Visualizzazione post con etichetta Acquedotti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Acquedotti. Mostra tutti i post

PISCINA MIRABILIS


0 comment

In posizione arretrata sul costone settentrionale che domina il bacino esterno del Porto di Miseno è il monumento noto come Piscina Mirabile, denominazione sorta in riferimento alla grandiosità e al pregio della enorme struttura, di epoca antico-romana

Il suggestivo monumento rappresenta il punto di arrivo a Miseno dell’acquedotto voluto da Augusto, realizzato captando le sorgenti in località Acquaro di Serino nella conca dell’alta valle del Sabato, ove doveva servire alla necessità della Classis Misenensis.

La cosiddetta "Piscina Mirabilis" è una colossale e raffinatissima opera idraulica realizzata con grande maestria dai romani che la edificarono sottoterra.

Un'immensa vasca composta da altissime navate, che aveva la funzione di cisterna per l'acqua potabile. 

L’imponenza della struttura e la suggestione degli ambienti interni, ancora in perfetto stato di conservazione ne fanno uno dei monumenti più famosi e visitati sin dal ‘700. 

E' la più grande cisterna romana che sia mai stata scoperta, con una lunghezza di 72 metri, una larghezza di 25 m, alta 15 m e con una capacità di 12.600 mc. 

La cisterna aveva due ingressi a gradini, negli angoli nord ovest e sud est, il primo dei quali è oggi ripercorso da una rampa in ferro per l’accesso attuale.

L'acquedotto costruito sulla collina prospiciente il porto di Misenum doveva portare l'acqua dal fiume Serino fino a Napoli e ai Campi Flegrei, passando poi per la Piscina, per un percorso di oltre 100 Km onde fornire d'acqua la Classis Praetoria Misenensis. 
 
Si tratta di un’enorme cisterna a pianta quadrangolare, scavata nel tufo con quattro file di dodici pilastri cruciformi che dividono lo spazio interno in cinque navate lunghe e tredici corte, sorreggendone contemporaneamente la volta a botte.

Sopra la Piscina si apre la terrazza di copertura pavimentata in cocciopesto, comunicante con l’interno con una serie di portelli. Le strutture murarie sono realizzate in opus reticulatum intervallate da fila di laterizi nelle pareti laterali e di tufelli per formare i pilastri.


Un bacino profondo m 1,10, incavato nel pavimento della navata corta centrale e munito di bocca di uscita ad un’estremità, fungeva da piscina limaria, cioè da vasca di decantazione e di scarico per la pulizia e il periodico svuotamento della cisterna.

L'alimentazione della stessa avveniva mediante un condotto d’immissione sistemato presso l’ingresso del lato occidentale; una serie di finestre aperte lungo le pareti laterali provvedeva all’illuminazione e all’areazione. 

Giunti all’interno si ha la sensazione di entrare in una cattedrale sotterranea, a pianta quadrangolare in parte scavata nel tufo, in parte edificata in opera reticolata e sorretta da 48 pilastri, che dividono lo spazio in cinque navate.

La Piscina Mirabilis costituiva il serbatoio terminale di uno dei principali acquedotti romani, l'acquedotto augusteo, che portava l'acqua dalle sorgenti di Serino, della provincia di Avellino in Campania, a 100 chilometri di distanza, fino a Napoli e ai Campi Flegrei. 

Oggi solo parte dell'antica cisterna è aperta ai visitatori.

L’acqua veniva sollevata fin sulla terrazza superiore attraverso i portelli con macchine idrauliche e da qui canalizzata. 

La cisterna sorge in altura sul promontorio, probabilmente per sfruttare la pendenza naturale nel sistema di canalizzazioni che irreggimentavano l’acqua. 

Addossati all’esterno del lato Nord-Est vi sono dodici piccoli ambienti coperti con volte a botte aventi il piano di calpestio m 1,80 più in basso dell’imposta della volta della cisterna.

Costruiti in opus mixtum e listatum, muniti di un cordolo di cocciopesto alla base dei pilastri, questi ambienti rappresentano un intervento di potenziamento dell’impianto idraulico.

Questo potenziamento dovette venire eseguito tra la fine del I secolo d,c, e gli inizi del II secolo d.c.. 
Lo spettacolo è così incredibile che ancora oggi la piscina è meta delle visite di numerosi turisti, tanto più che la visita è totalmente gratuita. 

Sembra di entrare in un mondo sotterraneo alieno, più fantascientifico che reale. La "Piscina Mirabilis" è un sito archeologico romano che si trova nel comune di Bacoli, nell'area dei Campi Flegrei. 

Costruita in età augustea a Miseno, sul lato nord-ovest del Golfo di Napoli, originariamente era una cisterna di acqua potabile, oggi è un monumento estremamente suggestivo.


La chiamano la Cattedrale dell'Acqua ed è in effetti la cisterna romana monumentale più grande che esiste, nonchè la più grande cisterna nota mai costruita dagli antichi romani. La cisterna venne interamente scavata nel tufo della collina prospiciente il porto, ad 8 metri sul livello del mare.

Aveva la funzione di approvvigionare di acqua potabile le numerose navi della Classis Misenensis della Marina militare romana, poi divenuta Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex, che ormeggiava e stazionava nel porto di Miseno.

 A pianta rettangolare, è sormontata da un soffitto con volte a botte, sorretto da 48 pilastri a sezione cruciforme, disposti su quattro file da 12.  Il nome attuale le fu attribuito nel tardo Seicento.

L’invaso veniva periodicamente svuotato e pulito, mediante accesso dalle due scale situate agli angoli e manutenzione della cosiddetta piscina limaria, un bacino profondo 1.10 metri, incavato nel pavimento della navata centrale e munito di bocca di uscita ad un’estremità.


L'acqua veniva prelevata attraverso i pozzetti realizzati sulla terrazza che sovrasta le volte con macchine idrauliche, e da qui canalizzata verso il porto. 
La struttura muraria è realizzata in opus reticulatum e, così come i pilastri, è rivestita di materiale fortemente impermeabilizzante, come solo i romani sapevano fare. 

L’acqua attraverso dei portelli che si aprono nella volta lungo la navata centrale, veniva sollevata con l’ausilio di macchine idrauliche sulla terrazza di copertura della cisterna, pavimentata in signino, e poi canalizzata. L’adduzione invece avveniva da un condotto posto all’ingresso occidentale.

Fu meta privilegiata nelle soste del Grand Tour, fu disegnata anche da Giuliano Sangallo per il suo interesse architettonico, per il suo forte fascino e magnificenza a tutt’oggi rappresenta fra i luoghi flegrei tra quelli principalmente scelti come location di riprese cinematografiche.


BIBLIO

- Tacito - Annales - III - Frediani, Prossomariti - Spinosa 1991 -
- Cassio Dione Cocceiano - Storia romana - XII -
- Eutropio - Breviarium historiae romanae -
- Tacito - Annales -
- Tacito - Historiae -
- Lucos Cozza - L'opera di Thomas Ashby e gli acquedotti di Roma - Il trionfo dell'acqua - Atti del convegno "Gli antichi acquedotti di Roma - Roma - A.C.E.A - 1992 -
- Alessandro Giuliani - Epigrafi della classis praetoria misenensis - La viabilità antica nei Campi Flegrei-
- T. Ashby -  The aqueducts of ancient Rome - 1931 -



ACQUEDOTTO ROMANO DEL SERINO


0 comment

L’Acquedotto Augusteo del Serino è un’infrastruttura di epoca romana tra le più imponenti del mondo antico, costruito nel primo decennio d.c., che con uno sviluppo di circa 100 km, dalle sorgenti del Serino, la Fontis Augustei a 376 m s.l.m. sull'altopiano carsico irpino, fino alla grande cisterna di Miseno, alimentava l’imponente Piscina Mirabilis.

(INGRANDIBILE)
L'acquedotto venne costruito fra il 33 ed il 12 a.c. per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico del porto di Puteoli e della flotta stanziata a Miseno, rifornendo lungo il suo tragitto le città di Neapolis e Cumae.

Comprese le diramazioni, la lunghezza totale dell'acquedotto era di circa 145 km e la sua realizzazione è dovuta a Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, quando era curator aquarum a Roma.

