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ULPIA MARCIANA


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ULPIA MARCIANA

Nome: Ulpia Marciana
Nascita: 48 d.c.
Morte: Roma, 29 Agosto del 112 d.c.
Fratello: L'imperatore Marcus Ulpius Nerva Traianus
Marito: Gaius Salonius Matidius Patruinus
Figlia: Salonia Matidia



TRAIANO

Il 18 settembre del 53 d.c. Marco Ulpio Traiano (regno 98-117) nasceva ad Italica, nell’Hispania Baetica, poco a nord dell’attuale Siviglia. La sua famiglia, la gens Ulpia, era originaria di Tuder (Todi), nella italica Umbria, ma si era da tempo trasferita nella ricca provincia di Betica, rimanendo però personaggi nell'ombra, senza particolari onori, o meriti o ricchezze.

Sua madre si chiamava Marcia; suo padre, Marco Ulpio Traiano, iniziò la sua carriera sotto Nerone, diventando governatore della Baetica, la sua provincia natale; tuttavia fu amico dei Flavi e primo della sua famiglia a diventare senatore.

Successivamente venne nominato comandante di una legione durante la guerra giudaica nel 70, e, dal 75 al 77, fu governatore della Siria, avendo al suo servizio come tribuno il figlio Marco Traiano, che iniziò così la sua carriera militare. Traiano padre rivestì il consolato nel 91 e ignoriamo la data della sua morte, ma sappiamo che nel 112 fu proclamato divus insieme alla figlia Ulpia Marciana, sorella di Marco.



ULPIA MARCIANA (48 - 112)

Figlia maggiore del senatore Marco Ulpio Traiano e di Marcia, pertanto sorella maggiore di Traiano, ereditò il suo secondo nome, Marciana, dagli antenati paterni di sua madre. Il suo luogo di nascita è sconosciuto.

Sposò intorno al 63 Gaio Salonino Matidio Patrizio, uomo molto ricco che era un pretore e un membro del collegio religioso dei Fratelli Arvales e che morì nel 78. Da costui Ulpia ebbe la figlia Salonina Matidia. Dopo la morte di Salonino Marciana non si risposò.

Forse quell'unione le era bastata, forse non le sorrideva di stare sotto tutela di un marito, quel che è certo è che molti uomini avrebbero voluto sposarla per la sua prestigiosa parentela con l'imperatore, tenendo poi conto che era una bella donna. Comunque Traiano "optimo princeps" ma anche ottima persona, rispettò la sua volontà e non la obbligò mai, come avrebbe potuto, a sposare chicchessia.

Sua figlia Matidia invece si sposò almeno due volte, una volta con un Matidius, da cui ebbe una figlia, Matidia, e la seconda volta con Lucius Vibius Sabinus, di famiglia consolare, e da questo matrimonio nacque Vibia Sabina, futura moglie di Adriano. Attraverso il terzo matrimonio di sua figlia Salonina Matidia, Marciana fu la bis-bis-bisnonna del futuro imperatore Marco Aurelio.

Quando Vibius Sabinus morì (84 o 87), Ulpia Marciana con sua figlia e le sue nipoti andarono a vivere nella casa di famiglia di Traiano e sua moglie Plotina, e successivamente nella reggia.

Dopo il 105 fu elevata al rango di Augusta dal fratello, prima sorella di un imperatore a ricevere questo titolo: all'inizio Marciana rifiutò modestamente questo onore, ma la cognata e l'imperatrice Plotina, evidentemente a lei affezionata, insistette affinché lo accettasse.

ULPIA MARCIANA - LOGGIA LANZI - FIRENZE
L'avvenimento venne anche celebrato con l'emissione di una moneta che la effigiava.
In qualità di Augusta Ulpia entrò così a far parte della iconografia imperiale ufficiale, e la sua statua venne posta sull'Arco di Traiano ad Ancona assieme a quelle di Traiano e di Plotina.
Viaggiò spesso con il fratello, consigliandolo sulle decisioni da prendere, e venne onorata con monumenti e iscrizioni in tutto l'impero.

Siamo nel I sec. d.c., e l'amatissima sorella di Traiano detta la moda dell'epoca: capelli dietro tirati sulla nuca e avvoltolati a formare uno chignon, in realtà una specie di pizza. Ma è la moda dei diademi, le romane diventano esigenti e spendaccione, con grande scandalo degli anziani.

Davanti una specie di diadema, un sostegno raggiato verso l'alto, innestata su un cordulo che riporta ai lati due riccioli, il tutto in materiale leggero, forse corno, o avorio, o di osso, ma sembra più somigliante la prima ipotesi. In realtà è una pettinatura complessa ma castigata, Ulpia non ama mettersi in mostra e il senato l'apprezza molto per questo, ma non solo.

Traiano ebbe con la sorella un rapporto di profonda consonanza, tanto che la frequentò molto e talvolta la portò con sé nel corso dei suoi viaggi; questo faceva di Marciana in pratica una fida consigliera dell'imperatore, tanto che i suoi suggerimenti e le sue opinioni erano tenute in gran conto da Traiano.

Amata da Traiano, da Plotina moglie di Traiano, dal senato e dal popolo, Ulpia venne effigiata in diverse monete, come si può vedere qua sotto.

AUREUS DI ULPIA
Sia la moglie di Traiano, Plotina, che sua sorella Ulpia e sua nipote Salonina Matidia sono state quiete matrone, vivendo in armonia tra loro, mai cercando di esercitare alcuna influenza sulla politica, nè mai ebbero particolari agevolazioni finanziarie o poteri come Livia e come altre principesse giulio-claudie.

Nel 104 Plotina e Marciana divennero praticamente parte della famiglia reale ricevendone i conseguenti onori. Nel 105 poi sia Plotina che Marciana vennero onorate con il titolo di Augusta, inoltre Traiano dedicò a sua sorella ben due città.

Colonia Marciana Ulpia Traiana Thamugadi (moderna Timgad, Algeria), in Africa, fu fondata intorno all'anno 100, e questa città prese anche il nome dai defunti genitori di Marciana e Traiano. L'altra città è stata fondata nel 106 e si chiamava Marcianopolis (che ora fa parte della moderna Devnya, Bulgaria) in Moesia.

Fu la prima sorella di un imperatore romano a ricevere questo titolo. All'inizio Marciana non lo accettò, ma sua cognata, l'imperatrice Pompeia Plotina, insistette sul fatto che lei prendesse il titolo. Entrò così a far parte dell'iconografia imperiale ufficiale e la sua statua fu posta insieme a quella di Traiano e di Plotina sugli archi di Traiano ad Ancona. Marciana era molto vicina a Traiano e a Plotina.

Marciana, che fu poi suocera di Adriano, morì tra il 112 e il 114 e sappiamo che Traiano approvò la sua divinizzazione già proposta dal senato, mentre Adriano le innalzò un tempio unitamente a Matidia. Allo stesso tempo, sua figlia, Salonina Matidia, ricevette il titolo di Augusta.

Il suo ritratto, oltre che dalle monete, ci è noto da alcune teste marmoree, quali quella colossale di Ostia e quelle di Napoli, Firenze, New York: tutte presentano una complicata pettinatura ad alto diadema di doppio ordine di rigide ciocche ondulate e grossa crocchia di treccine sulla nuca.
La grande testa ritratto venne rinvenuta nell’area delle Terme di Porta Marina e perciò dette anche "Terme della Marciana".

BIBLIO

- E. J. Bickerman - "Diva Augusta Marciana - " The Journal of Philology 95.4 - 1974 -
- Traiano - Storia e Archeologia - L'Erma di Bretschneider - 2010 -
- Julian Bennet - Trajan - Optimus Princeps - Bloomington - 2001-


PONTE DI TRAIANO SUL DANUBIO


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RICOSTRUZIONE DEL PONTE
Questo rilievo del ponte di Apollodoro di Damasco sulla Colonna traiana mostra dei segmenti d'arco stranamente appiattiti, poggianti sugli alti piloni in muratura. In primo piano l'imperatore Traiano offre sacrifici e libagioni al Danubio.

Trattavasi di un ponte romano fortificato, costruito negli anni dal 103 al 105, il primo mai posto in opera sul basso corso del Danubio. Per più di mille anni fu il più lungo ponte ad arcate mai costruito al mondo, sia come lunghezza totale che per la larghezza delle sue campate.

Lo ideò l'architetto favorito di Traiano, Apollodoro di Damasco, che lo realizzò nel corso della campagna bellica che portò l'imperatore alla conquista della Dacia. Il ponte era situato a est delle Porte di Ferro, presso le città di Drobeta (Romania) e Kladovo (Serbia).

IL PONTE SULLA COLONNA TRAIANA
Fu voluto da Traiano per una via di rifornimento per le legioni romane impegnate nella campagna dacica: una delle più magnifiche costruzioni romane, realizzata per facilitare il passaggio dell’esercito romano nella II guerra per la conquista della Dacia, che era guidata all’epoca dal re Decebalo.

