieda le proprietà taumaturgiche già attribuite alle spoglie del santo.

Infatti il sacro catino è a tutt'oggi conservato all'interno della chiesa, visto che fu trafugato e poi ritrovato ma non si specifica come, perchè di catini come quello se ne trovano e soprattutto se ne trovavano. Comunque davanti ad esso c'è un inginocchiatoio preposto all'adorazione del miracoloso catino, onde i fedeli possano inginocchiarsi e pregare per ottenere grazie mediante il catino che ha contenuto le reliquie.

Tuttavia secondo alcuni le spoglie che giunsero a Roma non erano quelle di san Bartolomeo, ma del vescovo di Nola, san Paolino, in quanto le reliquie dell'Apostolo rimasero sempre ben custodite a Benevento. 

Ma la questione è dibattuta perchè sembra invece che le reliquie di San Paolino non giacciano nè a Roma nè a Benevento. ma bensì a Nola sotto un altare, come mostra l'immagine qui sotto. Purtroppo nei secoli addietro ci fu una battaglia tra le chiese che possedevano le reliquie dei santi, perchè le donazioni per l'avvenuto miracolo o la richiesta di esso erano numerose e pertanto cospicue anche le donazioni.

RICOSTRUZIONE ISOLA TIBERINA

I NUOVI MARTIRI

La basilica fu affidata nel 1993 alla Comunità di Sant'Egidio e dal 1999 si riunì per due anni nei locali della basilica la commissione "Nuovi Martiri", per indagare sui martiri cristiani del XX secolo.

Nell'ottobre del 2002, con solenne celebrazione ecumenica alla presenza dei cardinali Ruini, Kasper e George, e del patriarca romeno ortodosso Teoctist, è stata posta sull'altare maggiore una grande icona dedicata ai martiri del Novecento, e altre memorie di martiri sono state collocate nelle cappelline laterali.

IL SACRO POZZO

I MIRACOLI DELL'ACQUA BENEDETTA

La basilica venne costruita in un luogo di pellegrinaggio già molto frequentato. Infatti, sull’Isola Tiberina esisteva un tempio dedicato ad Esculapio, e i pellegrini affluivano numerosi per implorare la guarigione di sè o dei loro cari. 

Il pozzo presente nella basilica, che risale all’epoca romana ha delle acque che in antico venivano ritenute taumaturgiche grazie ad Esculapio. Oggi la leggenda non cambia, cambia solo la religione, le acque non guariscono in nome di Esculapio ma in nome di San Bartolomeo o di Gesù Cristo. 

In realtà anticamente vi era una fonte, che sembra vi sia a tutt'oggi, visto che l'antico pozzo con un bassorilievo raffigurante i tre santi (s. Adalberto, s. Bartolomeo e Ottone III. o san paolino perchè non risulta che Ottone sia un santo), realizzato con il rocchio di un'antica colonna da Nicola d'Angelo o da Pietro Vassalletto nel XIII secolo.

I cristiani credevano che l'acqua fosse miracolosa, essendovisi trovate le ossa dei martiri romani Esuperanzio e Marcello, e un'iscrizione infatti riporta "Os putei Sci sancti circumdant orbe rotanti"; nel secolo scorso il pozzo è stato chiuso a causa della malsanità dell'acqua, ma se c'erano le ossa dei santi erano più malsane all'epoca. 

Viene anche da chiedersi come abbiano riconosciuto l'appartenenza delle ossa e chi le aveva gettate nei pozzi. Forse era stata tramandata la condanna a morte dei due santi, ma non si spiega perchè gettarli nei pozzi. I romani erano grandi igienisti, le terme erano ad acqua corrente e i cadaveri li bruciavano, Roma era piena di ustrina, figurarsi se ci inquinavano i pozzi.

Nella antica vera di marmo che sovrasta il sacro pozzo di Esculapio, a scambio equivoci vi è un’immagine scolpita di un santo (almeno da un lato), di chiaro stile medievale, che è stata aggiunta per ragioni di appartenenza e di fede.

Dunque i fedeli pagani bevevano l'acqua sacra, che da pagana divenne fonte cristiana, per cui la bevvero per curarsi anche i cristiani, però c'era qualcosa che non convinceva, alla fine decisero che era malsana anche se cristiana e chiusero tutto.