Nel corso dei secoli, i due ponti-canale rinvenuti, in tufo e laterizi, furono prima interrati a seguito dell’innalzamento del livello di calpestio, poi utilizzati come fondamenta per la costruzione del palazzo, nell'epoca in cui la città si espandeva al di fuori delle mura, nel Cinquecento, con la nascita dell’attuale area Vergini-Sanità.


Nel piano seminterrato di palazzo Peschici-Maresca, in via Arena Sanità, sono stati recentemente scoperti e identificati due tratti affiancati dell’antico acquedotto con un’articolata serie di pilastri ed arcate in laterizi e tufelli. 

Gli spazi disegnati dai grandi archi, oggi nel sottosuolo, sono stati adibiti in tempi più recenti a cantina e deposito, rifugio durante le ultime guerre, poi trasformati in discarica e quindi abbandonati. Un’evidenza archeologica di eccezionale interesse per ubicazione, complessità e peculiarità costruttive.

L’Associazione Vergini Sanità, attraverso un gruppo di lavoro multidisciplinare, ha avviato un’intensa attività di studio e ricerca con l’obiettivo di valorizzare e restituire alla fruibilità pubblica questo prezioso ritrovamento, parte del complesso patrimonio culturale dell’area Vergini-Sanità.


"Se a Napoli crolla un pavimento, si scopre un acquedotto romano. Questo è quanto capitato nel 2011 con l’acquedotto augusteo del Serino, una delle opere ingegneristiche più imponenti del mondo antico, che per buona parte ormai passa fisicamente sotto il suolo di Napoli. 

Oggi è infatti parte delle fondamenta del palazzo Peschici Maresca, di proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini. Dobbiamo ringraziare per la scoperta Carlo Leggieri di Celanapoli, l’associazione “Riformisti del Mezzogiorno” e i ragazzi dell’associazione "Vergini Sanità", che oggi organizzano visite guidate nella struttura, tenuta in modo eccellente.

Basta aprire una piccola porticina, un tempo murata, per scendere ad appena 5 metri sotto terra, in una cavità dalle forme strane e di certo innaturali: un tempo il terreno doveva invece essere la strada calpestabile e l’acquedotto doveva scorrere all'aria aperta, ma l’acquedotto fu a sua volta costruito su una necropoli greca, che si trova ancora più in basso e che, purtroppo, non è possibile riscoprire senza compromettere la struttura del palazzo. Tutta la città è una somma di costruzioni stratificata come una torta."


Ritrovata nello scantinato di un palazzo nel rione Sanità parte della più grande opera idraulica costruita dai romani in Italia

Una forte precipitazione, un cedimento e avviene l’insospettabile scoperta: il palazzo Peschici Maresca nasconde tra le sue fondamenta un’opera dal valore inestimabile. Un caso fortuito innesca una ricerca sistematica, come sempre è nell’archeologia. Questo accadeva nel 2011.

Quattro anni dopo, 2 Ottobre 2015, viene presentato il prodotto degli studi che hanno coinvolto squadre di ricercatori ed archeologi, occupati nella datazione e nella definizione dei reperti rinvenuti. Al contrario di ciò che si può pensare questa non è stata una vera e propria scoperta, è molto più esatto parlare di “rinvenimento” essendo stata una struttura perennemente sotto gli occhi di tutti, locata in quel posto da secoli.



Storia dell’Acquedotto del Serino nella Sanità

Bisogna innanzitutto chiedersi come sia finito sotto terra un acquedotto. Duemila anni fa gli antichi napoletani camminavano sotto gli archi, mentre oggi l’intera struttura è finita sotto i piedi. La colpa è dei tantissimi detriti caduti dalle colline: il fenomeno è noto nella Sanità come “Lava dei Vergini”, ma in generale colpisce tutti.

D’altronde, non è un caso se poco lontana c’è la chiesa di San Carlo all’Arena e l’intera Piazza Cavour, secoli fa, era una piccola pozzanghera: tutte storie sopravvissute nei toponimi. Tutti questi movimenti, fra acqua e terra, hanno portato ad un rapidissimo innalzamento del livello stradale, di fatto seppellendo piano piano le antiche strutture romane. Un tempo l’acquedotto doveva affiancare una strada romana e, almeno fino al ‘500, era ancora visibile.

UN INGRESSO MURATO CON UNA SCALA LISCIA PER PORTARE BOTTI DI VINO


L’ACQUEDOTTO AUGUSTEO, UN'OPERA COLOSSALE

L’idea degli antichi romani era avanti di millenni: portare acqua fresca, pulita e controllata da Serino, comune nell'Irpinia che già 2000 anni fa era famoso per le castagne e per le fonti pulite (le acque di Napoli, come il Sebeto, erano invece eccessivamente cariche di minerali). 

VIPSANIO AGRIPPA
I romani dovevano infatti rifornire la gigantesca Classis Misenensis, la più importante flotta del mondo antico, che era di stanza a Miliscola. E lo fecero attraverso un acquedotto lungo 96 chilometri, che partiva dal monte Terminio e arrivava, appunto, fino alla Piscina Mirabilis di Baia.

L’acquedotto possedeva anche delle particolari rientranze piramidali che, durante il percorso, permettevano una corretta ossigenazione dell’acqua, in modo da farla arrivare in ottime condizioni nelle varie città che attraversava: Nola, Pompeii, Acerra, Herculaneum, Atella, Pausillipon, Nisida, Puteoli, Cumae e Baiae.
 
Poi, una volta giunta nei centri abitati, l’acqua era raccolta in enormi vasche di depurazione, nella quale veniva ripulita da fogliame, terreno e altre impurità raccolte durante il viaggio. E poi veniva incanalata in tubazioni di piombo verso le strutture cittadine: il sistema dei tubi di piombo è stato utilizzato fino agli anni ’70 del secolo passato! Un acquedotto non basta!

Bisogna notare un dettaglio fondamentale: gli archi sono divisi in due rami, ma tendono ad avvicinarsi in un punto della grotta e, se non fosse stato per un piano interrato costruito distruggendo proprio il punto d’incrocio degli archi, avremmo sicuramente visto una importante diramazione dell’acquedotto romano del Serino.

Si tratta sicuramente di una diramazione costruita circa 2 secoli dopo, come si nota anche dalle differenti tecniche di realizzazione, in avanzata età imperiale: serviva a portare l’acqua a Posillipo, altra zona amatissima dai romani.



Tracce di guerra

L’acquedotto romano del Serino era una fonte di vita e, quando fu costruito, nessuno pensò che 2000 anni dopo sarebbe diventato riparo per la vita. Era il 1943 e Napoli era terrorizzata da bombe, nazisti e fame. E proprio qui, nel sottosuolo, trovava salvezza. Ad ogni sirena gli abitanti aprivano le porte delle antiche cavità e, sotto gli archi romani, pregavano.

Ci sono ancora oggi i fili di rame dell’antico impianto elettrico di fortuna ricavato forando il laterizio scolorito, così come è ancora presente un punto forato che, un tempo, ospitava un altarino di marmo di San Vincenzo Ferrero.

Con profonda ingratitudine, dopo la guerra, le stesse persone che videro salva la vita in queste cavità decisero di riempirle con spazzatura e ogni altro materiale di risulta usato per la costruzione dei nuovi mostri di cemento che oggi hanno deturpato il volto di Napoli e provincia.

E così la storia di questa cavità e dell’acquedotto, come quella di tante altre cose perdute nel sottosuolo, sembrava ai titoli di coda, soffocata da spazzatura e cemento. Finché non è crollato un pavimento nel 2011 ed ha risvegliato, in tempi nuovi e moderni, la sensibilità di tutte le persone che amano la storia di questa città.