Cassio Dione Cocceiano:
« ci sono altre opere per le quali [Traiano] si distinse, ma questa le sorpassò tutte. Il ponte poggia su 20 pilastri in pietra quadrangolare di 150 piedi di altezza escluse le fondamenta e di 60 di larghezza. Questi [piloni] sono distanti 170 piedi l'uno dall'altro e sono collegati da archi
(Cassio Dione, Storia romana)
 

La struttura era dunque lunga 1.135 metri, in un punto in cui il Danubio è largo 800 metri: l'altezza sul pelo dell'acqua raggiungeva i 19 metri; la larghezza del passaggio era di 15 metri. Con la sua posa in opera veniva di fatto cancellato il confine naturale che il corso del fiume stabiliva tra la Mesia e la Dacia. Il ponte univa e univa il castro Pontes (ora in Serbia), col castro di Drobeta (Romania) sulla sponda opposta.

A ogni estremità era infatti posto un castrum, di modo che l'attraversamento del ponte fosse possibile solo passando attraverso le fortificazioni dell'esercito, scongiurando una possibile invasione. Apollodoro usò archi in legno poggiati su venti piloni in muratura di mattoni, malta e pozzolana, alti circa 45 m e distanziati tra loro di 38 m. 

Nel piccolo museo archeologico di Turnu Severin è presente un bellissimo modello scala 1:100 del ponte.

PROBABILE MONETA DI COMMEMORAZIONE DEL PONTE DI TRAIANO
Un'epigrafe commemorativa, larga 4 metri e alta 1.75, nota come Tabula Traiana, scolpita sulla roccia, celebra il rifacimento della strada militare romana che conduceva al ponte di Traiano; si trova sul lato serbo, rivolta verso la Romania. 

TABULA TRAIANA
Vi si legge:

IMP(erator) CAESAR DIVI NERVAE F(ilius)
NERVA TRAIANUS AUG(ustus) GERM(anicus)
PONTIF(ex) MAXIMUS TRIB(unicia) POT(estate) IIII
PATER PATRIAE CO(n)S(ul) III
MONTIBUS EXCISI[s] ANCO[ni]BUS
SUBLAT[i]S VIA[m r]E[fecit]»

cioè «L'imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto, figlio del divo Nerva, vincitore dei GermaniPontefice Massimo, quattro volte investito della potestà tribuniziaPadre della PatriaConsole per la terza volta, scavando montagne e sollevando travi di legno questa strada ricostruì.»

Nonostante la sua immensa mole, il ponte fu realizzato in un arco di tempo incredibilmente breve; ricorda un po' il ponte di Giulio Cesare costruito sul Reno, lungo 2 km e realizzato in soli 15 giorni. Si pensa però che il fiume, durante la costruzione, fosse stato deviato per mezzo di qualche opera idraulica, ma Cassio Dione lo nega.

PARTE DEL PONTE RICOSTRUITA IN MEMORIA DEL MIRACOLO INGEGNERISTICO ROMANO
Invece Procopio allude chiaramente alla deviazione del fiume, anche se collegandola alla navigazione e non alla costruzione del ponte, argomento sul quale dichiara di non volersi soffermare, vista la disponibilità a quel tempo di un esteso trattato di Apollodoro, per noi invece perduto. Però Procopio scrive nel VI sec., quindi molto più tardi.

L'ipotesi del fiume deviato sperò si ripresenta grazie ad un'epigrafe che testimonia, stavolta in modo indiscutibile, la realizzazione del canale. Ed ecco l'iscrizione:

IMP CAESAR DIVI NERVAE F 
NERVA TRAIANVS AVG GERM
PONT MAX TRIB POT V P P COS IIII
OB PERICVLVM CATARACTARVM
DERIVATO FLVMINE TVTAM DA
NVVI NAVIGATIONEM FECIT«

« L'Imperatore Cesare, figlio del Divo Nerva, Traiano Augusto Germanico, Pontefice Massimo, per la V volta con potestà tribunizia, console per la IV volta, ha deviato il fiume a causa del pericolo delle cateratte per rendere sicura la navigazione ». Si tratta del più antico documento sulla navigazione nel canale, attualmente detto di Sip, in un tratto del Danubio già allora noto per la sua pericolosità.

RESTI DI UNO DEI PILONI DEL PONTE
Adriano, succeduto a Traiano, ne avrebbe rimossa la sovrastruttura, ritenendolo un punto di debolezza del limes danubiano-carpatico. Cassio Dione però non lesina la sua ammirazione per la straordinaria opera ingegneristica; ancor più grande perchè riservato solo alla conquista dacica. 

Sembra però che il vero distruttore del ponte fu Aureliano (214-275) quando Roma si ritirò dalla Dacia ritirando le sue forze, oppure, come riporta Procopio, crollò soccombendo alle forze del fiume. Insolito però per un ponte romano.


I venti pilastri erano ancora visibili nel 1856, anno in cui il livello del Danubio scese a livelli record. Nel 1906, la Commissione internazionale per il Danubio decise di distruggerne due perché ritenuti di ostacolo alla navigazione.

Nel 1932 sopravvivevano ancora 16 pilastri sotto il livello dell'acqua, ma nel 1982 gli archeologi riuscirono a mapparne solo 12, gli altri quattro essendo stati probabilmente portati via dalla corrente. Nel 2003 sono state condotte indagini che hanno rivelato, sul fondo del fiume, i resti di 7 pilastri originali, una delle cui basi era rivestita di lastre incise.

RESTI DEL PONTE SULLA SPONDA RUMENA

LA LEGGENDA CRISTIANA

Dovendo gli cristiani svalutare al massimo ogni personaggio romano benvoluto dai posteri, per convincerli che l'epoca pagana era sordida e peccaminosa, venne inventata una leggenda su questo ponte:

"Si dice che l'imperatore Traiano aveva solo una sorella. Ma era bellissima tanto che l’imperatore se ne innamorò. Quando la ragazza si accorse dei sentimenti di suo fratello, rifiutò la relazione dicendo che non si era mai visto un peccato più grave.

Lui insistette, allora lei scappò in paesi stranieri, ma il re la trovava sempre, ovunque si fosse nascosta. Quando vide che non poteva sfuggire a suo fratello, pensò di chiedergli cose che fossero sopra il potere umano per rinunciare all’amore per lei. Così disse:



" Se mi vuoi come fidanzata fammi un ponte sul Danubio! "
L'imperatore acconsentì e mise in moto, non i soldati come nella realtà, ma i più famosi artigiani che costruirono un ponte molto bello e forte, tanto che fino ad oggi sono rimasti i suoi pilastri. Quando la ragazza vide il ponte, si stupì e domandò a suo fratello di andare sul ponte. Il fratello la seguì ma sul punto dove l'acqua era più impetuosa la ragazza si gettò nel Danubio. Si gettò anche lui per salvarla ma non vi riuscì, e ripescarono il suo corpo dopo tre giorni
. "

Sembra un racconto di martirologio cristiano, ma il fatto è che Traiano fu assolutamente e rigorosamente gay, e non toccò nemmeno sua moglie, tanto è vero che non ebbe figli.


BIBLIO

- Colin O'Connor - Roman Bridges - Cambridge University Press - 1993 -
- Vittorio Galliazzo - I ponti romani - Catalogo generale - Vol. 2 - Treviso - Edizioni Canova - 1994 -
- Sabrina Laura Nart - Architettura dei ponti storici in muratura - In: Strade e Autostrade - n. 76 - 2009 -
- Ioan Piso - Provincia Dacia - in Traiano ai confini dell'impero - a cura di Grigore Arbore Popescu - Milano - 1998 -
- A. Mocsy - Pannonia and Upper Moesia. A History of the middle Danube Provinces of the Roman Empire - London-Boston - 1974 -






VILLA DI TRAIANO (Arcinazzo)


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RICOSTRUZIONE GRAFICA ( http://www.noreal.it )
Quale altra distensione tu infatti ti concedi se non battere pendii selvosi, cacciare dalle tane le fiere, superare immense creste di monti, scalare sommità coperte di ghiaccio senza nessuno che ti presti aiuto e ti apra la via e, nel mentre, andare nei boschi sacri in devoto raccoglimento e venerare le divinità?…. 
Egli (Traiano) si affatica nel cercare e nel catturare le fiere e la maggiore e più gradita fatica consiste nello stanarle. E quando vuole mettere alla prova la sua forza in mare, egli non si limita a seguire con lo sguardo e con i gesti le veleggianti navi, ma o si mette al timone o con qualcuno dei più valenti compagni gareggia a frangere i flutti, a domare i venti ribelli e a vincere gli avversi marosi con i remi ".
(Plinio il Giovane - Panegirico a Traiano)

RICOSTRUZIONI GRAFICHE ( http://www.noreal.it )
La Villa di Traiano si trova presso gli Altipiani di Arcinazzo (Lazio, 900 m s.l.m), a circa 80 km da Roma; a cavallo delle due Valli del Sacco e dell'Alto Aniene, e non è menzionata in modo chiaro dalle fonti, ma nel Panegirico a Traiano (98-117) (vedi sopra), pronunciato nel 100 d.c. da Plinio il Giovane (61 - 114) in onore dell'Imperatore, c'è un chiaro riferimento alla villa, in quanto la descrizione del paesaggio circostante somiglia a quei luoghi, specie in epoca romana. L'imperatore fece già grandi interventi sull'Aniene presso la Villa Ad Simbruina Stagna (già di Nerone) che egli abitò e che era situata qui vicino, sull'attuale Strada dei Monasteri di Subiaco.