LA BASILICA

LA BASILICA

Danneggiata in modo irreparabile da una piena del Tevere nel 1557, l’edificio sacro fu ricostruito nel XVII secolo dall’architetto Orazio Torriani nel nuovo stile barocco che si impose in quel secolo. Infatti San Bartolomeo all’Isola presenta una facciata barocca su due piani e un portico sottostante. Internamente, è divisa in tre navate sorrette da colonne antiche.

Nella chiesa sono custoditi i resti di San Bartolomeo apostolo, il cui corpo riposa nel sarcofago di porfido rosso, di provenienza antico-romana, sotto l’altare maggiore, e quelli di Sant’Adalberto, vescovo di Praga, ucciso nel 997 mentre era intento a evangelizzare le popolazioni pagane del Nord-Europa.
 
Tra le opere di maggiore interesse c'è la Flagellazione di Cristo, un dipinto di Antonio Carracci (1589-1618), nipote di Annibale Carracci, mentre un affresco con Maria in Trono con il Bambino tra figure di oranti, arte bizantina con chiari influssi romanici, risalente al XII secolo, compare sopra un altare laterale. 

SERPENTE DI ESCULAPIO
La chiesa è anche nota per essere la sede della "Veneranda confraternita de' devoti di Gesù Cristo al Calvario e di Maria Santissima Addolorata”, congregazione nata per iniziativa di un gruppo di fedeli nel 1760. 

La confraternita ottenne il permesso, da parte di papa Pio VI Braschi di ricavare al piano seminterrato un cimitero per i fratelli defunti. Durante la sepoltura, gli adepti vestivano un mantello rosso con cappuccio che valse loro l’appellativo popolare di "Sacconi Rossi". 

Fin dal principio, si dedicarono al recupero delle salme rinvenute nel Tevere le cui ossa scarnificate venivano deposte nella cripta del convento che divenne quindi un cimitero analogo a quello più famoso della cripta dei Cappuccini di via Veneto.


ESCULAPIO ED IL SERPENTE

IL TEMPIO DI ESCULAPIO

Essendo un'isola sacra la Tiberina ospitò il tempio di Esculapio, Dio della medicina, il cui culto fu introdotto nel 292 a.c. in seguito ad una pestilenza. Al centro vi era un obelisco, un albero maestro simbolico, a ricordo della nave romana che nel 292 a.c. da Epidauro portò a Roma l'effigie del Dio Esculapio. 

Il tempio venne costruito nel 293 - 290 a.c., e la sua consacrazione avvenne nel 289 a.c..
Secondo la leggenda nel 293 a.c. era scoppiata una grave epidemia a Roma, per cui il Senato, fatti consultare i Libri Sibillini, decise di costruire un edificio alla divinità greca Asclepio, che assunse il nome latino di Esculapio.

ESCULAPIO
Figlio di Apollo e di Arsinoe secondo Esiodo, oppure di Apollo e Coronide per Pindaro, Esculapio venne istruito nella medicina dal centauro Chirone, ma avrebbe ereditato tale proprietà dal padre Apollo.

Questi però più che Dio della medicina era Dio delle malattie, infatti con i suoi strali poteva suscitare la peste.

Esculapio divenne comunque Dio della medicina, molto seguito dal popolo, in quanto benevolo con gl'infermi a cui era riservato un ampio spazio adiacente al tempio

Così a Roma, dopo aver consultato i Libri Sibillini, una delegazione di ambasciatori romani venne inviata ad Epidauro, in Grecia, in cui era presente il famosissimo santuario di Asclepio, onde ottenere una statua del Dio da portare a Roma.

Secondo la leggenda durante i riti propiziatori un grosso serpente (un colubro, attribuito al Dio Apollo) uscì dal santuario andandosi a nascondere all'interno della nave romana. 

Certi che questo fosse un segno da parte della divinità i romani si affrettarono a tornare nella loro città, dove ancora imperversava l'epidemia.

Giunti sul Tevere, mentre stavano per rientrare a Roma, accadde che nei pressi dell'isola Tiberina il serpente uscì dalla nave e si nascose sull'isolotto, sparendo dalla vista degli ambasciatori, indicando così il luogo dove avrebbe dovuto sorgere il tempio. 

Si dette subito inizio ai lavori e il tempio venne inaugurato nel 289 a.c., e subito dopo l'epidemia ebbe fine. L'isola, a ricordo dell'evento, venne rimodellata a forma di trireme. 