BIBLIO

- Susanna Le Pera - I giganti dell'acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925) - a cura di Rita Turchetti - Roma - Palombi - 2007 -
- The Aqueducts of Ancient Rome - Richmond - Ian Archibald - ed. 1902 - Oxford - The Clarendon Press - 1935 - ed. it. - Gli acquedotti dell'antica Roma - Roma - Quasar - 1991 -
- Lucos Cozza - L'opera di Thomas Ashby e gli acquedotti di Roma (con A. Claridge) - Il trionfo dell'acqua - Atti del convegno "Gli antichi acquedotti di Roma, problemi di conoscenza, conservazione e tutela" - Roma - Comune di Roma - A.C.E.A - 1992 -
- Romolo Augusto Staccioli - Acquedotti, fontane e terme di Roma antica: i grandi monumenti che celebrano il "trionfo dell'acqua" nella città più potente dell'antichità - Roma - Newton & Compton Ed. - 2005 -



ACQUA TOCIA


0 comment

ACQUA IOVIA OVVERO TOCIA

Secondo il Corsieri  (858) il ripristino dell'Aqua Appia avvenne durante il pontificato di Niccolò I 
Si possono vedere i resti del cunicolo all'incrocio con Via Labicana e Via S.Croce, dove attualmente sono posate le fistule dell'Aqua Felice; il cunicolo prosegue poi fino a Piazza San Giovanni, sotto l'Osteria del Cocchio, seguendo gli archi neroniani.

La quantità di acqua fornita aumentò sotto Diocleziano, chiamandosi aqua Iovia (Iobia, Iopia), "Ibi (presso la porta Appia) forma Iopia quae venit de Marsia, et currit usque ad ripam". Il condotto venne restaurato da Papa Adriano I (772 - 795), Papa Sergio II (844 -847) e Papa Nicolò I (858 - 867) con il nome di Locia, corrotto in Tocia.

Papa Nicolò I nel 858, come narra il Libro Pontificale, fece infatti riattivare un antico acquedotto che faceva capo a Spes Veteres (tra porta Maggiore e Santa Croce in Gerusalemme) per condurre l'acqua al Laterano; secondo Lanciani l'unico acquedotto romano che arrivava in quella zona e che fosse ripristinabile senza spese eccessive era quello dell'acqua Appia, che era a La Rustica e quindi a pochi Km di distanza.

Lanciani specifica che all'angolo tra via Labicana e via di S.ta Croce in Gerusalemme, sull'angolo di villa Wolkonski e a pochi metri dagli archi neroniani, venne rinvenuto un cunicolo sotterraneo che seguiva gli archi neroniani per finire sotto l"Osteria del Cocchio" in Piazza San Giovanni. 

I rozzi scavi eseguiti nel cunicolo dovevano essere molto anteriori a Sisto V (1521 - 1590), che avrebbe fatto realizzare il condotto in superficie, risparmiando tempo e spese, mentre in epoca medioevale era importante che l'acqua arrivasse in maniera sotterranea al Ptochium Lateranense, l'ospizio per i poveri, (corrotto in "Tocio" dal popolo) in modo da evitare possibili danneggiamenti.

Il Corvisieri, come riportato da Lanciani nei Comentarii (1880), nel giornale il Buonarroti 1870, ritiene che l'acqua Tocia sia stata realizzata realizzata da papa Nicolò I nell' 858, e che funzionò sino all'inizio del XII secolo..

AQUA TOCIA - INCROCIO VIA LABICANA CON VIA S. CROCE


DELL'ACQUA TOCIA

"I pontefici del medioevo, desiderando di provveder d'acqua il gruppo degli edifici lateranensi, rivolsero le loro cure al più vetusto degli aquedotti romani, non solo perchè le sue sorgenti erano le più vicine alla città ed al Laterano, ma perchè in quei tempi faziosi, turbolenti, col nemico sovente alle porte, era tornata ad imporsi, come si era imposta ai republicani del quinto secolo, la necessità di « ex industria infra terram aquas mergere ne facile ab hostibus interciperermur cum frequentia adhuc contra Italicos bella gererentur ».

Ha trattato di questa novella perduzione dell' Appia il Corvisieri nel giornale il Buonarroti del 1870. Dalla sua monografia traggo queste brevi notizie. L'autore dei risarcimenti alla vecchia forma fu Nicolò I, circa l'anno 858.
« (Nicolaus I) formam aquae quae vocatur Tocia, at vero iam per evoluta annorum spatia nimis
confractam existentem, per quam decurrebat aqua per centenarium in urbem Romam, a fundamentis ad fabricandum atque restaurandum eamdem properavit 
».
nel quale passo la voce « centenarium » usata nel medio evo anche per altri acquedotti p. e. per il traiano-vaticano, esprime secondo il Corvisieri un « gran canale di piombo cui si commettevano i minori condotti destinati alle parziali distribuzioni ».

Quale era quest'acqua Tocia? Il libro pontificale è esplicito nell'affermare che codesta acqua e la sua forma erano antiche, ed indirettamente, che spettava a quel gruppo il quale facea capo alla Speranza vecchia (Spes Vetere). Ora una cosa è certa in questa questione, che cioè Nicolò I non risarcì né poteva risarcire le forme dell'Aniene Vetere e Nuovo, della Claudia, e della Marcia, della Giulia, della Tepula o dell'Alessandrina, perchè le loro sorgenti stavano a troppo grande distanza e le loro sostruzioni ed arenazioni veramente « nimis confractae ».

Per ricondurre l'Appia, bastava riallacciare le vene al casale della Rustica a pochi passi, per cosi dire, dal Laterano, e spurgare il cunicolo, tutto sotterraneo. E che la Tocia-lateranense fosse sotterranea lo dimostra il verso « secretoque novat formam Urbem fonte rigantem » di Plodardo da Beims ».

OSTERIA DEL COCCHIO ALL'ESQUILINO

Rimane a dichiarare in qual modo Nicolò I conducesse l'acqua dalla Speranza vecchia allo « Ptochium » lateranense, nome che fra le labbra del popolo fu mutato in «Tocium», come pure alla basilica nicolaitana « quam.... Nicolaus a fundamentis.... cum tribus aquae ductibus fabrefactis extruxerat, ut omnes lateranenses basilicas sui pulchritudine superaret ».

Andando per la via di s. Croce in Gerusalemme, presso il crocicchio con la via Labicana, a destra, sull'angolo di villa Wolkonski e quasi a piombo sotto gli archi neroniani, si vede l'apertura regolarmente murata di un cunicolo, nel quale sono ora distese le fistole dell'acqua Felice, che alimentano l'ospedale di Sancta Sanctorum.

La incredibile negligenza di chi scavò questa lunghissima galleria attraverso i rottami della città antica, piegando ora a destra ora a sinistra, troncando colonne e marmi di pregio, forando pareti dipinte etc. mi induce a credere che si tratti di lavoro di molto anteriore a Sisto V: tanto più che non so comprendere perchè quel pontefice, cosi precipitoso nelle sue opere, avesse voluto perdere sì lungo tempo nello scavare una galleria inutile, quando gli tornava facilissimo distendere i suoi condotti a fior di terra.

Il cunicolo, il quale ha termine sotto la « osteria del Cocchio » in piazza di s. Giovanni, seguendo in tutto il corso la linea degli archi celimontani, mi sembra piuttosto essere lavoro di Nicolò I, reso necessario dalla umiltà dell'acqua da lui ricondotta. L'ultima dispersione dell'Appia Tocia è attribuita dal Corvisieri ai primi anni del duodecimo secolo."

(Rodolfo Lanciani)


BIBLIO

- Lanciani R. -  Acque e Acquedotti di Roma Antica - 1881 -
- Corvisieri - "Il Buonarroti" - Serie II, vol. V - 1870 -
- T. Ashby -  The aqueducts of ancient Rome - 1931 -
- Susanna Le Pera - I giganti dell'acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925) - a cura di Rita Turchetti - Roma - Palombi - 2007 -
- Romolo Augusto Staccioli - Acquedotti, fontane e terme di Roma antica: i grandi monumenti che celebrano il "trionfo dell'acqua" nella città più potente dell'antichità - Roma - Newton & Compton Ed. - 2005 -


FOSSA DRUSI - FOSSA DRUSIANA


0 comment
BRUSO MAGGIORE

DRUSO MAGGIORE

Druso (38 a.c. - 9 a.c.), il designato successore di Cesare Augusto, morì improvvisamente nel 9 a.c. a causa di una caduta da cavallo, che gli procurò una frattura alla gamba con conseguente infezione. Svetonio afferma nei suoi scritti che Druso si rifiutò di tornare a Roma dopo l’incidente, morendo quindi a Mogontiacum. In 4 anni di campagne, Druso era riuscito a fortificare la provincia con numerose guarnigioni e fece costruire più di cinquanta fortini lungo il Reno.