Plinio il Giovane, infatti, nel tessere le doti di Traiano, parla delle sue passioni alla caccia e alla pesca e infatti, verso la fine dell'800 furono rinvenute nei pressi della Villa una serie di Fistula acquaria, cioè condutture dell'acqua in piombo, con la titolatura imperiale ed il nome del procuratore Hebrus, lo stesso ricordato per la residenza di Traiano a Centumcellae (Civitavecchia). Si ritiene infatti che che la Villa sia stata costruita fra il 97 ed il 114 d.c. ( forse in due fasi costruttive separate).

Questa residenza estiva dell'Imperatore Traiano sorge sugli Altipiani di Arcinazzo, alle falde del Monte Altuino (1271 m s.l.m.), in una zona attraversata dal fiume Aniene, le cui acque pregiate erano considerate le più buone e salubri dell'antichità. La villa, i cui lavori iniziarono alla fine del I sec. d.c., occupa una superficie di circa 5 ettari, molti dei quali ancora da scavare. Il rinvenimento delle fistulae non solo ha permesso di attribuire con certezza il complesso a Traiano, ma anche per la datazione della villa.
PLANIMETRIA DELLA VILLA

Sulla prima serie di fistulae si legge
IMP(eratoris) NERVAE TRAIANI CAESAR(is) AUG(usti)
GERMANIC(i) SUB CURA HEBRI LIB(erti) PROC(uratoris) .
Grazie all'appellativo di Traiano come "germanico" si possono datare queste parti del complesso tra il 97 ed il 99 d.c. visto che l'imperatore acquisì il termine dopo la sua vittoria nelle guerre contro i Germani.

Sulla seconda serie si legge:
IMP(eratoris) CAESARIS NERVAE TRAIANI
OPTIMI AUG(usti) GERMANIC(i) DACICI
Grazie all'appellativo di Traiano come "dacico" si possono datare queste parti del complesso tra il 114 e il 115 d.c. visto che l'imperatore acquisì il termine dopo la sua vittoria nelle due guerre daciche nel 106 d.c., mentre non è presente l'appellativo Particus che riceverà soltanto nel 116 d.c. dopo la campagna militare contro i Parti. 

Dalla prima serie di fistulae emerge anche il nome del curatore dei lavori presso la Villa, e cioè Hebrus, liberto e Procuratore dell'Imperatore che risulta anche su altre iscrizioni provenienti dalla Villa di Centumcellae (CIL, XV 7770 e 7771). Non sarebbe strano che Traiano, conscio delle ottime capacità del suo liberto, avesse affidato ad Hebrus ambedue i lavori sia presso Centumcellae, sia presso gli Altipiani di Arcinazzo.




IL SITO ARCHEOLOGICO

La villa. che risale agli inizi del II sec. d.c., si erge su tre vasti terrazzamenti, quello più in basso è l'unico fino ad oggi indagato dagli scavi archeologi, che si dislocano dalla sommità del pianoro fino dalle pendici del Monte Altuino (1271 m s.l.m.) che digrada fino a valle. 

La Villa, che fungeva da ristoro al caldo clima estivo ma pure da padiglione di caccia nonchè di pesca, due attività che piacevano molto all'imperatore nei periodi di riposo, si estendeva su una superficie di circa quattro chilometri distribuiti su tre terrazzamenti e oltre a numerose stanze era dotata un impianto termale, un impianto sportivo e una enorme piscina ovale.

Il museo locale accoglie elementi architettonici e decorativi come marmi, stucchi dorati, raffinatissimi pavimenti in opus sectile, e affreschi dai colori vivaci che decoravano le sale di questa splendida villa. La Villa sorge sulla sinistra della Via Sublacense ed oggi è meta di itinerari archeologici anche grazie alla presenza del vicino Antiquarium ospitato in due casali rurali ristrutturati proprio per essere utilizzati come sale espositive dove sono alloggiati anche n bacino in marmo e alcuni vasi da giardino.





GLI SCAVI

Gli scavi iniziarono negli anni Cinquanta del '900 (1955, 1958, 1960), campagna in cui emerse un piccolo settore della Villa lungo la via Sublacense (sub lacum), il muro di contenimento che delimita la terrazza inferiore e parte di quello analogo per la terrazza superiore. Si comprese allora che la pianta fosse dotata di un peristilio e si studiò la zona di quello che fu allora considerato un ninfeo (oggi sappiamo invece che si tratta di un triclinio) nella terrazza inferiore. Furono inoltre individuate una cisterna e una vasta pianta di forma ellittica nella terrazza superiore.

Altri interventi avvennero negli anni Settanta e tra il 1980 ed il 1982 che portarono alla scoperta dell'importante area del triclinio. Il più recente cantiere di scavo è stato aperto nel 1999 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio (odierna Sopraintendenza Archeologia del Lazio ed Etruria Meridionale) sia per scoprire maggiormente il sito, sia per restaurare le aree già portate in luce. Si ebbero così nuovi ritrovamenti pittorici e ornamentali. 

PARETE MARMOREA

PLATEA INFERIORE

La platea inferiore, la parte di rappresentanza del complesso, in direzione Est-Ovest, è meno estesa della platea superiore. Essa è di struttura rettangolare fortemente allungata (100 x 40 m) è sorretta a da una sostruzione continua a massicci contrafforti. Ha un rivestimento in opus mixtum di reticolato e fasce di mattoni, mentre nelle piccole superfici ha o solo il listato o solo il laterizio.

Il centro della platea, oggi totalmente spoglia, è identificabile con il giardino, all'epoca ricco di piante ornamentali, fontane ed architetture decorative, con le varie costruzioni che gli ruotano intorno per prendere aria e goderne della vista. Infatti alle estremità del giardino sono state rinvenute due grandi vasche-fontana semicircolari, con gradini agli angoli, rivestite in marmo bianco; affiancate da una base in muratura che forse sorreggeva un bacino.

Il giardino è circondato su tre lati (Est-Ovest-Sud) da portici voltati: a Sud (lato lungo verso la strada) e ad Est (uno dei due lati brevi) si succedono grossi pilasti con applicate delle semicolonne in laterizio rivestite di stucco, ad Ovest, invece, i pilastri erano sostituti da nove colonne scanalate e architrave in marmo cipollino su basi ioniche di marmo bianco con intercolumni più larghi al centro.

Il portico Sud è l'accesso alla parte di rappresentanza, a Ovest della platea; con il portico voltato e decorato da affreschi su fondo scuro con costolature in rosso e oculo centrale, il pavimento era rivestito in lastre di marmo bianco. Delle pitture resta un clipeo con la raffigurazione di una Vittoria Alata, con spada e disco d'oro. Il portico si apriva sul giardino mentre a Sud, lungo la strada, dei grossi finestroni consentivano di ammirare il paesaggio circostante.

Nel lato Nord il giardino è delimitato dalle sostruzioni che sorreggono la platea superiore, decorate da nicchie rivestite di marmo da cui sgorgava acqua. Successivamente le nicchie-fontane furono murate, per ragioni ignote, forse di infiltrazioni. 

PAVIMENTAZIONE
Ad Ovest del giardino si apre il corpo principale della platea, la parte che ha restituito il maggior numero di reperti. Al centro c'è il triclinio (13 x 9 m), a cui si accede da quattro porte intervallate da finestroni che aprono sugli ambienti laterali. L'ingresso verso il giardino era inquadrato da una coppia di colonne. Sulla parete di fondo c'è un ninfeo con tre nicchie dalle quali fuoriusciva l'acqua che si riversava nel lacus sottostante.

Le nicchie erano incorniciate da mensole in marmo, decorate da delfini e tritoni, che servivano come appoggio per le colonnine che sostenevano l'architrave decorata. Al di sopra una fascia di un mosaico in pasta vitrea, in modo da riflettere i raggi del sole, che colpendo il sottostante specchio d'acqua, creavano un gioco di luce e colori sulle pareti circostanti in marmo e stucco dorato. Il ninfeo era dotato di un volta che garantiva armonia e grazia a tutta la struttura. 

Il pavimento era in opus sectile, ossia da lastre rettangolari di pregiati marmi policromi di provenienza africana bordate da listelli in giallo antico. Ai due lati del triclinio è presente la medesima successione di ambienti di forma, dimensioni e funzioni identiche: in primo luogo un ampio atrio rettangolare (18 x 7,20 m), inquadrato da una doppia coppia di colonne. I vani nel fondo erano destinati agli ospiti di prestigio.