Un obelisco venne infatti posto al centro dell'isola, davanti al tempio, in modo da somigliare ad un albero maestro, mentre sulle rive vennero posizionati blocchi di travertino, scolpiti in modo da sembrare una poppa e una prua. Sull'isola sorsero diverse strutture adibite al ricovero degli ammalati, e ciò è testimoniato da numerosi voti ed iscrizioni pervenute sino ai giorni nostri.

L'ISOLA VISTA DA DIETRO CON LA FORMA DEL TRIREME


Il tempio andò distrutto durante l'Alto Medioevo, poiché già nell'anno 1000 sorse sulle sue rovine la basilica di San Bartolomeo all'Isola per volere di Ottone III. 

Il pozzo medioevale posto accanto all'altare della chiesa sembra essere lo stesso da cui sgorgava l'acqua utilizzata per curare i malati, così come testimoniato da Sesto Pompeo Festo (II secolo d.c.), un grammatico latino, ma in realtà è ricavato da una antica colonna scolpita.

Del poco che rimane dell'antico tempio di Esculapio sono da ricordare alcuni frammenti dell'obelisco, conservati a Napoli e a Monaco, e alcuni blocchi di travertino visibili sotto le costruzioni moderne sull'isola Tiberina, tra cui spicca un rilievo del bastone di Esculapio.

Papa Sisto V ordinò che il Ponte Fabricio, che collega l'isola tiberina alla riva sinistra del Tevere, risalente del 62 a.c., venisse ristrutturato. A tale scopo incaricò quattro architetti tra i più famosi del suo tempo. Questi però non andavano d'accordo, e spesso scatenarono violenti litigi. Il restauro fu comunque ben eseguito e il papa prima si congratulò con loro, e poi li fece decapitare sul ponte stesso, a monito dei litigiosi..
 

BIBLIO

- Basilica di San Bartolomeo Apostolo all'Isola -  gcatholic.org, -
- Giuseppe Cappelletti - Le chiese d'Italia: dalla loro origine sino ai nostri giorni - Venezia - 1864 -
- Alfredo Cattabiani - Santi d'Italia - Milano - Ed. Rizzoli - 1993 -
- Frammento della Forma Urbis relativo all'Isola Tiberina - su formaurbis.stanford.edu. -
- Rodolfo Lanciani - Forma Urbis Romae - pianta di tutti i resti conosciuti dell'epoca romana e fino al VI secolo, composta da 46 tavole in scala 1:1000 -
- Rodolfo Lanciani - Rovine e scavi di Roma antica - The Ruins and Excavations of Ancient Rome: a Companion Book for Students and Travelers - London - Macmillan - 1897 - Roma - Quasar - 1985 -

 


SOTTO SAN SILVESTRO IN CAPITE


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LA FACCIATA

La chiesa di san Silvestro in capite e l'annesso monastero basiliano (che segue le regole di preghiere e lavoro artigianale di san Basilio) furono fondati secondo alcuni studiosi nell'VIII secolo da papa Stefano II (r. 752 - 757), ma non vi è traccia di ciò nella vita del papa o dal suo successore e fratello, papa Paolo I (r. 757 - 767), nel palazzo familiare che però sembra fosse posto in Via Lata e non su un piazzale, per cui la cosa è ancora discussa.

Comunque l'edificio abitativo era stato elevato sulle rovine di un tempio circolare dedicato al Dio Sole, fatto innalzare dall'imperatore Aureliano che aveva voluto l'introduzione del culto del Sol Invictus, una divinità originaria di Palmira, identificata con il Dio Mitra, un culto misterico già molto popolare fra i soldati. Il luogo di culto venne inizialmente intitolato ai santi Silvestro e Stefano. Oggi, officiata dai padri pallottini inglesi, è considerata la chiesa cattolica nazionale degli inglesi a Roma.

La chiesa di S. Silvestro in Capite originariamente fu dedicata ai santi Stefano e Silvestro ma in seguito rimase soltanto il secondo con l’aggiunto appellativo “in Capite” in quanto vi si conserva la testa di S. Giovanni Battista, precedentemente situata nella vicina chiesa di S. Giovannino. 

L'edificio del monastero venne ristrutturato nel 1588-91 e la chiesa nel 1593-1601. Dal 1595 i lavori furono affidati a Carlo Maderno. La decorazione interna venne terminata nel 1696 e nel 1703 Domenico De Rossi ne realizzò la facciata. Sono presenti inoltre sei cappelle laterali che si aprono sulla navata, realizzate da Ludovico Gimignani

IL CORTILE


AURELIANO

Il tempio del Sole venne dedicato dall'imperatore Aureliano al Dio Sol Invictus nel 275, per sciogliere il voto fatto in occasione della sua conquista di Palmira nel 272. Per il culto fu istituito un collegio di pontifices (Dei) Solis e dei giochi annuali con corse nel circo, oltre a giochi quadriennali (agon Solis) da tenersi al termine dei vecchi Saturnalia.

Dalle fonti sappiamo che si trovava nella regio VII "Via Lata", nel Campus Agrippae, che fu ornato con il bottino di guerra preso a Palmira e che era circondato da portici. Nell'anno 274 Aureliano introdusse a Roma il culto del Sol Invictus, si dice col desiderio di imporlo come culto di stato, ma non esiste alcun editto o alcuna prova di questo. 

Tuttavia era sinceramente devoto al suo Dio tanto che gli dedicò il santuario nel Campus Agrippae, nell'attuale piazza San Silvestro e proclamò (per la prima volta in Occidente il 25 dicembre giorno di festa in onore del nuovo Dio: il Dies Natalis Solis Invicti, da cui successivamente il cristianesimo trasse la festa religiosa del Natale.

L'imperatore stesso si dichiarò suo supremo sacerdote, e che il potere gli fosse stato concesso direttamente dal Dio, inaugurando così la formula dei re che governano per grazia di Dio, formula che i re cattolici hanno adottato ampiamente. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante come festa del solstizio di inverno, quando le giornate sono sempre più corte e il sole sembra sparire dietro l'orizzonte per poi risorgere, invitto, come Sole o Mitra Bambino che nasce in una grotta, anche questo particolare adottato dalla Chiesa Cattolica.

I RESTI DEL TEMPIO

Aureliano aveva appena concluso il miracolo della riunificazione dell'Impero romano, dopo la vittoria sulla regina Zenobia del Regno di Palmira. Vittoria che era stata resa possibile dallo schierarsi della città-Stato siriana Emesa a fianco dell'esercito romano che stava per soccombere. Così Aureliano all'inizio della battaglia decisiva disse di aver avuto la visione benaugurante del Dio Sole, venerato ad Emesa.

Come più tardi Costantino I con il Cristianesimo, Aureliano vedeva nell'adozione del culto del Sol Invictus un forte elemento di coesione culturale e politica dell'Impero, dato che, in varie forme, il culto del Sole era già presente in molte regioni dell'impero,

Così Aureliano ordinò che il primo giorno della settimana fosse dedicato al dio Sole, chiamandolo Dies Solis, cioè "giorno del sole". Successivamente, nel 383 Teodosio I avendo proibito tutti gli altri culti all'infuori del Cristianesimo, decretò che il nome del giorno venisse cambiato in Dies Dominicus; tuttavia, nel nord Europa, rimase la denominazione decisa da Aureliano, da cui derivarono il Sonntag tedesco ed il Sunday inglese.



LA RELIQUIA

In via della Mercede i Padri dell’Ordine della Mercede avevano ricevuto in affido nel 1600 da papa Paolo V la chiesa di S.Maria in S.Giovanni, così chiamata perché insediata nel 1586, in una chiesa abbandonata, “S.Giovanni in capite“, a causa del ritrovamento, tra le sue pareti, di una miracolosa Immagine della Madonna.

La chiesa soprannominata, per le sue ridotte dimensioni, “S.Giovannino”, era oggetto di venerazione sia per la Madonna, sia perché vi si custodiva la testa di S.Giovanni Battista, poi trasferita nella chiesa di S.Silvestro. Oggi anche la chiesa di S.Maria in S.Giovanni, isolata dal monastero di S.Silvestro, per l’apertura di via del Moretto, fu sconsacrata e venduta a uso profano.

All'epoca si dava ai vari ordini religiosi una chiesa in affido, possibilmente con una reliquia, dando così ai religiosi la possibilità di mantenersi senza pesare . I fedeli usavano lasciare elemosine durante la questua della Messa ma soprattutto facevano generose donazioni per le grazie ricevute da una reliquia che era in genere un pezzo di corpo di un santo. 

LA SACRA RELIQUIA
Per tali ragioni i santi, o chi per loro, vennero mutilati e sparsi nelle varie chiese anche oltre confine ed era in genere il papa che ne disponeva a suo insindacabile giudizio. Non era pertanto inusuale che un santo avesse 4 gambe o sei braccia sparse per il mondo.

Per quel che riguarda la reliquia Flavio Giuseppe non dice dove venne seppellito Giovanni, anzi non dice nemmeno che venne decapitato, invece sappiamo dal Vangelo di Matteo che i discepoli di Giovanni “andarono a prenderne il corpo e lo seppellirono; poi vennero a informare Gesù” (Mt 14, 12).  

Almeno quattro diverse tradizioni indicano altrettanti luoghi come quelli in cui si troverebbe la testa del santo decapitato: Roma, Amiens, Monaco e Damasco.

1) Si dice che la testa del Battista che viene conservata oggi ad Amiens si trovasse originariamente a Istanbul (all’epoca Costantinopoli) insieme al braccio destro, ma che il crociato Wallon de Sarton l’abbia portata in Francia nel 1206. Per ospitare la reliquia venne costruita la cattedrale di Amiens, che divenne subito meta di pellegrinaggio.

2) Un'altra testa del Battista è custodita non in una chiesa, ma nel Residenz Museum di Monaco, in Germania, aperta al pubblico come museo dal 1920. L’edificio apparteneva ai membri della Casa di Wittelsbach, che governarono la Baviera prima come duchi, e uno di questi duchi, Wilhelm V di Baviera, alla metà del XVI secolo collezionò molte reliquie, tra le quali la testa del Battista.

3) La quarta testa si trova nella moschea Omayyade, la Grande Moschea di Damasco, una delle moschee più grandi e antiche del mondo. Dopo la conquista musulmana di Damasco nel 634, la moschea venne costruita sopra una basilica cristiana dedicata a Giovanni Battista in cui, secondo la tradizione, si conservava la testa del Battista.



L'EDIFICIO

Sorta nell’VIII secolo sui resti della casa dei due fratelli pontefici Stefano II e Paolo, la piazza, nell’alto Medioevo, era stata denominata, tra greco e latino, “Catapauli“, ossia “presso Paolo”. L’edificio era formato da due grandi cortili porticati, collegati da una sala quadrangolare. 
Un primo cortile (55 m x 75 m) presentava i lati brevi costituiti da due emicicli e le pareti ornate da due ordini di colonne che inquadravano nicchie attraverso semicolonne; gli ingressi ad arco erano inquadrati da colonne giganti per l'intera altezza. 

Un piccolo ambiente quadrato (15 m x 15 m) separava il primo dal secondo cortile più ampio (130 m x 90 m), posto sullo stesso asse, con tre nicchie rettangolari aperte sui lati lunghi (le due laterali, più ampie, con ingresso a due colonne e dotate di una piccola abside) e altre tre nicchie sul lato breve di fondo, quella centrale semicircolare e quelle laterali anch'esse rettangolari, tutte e tre ancora con ingresso a due colonne. 

Questo cortile aveva al centro un tempio rotondo con un giro di 16 colonne che Palladio disegnò, privo tuttavia di misure a differenza delle altre strutture e probabile invenzione dell'architetto sul modello del tempio di ErcoleTivoli. L'Arco di Portogallo doveva costituire uno degli ingressi al complesso. L'orientamento del complesso rispetto alla via Lata (attuale via del Corso) è discusso.

Nei portici venivano custoditi i “vina fiscalia“, ossia il vino destinato al popolo per le distribuzioni a basso prezzo se non del tutto gratuite, come avveniva in genere nei festeggiamenti del Sol Invictus, dove si danzava e si beveva a sostituire un po' i Saturnali della stessa epoca invernale ormai da lungo aboliti. Della prima chiesa, a tre navate, si conservano tracce delle fondamenta, nella moderna confessione sotto l'altare.

COLONNA DI MARCO AURELIO

L'EPIGRAFE DELLA SCOMUNICA

Nella chiesa si conserva una lunga epigrafe del 1119 che minaccia di scomunica chiunque avesse alienato la Colonna di Marco Aurelio di proprietà della chiesa stessa. L’epigrafe così recita:

+ Q(UONIA)M COLUPNA ANTONINI
IURIS MON(ASTERII) S(AN)C(T)I SILV(EST)RI ET
ECC(LES)IA S(ANCTI) ANDREE Q(UAE) CIRCA EA(M)
SITA E(ST) CU(M) OBLATIONIBUS Q(UAE)
IN SUPERIORI ALTARI ET INFE
RIORI A PEREGRINIS TRIBUUN
TUR LONGO IA(M) T(EM)P(O)R(E) LOCATIO(N)E
A N(OST)RO FUIT ALIENATA MON(ASTERIO). N(E)
IDE(M) CONTINGAT ACTORITATE
PETRI APOSTOL(ORUM) PRINCIPIS ET STE
PHANI ET DIONISII ET CONFES
SORIS SILVESTRI MALEDICIMUS ET
VINCULO LIGAMUS ANATHEMA
TIS ABBATE(M) ET MONACHOS Q(UI)
CU(M)Q(UE) COLUMPNA(M) ET ECCL(ESI)AM LO
CARE V(E)L BENEFICIO DARE P(RAE)SU(MP)
SERIT. SI Q(UI)S EX HOMINIB(US) CO
LUMPNA(M) PER VIOLENTIAM A N(OST)RO
MON(ASTERIO) SUBTRAXERIT, PE(RPE)TUE
MALEDICTIONI SICUTI SACRI
LEGUS ET RAPTOR ET S(AN)CTARUM
RERU(M) INVASOR SUBIACEAT ET
ANATHEMATIS VINCULO PE(RPE)
TUO TENEATUR FIAT.
HOC ACTU(M) E(ST) ACTORITATE EP(ISCOPO)
RU(M) ET CARDINALIUM ET MUL
TO(RUM) CLERICO(RUM) ATQ(UE) LAICO
RUM QUI INTERFUERUNT
PETRUS D(E)I GRA(TIA) HUMULIS ABBAS
HUIUS S(AN)C(T)I CENOBII CU(M) FR(ATR)IB(US)
SUIS FECIT ET CONFIRMAVIT.
ANN(O) D(OMI)NI MIL(LESIMO) CXVIIII
INDIC(TIONE) XII

Ovvero: “Poiché la Colonna di Antonino (all'epoca la Colonna di Marco Aurelio era ritenuta erroneamente la Colonna Antonina), di diritto del monastero di S. Silvestro e della chiesa di S. Andrea (e Claudio), che si trova vicino ad essa, con le offerte che nell’altare di sopra ed in quello di sotto sono donate dai pellegrini, già per lungo tempo per locazione fu alienata al nostro monastero. Affinché non succeda ancora, con l’autorità di Pietro, principe degli apostoli e di Stefano e di Dionigi e di Silvestro confessore, malediciamo e leghiamo col vincolo dell’anatema l’abate ed i monaci che mai osassero affittare o dare in beneficio la colonna e la chiesa. Se qualcuno fra gli uomini avrà sottratto con la forza la colonna al nostro monastero, sia sottoposto ad eterna maledizione quale sacrilego e rapitore e violatore di cose sacre e sia costretto dal vincolo perpetuo dell’anatema. Così è giudicato con l’autorità dei vescovi e dei cardinali e della moltitudine di chierici e laici che erano presenti. Pietro per grazia di Dio umile abate di questo santo cenobio con i suoi confratelli fece e confermò nell’anno del Signore 1119, dodicesima indizione”. 

LA CRIPTA

GLI ESPROPRI

Nel XII secolo papa Innocenzo II spostò in San Silvestro la reliquia della testa mozza di san Giovanni Battista e la denominazione mutò in San Giovanni in capite, quindi passò il monastero all'ordine benedettino. Tra il 1198 e il 1216 la chiesa venne rimaneggiata e venne costruito il campanile romanico. Nel 1285 il monastero passò alle monache clarisse.

Dal 1855 la chiesa fu ufficiata dai padri pallottini inglesi, i quali crearono nel quadriportico antistante, con una raccolta di iscrizioni, di immagini, di sarcofagi e di bassorilievi. Oggi la colonna di Marco Aurelio non appartiene alla chiesa ma al Comune di Roma. 

Anche il convento venne espropriato dallo Stato italiano nel 1876 e fu trasformato, per il nuovo Regno d'Italia, nella sede della Posta centrale da Giovanni Domenico Malvezzi nel 1878. È rimasta proprietà del Vaticano solo la chiesa di S. Silvestro, considerata la chiesa nazionale inglese a Roma ed uno dei punti di riferimento della comunità degli immigrati filippini sempre a Roma.



BIBLIO

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- Girolamo - Chronicon -
- Cassiodoro - Cronache - 990 -
- Historia Augusta - Divus Aurelianus -
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- Juan-Santos Gaynor, Ilaria Toesca - San Silvestro in Capite - Roma -1963.
- Carlo La Bella - San Silvestro in Capite - Istituto nazionale di studi romani -  Roma - 2004 -
- Eileen M. C. Kane - The church of San Silvestro in Capite in Rome - B.N. Marconi editore - 2005 -



SOTTO SANTA MARIA SOPRA MINERVA


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Nell'area attualmente occupata dalla Basilica di Santa Maria sopra Minerva e dall'antico ex-convento sorgevano tre templi dedicati a Minerva ad Iside e a Seràpide. Via Beato Angelico, parte del Collegio Romano e della chiesa di S. Ignazio, sorsero sul tempio di Iside. Mentre quello di Serapide occupava la chiesa e la piazzetta di S. Stefano del Cacco, spingendosi sino a Piè di Marmo. 

Nei pressi della Minerva v’era la Basilica Alessandrina, che Alessandro Severo (222-235) “istituerat inter Campum Martium et Septa Agrippiana... quam efficere non potuit, morte preventus”. La Basilica di Santa Maria sopra Minerva, come dice il nome stesso, venne fondata nel secolo VII sopra i resti di un tempio dedicato a Minerva Calcidica, e fu riedificata in forme gotiche nel XIII secolo.

Nel Rinascimento si risistemò la facciata e si effettuarono sostanziali lavori interni. L’interno è diviso in tre navate, con volte a crociera poggiate su pilastri, il cui rivestimento marmoreo e l’ornamentazione pittorica si devono al restauro del 1850.

Già nel sec. VIII accanto a questi templi sorgeva una piccola chiesa che papa Zaccaria concesse a delle monache basiliane fuggite dall'Oriente. 

La congregazione costituisce il ramo femminile dell'Ordine di San Basilio Magno: le sue origini vengono fatte risalire al IV secolo, quando san Basilio e sua sorella Macrina fondarono un monastero femminile.

Nel 1255 Alessandro IV stabilisce in questi luoghi una più ampia comunità di Convertite e la Chiesa apparteneva alle Benedettine di Campo Marzio. 

Ma le monache vennero presto espropriate e solo un anno dopo, nel 1256 vi si insediano i Frati Predicatori che nel 1275 ottennero anche il possesso della Chiesa. 

Nei primi del 1300 questa realtà domenicana diventa una tra le più importanti della città di Roma, ospitando più di cinquanta frati. Nel 1577 Giovanni Solano istituisce nel convento il Collegio di San Tommaso d'Aquino, oggi la pontificia università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) con lo scopo di assicurare una formazione intellettuale e spirituale ai frati domenicani d’Italia.

Definitivamente espropriato nel 1870 dallo Stato italiano, che ne è l’attuale proprietario, consentì però nel 1929 che frati potessero tornare in convento utilizzandone solo alcuni locali al fine di officiare nella Basilica. Divenne nel 1871 sede del Ministero della Pubblica Istruzione e poi del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni.

ELEFANTINO VANDALIZZATO SU UNA ZANNA


L'ELEFANTINO

Un grazioso elefantino sorregge l'obelisco dell'elegante Piazza della Minerva, a lato del Pantheon. La piazza deriva il proprio nome dal culto di Minerva Calcidica cui, nell'antichità, Gneo Pompeo Magno fece erigere un tempio proprio qui sotto. La statua della divinità, rimossa dal sito originario, si trova oggi in Vaticano. 

L'obelisco in granito rosa, uno dei tredici obelischi antichi di Roma, proveniente dall'Iseum, era dedicato alla Dea Neith, equivalente egizio della Dea romana Minerva, e fu riportato alla luce durante degli scavi effettuati nel chiostro.

Il piccolo complesso monumentale, che svetta nella bella piazza, fu fatto erigere nel 1667 da Papa Alessandro VII. che commissionò a Gian Lorenzo Bernini una statua elefantina, ispirata a un disegno contenuto all'interno del romanzo allegorico "Hypnerotomachia Poliphili", scritto dal frate domenicano Francesco Colonna. L'elefante avrebbe dovuto simboleggiare la forza, evocata anche dall'iscrizione presente sul basamento: “E' necessaria una mente robusta per sorreggere una solida sapienza”.


I Domenicani, membri attivi della Santa Inquisizione, invidiosi del Bernini, lo criticarono per non aver inserito, sotto la pancia del pachiderma, un cubo a sostegno della struttura. Sebbene Bernini fosse certo della solidità del monumento, dovette realizzare un riempimento in pietra sotto la pancia dell'animale, coprendola con una lunga ed elegante gualdrappa scolpita.

Allora Bernini concepì l'elefantino in modo che volgesse il posteriore verso il convento domenicano, accentuandone la posa irriverente con la coda alzata e la proboscide all'indietro. La modifica architettonica pretesa dai Domenicani appesantì l'elefantino, facendolo apparire tozzo, ribattezzato dai mordaci romani come "Porcino della Minerva", che alla fine divenne Pulcino della Minerva.

Ci chiediamo come mai non si proceda agli scavi sotto la piazza, scavi iniziati molti anni fa e subito ricoperti, in cui avemmo però la possibilità di osservare una splendida scalinata d'epoca romana, a circa 5-6 m di profondità, che riguardava sicuramente l'antico tempio della Minerva.



L'INQUISIZIONE

Nel monastero si radunava pure il Tribunale dell’Inquisizione e la Congregazione dell’Indice, e quando, alla morte di Paolo IV (Gian Pietro Carafa), nel 1559, il popolo bruciò le carceri del Sant’Uffizio a Ripetta, Pio V (Antonio Michele Ghislieri - 1566-1572) le istituì di nuovo alla Minerva il che fece dire a Pasquino:

"Brucia, impicca, buon Pio - brucia in nome di Dio:
Con tutti i tuoi tormenti - A me non mi spaventi;
Con tutto il tuo potere, - Non mi farai tacere;
Io son duro, di sasso - Ti sfido, o Satanasso
".

Qui fu pronunciata la sentenza contro Galileo Galilei, e nel medesimo salone fu costretto ad abiurare pena il rogo: “Feria IV dicembre, die 22, junii 1633 – Galilaeus de Galilaeis, fiorentinus, abjuravit de vehementi in Congregatione et iuxta formulam”.



LE ZITELLE DA DOTARE

L'Arciconfraternita venne fondata nel 1460 dal card. Giovanni de Torquemada torturatore spietato della Santa Inquisizione, presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva. Uno dei compiti era quello di salvare le giovani donne, che per mancanza di mezzi venivano spesso trascinate alla prostituzione. Pertanto ebbero come scopo principale quello di dotare le «zitelle» romane povere. 

La confraternita elaborava ogni anno degli elenchi nei quali potevano iscriversi le fanciulle che avessero compiuto 15 anni. Dopo tre anni di prova, se ritenute meritevoli, le zitelle ritiravano la dote durante una cerimonia che si svolgeva, presente il pontefice, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva il giorno dell'Annunciazione. 

La confraternita arricchitasi per i molti lasciti tra i quali l'intero patrimonio di papa Urbano VII riusciva a pagare fino a 600 doti in un solo anno.

Una notificazione dell’Arciconfraternita dell’Annunziata di Roma, prescriveva il vestire delle zitelle ammesse al sussidio dotale, con avvertenza che esso verrà ritirato a quelle che portano "guardinfante (struttura che teneva ampia la gonna) o vestiti di seta o scollature" (Archivio vaticano, bandi sciolti, anno 1657-1662). 

Le ammantate col capo velato, dovevano aver ricoperto il collo, il mento, la bocca, e per poter vedere potevano scoprire un solo occhio. Una vera tortura, esempio di quanto abbia da sempre visto di buon occhio le donne l'istituzione maschile e maschilista della Chiesa.

PLANIMETRIA DELLA BASILICA

BESTEMMIE ED ERESIE

Una pena usata pure presso quei reverendi Padri: "domenica 8 agosto 1728 – Questa mattina, per tutto il tempo dei divini uffici della Minerva, fu accanto alla porta esposto con mordacchia alla bocca e candela in mano, un fruttarolo con cartello: “Per bestemmie ereticali, dieci anni di galera”. 

Nel 1791 vennero bruciati "i libri magici e le carte proterve del Cagliostro" (Giuseppe Balsamo), condannato prima a morte, poi al carcere perpetuo (morì a S. Leo il 5 settembre 1795), ed ebbe bruciati dal boia i suoi manoscritti in piazza della Minerva: "L'esecuzione è durata tre quarti d'ora”.


BIBLIO

- Francesca De Caprariis - "Minerva Chalcidica, Templum" - Eva Margareta Steinby, Lexicon Topographicum Urbis Romae - III - Roma - 1996 -
- Giancarlo Palmerio, Gabriella Villetti -Storia edilizia di S. Maria sopra Minerva in Roma, 1275-1870 - Roma - Viella - 1989 -
- AA. VV. - I Marmi vivi, Bernini e la nascita del ritratto Barocco - Giunti - Firenze - 2009 -

 


 

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