I FUNERALI DI DRUSO

« Serrario, uno degli storici di Magonza, pensa forse più ragionevolmente degli altri, e come lo prova Floro nella sua storia, che sia stata fondata o almeno notevolmente ingrandita dieci anni prima di Cristo, da Nerone Claudio Germanico genero dell'imperatore Augusto e fratello di Tiberio. 

Altri dicono che Marco Agrippa, uno dei luogotenenti di Augusto, avea posto un campo munito dove ora si innalza la città, per difendersi dai germani che scendevano dal monte Janus, e che poi il detto Druso Germanico fabbricò nel luogo medesimo la fortezza Magonziaca.

Druso Germanico, padre dell'altro celebre Germanico, morì presso Magonza ove Augusto gli fece innalzare un monumento: il canale che Druso fece scavare per unire il Reno all'Issel portò per lungo tempo il nome di Fossa Drusiana. 

Il pd Giuseppe Fuchs narra nell'Istoria antica di Magonza, che essendo Druso meritatamente adorato dall'armata e dai popoli, nel trasporto del cadavere da Magonza a Roma, tutte le città e colonie gli celebrarono solenni esequie, ed in persona incontrò a Pavia il convoglio di Augusto che l'aveva nominato suo successore, il quale ordinò che entrasse in Roma con gli onori consolari e trionfali, perchè eragli stato decretato un trionfo. »

(Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica di Gaetano Moroni, Venezia,Tipografia Emiliana, 1847)



MONTIAGUM

Mogontiacum, attuale città di Magonza, in Germania, fu una importante fortezza legionaria romana. In origine, la Renania era occupata dalla popolazione dei Celti. In seguito i Romani la conquistarono mediante le guerre galliche che Cesare svolse dal 58 a.c. al 50 a.c. e nel 13-11 a.c. vi fondarono un castrum chiamato appunto Mogontiacum.

L’accampamento sorse per volere del comandante Nerone Claudio Druso (detto anche Druso maggiore), figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla, e fratello del futuro imperatore Tiberio, per tenere sotto controllo le tribù germaniche dei Catti, dei Mattiaci e dei Vangioni e per continuare la guerra per la conquista dell’intera Germania.

CANALE DI CAIUS AVILLIUS CAIMUS 

I CANALI ROMANI

La regolazione delle acque è la base delle civiltà sia per l'agricoltura che per l'igiene. I Greci, in paese piccolo e sminuzzato e senza grandi fiumi, mancò l'occasione di farvi una grande esperienza. Ma i Romani non impararono quest'arte dai Greci, bensì dagli Etruschi che molto operarono con e sulle acque con grandi opere di bonifica.

- Emilio Scauro nel 115 av. asciugò le paludi del Po scavando canali tra Parma e Piacenza.
- Grandi lavori si fecero pure attorno alle paludi Pontine, e Augusto vi scavò un canale parallelo alla
via Appia.
- Da non dimenticare il canale intrapreso da Mario verso lo sbocco del Rodano;
- Appunto il canale di Druso fra il Ileno e l'Yssel;
- Il canale di Corbulone alle imboccature delle Mosa e del Reno.
- Un canale arditissimo cominciò Nerone, che dal lago di Averno dovea comunicare da un lato col lago Lucrino nel golfo di Baia, dall'altro con Roma per le paludi Pontine, lungo da 160 miglia, e largo da lasciar il cambio di due triremi; "manentque vestigia irritae spei" (Tacito), in quella che ancora si chiama Fossa di Nerone.
- Sotto Tiberio si divisò di congiungere la Chiana dell'Arno per diminuire le inondazioni del Tevere in cui quella affluiva.
- Lo scolo del lago di Fucino, ora Celano, già tentato da Cesare, fu effettuato da Claudio, aprendo un canale traverso a montagne, ove lavorarono trentamila persone. E' questo l'emissario più grande d'Europa, neppur eccettuato quello del lago Cepal in Beozia, opera greca antichissima. Per esso il lago scende nel Liri, a più di tre miglia romane di distanza, ed è profondo da 50 a 200 piedi, largo 6, alto 10; prima attraverso la roccia, poi, ch'è più difficile attraverso il terreno calcare, sostenuto con muri ed archi; tratto tratto vi han de' pozzi per darvi aria e luce. Il governo napoleonico intraprese a ripristinarlo nel 1806.

(Dizionario Univ. Archeol. Artist. Tecnol. - Luigi Rusconi 1859)

DRUSO MINORE

LA FOSSA DRUSI

I romani non erano nuovi allo scavo dei canali, 
- Un canale navigabile sull'esterno di Corinto (km. 6) era stato progettato da Periandro (Diogenes Laertius  I 7, 93); 
- Nerone ne fece iniziare l'escavazione ma l'abbandonò; 
- Vespasiano la proseguì ma anch'egli fu costretto a rinunciare.
(Svetonio, Nerone 19; Joseph B. Wirthlin III 10; Luciano, Nerone,  Ner.; Cassiodoro LXIII 16-19). 

La Fossa Drusi o fossa drusiana è il nome di un canale artificiale costruito in epoca augustea da parte del generale Druso maggiore durante la prima delle sue campagne militari svolte in Germania nel 12 a.c.

Del canale di Druso ce ne parla Svetonio:

« Questo Druso fu questore e poi pretore, ed ebbe un comando in Rezia e poi in Germania, dove navigò come primo generale romano sopra l'Oceano settentrionale, costruendo un canale artificiale che lo collegasse con il fiume Reno, in un'impresa colossale. Tale canale ancora oggi porta il suo nome. »

(Svetonio, Claudio, 2-4.)

Tacito  conferma raccontando le campagne in Germania di Germanico degli anni 14-16:
« Germanico una volta distribuiti i viveri, le legioni e gli ausiliari sulle navi, entrò nel canale scavato dal padre, Druso, e pregò per suo padre che lo aiutasse nell’impresa, ora che stava assumendo gli stessi rischi per se stesso, grazie al suo misericordioso e benigno modello, ed il ricordo delle sue azioni. »

(Tacito, Annales, II, 8.)

Non sappiamo dove il canale fosse collocato. Si suppone che esso partisse da Arnheim, una città dei Paesi Bassi collocata sul basso Reno, per congiungerlo a Ussel, che è uno dei tre rami principali in cui si divide il Reno, dopo aver attraversato la frontiera tra Germania e Paesi Bassi.
Ussel veniva indicato dai Romani con il nome Isala (o Sala), e da esso prendeva il nome l'antica tribù dei Franchi Salii.

Il canale di Utrecht, tra Utrecht e IJsselmeer, sembra quindi fosse il canale di Druso, ma a seguito di una recente teoria sembra che fosse affiancato da un secondo canale tra lo Zuiderzee, un golfo dei Paesi Bassi ed il Mare del Nord, tanto che la Lange Renne, un affluente del Reno, si potrebbe considerare come parte di questo sistema di canali.

Con l'aiuto di questo canale navigabile Druso poté mettere in comunicazione continua il Reno con il Mare del Nord, permettendo alla "classis Germanica" di costituire una minaccia permanente per le tribù germaniche residenti lungo la costa oceanica.


BIBLIO

- Smith - "Canali romani" - Atti della Società Newcomen - vol. 49 - NAF - 1977/78 -
- KD Bianco - Tecnologia greca e romana - London - Thames and Hudson - 1984 -
- Moore, Frank Gardner - "Tre Progetti di Canale, romano e bizantino" - American Journal of Archaeology , vol. 54, No. 2 - 1950 -
- Gaetano Moroni - Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica - Venezia - Tipografia Emiliana - 1847 -
- Bela Gerster - L'Isthme de Corinthe: tentatives de percement dans l'antiquité - Bulletin de Correspondance Hellénique - VIII -1884 -
- Svetonio - Vita dei Cesari - Claudio -
- Tacito - Annales - II -
- Kenneth Scott - Drusus, nicknamed "Castor" - in Classical Philology - vol. 25 - nº 2 - 1930 -
- Rodolfo Lanciani - I Commentarii di Frontino intorno le acque e gli acquedotti - silloge epigrafica aquaria - Roma - Salviucci - 1880 -


DIGA DI DARA (Turchia)


0 comment
LA CISTERNA

Dara o Daras è stata un'importante città-fortezza romana (poi bizantina) della Mesopotamia settentrionale, lungo il confine con l'Impero sasanide. A causa dell'importanza strategica, ebbe parte nei conflitti romano-persiani del VI secolo, e fuori dalle sue mura si combattè la battaglia di Dara del 530.