Questi ambienti possedevano due ingressi distinti, uno per angolo, posti ai lati del grande finestrone che dava sull'atrio-vestibolo; il tetto era voltato a botte, mentre i pavimenti erano in opus sectile. Di estrema preziosità era la decorazione delle pareti e della volta, della quale è stata rinvenuta una grande quantità di frammenti.

All'angolo Est dello scavo c'è un avancorpo proteso verso la strada, nel quale, tra i contrafforti, si aprono quattro finestre che davano luce ad ambienti retrostanti. Nel muro ortogonale vi sono tre successive aperture; due immettono in vani rettangolari con larghe porte, di cui si conservano le soglie a massicci blocchi di calcare; la terza ospita una scala per superare il dislivello del terrazzamento, che aveva i gradini rivestiti di blocchi di calcare. È questa la zona del vestibulum della villa dotato di ambienti di servizio e magazzino, l'ingresso ufficiale che si raggiungeva salendo agli Altipiani dalla via Praenestina.



PLATEA SUPERIORE

Non ancora scavata, ma con prospezioni elettromagnetiche, condotte dall'Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Queste hanno rivelato il nucleo privato della residenza dove l'edificio privato sembra affiancato da un complesso termale ed una struttura ellittica identificabile con un vivarium per l'allevamento dei pesci. Questa platea è la parte privata dell'intero complesso e tramite le prospezioni elettromagnetiche si è ottenuta una pianta dell'area abitativa e privata.




IL SISTEMA IDRICO

La Villa era alimentata da due capienti cisterne collocate ad una quota superiore. Una, sulla collina a Nord-Est, con due lunghi ambienti rettangolari con volte a botte, collegate da passaggi aperti nel muro centrale. La seconda cisterna, i cui resti sono inglobati in casaletti rustici, sorgeva ad Ovest, più vicina alla platea superiore; e serviva ad alimentare le fontane all'interno del Triclinio. Tutta l'acqua in uscita defluiva all'esterno tramite uno speco che sbocca sotto un contrafforte del terrazzamento



LO SPOLIO

La Villa fu oggetto di spogli e demolizioni anzitutto ad opera del cristianesimo, per cui tutto ciò che era pagano doveva essere cancellato, proseguendo in epoca alto-medievale e nel corso del Seicento. Dalla fine del Settecento in poi lo spoglio riprese ancora più accanito per riutilizzare i materiali antichi, soprattutto i numerosi e preziosi marmi, ma pure i ricchi decori. Nel 1777 la distruzione riprese più intensa per la costruzione della chiesa di Sant'Andrea presso Subiaco.

Dall'analisi del carteggio tra il direttore degli scavi G. Corradi ed il Prefetto delle Antichità dello Stato Pontificio G. B. Visconti, si deduce che il rifornimento di marmi preziosi fu ingente; gli scavi si interruppero nel 1778 dal momento che i materiali per la costruzione della Chiesa erano ormai sufficienti.

Nel 1829 e fino a tutto il 1833 furono avviati ulteriori lavori nella Villa per il recupero del materiale utile per la costruzione della Chiesa di Santa Maria Assunta presso Arcinazzo Romano. Qui si dette fondo non solo ai materiali pregio, ma anche quelli di poco conto, come ad esempio il piombo.


Nuovi reperti della Villa di Traiano ad Arcinazzo Romano esposti nella mostra “Affreschi e stucchi della Villa dell’Imperatore”
( Fonte )

17/07/2017
Sarà esposta fino al 30 settembre presso il Museo Archeologico “Villa di Traiano” ad Arcinazzo Romano una selezione di stucchi e pitture rinvenuti nella villa imperiale (114-116 d.c.) in loc. Altipiani, presentati per la prima volta al pubblico e destinati, a partire dal 12 ottobre, alla grande mostra “Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa”, che si terrà a Roma, ai Mercati di Traiano, in occasione dei 1900 anni dalla morte del famoso conquistatore della Dacia. I reperti, restaurati a cura del Comune di Arcinazzo, provengono dai depositi della Soprintendenza, ove si conservano tutti i materiali restituiti dagli scavi del 1999-2011 che non hanno ancora trovato posto nel Museo e nell’Antiquarium della villa.

Gli stucchi, assemblati in circa dieci pannelli, decoravano, insieme a marmi e pitture, la lussuosa sala XVIII, che fa parte del gruppo di ambienti monumentali comprendenti il triclinio imperiale, affacciati sul giardino della platea inferiore della villa. Di eccellente qualità artistica, in quanto realizzati a stampo, ma ritoccati a stecca e impreziositi da dorature e applicazioni in oro, rivestivano la zona medio-alta delle pareti. Sono suddivisi in ricche fasce variamente ornate con motivi geometrici, floreali o figurati e racchiudenti riquadri con esili architetture prospettiche, entro le quali campeggiano figure di divinità stanti e assise o si svolgono scene ancora troppo incomplete per poter proporre un’interpretazione. 
Le architetture si segnalano per la cura della resa dei particolari di basamenti e fastigi delle colonne. Le pitture sono solo un’anticipazione della decorazione del piccolo ambiente XVI (un cubiculum o ritiro privatissimo dell’imperatore), riprodotto in scala 1:1 all’interno del Museo, rinvenuta crollata sul pavimento marmoreo.

Sono esposti un segmento della fascia a fondo rosso (da una delle pareti) con la dettagliata raffigurazione di un portico colonnato visto di scorcio, posta al di sotto di una complessa scena cerimoniale ambientata davanti a un maestoso edificio, e una scena nilotica (dalla volta) con tre personaggi della sfera dionisiaca su un’imbarcazione di papiro coperta con un arco a festoni.


BIBLIO

- Lilli M. - Scavi di antichità nell'area della Villa detta di Traiano ad Arcinazzo Romano tra la fine del Settecento e la seconda metà dell'Ottocento - in Xenia Antiqua - 1997 -
- Fiore M.G., Mari Z. - Villa di Traiano. Il recupero di un grande monumento, Tivoli - Roma - 2003-
- Cesa L. - Altipiani di Arcinazzo. La villa imperiale - Roma - 1987 -
- Fiore M.G., Mari Z., Pavimenti e rivestimenti in opus sectile della villa di Traiano ad Arcinazzo Romano (École Française de Rome, 352), 2005, VOL 1 -
- Fiore M.G., “Le pitture della villa di Traiano ad Arcinazzo Romano: prime ipotesi di ricostruzione ed interpretazione”, in Lazio e Sabina, VII, Roma - 2011 -
- Fiore M.G., Appetecchia A. - I rivestimenti marmorei parietali e pavimentali della villa di Traiano ad Arcinazzo Romano (RM). Primi dati dalla campagna di scavo 2011, in Atti del XVIII Colloquio AISCOM (Cremona, 14-17 marzo 2012) - Tivoli - 2013 -




COLONNA TRAIANA


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ECCO COME APPARIVA IN ORIGINE


Altezza: 39,86 m
Diametro: 3,83 m
Ordine della colonna: dorico (riadattato)
Formata da: 18 blocchi di marmo
Peso di ogni blocco: 40 tonnellate
Marmo utilizzato: marmo di carrara
Lunghezza del fregio: 200 m
Numero delle figure: 2500
Numero delle scene: 114
Traiano appare: 60 volte

La colonna Traiana venne eretta nel Foro Traiano nel II sec. d.c. (110-113),  per celebrare le due campagne vittoriose di Traiano in Dacia (Romania), rievocando tutti i momenti salienti di quella conquista. Altresì doveva ricordare, avendone l'identica misura, l'altezza della sella collinare prima dello sbancamento per la costruzione del Foro.

RICOSTRUZIONE GRAFICA
DEL NATIONAL GEOGRAPHIC
( http://www.nationalgeographic.com/ )
Inoltre serviva a innalzare ai posteri la statua in bronzo dorato di Traiano, ma contemporaneamente era un mausoleo, perchè raccoglieva le ceneri dei due amati imperatori: Traiano e Plotina, colei che determinò l'erede al trono di Traiano, e cioè Adriano.

Venne collocata nel Foro di Traiano, in un ristretto cortile alle spalle della Basilica Ulpia, fra due biblioteche, dove un doppio loggiato ai lati ne facilitava la lettura. Di fronte c'era il Tempio del Divo Traiano.

Una lettura "abbreviata" era anche possibile senza girare intorno alla colonna per seguire l'intero racconto, seguendo le scene secondo un ordine verticale, dato che la loro sovrapposizione nelle diverse spire sembra seguire una logica coerente. Alcuni calchi di questo monumento, collocati nel Museo della Civiltà Romana, consentono di guardare oggi tutta la bellezza delle raffigurazioni.

La colonna celebrativa isolata era già un’antica forma di celebrazione di grandi personaggi, di cui nessun esempio precedente è però giunto fino a noi. Sappiamo che spesso i Romani usavano colonne singole che si ripetevano ad adornare i viali più importanti, con sopra bronzi dorati, colonne non collegate, svettanti al cielo un simbolo o una divinità dorata. Ma nulla a che vedere, nè le colonne decorative, nè quelle celebrative, con le inaudite dimensioni e la decorazione del fusto della colonna traiana.