Durante la guerra anastasiana del 502-506, gli eserciti romani contrastarono i Sasanidi, ma secondo la Cronaca Siriana di Zaccaria di Mitilene, i generali romani accusarono la mancanza di una forte base e nel 505 l'Imperatore Anastasio I ricostruì il villaggio di Dara, a soli 18 Km a ovest di Nisibi e 5 km dal confine romano-persiano, per «un rifugio per le legioni nel quale esse potessero riposare, e per la preparazione delle armi, e per sorvegliare il confine». 

La città fu costruita su tre colli, sul più alto dei quali era la cittadella, corredata di grandi empori, di un bagno pubblico, e cisterne d'acqua potabile. Prese dapprima il nome di Anastasiopoli e divenne la sede del Duce romano di Mesopotamia.



LA DIGA

L'Imperatore Giustiniano I (482 - 565) dette l'avvio a importanti restauri, dopo i quali fu cambiato il nome della città in Iustiniana Nova. Le mura furono rialzate portando la loro altezza da 30 a circa 60 piedi (20 m). Le torri furono rinforzate e alzate da 60 a 100 piedi (30 m). Infine sul fronte sud, il più debole, fu realizzato una diga, cioè un fossato esterno pieno d'acqua a forma di mezzaluna e venne spianata una collinetta in grado di nascondere i tentativi nemici di scavare gallerie per minare le mura.

Gli ingegneri di Giustiniano inoltre deviarono il corso del vicino fiume Cordes realizzando un canale che approvvigionasse abbondantemente la città. Allo stesso tempo, essendo il corso del canale sotterraneo per gran parte del percorso, la guarnigione era in grado di negare l'acqua agli assedianti, fatto questo che salvò la città in diverse occasioni.


La sua diga divenne famosa, una diga romana ad arco, uno dei rari esempi di questo tipo. Si chiama diga ad arco la diga in cui la maggior parte del carico d'acqua è distribuito verso le pareti laterali della valle, che deve essere piuttosto stretta, o del canyon in cui è costruita. Generalmente una diga ad arco contiene meno calcestruzzo di una diga a gravità, ma pochi siti si prestano alla costruzione di questo tipo di struttura.

La costruzione e la progettazione della diga di era bizantina viene descritta dallo lo storico Procopio intorno al 560, nel suo trattato sulle realizzazioni architettoniche dell'epoca di Giustiniano I ( De Aedificiis II.3). Procopio fornisce la prima descrizione di tali tipi di diga in contrasto con la diga a gravità, il modello usuale in tutta l'antichità e oltre.

Procopio stabilisce che la diga deve avere un piano curvo, al fine di resistere alla pressione dell'acqua, e che la spinta dell'acqua non era contenuta dal peso puro della struttura (come nelle dighe a gravità), ma trasferito alle pareti ala della gola attraverso la curvatura dell'arco.

Lo studioso tedesco Günther Garbrecht alla fine del 1980 ha sollevato qualche dubbio sul racconto di Procopio, egli aveva identificato la collocazione della diga nei pressi delle antiche mura della città, con le caratteristiche coerenti alla descrizione di Procopio, ma senza il contorno a forma di mezzaluna della diga.

La struttura scoperta, di 4 m di larghezza e con un alto muro di 5 m, sostenuto da un nucleo di cemento, avevano una lunghezza stimata di 180-190 m; e la sua sezione centrale venne distrutta completamente per una lunghezza di 60-70 m. Anche se non si può escludere che la diga avesse un andamento leggermente curvo, le pareti esistenti indicano invece una pianta poligonale. 
In questo caso, la diga Dara avrebbe resistito alla pressione dell'acqua dal suo peso puro , non per azione dell'arco. Garbrecht ipotizza che la forma irregolare della diga può aver portato Procopio ad un allusione poetica alla forma di mezzaluna distesa.


BIBLIO 

- Hodge, A. Trevor - Acquedotti romani e approvvigionamento idrico - London - Duckworth 1992 -
- Hodge, A. Trevor - "Bacini e dighe" - in Wikander, Örjan - Handbook of Ancient Water Technology - Tecnologia e cambiamento nella storia - Leiden - Brill - 2002 -
- Patrick James, Hubert Chanson - Historical Development of Arch Dams. From Roman Arch Dams to Modern Concrete Designs - in Australian Civil Engineering Transactions - 2002 -
- Smith, Norman - A History of Dams - London - Peter Davies - 1971 -



CAVUS CURIANUS - LA CASCATA DELLE MARMORE


0 comment

Con il nome di Marmore, si indica la parte occidentale della pianura di Rieti, ad oltre 160 metri sopra la sottostante valle, dove scorre il fiume Nera (Nar) su cui si riversa il fiume Velino (Mellino). Il nome marmore deriva da marmo, il nome che fin dall'età del bronzo venne dato alla pietra calcarea.

L'ammasso di concrezione calcarea che si innalza dai piedi della cascata fino al piano delle Marmore, costituisce una barriera naturale alla valle sottostante. Plinio il Vecchio scrive: « in exitu paludis reatinae ubi saxum crescit ». dove saxum è il nome che Plinio dà alla gigantesca concrezione di calcare formata dalle acque del Velino, ricche di bicarbonato di calcio e di altre sostanze solubili, provenienti dalle sorgenti di Terminillo, d’Antrodoco e Cutilia, tutte sostanze depositatesi a seguito dell'intensa attività vulcanica che si ebbe in quelle zone circa 2 milioni di anni fa.

In epoca romana, prima di unirsi al Nera, le acque del Velino formavano piccole cascate interrotte da pozzi, caverne e fosse, che ancora oggi, danno il nome a località vicine alla cascata. L'erosione naturale delle acque che poteva abbassare le concrezioni viene sovrastato dall'accumulo continuo di calcare, per cui il Velino non può sfociare liberamente nella valle del Nera, provocando l'impaludamento (lacus velinus) della valle reatina con danno alle attività agricole, nonchè malattie a umani e animali.

Il mito narra invece che la ninfa Nera si fosse innamorata del pastore Velino irritando Giunone, regina e madre di tutti gli dei dell'Olimpo che, per punizione, la trasformò nel fiume Nera che ancora oggi porta il suo nome. Velino, colto dalla disperazione, con un salto destinato a perpetuarsi per l'eternità, si gettò dalla rupe di Marmore, ricongiungendosi con un abbraccio mortale, alla donna amata.
Ma le cose andarono altrimenti e fu un valoroso e intelligente generale romano a creare la splendida cascata che ancora oggi ci godiamo.

L'INCORRUTTIBILE MANLIO CURIO DENTATO

MANLIO CURIO DENTATO

Uno dei più grandi romani del sec. III a.c.,
"Che non fu mai vinto nè dal ferro nè dall'oro."
"quem nemo ferro potuit superare nec auro"

(Ennio in Cic., De Rep., III, 6)

Manlio Curio Dentato combatté e vinse la Terza guerra sannitica contro i Sanniti e i loro alleati, ponendo fine ad una guerra che durava da ben 49 anni. Per questa importantissima vittoria gli venne concesso un grande trionfo. Di nuovo i Sanniti si ribellarono e di nuovo li sconfisse. Poichè il console suo collega venne ucciso dai Senoni, li affrontò e li sconfisse. 

Nel 275 venne eletto console per la seconda volta e sconfisse l'esercito di Pirro A Benevento. Eletto console per la terza volta sconfisse i Lucani e celebrò un ennesimo trionfo. Durante questo mandato, da uomo intelligente e attento com'era, si preoccupò dei terreni coltivabili che assicuravano il cibo alla gente.