Inoltre, come tutte le statue e i bassorilievi romani, era dipinta a colori vivaci di cui restano poche tracce. Si può immaginare che essendo all'epoca dipinta in vari toni policromi, e pure adornata di inserti dorati, come era nell'uso romano, avesse nelle sue scene molto maggiore visibilità di oggi.



LO STILE

La Colonna  fu una novità assoluta nell'arte antica e divenne il punto di arrivo più all'avanguardia per il rilievo storico romano.

Per la prima volta nell'arte romana si ebbe un'espressione artistica assolutamente autonoma in ogni suo aspetto pur essendo la scultura romana continuazione dell'arte greca e pure etrusca.

La narrazione, ordinata cronologicamente; è di altissima qualità artistica sia per il livello della composizione, sia per il controllo del ritmo narrativo che scorre senza interruzioni, sia per la qualità dei rilievi.

Il geniale scultore, per l'appunto ritenuto dai più Apollodoro di Damasco, di cultura ellenistica, usò mezzi stilistici da lui inventati per procurare le suggestioni occorrenti.

Ad esempio non rispettò le misure reali delle persone (questo era già stato fatto per gli Dei e gli imperatori), ma pure degli edifici e degli alberi; ingrandendo i protagonisti mentre rimpiccioliva gli elementi secondari.

Inoltre alleggeriva o approfondiva il rilievo tenendo conto dell'impatto d'insieme data dalla visione contemplata per lo più dal basso.

Il "Grande fregio di Traiano" le cui lastre sono reimpiegate sull'Arco di Costantino è sicuramente dello stesso autore.

Qualcuno ha ipotizzato, per la precisione dei fatti e dei dettagli, che le scene della colonna fossero anche un'esperienza diretta dell'artista.

Si sa che i romani prima di essere artisti erano combattenti e non esisteva un artista puro, cioè che lavorasse solo nel suo ambito come poteva invece accadere il Grecia. Ne abbiamo famosi esempi in Marco Vipsanio Agrippa e per l'appunto Apollodoro di Damasco.




L'AUTORE

Ci sono vari fattori che hanno fatto riflettere sul possibile autore della colonna. Ad esempio la fine di Decebalo, capo dei Daci, è quasi una glorificazione del re combattente per l'indipendenza del suo popolo. 

Anche la sua fuga attraverso i boschi con pochi uomini, mentre i romani conducono cavalli carichi di vasellame prezioso del tesoro reale svelato da un tradimento, non sembra voler denigrare i vinti ma anzi riconoscerne il valore.

Decebalo che si aggira nei boschi; che parla ai suoi fidi, alcuni dei quali si uccidono; Decebalo avvistato dalla cavalleria romana e che, raggiunto, si lascia cadere dal cavallo e si uccide, suscita più commozione che avversione. 

La sua testa sopra un largo piatto verrà poi portata ai romani come trofeo.

Nella colonna le scene di battaglia non costituiscono il soggetto principale del fregio, benché descriva le vicende di due spedizioni militari.


Viene dato anzi più spazio alle attività di pacificazione e di riorganizzazione del territorio, a sottolineare le capacità di governo di Traiano e la funzione civilizzatrice di Roma.

Tanta imparzialità di vedute e tanta definizione dei particolari fa pensare due cose: una è che lo scultore avesse assistito alle battaglie, e poi che non fosse un adulatore del potere e descrivesse secondo la sua emotività ciò che vedeva. 

Tutto questo ci riconduce ancora ad Apollodoro, che essendo l'artista preferito di Traiano, facilmente l'avrebbe seguito nelle imprese per poterle poi degnamente immortalare, e che non fosse un  adulatore lo si vide al punto che con il successore dell'equilibrato Traiano, il meno modesto Adriano, la sua schiettezza gli costò forse la vita (non è accertata oggi la sua morte a causa dell'imperatore).

Bianchi Bandinelli definisce con il termine “Simpatia” l’atteggiamento del Maestro nei confronti dei Daci. Sympátheia, conformità di sentire, ma anche compassione, e si chiede se non sia « l’espressione di sentimenti personali dell’artista ».



I COMMENTI

La narrazione delle spedizioni di guerra si basa su temi se non fissi almeno preponderanti, che probabilmente rientravano già nel repertorio delle pitture trionfali: la partenza, la costruzione di strade e fortificazioni, le cerimonie religiose, il discorso alle truppe, l'assedio, la battaglia, la sottomissione dei nemici vinti e i bottini conquistati, di beni, di opere d'arte e di schiavi. Spesso queste scena mettevano in evidenza la crudeltà e il saccheggio dei vincitori, autentici documenti della distruzione di un popolo.

LA COLONNA TRAIANA OGGI
Questa spietatezza e crudeltà sono stati molto criticati dall'etica moderna, un'etica peraltro che dovrebbe accorgersi di come lo stile non sia cambiato nelle guerre passate e attuali. Anzi i romani possedevano una clementia sconosciuta presso quasi tutti i popoli, e cioè niente torture per diletto o per intimorire i nemici, salvataggio totale delle città che si sottomettevano al vincitore, senza saccheggi o irruzioni nelle case. Era sufficiente pagare le tasse richieste e l'approvvigionamento dell'esercito romano.

Anzi notiamo che non vi è mai, in tutte le raffigurazioni dell'imperatore, una posa di esaltazione o di adulazione. Anche nella grande scena di sottomissione, che chiude la II campagna della I guerra, l'imperatore seduto, visto di profilo, sembra più un giudice che un vincitore. C'è grande differenza di concezione etico-politica tra queste scene e quelle della Colonna Antonina, dove il nemico è massacrato e oltraggiato, o nelle raffigurazioni monetali degli imperatori cristiani del IV sec., quando, giganteschi personaggi, sia pure cristiani, si pongono sotto i piedi il nemico vinto.

Anche se a Roma vigevano già le colonne onorarie, l'esecuzione di una con un fascio figurato di rilievi è senza precedenti. L'autore mostra un grande valore artistico, anche dai fregi inseriti nell'arco di Costantino.

Salvata dall'iconoclastia dei papi solo perchè consacrata a una scadente statua di s.Pietro che sostituì la vera statua del grande Traiano, questa venne distrutta insieme alle tombe di Traiano e Plotino, omaggiate per secoli dai pellegrini con grande scontento della chiesa.

Lo stesso Bernini affermò che la Colonna Traiana "era la fonte da cui tutti i grandi uomini avevano tratto la forza e la grandezza del loro disegno". Tuttavia la Colonna Traiana venne anche criticata da alcuni artisti perché riscontravano nei pannelli alcuni difetti nella composizione e alcune deficienze nella prospettiva.

A queste critiche rispose il letterato collezionista d'arte Francesco Algarotti in una sua lettera del 1763 dove sostenne che "il maestro delle imprese di Traiano" scolpì alcune cose più grandi del normale perché voleva fare in modo che le figure più importanti diventassero degli emblemi, ma anche per farle percepire meglio da chi si trovava in basso e non aveva di certo impalcature che gli permettevano di vedere da vicino i rilievi.

Oggi questa risposta è riconosciuta giusta e pertinente dalla critica moderna.

Si sa dell'ammirazione che Raffaello aveva per i rilievi della Colonna, tanto che se ne ispirò per la composizione delle scene di battaglia (Stanza di Costantino in Vaticano, il cui tema principale è la Pagina 3 di 21 Chacon-Colonna-Traiana 06/08/10 18.03 vittoria del cristianesimo sul paganesimo).
"Ma quelle [sculture] che vi sono delle spoglie di Traiano e d’Antonino Pio, sono eccellentissime, e di perfetta maniera". ( Lettera di Raffaello p. 22)

La brillante idea della colonna decorata con rilievi a spirale dalla base alla cima fu copiata spesso nell’antichità, dalla Colonna Aureliana a Roma a quelle di Teodosio e di Arcadio a Costantinopoli, e in epoca moderna la colonna di Place Vendôme a Parigi. Questa colonna è di bronzo ed è ispirata alla colonna Traiana di Roma, che però è di marmo.

L'Italia è stata depredata un po' da tutti nelle varie epoche, dai Papi che vendevano all'estero le opere d'arte alle guerre perdute che ne fecero bottini di guerra.

Perfino la colonna di Traiano corse questo rischio nel 1865, fortunatamente il costo per trasportare la colonna in Francia era talmente elevato che Napoleone III,  dovette rinunciare al grande furto della colonna, limitandosi a farne rilevare in gesso i bassorilievi.

Fu in quell'occasione che si notarono su di essa le tracce di smalto d'oro e di colore vermiglio e azzurro.



LA DESCRIZIONE

La colonna, di 29,78 m d'altezza nel fusto, ma complessivamente di 40 m, esattamente 39,86 m se si include l'alto piedistallo alla base e la statua alla sommità, è di ordine tuscanico, composta da un toro ornato di foglie d'alloro, un fusto di 17 rocchi di pregiato marmo di Carrara, un capitello e un piedistallo con base liscia e poi sgolato, quattro facce con fregio di spoglie di nemici vinti (eseguiti a bassissimo rilievo), e una cornice decorata da festoni sorretti da quattro aquile poste agli angoli del piedistallo.

INTERNI DELLA BASE
Per eseguirla sono stati usati 18 colossali blocchi di marmo, ciascuno dei quali pesa circa 40 tonnellate ed ha un diametro di 3,83 m.

Sul fronte verso la basilica Ulpia c'è un'epigrafe in carattere lapidario sorretta da vittorie, che commemora l'offerta della colonna da parte del senato e del popolo romano e specifica come la colonna rappresenti l'altezza della sella tra Campidoglio e Quirinale prima dei lavori di sbancamento operati da Traiano per la costruzione del Foro.

Sul lato sud-est del piedistallo si apre una porta che conduce a una rampa di scala a chiocciola. Questa si snoda lungo tutto il fusto cavo della colonna con 185 scalini, illuminata da 43 feritoie a intervalli regolari, aperte sul fregio ma non concepite all'epoca della costruzione,.fino a raggiungere sulla sommità a tre stanzette, di cui la più interna custodiva due urne d' oro con le ceneri di Traiano e della moglie Plotina, dando al monumento una funzione sia celebrativa che funeraria.

La colonna, per ragioni di stabilità ma pure di effetto visivo, ha il diametro all'imoscapo (estremità inferiore del fusto) di 3,70 m e al sommoscapo (estremità superiore) di 3,20 m, ed è dotata di una lieve entasi, cioè un rigonfiamento del fusto della colonna a circa un terzo della sua altezza.

È un accorgimento ottico che evidenzia la membratura della colonna come il rigonfiamento del muscolo di un avambraccio sotto sforzo, ovvero per la tensione della colonna che reagisce alla compressione a cui è sottoposta.

SCALA A CHIOCCIOLA INTERNA ALLA COLONNA
L'effetto dell'entasi è accentuato dalla rastremazione della colonna di cui si è detto sopra, che è percorsa da 24 scanalature affioranti per un breve tratto al di sotto dell'echino, una sorta di "cuscino" sotto l'abaco. decorato a ovoli e dardi. La colonna è fasciata da un lungo nastro di fregio lungo 200 m, nel quale sono rappresentati i fatti più importanti delle due guerre della Dacia. Il nastro, avvolgendosi forma una spirale, così la colonna prende il nome di coclide. Essa fu la prima colonna coclide mai innalzata.

Il nastro della colonna contiene oltre 2500 figure e 155 scene delle varie fasi della guerre. La fascia ha un'altezza che aumenta dal basso verso l'alto cosicchè le immagini superiori sono più grandi di quelle inferiori perché per la maggior distanza risultino proporzionate. Lo stesso principio che si usava nei templi dorici.

Il rilievo è basso (detto pittorico) per non creare un movimento confuso tra così tante immagini e si avvale dell'uso del trapano. La realizzazione del monumento richiese una tecnica sofisticata e una grande organizzazione di cantiere che ancora oggi non sarebbe facile raggiungere. Non era facile sovrapporre blocchi del peso di circa 40 tonnellate ognuno e farli combaciare perfettamente, tenendo conto sia dei rilievi, già sbozzati e successivamente rifiniti in opera, sia della scala a chiocciola interna già essere scavata prima della collocazione.

LA COLORAZIONE DELLA COLONNA TRAIANA

LA CONSERVAZIONE

Lo storico Ammiano Marcellino narra che l’imperatore Flavio Giulio Costanzo, con residenza a Costantinopoli, in visita a Roma nel 357 d.c., fu ammirato dal Foro di Traiano e dalla statua equestre del’imperatore, che si trovava circa nel mezzo del Foro. Il complesso rimase intatto fino al IV sec., quando i materiali preziosi di costruzione del Foro vennero scandalosamente usati per la costruzione di vari edifici, e per decorare diverse case e giardini privati, diventando cosi collezioni private e poi della chiesa.

RICOSTRUZIONE 3D
Del bellissimo Foro è rimasta solo la Colonna Traiana, nel secolo IV d.c., i rilievi con i Daci, e le statue di Daci vennero inserite nell'Arco di Costantino (315 d.c.). Poi fu la volta delle invasioni dei barbari e nel 663, l'imperatore bizantino Costante II Eraclio ne prelevò alcune statue in bronzo e forse anche la statua di Traiano, di bronzo dorato, che era in cima alla Colonna (scomparsa poi misteriosamente).

Secondo altri fu la chiesa a togliere la statua dell'imperatore accorgendosi che era oggetto di culto dei pellegrini.

All'inizio del XI secolo una piccola chiesa (San Niccolò de Columna) è stata sistemata proprio nella base della Colonna Traiana; per quella mania tutta cattolica di inserire chiese e cappelle in o su ogni monumento pagano che non fosse facile demolire.

Oggi è ancora visibile l’impronta scavata, sotto forma di tetto, sopra l'ingresso, distruggendo una parte dell’antica iscrizione di questo monumento.  La chiesa fu demolita probabilmente all’occasione della visita a Roma dell'imperatore Charles Quint (Carlo V), nel 1546.

Nel Medioevo una gran parte dei preziosi marmi colorati vennero razziati tanto nelle costruzioni quanto nella scultura contemporanea. La Colonna di Traiano è stata salvata grazie a un decreto del Senato Romano, datato il 27 Marzo 1162, il quale dichiarava, minacciando la morte, il divieto di distruggere o danneggiare, e il quale prevedeva la tutela di questo monumento lasciato da Roma imperiale alla città santa.

Il decreto salvò la Colonna di Traiano, ma, purtroppo, non le altre zone del Foro di Traiano, che hanno continuato ad essere razziate, soprattutto nel XVI secolo, per costruire nuove chiese.



LA STORIA

La storia inizia di fronte al Dio Danubio, si interrompe una sola volta, nell'intervallo fra le due guerre per presentare una Vittoria alata, concludendosi con le rappresentazione della notte. 

STRUTTURA INTERNA
Accentuava il rilievo una vasta policromia, soprattutto di azzurro, bianco e carminio, forse, come usava con nomi di luoghi e personaggi, oltre a varie armi in miniatura in bronzo sparse in mano ai personaggi (spade e lance non sono infatti quasi mai scolpite), e ora del tutto perdute. Le varie armi in bronzo dorato dovevano spiccare non poco sulla colonna rendendola brillante ai raggi del sole. Come avvenuto in tanti monumenti, il bronzo deve essere stato sottratto per fonderlo e farne dell'altro.

Le scene sono ambientate nei contesti effettivi con rocce, alberi e costruzioni, riferendosi ad episodi specifici chiari nella mente dell'artefice, si che si è pensato per questo avesse partecipato alle imprese. Alcune scene, come la mietitura del grano (scena 83) precisano il periodo delle battaglie, in estate, quando appunto si svolsero gli avvenimenti della II campagna dell'ultima guerra.

La figura di Traiano è raffigurata 60 volte con la scena che converge su di lui, come convergono gli sguardi degli altri personaggi su di lui. Spesso è alla testa delle colonne in marcia, rappresentato di profilo e con il mantello gonfiato dal vento; sorveglia la costruzione degli accampamenti; sacrifica agli Dei; parla ai soldati; li guida in battaglia; riceve la sottomissione dei barbari; assiste alle esecuzioni. 

Tutta l'opera è improntata al valore dell'esercito romano e alla bravura del suo imperatore, una movimentata sequenze di scene a volte frenetiche, o festose, o pacate e riflessive ma per poco, perchè seguono scene drammatiche e quasi apocalittiche, con un ritmo incalzante e temi sempre nuovi. In definitiva però la colonna descrive Traiano com'era, un uomo giusto in patria, generoso e rispettoso degli umili, coraggioso nel difendere l'impero, capace e solerte come generale, temuto dai nemici ma adorato dai soldati.

Questa narrazione si svolge dal basso verso l’alto e da sinistra a destra e ha inizio con l’attraversamento da parte dei Romani del Danubio su un ponte di barche. E' l'inizio delle grandi guerre daciche, nell'odierna Romania, che tennero in sospeso il fiato dell'impero romano.

Vedi anche: 



LE SCENE

(Da C. Cichorius, Die Reliefs der Trajanssäule, Berlino 1896-1900.)


CAMPAGNA DEL 101 -  Prima Guerra Dacica


DOMUS TRAIANI


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PRIVATA TRAIANI DOMUS

La Domus Traiana, costruita probabilmente su un terreno di proprietà familiare, era più raffinata di quella fatta edificare da Caracalla pochi decenni prima, essendo destinata agli illustri personaggi dell'epoca, come dimostrano alcune iscrizioni rinvenute in loco che attestano anche il suo uso almeno fino al V sec. L''ultimo restauro avvenne nel 414, dopo l'incursione gotica.