Così iniziò la costruzione dell'acquedotto Anio Vetus, e nel 271 a.c. ordinò la costruzione di un canale (il Cavo Curiano) per far defluire le acque stagnanti del fiume Velino, che rendevano paludosa e malsana la Piana di Rieti. Da lì l'acqua precipitava direttamente nel fiume Nera, affluente del Tevere. Con questa costruzione rese coltivabili tutte le paludi che circondavano la città e aumentò la portata della caduta delle acque creando la magnifica Cascata delle Marmore, una delle più alte e più belle d'Europa, come si ammira a tutt'oggi.

Al termine dell'opera infatti, le acque del Velino diedero origine al meraviglioso spettacolo della grande cascata delle Marmore, e, potendo riversarsi nella valle sottostante più rapidamente, favorirono il prosciugamento delle pianure reatine e le attività agricole connesse.
    



IL SEGUITO

All'apertura del cavo Curiano, seguirono benefici alle popolazioni reatine, ma anche disagi agli abitanti della valle del Nera, soprattutto ternani e narnesi, i quali dovevano subire le inondazioni del fiume non in grado di defluire anche le acque del Velino, soprattutto nei periodi molto piovosi. Iniziarono così contrasti secolari tra i ternani che cercavano di occludere il cavo Curiano ed i reatini, che volevano impedirlo arrivando talvolta a vere e proprie operazioni di guerra.

Testimonianze dei dissensi tra Terni e Rieti, derivati dall'apertura del cavo Curiano, ci sono fornite da Cicerone, il quale sostenne le ragioni dei reatini contro quelle ternane. Sul giudizio, espresso da un consiglio di magistrati di Roma presieduto dal console Claudio Pulcro, non si hanno testimonianze ma la sentenza fu ritenuta soddisfacente da entrambi i contendenti, i quali esaltarono l'operato dei propri difensori.
 
Le inondazioni della valle reatina, Con la caduta dell'impero romano d'occidente (476 d.c.) cessò la manutenzione del canale e nel medioevo gli impaludamenti, oltre a ridurre le terre coltivabili erano causa per le popolazioni, di malattie e pestilenze. D'altronde con la caduta dell'Impero il mondo perse la magnifica civiltà romana.



BIBLIO

- William Smith - M. Curius Dentatus - Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology - 1870 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis historia - VII, 16 -
- T. Livio - Ab Urbe condita libri -
- Cicerone - Epistulae ad Atticum -
- Luigi Pareti - Storia di Roma e del mondo Romano - Unione tipografico editrice torinese - 1952 -



FOSSA CORBULONIS (Olanda)


0 comment
RICOSTRUZIONE DEL CANALE E DEL FORTINO DI MATILO
La Fossa Corbulonis è il nome tradizionale dato ad un canale artificiale, vero capolavoro di ingegneria, costruito sotto l'imperatore Claudio, ad opera del generale Gneo Domizio Corbulone, quando era "Legatus Augusti pro praetore" della provincia romana della Germania inferiore nel 47. Esso collegava i fiumi Mosa con il vecchio corso del Reno, presso il forte di Matilo, un forte di auxilia situato nel luogo della attuale città di Leida, lungo il limes renano della Germania inferiore.

Nominato legato nella Germania Inferiore nel 47, Corbulone si distinse combattendo contro i Frisi e i Cauci comandati da Gannasco, ex ausiliario sotto Claudio dell'esercito romano, che disertò e si mise a capo di truppe di Cauci invadendo la Germania Inferiore con la guerriglia, i saccheggi e la pirateria.

A Corbulone si deve dunque il canale artificiale, la cosiddetta Fossa Corbulonis. Le indagini archeologiche del 2006, mostrarono che gli alberi furono tagliati nell'anno 50 d.c., il che suggerisce che i lavori continuarono per diversi anni o che le riparazioni furono necessarie rapidamente dopo la costruzione originale.


Corbulone riuscì a mantenere una disciplina eccellente fra le sue truppe acquistando notevole popolarità fra i soldati, ma Claudio, probabilmente geloso di tanto successo, gli impedì di proseguire oltre nella conquista, mandandolo verso le sponde del Reno. Qui, per non demoralizzare le sue truppe con l'inerzia, fece loro costruire due canali all'epoca importanti, uno dei quali fra la Mosa e il Reno.

Tacito racconta che questo canale, (che misurava 34 km), fu fatto costruire dal generale Corbulone, il quale "per tenere occupati i suoi soldati, fece scavare un canale di 23 miglia romane tra i fiumi Mosa ed il Reno, per evitare i pericoli del mare aperto".

ELMO CON MASCHERA RINVENUTO NELLA FOSSA CORBULONIS
Fu particolarmente utile in questo periodo storico per il trasferimento delle truppe del Reno nella nuova provincia romana di Britannia. Il canale permetteva anche a quelle imbarcazioni con il fondo piatto della "classis Germanica" di evitare di affrontare le terribili tempeste del Mare del Nord, rendendo più sicuro il trasporto di materiale militare dal medio corso del Reno, spesso necessario per la costruzione di "forti ausiliari.

Ora le navi della Renania potevano ora spostarsi verso l'estuario della Mosa (l'Elinio) in sicurezza; laggiù era più facile trasferire merci su navi idonee alla navigazione che alla foce del Reno, a Katwijk. Ciò fu particolarmente utile perché in questi anni molti soldati vennero dalla Renania e dovettero combattere in Gran Bretagna.

È possibile che i Romani abbiano dovuto scavare solo pochi metri in profondità, sfruttando il preesistente “letto” di un piccolo fiume: la Gantel. Il percorso esatto non è noto, ma abbiamo indicazioni secondo le quali sembra che questo canale artificiale collegasse i fortini di "Forum Adriani" (oggi Voorburg, nell'Olanda meridionale) con il forte di "Matilo" nei pressi della città di Leida.

Il Canale di Corbulo era situato su una piccola striscia di terra tra le vecchie dune sulla riva occidentale e le torbiere sulla riva orientale. La capitale del Cananefates, Voorburg, fu fondata circa quattro Km a sud-ovest dello spartiacque tra i bacini fluviali della Mosa e del Reno, in un luogo oggi chiamato Leidschendam.

RICOSTRZIONE DELLA FOSSA CORBULONIS CON IL PONTE ROMANO

GLI SCAVI

Nel 1962 fu scoperto l'inizio del canale, a nord-ovest di Leida. Ulteriori scavi furono intrapresi a Leidschendam tra il 1989 e il 1992 e di nuovo nel 2004. 

L'analisi degli ultimi scavi archeologici ha chiarito che il canale risalirebbe, come già detto, al 50 circa. Questo canale sembra fosse largo 12-14 metri e scavato per 3 metri di profondità.

IL GENERALE CORBULO (?)
Furono poi scoperte tracce di una alzaia lungo il canale, il che conferma il canale. Le alzaie sono robuste funi che servono per l'alaggio, e cioè per il traino di un'imbarcazione da una postazione su terraferma, allo scopo di imprimere il moto o controllare la direzione del natante, o per portare in secca le imbarcazioni, allo scopo di rendere possibili i lavori di manutenzione alle carene.

Per mantenere il livello dell'acqua, potrebbero esserci state dighe con canali di scarico, sebbene gli archeologi non le abbiano ancora identificate. Ove necessario, le banchine possono essere state di legno. I dati dendrocronologici di queste strutture indicano che il canale fu migliorato dall'imperatore Adriano (117 - 138), che visitò la regione nel 121.

Nel 1989, nel nuovo quartiere Rietvink di Leidschendam sono stati scoperti depositi di argilla (insoliti in una regione di torbiera) e tracce di antiche lavorazioni del legno. È stato possibile stabilire che il canale era profondo circa tre metri e largo quindici metri, abbastanza per due navi. 

Si è potuto perfino stabilire che lungo le rive c'erano ninfee, iris gialle, giunco ​​fiorito e zizzanie a punta. Sulla riva occidentale sabbiosa, vicino alle dune, c'erano faggi, querce, noccioli, cespugli di ginepro, erbe, erba e olivello spinoso. Dal 1993, un moderno ponte in stile romano (ispirato al ponte Giulio Cesare costruito sul Reno) è visibile sul sito dell'antico canale.