La pianta dell'edificio è conosciuta da un disegno del Palladio, scoperto dal Rodolfo Lanciani nella collezione Devonshire. In essa si nota uno sviluppo simmetrico dei vari ambienti: ninfei, palestre e spogliatoi, ai lati di una grande sala centrale comprendente il frigidarium o il tepidarium. Le sue rovine erano ancora visibili all'epoca del Nolli che le disegnò in una pianta nel 1748.

Le terme si possono localizzare con certezza nella zona occupata attualmente dalla piazza del tempio di Diana e dai vicini fabbricati, sorti nell'area dell'antica Vigna Torlonia.


Le rovine dell'edificio furono viste più volte a seguito di ritrovamenti fortuiti e scavi: nel XVII secolo fu scoperta una sala con mosaici e con le pareti decorate da pitture e stucchi; altre rovine riemersero durante i lavori di sistemazione della piazza nei primi decenni del '900.

Alcuni avanzi rimangono tuttora nei sotterranei del Casale Torlonia e un tratto della muratura, ancora oggi visibile, sotto la piazza.
Tale muro taglia un vano di una domus preesistente che fu utilizzata come fondazione delle terme stesse. Gli ambienti della domus ora accessibili, particolarmente imponenti per l'altezza delle pareti dipinte, sono situati a 10,20 m sotto il livello stradale.

Sugli intonaci bianchi sono affrescati, con partiture lineari a strisce rosse e verdi, piccoli riquadri nei quali sono dipinti paesaggi, maschere, candelabri, fiori ed altri elementi fitomorfi. Di particolare interesse la soluzione pittorica dei soffitti, che sono decorati con un motivo concentrico che trasforma le volte a crociera in cupole ottagonali.
In base a bolli laterizi e allo stile pittorico, gli ambienti possono essere attribuiti alla prima metà del II sec. d.C. (fra l'epoca tardo-adrianea e quella degli Antonini).


In questo edificio furono inglobate strutture più antiche con murature in opera quasi reticolata, ancora parzialmente ricoperte da pitture di primo stile pompeiano, attribuibili al II sec. a.C., che appartenevano ad una casa privata tardo repubblicana.

Altri ambienti dello stesso complesso furono visti negli anni 1867-72 nella vigna Torlonia, durante lavori di fortificazione per la difesa dell'Aventino contro i Garibaldini.

Tali ambienti appartengono probabilmente allo stesso nucleo che aveva inglobato case più piccole risalenti fino all'età repubblicana (a circa 70 m sotto "Casa Bellezza" a largo Arrigo VII, è stata riportata alla luce un'altra ricca domus dello stesso periodo).

Diversi studiosi riconoscono in questo insieme di edifici i Privata Traiani, la casa di Traiano che le fonti localizzano sull'Aventino e da altri identificata con i resti sotto la chiesa di S. Prisca. E' probabile, comunque, che la ricca domus facesse parte del patrimonio imperiale, poi parzialmente inglobata da Decio nella costruzione delle terme.




SANTA PRISCA

IL MITREO
Al di sotto dell’edificio si sviluppano una serie di ambienti di epoca romana datati all’età imperiale, dalla prima metà del I sec. d.c. alla prima metà del III sec. d.c., pertinenti a diversi edifici a destinazione abitativa, l’identificazione dei quali è ancora dibattuta dagli archeologi.

Molti sostengono che in parte sovrasti la Domus Traiani. Qui si impiantò all’inizio del III sec d.c. un mitreo, il culto dedicato al Dio Mithra, particolarmente venerato dall’esercito romano.


BIBLIO

- Andrea Carandini - Le Case del Potere nell'Antica Roma - Editori Laterza - Roma-Bari - 2010 -
- Pierre Grimal - Les villes romaines - PUF - Que sais-je nº 657 - I édition - 1954 - VII éd. en 1990 -
- Filippo Coarelli - (curatore) Dictionnaire méthodique de l'architecture grecque et romaine -1985-
- Traiano - Storia e Archeologia - L'Erma di Bretschneider - 2010 -
- Julian Bennet - Trajan - Optimus Princeps - Bloomington - 2001 -




MATIDIA MAGGIORE - SALONINA MATIDIA


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Nome: Salonina Matidia
Nascita: 68 d.c.
Morte: 119 d.c.
Parentela: nipote di Traiano e suocera di Adriano
Dinastia: Antoniniana


Una delle figure più importanti e più obsolete dell'Impero romano, per giunta citata nelle Memorie di Adriano da Marguerite Yourcenar con una certa antipatia.

Eppure ebbe le sorti dell'impero nelle sue mani, in qualità di nipote di Traiano, di suocera di Adriano, e di  nonna della moglie di Antonino Pio (il successore di Adriano), per ben tre dinastie imperiali.
Matidia aveva un bell'aspetto, con un volto molto regolare ma severo, con naso greco, labbra piene e occhi dal taglio lungo.

Passò per una bellezza dell'epoca e pure Adriano ne esaltò l'avvenente aspetto nella sua orazione funebre.
Nel ritratto qui accanto è in giovane età ma già si nota una leggera durezza nel volto. che indica se non rigidità almeno una notevole determinazione.



LE ORIGINI

Salonia Matidia nacque nel 68 d.c.:e fu la figlia unica di Ulpia Marciana, la sorella del futuro imperatore Traiano, e del pretore Gaius Salonius Matidius Patruinus.

Tra l’81 e l’82, Matidia sposò Lucius Vibius Sabinus, quindi aveva 13 o 14 anni, un'età non infrequente nei matrimoni romani che venivano combinati dai genitori per loro scopi utilitari in cui le figlie non potevano decidere nulla.

Lucio era di una potente famiglia di rango consolare (cioè che aveva avuto consoli), era parente di Lucio Junio Quinto Vibio Crispo, che fu legato nella Hispania Citeriore, che fu console suffetto per tre volte sotto Nerone, Vespasiano, e Domiziano. così come fu parente del di lui fratello Quinto Vibio Secondo, che fu anche lui console suffetto e pure proconsole della provincia dell'Asia.

Nell'83 accaddero per lei due fatti importanti: le nacque una figlia, Vibia Sabina, la futura moglie dell'imperatore Adriano, e le morì il marito (secondo altri l'anno successivo, nell'84).
Così Matidia si ritrovò madre e vedova a circa 16 anni. Si sposò altre due volte ed ebbe altre tre figlie, tra le quali la futura nonna di Marco Aurelio, Rupilia Faustina. Ma anche gli altri due mariti morirono presto, forse perchè parecchio più grandi di lei.

Matidia cominciò ad assaporare un po' di libertà, un po' di vita mondana ed una certa cultura. La sua casa divenne un vero salotto letterario, piena di libri e di gente colta. L’atmosfera non doveva essere molto diversa dalla casa della colta Plotina, moglie di Traiano, ma Matidia univa alla cultura il coraggio e un certo buon carattere che la faceva amare da uomini e donne.

Già Matidia aveva seguito lo zio Traiano sui campi di battaglia, naturalmente non per combattere ma per assisterlo, sostenerlo e consigliarlo, tanto forte era il suo ascendente su di lui. Matidia amava la vita di palazzo e spesso la dirigeva nell'ombra, il suo potere era di sponda, senza parere e senza che desse fastidio ad alcuno. Stranamente la moglie di Traiano non ne fu gelosa, non solo perchè suo marito non guardava le donne, ma perchè non la sentiva ostile o che volesse metterla in ombra.

Trovò anzi una buona alleata nella moglie di Traiano, la severa e malinconica Plotina, che sfogava la sua delusione di donna tradita (Traiano aveva un debole per i fanciulli) attraverso la letteratura ma soprattutto influenzando le stanze del potere. Le due donne trovarono su questo un'ottima intesa e insieme brigarono per assicurare a Traiano un degno discendente e una nuora adatta a lui.

Per questo le due donne posero gli occhi sul giovane Adriano, verso il 100 d.c., un irrequieto giovane di 28 anni, nonchè suo lontano parente.
Adriano era uomo colto, intelligente e seguace della filosofia greca, ma oltre a questo aveva il vizio del gioco e dei giovinetti, un vizio molto diffuso a Roma, ma soprattutto che condivideva con l'imperatore Traiano. Viene da chiedersi cosa le due donne avessero trovato di così entusiasmante in quel giovane gaudente, e pure cosa quel giovane avesse trovato in loro, perchè il loro affetto sembrava ricambiato.

Verrebbe da pensare che Plotina avrebbe potuto detestare un uomo omosessuale come suo marito, invece ne sembrò entusiasta, tanto da complottare per far arrivare il giovane al trono. Forse ambedue conoscevano abbastanza bene il giovane e ne avevano saggiato l'intelligenza e l'affettuosità, si da pensare che loro stesse sarebbero state al sicuro con un imperatore come Adriano.

Matidia era donna piuttosto ambiziosa oltre che lungimirante. Riuscì infatti a farsi benvolere da Traiano, da Plotina, ma pure da Adriano, per quel suo modo leggero e un po' suadente con cui riusciva a far fare agli altri ciò che voleva senza aver l'aria di imporsi.

Ma evidentemente non aveva un profondo senso materno, del resto non tanto frequente all'epoca, per cui per i suoi piani indusse Adriano a sposare sua figlia Vibia, che di certo non gliene fu grata perchè la poveretta aveva solo 12 anni.

Adriano invece accettò ritenendolo evidentemente parte del piano che gli avrebbe portato la corona. L'omosessualità verso gli efebi non era considerata scorretta dai romani, purchè l'uomo in questione potesse prendere moglie e fare dei figli.

Gli storici antichi sostennero che Traiano, per quanto senza figli, fosse invece contrario sia al matrimonio sia alla scelta di Adriano come suo successore.

Forse avrebbe preferito il giurista Nerazio Prisco, già console suffetto nel 97 durante il regno di Nerva, un funzionario di fiducia dell'imperatore, che continuò poi con Adriano che parimenti gli accordò la sua fiducia, ma non è certo, o forse non voleva nominare alcun successore, altrimenti l'avrebbe fatto.Plotina, sua moglie, era invece a favore.

Le due donne comunque avevano le stesse simpatie e gli stessi intenti, ambedue volevano Adriano come successore, probabilmente perchè sentivano che di lui potessero fidarsi, che non le avrebbe cacciate o estromesse.

Come o cosa accadde alla morte di Traiano, nel 117, non si sa. L’Historia Augusta, una raccolta di biografie imperiali, dice che Plotina fece imitare la voce di Traiano da un presente. Lo storico Cassio Dione afferma che la notizia della morte fu tenuta segreta per giorni e che l’adozione di Adriano fu annunciata al Senato romano con una falsa lettera di Traiano, scritta dalla stessa Plotina.

Complice della falsa lettera di successione, assieme a Matidia e Plotina, era stato il prefetto del pretorio Publio Acilio Attiano, ex tutore nonchè amico di Adriano. Con Plotina fu infatti al capezzale dell'imperatore Traiano in Cilicia, a Selinunte, prima che questi morisse designando il suo successore.

Matidia era comunque rispettata e riverita da tutti, a cominciare dal senato, tanto che nel 117, fu attribuito a lei l’onore di deporre le ceneri di Traiano ai piedi della colonna detta Traiana a Roma.

Publio Acilio fu prefetto del pretorio anche sotto Adriano, tra il 118 e il 119 d.c.. Per ordine suo venne giustiziato Avidio Nigrino, favorito dall'Imperatore Adriano come proprio successore, per contrasti politici, sembra per istigazione del Senato, nel 118. Adriano, irritato dal'accaduto per timore dell'opinione pubblica, lo destituì dalla carica di prefetto, ma non risulta lo facesse uccidere come sostenuto da alcuni autori.

Adriano doveva tutto alle due donne, dall'affetto al potere e non se ne dimenticò. Infatti consentì a Matidia di assisterlo nella sua carica di imperatore finchè non le sopraggiunse la morte, a 57 anni, dopo solo due anni dall'incoronazione di Adriano, dal 117 al 119.

Adriano mostrò grande rimpianto nei suoi confronti, le fece una toccante orazione funebre  il giorno del suo funerale, il 23 dicembre dell'anno 119, in cui decantò tutte le qualità della suocera, dal tatto, all'onestà, all'intelligenza, alla sensibilità, suocera “amatissima”, moglie “carissima”, “castissima” pur essendo di “summa pulchritudo” (bellissima), madre “indulgentissima” (di Vibia Sabina), cognata “piissima”, che non fu mai di peso e molestia a nessuno (“nulli gravis, nemini tristis”).

RESTI DEL TEMPIO DI MATIDIA
L'imperatore ricordò inoltre che Matidia aveva sopportato con pazienza la lunga vedovanza anche dall’ultimo marito.

Dell’elogio è rimasto un lungo brano inciso su pietra: forse era esposto nel foro di Tivoli.

A parte gli spettacolari giochi gladiatori, Adriano ordinò che dopo la morte della suocera, già nominata Augusta dallo zio Traiano nel 107, fossero distribuite al popolo, come d’uso, rami di mirto e sostanze aromatiche.

Infine le dette il massimo onore che si potesse concedere, la divinizzò facendole immediatamente costruire un tempio a Roma.

Sappiamo dell'edificio da una moneta del 120 che lo raffigura e da una condotta d’acqua ritrovata in via del Seminario e che porta impresso il nome del tempio.

Oggi del tempio non resta quasi nulla, se non un pezzo del muro esterno del tempio che sporge dalla strada per circa un metro. Tenendo conto però che in questa zona l'antica Roma giaceva a 10/12 m sotto il manto stradale odierno, sarebbe interessante scavare sotto l'edificio e la strada.

Dopo la sua morte ottenne riti e tributi ovunque poiché le sue statue erano sparse in tutto l’Impero. Soprattutto tra Asia Minore e isole greche, dove aveva viaggiato e dove si era mostrata più volte al popolo.

Salonia Matidia, nel periodo dei cosiddetti Cinque imperatori d’oro (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio) ebbe un grande ruolo, per giunta era ricchissima e seppe utilizzare i suoi soldi per numerose opere pubbliche che riportarono il suo ritratto e il suo nome. Fu amata pertanto molto anche dal suo popolo.


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RINASCE IL TEMPIO DI MATIDIA

La più grande scoperta archeologica fatta a Roma negli ultimi anni è dietro un portoncino verniciato di verde, in piazza Capranica, a destra della facciata di Santa Maria in Aquiro: in un piccolo atrio, in uno spazio ricavato dalla demolizione di alcune stanze, si scopre un brandello della Roma imperiale che, fino ad oggi, è rimasto tra le carte degli studiosi, introvabile, una specie di miraggio per archeologi e storici: il Tempio di Matidia, suocera dell' imperatore Adriano, divinizzata nel 119 d.C. 

«Si tratta di un pezzo di un grande monumento», spiega il sovrintendente per i Beni archeologici di Roma Angelo Bottini, «Un tratto del Porticus Matidiae, con grandi colonne, un lastricato, un' opera di grandi dimensioni che procede verso via Spada d' Orlando: una scoperta clamorosa». 

Una scoperta dovuta alla scelta fatta dal Senato di affittare un' ala dell' antico Ospizio degli Orfani dell' Istituto di S. Maria in Aquiro per farne uffici per i senatori: 3 mila metri quadrati su quattro piani che due anni fa erano praticamente pericolanti. «Abbiamo cominciato col consolidare la struttura», spiega Roberto Tartaro, «perché la situazione poteva degenerare da un momento all' altro». 

I lavori hanno portato alla luce questa scoperta stupefacente. All' inizio, del portico monumentale non era visibile che un tronco di colonna di grandi dimensioni, in marmo cipollino, lungo il vicolo della Spada d' Orlando. «Si sapeva dell' esistenza del Tempio di Matidia», spiega Fedora Filippi, della Sovrintendenza dei Beni archeologici, «ma non dove fosse. Poi, cominciati i lavori, abbiamo trovato questi tronconi di colonne che, per le dimensioni, non potevano che appartenere a un edificio monumentale. Accanto alla fila di colonne c' è una scalinata: e sotto una platea di calcestruzzo di 8, 9 metri, adatta quindi a reggere un grande tempio». 

Non solo, sotto il calcestruzzo è stata trovata una piattaforma di palafitte datate col radiocarbonio tra il 50 a.C e il 70 d.C., un sistema di costruzione che fino ad oggi non era stato documentato. Matidia, nipote di Traiano e suocera di Adriano, aveva per l' imperatore un' importanza dinastica: era il legame con la famiglia imperiale. Per questo Adriano ne fece una dea e le dedicò un tempio nell' area di Campo Marzio. 

«Adriano», spiega l' archeologa Filippi, «cambiò l' asse urbanistico dell' area di Campo Marzio deviandolo dal mausoleo di Augusto a questa zona, in cui fu eretto l' Adrianeo, le cui tracce sono oggi in piazza di Pietra». E al centro di questo colossale progetto c' era il Tempio di Matidia, i cui resti stanno venendo alla luce nelle fondamenta dell' Ospizio eretto nel XVI secolo. 

Tra due anni, al termine dei lavori, quando qui si insedieranno gli uffici dei senatori, tutta l' area sarà musealizzata: una lastra di vetro lascerà intravedere le grandi base delle colonne e la scalinata. E intanto si continuerà a scavare sotto i palazzi vicini per portare alla luce quel che resta del Porticato.

(Renata Mambelli - 3 dicembre 2006) 


BIBLIO

- Anthony R.Birley - Hadrian, the restless emperor - London & New York - Routledge - 2000 -
- Silvio Imperi - Della chiesa di S. Maria in Aquiro in Roma - Roma - B. Morini - 1866 -
- Renata Mambelli - Rinasce il tempio di Matidia - 2006 -
- A Topographical Dictionary of Ancient Rome - Samuel Ball Platner, Thomas Ashby - London - Humphrey Milford - Oxford University Press - 1929 -
- Lawrence Richardson, Jr. -. Templum divi Marci - in A New Topographical Dictionary of Ancient Rome - Baltimore - JHU Press - 1992 -


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