BIBLIO

- Svetonio - Claudio -
- Tacito - Annales, II - Annales, XI.
- Edward N. Luttwak - La grande strategia dell’Impero romano -
- Frontino - Stratagemmata - trad. Roberto Ponzio Vaglia - Milano - Ed. Sonzogno - 1919 -
- Klaus Grewe - "tunnel e canali", in: John Peter Oleson - ed. Il Manuale Oxford di Ingegneria e Tecnologia nel mondo classico - Oxford University Press - 2008 -



IL CANALE TRA PORTUS E OSTIA


0 comment
PORTO DI CLAUDIO
Porto, ovvero Portus, era un centro urbano situato a nord di Ostia, sulla riva destra del Tevere e sul litorale tirrenico. Esso era il porto dell'antica Roma, e corrisponde all'attuale Fiumicino.
Il primo scalo costiero di Roma fu appunto quello fluviale alla foce del Tevere presso Ostia, ordinato dall'imperatore Claudio per disporre di un porto più ampio e sicuro, individuando il sito a circa quattro km a nord di Ostia.
Questo complesso, chiamato appunto Portus, occupava un'area di circa 70 ettari ed era dotato di due lunghi moli aggettanti sul mar Tirreno, con un'isola artificiale ed un faro; per costruire quest'ultimo venne riempita la nave che aveva trasportato dall'Egitto il grande obelisco utilizzato per decorare la spina del Circo di Nerone, ora in Piazza San Pietro. 
Lo stesso imperatore provvide alla sistemazione della via Portuense come asse di collegamento tra il complesso portuale e Roma, lunga circa 15 miglia (24 km). Tuttavia il porto venne
terminato sotto l'imperatore Nerone, cui diede il nome di Portus Augusti.

Porto presentava diversi vantaggi rispetto ad Ostia: anzitutto era un porto marittimo e non fluviale, per cui consentiva l'attracco a navi di grande pescaggio, al contrario dello scalo ostiense, che necessitava di travaso di merci al largo; inoltre consentiva rapidi sbarchi e grandi immagazzinaggi indispensabili per commerci più estesi e più rapidi.

Il nuovo porto era riparato rispetto ai venti di sud-ovest, così da proteggere le imbarcazioni all'ancora, ma per contro l'ampiezza del bacino non consentiva una protezione completa, e la mancanza di un flusso interno comportava un precoce insabbiamento dello scalo, che quindi necessitava di frequenti ed onerose operazioni di dragaggio.
In questo porto è stato rinvenuto il più grande canale mai costruito dai romani.

SCAVI DI PORTUS

SCOPERTO IL PIU' GRANDE CANALE COSTRUITO DAI ROMANI

Uno dei più grandi canali costruiti dai romani in un antico porto importante come Cartagine o Alessandria è stato scoperto da archeologi britannici. Gli studiosi hanno scoperto un canale largo circa 90 metri a Portus, l'antico porto marittimo attraverso il quale le merci provenienti da tutto l'Impero furono spedite a Roma per oltre 400 anni.


Canale e mura romane scoperti il 2 ottobre 2005

"Conosciamo altri canali contemporanei che erano larghi 20-40 metri, e anche quello era grande. Ma era così grande che sembra esserci stata un'isola nel mezzo, e c'era un ponte che l'attraversava. Fino ad ora era sconosciuto. "

Gli archeologi, delle università di Cambridge e Southampton e della British School di Roma, credono che il canale collegasse Portus, sulla costa alla foce del Tevere, con il vicino porto fluviale di Ostia, a due miglia di distanza.

Il profilo sotterraneo del canale è stato trovato durante un'indagine del Prof. Martin Millett, dell'Università di Cambridge, utilizzando strumenti geofisici che hanno rivelato anomalie magnetiche sotterranee. Lo scavo, che viene svolto in collaborazione con archeologi italiani, sta facendo luce sulla straordinaria rete commerciale che i romani hanno sviluppato in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna all'Egitto e all'Asia minore.

Il canale avrebbe consentito il trasferimento di merci da grandi navi oceaniche a navi fluviali più piccole e il fiume Tevere sarebbe stato portato ai moli e ai magazzini della capitale imperiale.
Fino ad ora, si pensava che le merci prendessero una via terrestre più tortuosa lungo una strada romana conosciuta come la Via Flavia.

"È assolutamente massiccio", ha dichiarato Simon Keay, direttore dello scavo triennale a Portus, il più completo mai condotto sul sito, che si trova vicino all'aeroporto di Fiumicino, a 20 miglia a ovest della città.

Gli archeologi hanno trovato prove del fatto che i collegamenti commerciali con il Nord Africa in particolare erano molto più estesi di quanto si credesse in precedenza. Hanno trovato centinaia di anfore che venivano usate per trasportare olio, vino e una salsa di pesce fermentato pungente chiamata garum, a cui i romani erano particolarmente parziali, da quella che oggi è la moderna Tunisia e la Libia.

Enormi quantità di grano furono anche importate da quelle che allora erano le province romane dell'Africa e dell'Egitto.
"Ciò che il recente lavoro ha dimostrato è che vi era una particolare preferenza per le importazioni su larga scala di grano dal Nord Africa dalla fine del II secolo d.c. fino al V e forse al VI secolo", ha affermato il prof. Keay.

La squadra britannica ritiene che Portus e Ostia avrebbero ospitato una grande popolazione espatriata di famiglie e agenti commerciali nordafricani, alcuni dei quali avevano il loro nome inciso su pietre tombali.

Portus è stato il porto principale dell'antica Roma per oltre 500 anni e ha fornito un condotto per tutto, dal vetro, alla ceramica, al marmo e agli schiavi, agli animali selvatici catturati in Africa e spediti a Roma per spettacoli nel Colosseo. I lavori sul massiccio progetto infrastrutturale iniziarono sotto l'imperatore Claudio. Fu inaugurato da Nerone e in seguito notevolmente ampliato da Traiano.

Il team britannico, finanziato dal Arts and Humanities Research Council, ha scoperto i resti di un grande magazzino romano, un edificio identificato come un palazzo imperiale e un piccolo anfiteatro che potrebbe essere stato utilizzato per combattimenti di gladiatori, lotte di bestie selvagge e persino mare finto con battaglie per l'intrattenimento privato di imperatori come Traiano e Adriano.

Hanno anche portato alla luce una dozzina di scheletri umani e una testa di marmo bianco del II o III secolo di un uomo barbuto che credono possa rappresentare Ulisse. Molto meno si sa di Portus che non della vicina Ostia, e gli archeologi sperano che ci siano molte scoperte in attesa di altre sorprese che potrebbero aumentare la comprensione della sofisticata rete commerciale dell'antica Roma.

Si aspettano che Portus, che doveva essere abbandonato dopo che iniziò a sciogliersi nel VI secolo, alla fine si schierasse accanto ad alcune delle città antiche più conosciute al mondo. "Portus deve essere uno dei siti archeologici più importanti del mondo", ha affermato il prof. Keay. "La cosa grandiosa di Portus è che la maggior parte è stata preservata e c'è molto altro da imparare sull'importante ruolo che ha avuto nel successo di Roma"


BIBLIO

- Smith  - "Canali romani" - Atti della Società Newcomen - vol. 49 - NAF - 1977/78 -
- Rodolfo Lanciani - I Commentarii di Frontino intorno le acque e gli acquedotti - silloge epigrafica aquaria - Roma - Salviucci - 1880
- Moore, Frank Gardner - "Tre Progetti di Canale, romano e bizantino" - American Journal of Archaeology , vol. 54, No. 2 - 1950 -
- KD Bianco - Tecnologia greca e romana - London - Thames and Hudson - 1984 -
- Charlotte Wikander -  "Canali" - in Wikander, Örjan ed. - Handbook of Ancient Water Technology - Tecnologia e cambiamento nella storia - vol. 2 - Leiden: Brill - 2000 -
- Lidia Paroli e Kristina Strutt - Portus: An Archaeological Survey of the Port of Imperial Rome - a cura di S. J. Keay e Antonia Arnoldus-huyzendveld - Roma - British School at Rome - 2006 -



TUNNEL DI TITO


0 comment
TUNNEL DI TITO IN ENTRATA
Seleucia in Pieria o Seleucia sul Mare, era un porto della Siria ed una delle quattro città della Tetrapoli siriana.  Seleucia, le cui origini risalgono al 300 a.c., era soprattutto il porto per Antiochia (ora Antakya).

Il nome moderno è Çevlik, un piccolo villaggio vicino a Samandağ. L'apostolo Pietro scelse questo luogo per la sua prima missione di conversione rivolta ai gentili, e i suoi convertiti ad Antiochia furono il primo gruppo ad andare sotto il nome di cristiani.

I macedoni chiamarono questa regione Pieria, e questa regione aveva almeno due porti (il "porto interno" e il "porto esterno"), che a volte venivano usati dalla marina imperiale romana.

Tuttavia, i porti hanno continuato ad insabbiarsi per un fenomeno di bradisismo.

Questo fenomeno è legato al vulcanismo (risalita in superficie di materiale allo stato fuso, spesso accompagnato da gas e solidi) consistente in un periodico abbassamento (bradisismo positivo) o innalzamento (bradisismo negativo) del livello del suolo, relativamente lento sulla scala dei tempi umani (normalmente è nell'ordine di 1 cm per anno).

Secondo altri si tratterebbe invece delle piene dei torrenti che invaderebbero la zona del porto inondandolo di sabbia e detriti.

Probabilmente i due fenomeni si associano tra loro, tanto è vero che
diversi imperatori romani ordinarono di scavare alcuni canali per impedire questo processo, ma alla fine tutto divenne inutile.

La città fu costruita, un po' a nord dell'estuario degli Oronti, tra i piccoli fiumi sulle pendici occidentali del Coryphaeus, una delle vette meridionali dei Monti Amanus.

Il tunnel di Tito e Vespasiano si trova vicino al villaggio di Çevlik ("Porta d'acqua" ), nel distretto di Samandağ nella provincia di Hatay, ai piedi delle montagne Nur e a circa 35 km a sud-ovest di Antiochia. Da un punto di vista strategico l’importanza di questa città fu notevole in quanto costituiva una base della flotta imperiale romana.

Poco lontano dal porto si può vedere un grandioso tunnel, magnifico progetto dei bravissimi genieri romani, edificato per deviare il corso di un torrente che minacciava di ostruire il porto. Presumibilmente si trattava di una fenditura naturale poi allargata e dotata di chiuse.

Così i romani, per evitare che le acque, spesso piene di sabbia e detriti, insabbiassero il porto, decisero di deviare il torrente, facendo tagliare agli schiavi un canale lungo e attraverso la roccia per quasi un miglio.

ISCRIZIONE A VESPASIANO E TITO
Qui sopra vi è l'iscrizione di entrata nel tunnel: la dedica a Vespasiano e a Tito 81 d.c. – 96 d.c. Negli studi effettuati (Università dell'Arizona e Università di Ankara) si ritiene si tratti di una antichissima grotta preesistente, la cosiddetta Grotta Kanal, una grotta preistorica che venne trasformata in tunnel dai romani (Andrea De Pascale - Anatolia).

Il progetto ingegneristico iniziò infatti intorno al 69-79 d.c. sotto il regno di Vespasiano e continuò durante il regno dell'imperatore Tito nel 79-81 d.c., utilizzando soprattutto gli schiavi ebrei ottenuti dalla sconfitta di Gerusalemme (nel 70, altri prigionieri di guerra furono inviati a Roma, dove dovevano costruire il Colosseo).

Seleucia aveva almeno due porti, ma ambedue i porti continuavano ad insabbiarsi. Diversi imperatori romani ordinarono di scavare canali per impedire questo processo, ma alla fine tutti gli interventi risultarono inutili. Uno di questi canali, perchè ne furono scavati diversi, è il cosiddetto Tunnel di Tito.

Il canale di Tito, era stato scavato, secondo la narrazione di Flavio Giuseppe, da schiavi ebrei che lavoravano per ordine del comandante romano Tito, che aveva catturato Gerusalemme nel 70 (altri prigionieri di guerra furono inviati a Roma, dove dovevano costruire il Colosseo).

ISCRIZIONE AD ANTONINO PIO
Qui sopra vi è l'iscrizione ed uscita dal tunnel: la dedica ad Antonino Pio 138 d.c.–161 d.c. Lo scavo proseguì per molti anni, non per la sezione della roccia ma soprattutto per i detriti che qui continuamente si accumulavano.

Il sistema di deviazione si basava sul principio di chiudere il fronte del letto del torrente con una copertura di deviazione e di trasferire le acque del torrente al mare attraverso un canale artificiale e una galleria.

Il canale è lungo quasi 1400 metri e parte di esso attraversa un tunnel progettato dagli ingegneri della decima legione Fretensis. Anche confrontato con i mezzi attuali a disposizione, rimane una grande opera di ingegneria. Ma oltre alla stupefacente opera edilizia esso è meta dei turisti per la sua incredibile bellezza e suggestione di luci ed ombre, di ardite pareti scoscese e lucernari improvvisi sul soffitto altissimo.

Secondo l'iscrizione infatti, il tunnel non fu terminato se non durante il regno di Antonino Pio (138-161). Gli ultimi operai furono i legionari di IIII Scythica e XVI Flavia Firma. Il loro non fu l'ultimo tentativo di migliorare i porti: secondo la Descriptio Totius Orbis del IV secolo, i porti furono nuovamente rinnovati dall'imperatore Costanzo II (r. 337 - 361).

IL PONTICELLO D'USCITA
Considerato "il tunnel più grande del mondo realizzato dall'uomo", l'antica struttura è visitata da centinaia di viaggiatori amanti della storia, dell'arte e dell'architettura.

Il tunnel, la cui costruzione iniziò nel I secolo d.c. durante il regno dell'imperatore romano Vespasiano e continuò sotto il figlio Tito e il suo successore Antonio Pio, venne costruito anche per combattere la costante minaccia delle acque di piena che provenivano dalle vicine montagne dell'antica città di Seleuceia Pieria, nella odierna Turchia, piene esistenti a tutt'oggi.

Per risolvere questo problema, l'imperatore Vespasiano ordinò ai suoi legionari, marinai e prigionieri, di scavare un canale d'acqua attraverso la montagna per deviare le acque di piena attraverso un tunnel, impedendo così l'interramento del porto onde impedirne la fine.

I canali erano stati costruiti dagli ex imperatori romani per risolvere questo problema, ma non sono riusciti a fermare le inondazioni. Il fatto che l'intera galleria sia stata scavata nella roccia solida con martelli e scalpelli e sia sopravvissuta fino ad oggi senza molti danni, continua comunque a stupire gli ingegneri e gli architetti moderni.

L'USCITA DAL TUNNEL
Husnu Isıkgor, direttore provinciale per la cultura e il turismo, ha dichiarato all'Agenzia Anadolu di aver eseguito tutti i lavori possibili per la protezione del sito onde offrire ai visitatori un'esperienza migliore e più confortevole.

Isıkgor ha dichiarato di aver costruito per la prima volta sentieri per passeggiate, terrazze panoramiche e stand dove vengono venduti prodotti locali, ed ora stanno preparando un progetto per la creazione di un centro visitatori che includa strutture sociali all'interno del tunnel.

"Il tunnel Vespasianus-Titus è il tunnel più lungo del mondo mai scavato a mano. Accanto ad essa, c'è anche la grotta di Besikli, dove ci sono molte tombe di importanti sacerdoti e chierici", ha detto. La grotta è stata chiamata anche le "Tombe dei Re", poiché si ritiene che le tombe appartengano agli imperatori fin dall'epoca romana. "Vogliamo che il tunnel sia aggiunto alla lista permanente dell'UNESCO", ha aggiunto Isıkgor.

L'area del canale è stata proposta per il Patrimonio Mondiale dell'Umanità  ed è stato aggiunto all'elenco provvisorio nella categoria culturale del patrimonio mondiale dell'UNESCO il 15 aprile 2014. .





 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies