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LA BATTAGLIA DI SABIS (57 a.c.)


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Così famosa divenne questa guerra di Cesare, che le popolazioni che abitavano al di là del Reno inviarono ambasciatori promettendo di consegnare ostaggi e di eseguire gli ordini.
Per quelle imprese conosciute a Roma dalle lettere di Cesare furono decisi festeggiamenti pubblici di ringraziamento che durarono quindici giorni, cosa che prima di quel tempo non era accaduto per nessuno. 

Cesare allora si affrettò a rinforzare le difese dell'oppidum e attaccò la tribù dei Nervi; la scarsa coordinazione delle forze alleate fece sì che l'unione collassò, e gli eserciti tribali ritornarono ciascuno alle proprie terre, dove vennero sconfitti singolarmente e assoggettati dai Romani.

Le quattro tibù dei Nervi, degli Atuatuci, degli Atrebati e dei Viromandui si rifiutarono però di arrendersi. Nell'inverno 58-57 a.c., queste notizie gli furono utili per estendere le proprie conquiste al di là della Gallia vera e propria, per assoldare altre due legioni, la XIII e la XIIII, e per convincere la tribù dei Remi (popolo della Gallia Belgica meridionale, oggi Reims) ad allearsi con lui.

Per rappresaglia, le tribù belgiche e celtiche attaccarono Bibracte, l'oppidum dei Remi, per attirare allo scoperto Cesare; questa alleanza includeva le tribù dei:

- Bellovaci, della Gallia Belgica nord orientale, con 60000 uomini;
- i Suessioni, una tribù che viveva tra i fiumi Oise e Marna, con 50000 uomini;
- i Nervii, la più potente tribù della Gallia Belgica, che viveva nell'area del fiume Schelda;
- gli Atrebati, tribù belgica della Gallia e della Britannia di origine germanica, con 15000 uomini;
- gli Ambiani, tribù celtica della Gallia Belgica con 10.000 uomini;
- i Morini, tribù celtica di origine germanica, con 25000 uomini;
- i Menapi, tribù celtica che viveva nella zona dell'estuario del Reno e verso sud lungo la Schelda, fino alle Ardenne, con 7000 uomini;
- i Caleti, tribù gallica che occupava l'attuale regione del Pays de Caux e Pays de Bray, con 10000 uomini;
- i Veliocassi, popoli armoricani, stanziati presso il Vexin, con 10000 uomini;
- i Viromandui, che occupavano l'area del dipartimento francese dell'Aisne, nella Piccardia, con 10000 uomini;
- gli Atuatuci, discendenti da Cimbri e Teutoni, stanziati nel territorio a nord della Mosa con 10000 uomini;
- i Condrusi, popolo formato da discendenti sia germanici che celti;
- gli Eburoni, popolo di origine germanica che praticava sacrifici umani e viveva tra il Mosa e il Reno;
- i Ceresi, popolazione germanica che fornì 40000 uomini;
- i Pemani, popolo celto-germanico insediato nelle Ardenne;

Tutti sotto il comando di Galba, re dei Suessioni, definito da Cesare giusto e saggio, a cui venne offerto il comando delle tribù belgiche per contrastare gli invasori Romani.



FORZE IN CAMPO

Repubblica romana - Gaio Giulio Cesare
Otto legioni: VII, VIII, VIIII Triumphalis, X, XI, XII, XIII, XIIII
Ausiliari, arcieri e cavalleria
Totale: circa 40.000

Alleanza belgica - Boduognato
Eserciti alleati: Nervi, Viromandui, Atrebati
Totale: 85.000

Le legioni di Cesare marciarono ininterrottamente per tre giorni nel territorio dei Nervi, ricevendo continui rapporti sulle loro posizioni. Cesare portò avanti le sei legioni veterane, mentre le due nuove legioni (la XIII e la XIV) erano di guardia ai bagagli. Le forze romane si rifocillarono e contemporaneamente cominciarono a costruire il castrum a nord-est del fiume Sabis su una collina. Ad ovest del fiume c'era un altro colle coperto di boschi e qui si appostarono i Belgi.

FASE 1 (INGRANDIBILE)
La cavalleria insieme a frombolieri ed arcieri ausiliari di Cesare attraversò il corso d'acqua, che era profondo meno di un metro, per ottenere informazioni sulla disposizione del nemico e per ingaggiare battaglia con la cavalleria dei Belgi, la quale si ritirò tra i boschi, ma ogni tanto ne usciva e attaccava di nuovo i Romani, per ritirarsi ancora tra gli alberi, era guerriglia, il forte dei barbari ma non dei romani.

Le forze belgiche, sotto il comando di un certo Boduognato (De Bello Gallico 2, 23), erano composte soprattutto dai Nervi, dai Viromandui e dagli Atrebati, in quanto gli Atuatuci erano ancora in marcia, e non fecero in tempo a giungere sul luogo della battaglia prima della sua fine. Si erano disposti sulla riva sud del fiume, al riparo degli alberi e si preparavano all'attacco.



L'ATTACCO DEI BELGI

La campagna militare di Cesare si svolse nella foresta di Compiègne, (che verrà in seguito parzialmente coltivata al tempo dei Romani come mostrano le numerose vestigia gallo-romane).in un'area che era stata occupata dai Suessioni e che i Bellovaci volevano conquistare, una situazione che Cesare temeva.

FASE 2 (INGRANDIBILE)
I Bellovaci misero in atto una strategia di guerriglia, cercando di colpire soprattutto i rifornimenti romani, a cui Cesare rispose cercando di portare i nemici allo scontro campale, dove era molto più forte potendo usare le sue strategie.

«Intanto le sei legioni, che erano giunte prime, tracciarono la pianta e cominciarono a fortificare il campo. Quando i nemici, che erano nascosti nei boschi, videro le salmerie romane... poiché dentro ai boschi si erano disposti già in ordine di battaglia... all'improvviso con tutte le truppe mossero in avanti di corsa ed attaccarono la cavalleria romana. Respinti e sbaragliati questi senza difficoltà, i Belgi con grande rapidità scesero di corsa al fiume, tanto da apparire contemporaneamente nei boschi, al fiume ed a combattere contro i nostri. E con identica rapidità mossero per il colle di fronte dove si trovava il nostro campo e verso quelli che erano impegnati a costruirlo

(Cesare, De bello Gallico 2.19.)

FASE 3 (INGRANDIBILE)
Dopo aver attraversato il fiume, che in quel punto era profondo solo tre piedi (poco meno di 1 metro), i Belgi caricarono su per la collina contro le legioni che stavano preparando il campo e che non ebbero, quindi, il tempo di disporsi in assetto da battaglia.

I Romani, infatti, iniziarono a combattere mentre alcuni di loro non avevano ancora indossato l'elmo o imbracciato lo scudo. I legionari prendevano posizione nello schieramento casualmente di fianco alle insegne più vicine, dove si trovavano meno distanti dal luogo in cui, poco prima, stavano costruendo il campo.



L'ACCAMPAMENTO ROMANO IN PERICOLO

Sul lato sinistro dello schieramento romano, i soldati della IX e X si trovarono a fronteggiare gli Atrebati, i quali furono, però, ricacciati oltre il fiume dopo un fitto lancio di giavellotti. I legionari, passato il Sabis inseguirono il nemico in fase di ritirata e ne fecero grande strage. Egualmente anche le legioni VIII e XI che si trovavano al centro dello schieramento, sbaragliarono i Viromandui lungo le rive del fiume.
FASE 4 (INGRANDIBILE)
Invece le legioni VII e XII, rimaste da sole a difesa del campo romano, vennero attaccate da più parti dai Nervi, la parte più consistente dello schieramento avversario che miravano alle salmerie.

In questa confusione totale, dove per poco la parte destra dello schieramento romano non fu completamente travolta dall'avanzata dei Nervi, solo la ferrea disciplina delle legioni e dei loro ufficiali, salvarono il generale romano da una disfatta. Ma accade un altro fatto increscioso: 
«I cavalieri dei Treviri [alleati dei Romani] turbati per questi fatti, i quali erano stati mandati dal loro popolo per portare aiuto a Cesare, avendo visto il campo romano riempirsi di molti nemici, con le legioni incalzate e quasi accerchiate, le salmerie, i cavalieri, i frombolieri, i Numidi, sparpagliati qua e là, che fuggivano da ogni parte, considerando persa la battaglia da parte dei Romani, presero la via di casa, annunciando al loro popolo che i Romani erano stati cacciati e vinti ed i nemici si erano impadroniti di campo e salmerie romane.» 
(Cesare, De bello Gallico 2.24.)

La legione VII e la XII, anche se quasi circondate, continuarono a combattere disperatamente per la propria sopravvivenza, mentre le legioni XIII e XIV si avvicinavano il più rapidamente possibile al teatro della battaglia.
GIULIO CESARE

CESARE VINCITORE

Cesare, dopo aver esortato la legione X, si recò all'ala destra dello schieramento romano, dove i soldati della legione XII erano incalzati dai Nervi. 

«[Cesare] riunite le insegne della XII legione, i soldati accalcati erano d'impaccio a se stessi nel combattere, tutti i centurioni della quarta coorte erano stati uccisi ed il signifer era morto anch'egli, dopo aver perduto l'insegna, quasi tutti gli altri centurioni delle altre coorti erano o feriti o morti mentre i nemici, pur risalendo da posizione da una posizione inferiore, non si fermavano e da entrambi i lati incalzavano i Romani. 
FASE 5 (INGRANDIBILE)
Cesare vide che la situazione era critica, tolto lo scudo ad un soldato delle ultime file, avanzò in prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortati gli altri soldati, ordinò di avanzare con le insegne allargando i manipoli, affinché potessero usare le spade. 

Con l'arrivo di Cesare ritornata la speranza nei soldati e ripresi d'animo desiderarono, davanti al proprio generale, di fare il proprio dovere con professionalità, e l'attacco nemico fu in parte respinto. 

Cesare avendo poi visto che anche la legione VII era incalzata dal nemico, suggerì ai tribuni militari che a poco a poco le legioni si unissero e marciassero contro il nemico voltate le insegne. Fatto questo, dopo che i soldati si soccorrevano vicendevolmente senza più aver paura di essere presi alle spalle dal nemico, cominciarono a resistere con maggior coraggio e a combattere più valorosamente. Frattanto le due legioni che erano state nelle retroguardie e di scorta alle salmerie [le legioni XIII e XIV] giunta notizia della battaglia, presero a correre a gran velocità. 
Tito Labieno dopo aver occupato il campo nemico, e visto quanto accadeva nel nostro campo da un'altura, mandò in soccorso ai nostri la legione X.» 

(Cesare, De bello Gallico 2.25-26.)

Con l'arrivo alle spalle dell'esercito dei Nervi della formidabile Legio X e dei rinforzi che erano stati fino a quel momento a guardia delle salmerie, i Romani presero il sopravvento, e sebbene i Nervi combattessero con coraggio e ostinazione, furono completamente massacrati. 
Cesare narra che al termine della battaglia dei 60.000 Nervi, ne rimasero in vita solo 500. Gli Atuatuci, venuti a sapere della sconfitta subita dai loro alleati, si ritirarono tutti insieme in una sola città fortificata dalla natura del luogo: l'oppidum di Namur.

Cesare prenderà poi anche la città di Namur,  vincerà anche presso il fiume Axona nel corso della stessa campagna del 57 a.c., e Boudogneto gli chiederà la resa, ottenendo  il pieno controllo dell'attuale Belgio.



BIBLIO

- Gaio Giulio Cesare - De bello Gallico - 2 -
- Turquin, Pierre - La Bataille de la Selle (du Sabis) en l'An 57 avant J.-C. - Les Études Classiques - 1955 -
- Napoleone III - Histoire de Jules César - vol. II -  Parigi - 1865-1866 -
- Ernest Desjardins - Géographie historique et administrative de la Gaule romaine - Paris - 1876 -
- Auguste Longnon - Études sur les pagi de la Gaule - Paris - 1869 -



BELLUM AFRICUM (46 a.c.)


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GAIO GIULIO CESARE

CAMPAGNE DI CESARE IN AFRICA SETTENTRIONALE NELLA GUERRA CIVILE

L’inizio della guerra e le operazioni nell’inverno del 45-46 a.c.

- Morto Pompeo e ottenuto l’appoggio dell’Egitto, Cesare torna a Roma nell’ottobre del 47 a.c., per sanare i contrasti scoppiati con Antonio e a sedare il malcontento delle legioni, che pretendevano la celebrazione del trionfo, e le conseguenti retribuzioni per i soldati.

Le forze repubblicane si stanno riorganizzando in Africa, in mani pompeiane fin dallo scoppio della guerra, ed importante per le strategie delle fazioni in lotta. La provincia era, infatti, uno dei granai dell’impero ed era abbastanza vicina all’Italia, ed ancor più alla Sicilia, altro fondamentale produttore di derrate alimentari, per servire da base per attacchi al cuore del sistema romano.

Cesare, conscio del pericolo,  placa le legioni e organizza il contrattacco:

- nel dicembre del 47 a.c. concentra a Lilibeo, punta estrema della Sicilia occidentale e imbarco naturale verso l’Africa, 17 legioni e 2600 cavalieri.

- Il 25 dicembre, in piena cattiva stagione e con il vento contrario Cesare dà l’ordine di salpare sfidando le cattive condizioni del mare in modo da prendere di sorpresa i nemici.

Sapendo che il grosso delle forze repubblicane è accampato ad Utica (nella baia di Tunisi) Cesare fa rotta verso sud, puntando verso Hadrumentum (Sousse), la flotta cesariana però è sorpresa da una tempesta al largo di Cap Bon e dispersa. Cesare sbarca ad Hadrumentum con circa 5000 uomini e si trincera fuori le mura delle città, aspettando rinforzi mentre distaccamenti di soldati occupano pacificamente Ruspina (Monastir) dove Cesare pone il quartier generale e Leptis Minus (Lampta).

La guerra lampo si è trasformata in una guerra di posizione, con il trinceramento delle posizioni in attesa dei rinforzi. Le forze repubblicane schierate nella provincia sono un avversario temibile per Cesare, già alle prese con i re fanciulli di Alessandria.
AFRICA - DENARIO DI GIULIO CESARE
L’Africa è un enorme campo trincerato forte di dieci legioni e 14000 cavalieri, anche se l’esperienza e l’addestramento dei soldati lascia  molto a desiderare, cui si aggiungevano le forze inviate da re di Numidia Giuba, quattro legioni, 60 elefanti ed un’agguerrita fanteria leggera.

Al comando delle forze repubblicane c'è Quinto Metello Scipione, suocero di Pompeo, generale di limitate capacità personali ma affiancato da ottimi comandanti: Catone, Gneo Pompeo iunior, Labieno, Afranio, Varo, Petreio; inoltre il nome di Scipione fa molto effetto trattandosi di una guerra africana.

- All’alba del 3 gennaio 46 a.c. le navi disperse della flotta cesariana compaiono al largo della penisola di Monastir, a quel punto Cesare riorganizza la difesa dei campi trincerati e passa al contrattacco.

- Il giorno successivo Cesare sostiene la prima battaglia; durante una requisizione di vettovaglie un distaccamento con a capo lo stesso Cesare venne attaccato e circondato da 10000 cavalieri galli e numidi comandati da Labieno e soltanto la tenacia e l’intuito permettono a Cesare di evitare l’accerchiamento.

La strategia cesariana rimane attendista, manda a chiamare nuovi rinforzi in Italia e cerca appoggi fra le forze repubblicane, soprattutto fra gli ausiliari numidi e getuli rimasti fedeli al ricordo di Mario che disertano in massa passando dalla parte del nipote dell’antico benefattore.

- Il 22 gennaio Caio Crispo Sallustio, il futuro storico, sbarca a Ruspina con due legioni, 800 cavalieri e 1000 arcieri. Cesare può prendere finalmente in mano l’iniziativa.

- Anzitutto va in soccorso di Leptis Minus ed Acholla (Botria) assediate dalle forze repubblicane, mentre Tysdrus (El Jem), centro nevralgico per gli approvvigionamenti di Scipione, si schiera con Cesare ed i mauri invadono la Numidia, imponendo a Giuba di ritirare parte delle forze schierate con i repubblicani.

GAIO GIULIO CESARE
L’offensiva cesariana e le operazioni tra febbraio e marzo del 46 a.c. 

 Il 27 gennaio Cesare riunisce le proprie forze e marcia verso Uzitta, difesa dalle legioni di Scipione, e comincia l’assedio della città.
Il giorno successivo fa avanzare l’esercito a mille passi dalle mura giungendo presso le legioni repubblicane, i due eserciti si schierano uno di fronte all’altro aspettando la mossa del nemico, alla fine Scipione rinuncia allo scontro e si ritira, situazione che ripeterà numerose volte durante la campagna.

- Le settimane seguenti vedono numerose schermaglie fra i due eserciti, con Cesare messo spesso in difficoltà dagli attacchi congiunti della cavalleria e della fanteria leggera africana, contro i quali le legioni appaiono impotenti.

- I due eserciti fortificano i campi intorno ad Uzitta, l’iniziativa di Cesare viene rallentata dal maltempo che colpisce pesantemente le truppe cesariane prive di equipaggiamento invernale. Cesare deve riaddestrare le truppe per contenere la fanteria leggera numida. Dopo alcune difficoltà per un’offensiva dei repubblicani nel porto di Leptis Minus, la flotta cesariana riprende il controllo del mare infliggendo una pesante sconfitta alla marineria repubblicana guidata da Varo.

I due eserciti sono entrambi in difficoltà, le truppe di Cesare soffrono per la scarsità dei rifornimenti e sono impegnate quasi esclusivamente in rastrellamenti di vettovaglie mentre le diserzioni fioccano nell’esercito repubblicano. Allora Cesare rinunciando a prendere Uzitta, lascia un presidio ad assediare la città e punta verso le città di Aggar, Zeta e Sarsura, dove sono concentrati i rifornimenti di Scipione.

Il primo obbiettivo è Aggar, presso cui viene posto un accampamento che serve da base per la ricerca di vettovaglie, Cesare venne informato della consuetudine africana di scavare buche per deporvi il frumento, il che gli permette di recuperare buone quantità di orzo, olio, vino e frutta.

A quel punto muove verso Zeta, e nei pressi della città venne assalito dalle truppe leggere di Scipione che vengono respinte. Occupata senza combattere la città Cesare viene rallentato da continue scaramucce dalla fanteria leggera numida, contro la quale le legioni sono inutili e tutto pesa solo sulla cavalleria ausiliaria gallica.

I CESARIANI ASSALTANO LA CITTA' DI SURSURA
- Nel frattempo la città di Vaga, il cui territorio confina con Zeta, invia ambasciatori a Cesare offrendo alleanza in cambio di un presidio. Inviato un manipolo di uomini a presidiare Vaga, il 22 marzo Cesare muove verso Sarsura, il principale obbiettivo di questa fase. La città ospita gran parte dei rifornimenti delle forze repubblicane, e la sua conquista ribalterebbe gli equilibri di forze, con Cesare in possesso di abbondanti risorse e i repubblicani privati delle riserve alimentari.

La città era difesa da un presidio comandato da P. Cornelio, vecchio compagno d’armi di Scipione richiamato in servizio allo scoppio della guerra civile, rinforzato dalla mobilissima cavalleria ausiliaria di Labieno, che segue le colonne cesariane in marcia tormentandole con continui assalti. 

Labieno, resosi conto dell’obbiettivo di Cesare, comincia ad attaccare la retroguardia di Cesare con cavalieri ed armati alla leggera, riuscendo ad intercettare e ad imprigionare i vivandieri con i loro bagagli. Rincuorato dai successi tenta un ulteriore attacco, cadendo nella trappola di Cesare, la cavalleria numida si avvicina troppo alle legioni convinto che la fanteria pesante cesariana, gravata dal peso degli zaini da marcia, non possa reagire.

Ma Cesare, che ha previsto tutto, aveva ordinato che trecento soldati di ogni legione marciassero senza carico, così quando la cavalleria repubblicana attacca questi contrattaccarono mandando in rotta le forze di Labieno che subiscono pesanti perdite. Da quel momento la cavalleria repubblicana continua a seguire le forze di Cesare, ma a distanza di sicurezza.

A quel punto le legioni si lanciano all’assalto della città, il presidio difensivo comandato da Cornelio si batte con valore, ma circondato dalla moltitudine delle forze cesariane venne sterminato sotto gli occhi della cavalleria alleata, che ancor scossa dagli scontri precedenti non porta nessun aiuto ai compagni. Cesare si impossessa così dei rifornimenti alimentari che daranno una svolta decisiva alla guerra.
BATTAGLIA DI TAPSO

La fine della guerra africana e la guerra di Spagna 

- Cesare rinuncia a rioccupare Tysdrus, riconquistata dai repubblicani e difesa da un forte presidio e da una coorte di gladiatori sotto la guida di Considio, e punta verso nord per ricongiungersi con le truppe rimaste ad Aggar. Scipione prova a sbarrargli la strada presso la città Tegea, ma la cavalleria di Labieno viene respinta da quella cesariana, rafforzata da arcieri e frombolieri, mentre Scipione evita nuovamente lo scontro ritirandosi con le legioni.

- Il 4 aprile lasciato il campo di Aggar Cesare muove verso Tapso fortificandosi in un angusto campo di saline fra la città e il mare. Il giorno dopo Scipione schiera il suo esercito di fronte al campo di Cesare, che esce alla testa delle sue truppe in assetto da guerra.

Stavolta, bloccato fra le mura cittadine e le trincee del campo di Cesare, Scipione deve attaccare battaglia, sentendosi sicuro per la posizione favorevole, ma Cesare lo anticipa attaccando sul tempo e annienta le legioni di Scipione, lasciando sul campo circa 10000 uomini.

Per i repubblicani la guerra era persa, le popolazioni locali si ribellarono in massa passando dalla parte di Cesare e le spietate repressioni messe in atto dai generali di Scipione accelerarono il fenomeno. Ad Utica, ultimo caposaldo della resistenza, la popolazione assedia Catone, in gran parte favorevole a Cesare nonostante le espulsioni di massa di mauri e numidi, sospettati per l’antica fedeltà a Mario. La successiva strage dei capi repubblicani sancisce la vittoria decisiva di Cesare.

Scipione tentando di fuggire dall’Africa con alcune navi viene sorpreso dalla flotta cesariana al largo di Ippona e muore annegato durante la battaglia navale. Giuba, cacciato dal suo regno dai numidi in rivolta, e Petreio si uccidono reciprocamente in duello rendendosi conto di non aver più scampo, Catone si suicida prima di veder Utica occupata dal nemico. Cesare può ritornare finalmente in Italia dove il 25 luglio del 46 a.c. celebra ben quattro trionfi (sul Ponto, sulla Gallia, sull’Egitto e sulla Numidia).

Nel frattempo Gneo Pompeo Iunior riorganizza in Spagna le ultime forze repubblicane. Cesare è allora costretto a ripartire per la Spagna e il 17 marzo del 45 a.c. e a Munda si combatte lo scontro decisivo. E' la battaglia più dura sostenuta da Cesare in tutte le sue campagne, tanto che a metà giornata le forze pompeiane sembravano inarrestabili e Cesare valutava di darsi la morte; solo una disperata azione lo salvò dalla disfatta permettendogli di ottenere la vittoria finale.

La guerra civile era finita ma il costo era terribile, sul campo erano rimasti circa 32000 pompeiani e 1000 soldati di Cesare, una cifra spaventosa, per fare un raffronto, a Tapso Cesare perse non più di un centinaio di uomini. Cesare era il solo padrone dell’impero e lo sarebbe stato per 1 anno, fino alle idi di marzo del 44 a.c., quando venne assassinato all’entrata del Senato.



L'ASSEDIO DI GERGOVIA (52 a.c.)


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Battaglia di Gergovia 52 a.c.

Comandanti
- Gaio Giulio Cesare - (Effettivi 6 legioni 60.000 armati. Perdite: alcune coorti)
- Vercingetorige

«Caesar ex eo loco quintis castris Gergoviam pervenit»
(Cesare, Commentarii de bello Gallico, VII, 36)

La battaglia di Gergovia fu un episodio della Conquista della Gallia da parte della Repubblica romana: la battaglia si svolse nell'anno 52 a.c. tra l'esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare e l'esercito gallico di Vercingetorige, che inflisse una sconfitta ai Romani.

Giulio Cesare arrivò in Gallia nel 58 a.c., dopo il consolato dell'anno precedente. Era, infatti, consuetudine che i consoli, gli ufficiali più elevati in grado di Roma, alla fine del loro mandato fossero nominati governatori in una delle province dal Senato romano. Grazie agli accordi del I triumvirato (alleanza politica con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso), Cesare fu nominato governatore della Gallia cisalpina (la regione fra le Alpi, gli Appennini, l'Adriatico), dell'Illirico e della Gallia Narbonense.

GAIO GIULIO CESARE

LA PERSONALITA' DI CESARE

Cesare conosce benissimo le sue immense potenzialità, è uno stratega fantastico, ha un'immaginazione senza limiti, una mente mobile come pochi, sa scegliere le persone e sa quali compiti affidargli. Le sue strategie non si somigliano mai, rendendo al nemico imprevedibili i suoi movimenti. E' colto e arguto, ma sa trattare benissimo con i semplici. Ha un fiuto stupendo per i percorsi in luoghi mai visitati, legge nell'animo delle persone, e sa come rapportarsi a loro. E' autorevole ma con grande semplicità.

Gli altri riconoscono immediatamente la sua superiorità mentale e gli si affidano. Cesare è ambizioso di gloria, è vissuto da bambino con l'insegnamento di suo zio, il grande Caio Mario, uomo del popolo a cui i senatori patrizi dovevano sempre rivolgersi, loro malgrado, per salvare le situazioni. E' un generale fantastico, nella strategia e nell'addestramento dei suoi uomini, il popolo lo adora.

Mario se l'è portato nella palestra e gli ha insegnato a combattere, Cesare è il figlio che avrebbe voluto avere, è solo suo nipote ma non appena crescerà se lo porterà in battaglia. Anche Mario è conoscitore di animi e capisce che quel nipote ha un talento speciale. Purtroppo non potrà farlo perchè morirà quando Cesare ha 14 anni e a sedici anni perderà anche il padre, ora poteva contare solo su se stesso.

Ora Cesare, con la scusa di dover impedire che il popolo degli Elvezi attraversi la Gallia e si stabilisca in una posizione pericolosa per Roma, ad occidente dei suoi possedimenti della provincia Narbonense, comincia ad attaccare queste tribù che per secoli avevano costituito il "Metus Gallicus", il terrore che i romani avevano di essere attaccati dai Galli. Del resto queste popolazioni facevano continue incursioni oltre confini, razziando bestiame e viveri, stuprando le donne e uccidendo chi gli si opponeva e pure chi non gli si opponeva, bambini compresi.

Cesare sconfigge una ad una tutte le popolazioni della Gallia, a cominciare dalla Gallia Belgica, per passare a quelle della costa atlantica, fino all'Aquitania.
Sconfigge inoltre le popolazioni germaniche di Ariovisto nell'Alsazia, passa il Reno per due volte, nel 55 e 53 a.c.; e primo tra i Romani, conduce due spedizioni contro i Britanni oltre La Manica nel 55 e 54 a.c.



IL PRELUDIO

Le agitazioni in Gallia non erano ancora finite con l'inverno del 53-52 a.c., benché Cesare fosse tornato per l'inverno a svolgere le normali pratiche amministrative nella Gallia cisalpina, ed a controllare più da vicino quanto accadeva a Roma in sua assenza.

La situazione era precipitata, i galli si erano uniti in una coalizione che si manifestò quando i Carnuti uccisero tutti i coloni romani nella città di Cenabum (moderna Orléans). Questo scoppio di violenza fu seguito dal massacro di altri cittadini romani, mercanti e coloni, nelle principali città galliche. Venutone a conoscenza, Cesare radunò rapidamente alcune coorti che aveva reclutato nel corso dell'inverno ad integrazione dell'esercito lasciato a svernare in Gallia ed attraversò le Alpi, ancora coperte di neve. Cesare non ha regole, combatte d'estate e d'inverno, di giorno e di notte, è imprevedibile.

Con la sua proverbiale rapidità Cesare guida le corti fino al ricongiungimento con le truppe lasciate nel cuore della Gallia, ad Agendico. I successi militari si susseguono comportando l'occupazione delle città di:
Vellaunodunum (dei Senoni),
Cenabum (capitale dei Carnuti),
Noviodunum
Avaricum (capitale dei Biturigi),

Cesare è deciso a portare a termine la campagna di quell'anno, con la sottomissione definitiva delle popolazioni dell'intera Gallia.

CARTINA DELLA BATTAGLIA (INGRANDIBILE)
Divide, pertanto, l'esercito in due parti: al suo generale Tito Labieno lascia 4 legioni, inviandolo a nord per sopprimere la rivolta di Senoni e Parisi; mentre a sé stesso riserva il compito più difficile: quello di rincorrere Vercingetorige fino alla capitale del popolo degli Arverni, con le rimanenti 6 legioni. Così volge a sud, seguendo il fiume Elaver, verso la capitale arverna di Gergovia (le cui rovine sorgono nei pressi di Clermont-Ferrand).

Giuntagli la notizia dell'avanzata di Cesare, Vercingetorige, interrotti tutti i ponti di quel fiume, si pone in marcia lungo la sponda opposta.

«I due eserciti rimanevano l'uno al cospetto dell'altro, ponevano i campi quasi dirimpetto. La sorveglianza degli esploratori nemici impediva ai Romani di costruire in qualche luogo un ponte per varcare il fiume. Cesare correva il rischio di rimanere bloccato dal fiume per la maggior parte dell'estate, in quanto l'Allier non consente con facilità il guado prima dell'autunno. Così, per evitare tale evenienza, pose il campo in una zona boscosa, dinnanzi a uno dei ponti distrutti da Vercingetorige; il giorno seguente si tenne nascosto con due legioni.

Le altre truppe, con tutte le salmerie, ripresero il cammino secondo il solito, ma alcune coorti vennero frazionate perché sembrasse inalterato il numero delle legioni. Ad esse comandò di protrarre la marcia il più possibile: a tarda ora, supponendo che le legioni si fossero accampate, intraprese la ricostruzione del ponte, utilizzando gli stessi piloni rimasti intatti nella parte inferiore. L'opera venne rapidamente realizzata e le legioni furono condotte sull'altra sponda. Scelse una zona adatta all'accampamento e richiamò le rimanenti truppe

(Cesare, De bello Gallico, VII, 35)

E così Vercingetorige è costretto a precederlo fino a Gergovia a marce forzate, mentre Cesare raggiunge la capitale degli Arverni nella quinta giornata di viaggio. In quel giorno deve sostenere un piccolo combattimento tra le cavallerie ed osserva la posizione della città, posta sopra un monte molto alto, di difficile accesso da tutte le parti.

"Il proconsole romano, per prima cosa, reputò necessario procurarsi le necessarie provviste prima di darne l'assalto, e comunque di porre il proprio campo ai piedi della rocca. Vercingetorige, che lo aveva preceduto, si era già installato sullo stesso monte presso la città, avendo inoltre occupato con le milizie di ogni altra nazione gallica, tutte le cime della catena intorno all'oppidum arverno."

Forze in campo:

- Gaio Giulio Cesare si apprestò ad assediare la capitale degli Arverni con sei legioni:
la VI, VIII, IX, X, XIII e XIIII.
- Vercingetorige deve essere stato in possesso di 60/80.000 armati come suggerirebbe il confronto tra due passi del De bello Gallico.



L'ASSEDIO

Non passa giorno che Vercingetorige non provochi i Romani con scontri di cavalleria, ma pure con gli arcieri. Poco distante dal grande campo di Cesare, c'è una collina ben munita, ai piedi della rocca, ed occupata con un consistente presidio di Galli. Il generale romano ritiene che occuparla faciliterebbe l'assalto a Gergovia, ma soprattutto priverebbe il nemico dell'approvvigionamento di gran parte dell'acqua e della possibilità di foraggiare liberamente.

Così una notte, Cesare uscito dal campo in silenzio, prima che possano giungere i soccorsi dalla città, riusce a cacciare il presidio gallico e vi pone a difesa due legioni. Poi fa scavare una doppia fossa, larga dodici piedi, che congiungeva il campo maggiore con il minore, in modo da costituire un camminamento protetto per i soldati che si spostano da un campo all'altro, contro eventuali assalti del nemico.

Però mentre Cesare si trova a Gergovia, il capo degli Edui, Convictolitave, al quale poco prima aveva assegnato la magistratura suprema, si ribella all'alleato romano, sobillato dagli Arverni, dopo aver fatto credere ai suoi sudditi che alcuni dei loro capi siano stati uccisi a tradimento dallo stesso Cesare.

Convictolitave fa trucidare alcuni cittadini romani dopo averli spogliati dei loro beni, inviando poco dopo un certo Litavicco, alla testa di 10 000 armati, ad unirsi alle forze galliche insorte di Vercingetorige.

Eporedorige e Viridomaro, due dei più prestigiosi capi Edui, ora creduti morti, si trovavano a fianco di Cesare nel difficile assedio. Conosciuti i fatti, pregano il generale romano di:
« non permettere agli Edui di venir meno all'alleanza con il popolo romano per colpa dei perfidi piani di alcuni giovani, lo prega di tener conto delle conseguenze, se tante migliaia di uomini si fossero unite ai nemici»
 (Cesare, De bello Gallico, VII, 39.)

Cesare non perde tempo e marcia con quattro legioni verso la colonna degli Edui distante solo 25 miglia, dopo aver lasciato al campo base le restanti due legioni ed il legato Gaio Fabio. Giunti in vista dell'esercito Eduo, il proconsole invia proprio Eporedorige e Viridomaro, che gli Edui credevano morti, per smascherare l'inganno di Litavicco. Quest'ultimo, prima di poter essere scoperto, fugge e si rifugia a Gergovia.

Cesare deve perdonare l'intera nazione degli Edui, per evitare di aprire un nuovo fronte di guerra, tanto più che deve rientrare al campo base presso Gergovia sotto attacco nemico. E' solo grazie al suo provvidenziale intervento che le due legioni rimaste a guardia dei bagagli, vengono salvate dal costante assedio operato dalle truppe galliche di Vercingetorige fin dalla partenza di Cesare.



LA SCONFITTA

Cesare, recatosi ad ispezionare il campo minore, si accorge che la collina occupata dai Galli di fronte alla capitale degli Arverni, è del tutto libera dagli uomini, contrariamente ai giorni precedenti. Decide allora di occupare quel colle in modo da bloccare ogni via di vettovagliamento a Vercingetorige ed al suo esercito.

Dalla mezzanotte successiva fino all'alba, Cesare invia tra i colli vicini alcuni reparti di cavalleria con bagagli e muli, simulando possibili azioni di attacco da più parti, sapendo che da Gergovia non si poteva riconoscere che cosa realmente accadesse, per la grande distanza. Contemporaneamente invia una legione lungo il crinale occidentale ai piedi della città, in posizione boscosa e quindi nascosta, mentre la cavalleria degli Edui è pronta ad attaccare sul fianco destro lungo un'altra salita.

 «Le mura della città distavano dalla pianura e dall'inizio della salita milleduecento passi in linea retta, se non ci fosse stata di mezzo nessuna tortuosità. E tutte le curve che si aggiungevano per attenuare la salita, aumentavano la distanza. Sul colle, a mezza altezza, i Galli avevano costruito in senso longitudinale un muro di grosse pietre, alto sei piedi, che assecondava la natura del monte e aveva lo scopo di frenare l'assalto dei nostri.

Tutta la zona sottostante era stata evacuata, mentre nella parte superiore, fin sotto le mura della città, i Galli avevano posto fittissime le tende del loro campo. Al segnale i legionari raggiungono rapidamente il muro, lo superano e conquistano tre accampamenti. L'azione fu così rapida, che Teutomato, re dei Nitiobrogi, sorpreso ancora nella tenda durante il riposo pomeridiano, a stento riuscì a sfuggire ai nostri in cerca di bottino, mezzo nudo, dopo che anche il suo cavallo era stato colpito.»
 (Cesare, De bello Gallico, VII, 46.)

Cesare ordina il rientro delle truppe al campo base, mentre la legione X, che è con lui, si ferma per coprirne la ritirata. Qualcosa però non funziona e molti dei legionari continuano la loro avanzata. «Trascinati, però, dalla speranza di una rapida vittoria, dalla fuga dei nemici e dai successi precedenti, pensarono che non vi fosse impresa impossibile per il loro valore. Così, non cessarono l'inseguimento finché non ebbero raggiunto le mura e le porte della città
 (Cesare, De bello Gallico, VII, 47.)

La reazione dei Galli, per il timore di essere massacrati come ad Avarico, è immediata. Dopo essersi, precipitati fuori dalle porte della città, mentre le donne gettavano dalle mura indumenti ed argenti supplicando i Romani di risparmiarle insieme ai loro figli, riescono a respingere gli attacchi della legio VIII. La ritirata dei Romani è disastrosa. Cesare deve intervenire con la legio X, dopo che la cavalleria degli Edui, intervenendo sul fianco destro, non viene riconosciuta dai Romani dell'VIII legione, temendo di essere ingannati e circondati.

Anche il legato Tito Sestio, che si trovava presso il campo minore, esce insieme alle coorti della legio XIII e legio VIII (quest'ultima comandata dal centurione Marco Petreio Cesariano), per frenare i Galli che inseguono i Romani. Al termine dello scontro, risultano uccisi quasi 700 legionari e ben 46 centurioni.

 Il giorno seguente Cesare, convocato l'intero esercito in assemblea, rimprovera la temerarietà, la cupidigia, la sfrenatezza ed indisciplina dei suoi legionari, che non si sono arrestati al segnale della ritirata e nemmeno poterono trattenerli i tribuni militari e i legati. Cesare spiega che ha dovuto abbandonare una vittoria certa, avendo sorpreso il nemico senza comandante e senza cavalleria, per coprire una ritirata nella quale ha perduto quasi due coorti di armati.

Ricordò loro che è suo compito stabilire la tattica in battaglia e portare a termine l'operazione. Non tollererà alcuna azione di indisciplina in futuro. Poi rincuora gli animi della sua armata, e dispone che, affinché non si scoraggino ed attribuiscano al valore del nemico ciò che è dipeso dalla posizione sfavorevole, le legioni si schierino in ordine di battaglia di fronte al campo romano.

E così fa anche il giorno successivo, ma poiché Vercingetorige non scende per accettare battaglia, certamente per il timore della superiore tattica bellica, Cesare muove il campo in direzione del paese degli Edui, dove si profila una nuova rivolta ai suoi danni. Vercingetorige non lo insegue e rimane arroccato dentro Gergovia.

Cesare non fu sconfitto dal nemico, ma dovette desistere dall'assedio e cercare un nuovo campo di combattimento, ma per lui fu una sconfitta. Perchè già si profilava la battaglia di Alesia.


BIBLIO

- Cassio Dione - Storia romana - libri XL -
- Svetonio - Vite dei Cesari - Vita di Cesare -
- J. Carcopino - Giulio Cesare - traduzione di Anna Rosso Cattabiani - Rusconi Libri - 1993 -
- Andrea Frediani - Le grandi battaglie di Giulio Cesare - Roma - 2003 -



LA LEGGENDA DI CESARE


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NENNIO

Nennio è un mitico principe della Britannia ai tempi delle invasioni della Britannia di Giulio Cesare (55-54 a.c.). La sua storia appare nella Storia dei re di Gran Bretagna di Geoffrey of Monmouth (1136), un'opera i cui contenuti sono ormai considerati in gran parte fittizi. Geoffrey fu un chierico britannico che molto scrisse sulla storia di re Artù propagandone il mito. Nelle versioni medio-gallesi di Geoffrey's Historia Nennio veniva chiamato Nynniaw.

Nella storia di Geoffrey, si dice che Nennio abbia combattuto Cesare in un combattimento personale e abbia preso la sua spada, che usava per uccidere molti romani. Nelle ere Tudor e giacobini divenne un emblema del patriottismo britannico.



HISTORIA REGUM BRITANNIAE

Historia regum Britanniae (La storia dei re di Gran Bretagna ), originariamente chiamata "De gestis Britonum", è un racconto pseudo-storico della storia britannica, scritto intorno al 1136 da Geoffrey di Monmouth. Descrive le vite dei re dei britannici nel corso di duemila anni, a cominciare dai Troiani che fondarono la nazione britannica (una storia che abbiamo già sentita per Roma) e continuarono fino a quando gli anglo-sassoni assunsero il controllo di gran parte della Gran Bretagna intorno al VII secolo.

È uno dei pezzi centrali della leggenda della Britannia. Sebbene sia stato preso come bene storico nel XVI secolo, ora è considerato poco attendibile negli avvenimenti, compreso le invasioni della Britannia di Giulio Cesare, che peccano di inesattezza.

Historia regum Britanniae di Geoffrey Monmouth (1095- 1155) fu un chierico britannico e una delle maggiori figure nello sviluppo della storiografia britannica e della popolarità di storie di re Artù. Conosciuto per la sua cronaca "La storia dei re di Gran Bretagna" (De gestis Britonum o Historia Regum Britanniae) scritto in latino del 1136, molto popolare ai suoi tempi, essendo tradotta in altre lingue dal suo latino originale, ha ricevuto credito storico nel XVI secolo, ma ora è considerato storicamente poco affidabile.

La "Storia" fornisce il seguente resoconto della vita di Nennio.





HELI

Nennio era il terzo figlio di Heli, re d'Inghilterra, che nella Historia Regum Britanniae (1130) compare come il figlio di Digueillus, sovrano saggio e modesto, e padre di Lud, di Cassivellaunus e di Nennio, (e secondo fonti gallesi, di Llefelys). Si dice che Heli abbia regnato sul trono per 40 anni, dopo di che gli successe il figlio Lud (Llud). Nelle traduzioni in lingua gallese del lavoro di Geoffrey, noto collettivamente come Brut y Brenhinedd, il nome di Heli fu restituito a Beli e suo padre cambiò nome in Manogan.


LUD

Lud fu re di Britannia in epoca pre-romana che salì al trono nel 73 a.c., fondò Londra ("città di Lud", trasformata in Londinum dai romani) e fu sepolto a Ludgate, "Porta di Lud". Era il primogenito del re Heli e succedette al trono al padre. Lud, forse collegato con la figura mitologica gallese Lludd Llaw Eraint, chiamò il suo fratello minore Llefelys per liberare la Gran Bretagna dalle piaghe che affliggono il regno. 
La prima piaga fu quella dei Coraniani, una razza di nani "asiatici" che potrebbero rappresentare i Romani. Hanno un senso dell'udito così acuto da poter sentire ogni parola che il vento tocca, rendendo impossibile l'azione contro di loro.
- La seconda piaga fu quella dei draghi bianchi e rossi. I draghi rappresentavano i Brythons (Britanni), mentre i draghi rossi rappresentavano gli invasori anglosassoni (di origine germanica) della Britannia.
DAL FILM "KING ARTHUR"

L'ULTIMA LEGIONE
Il film è basato su un romanzo dedicato agli avvenimenti che accompagnarono la fine dell'Impero romano d'Occidente e la nascita della leggenda di Re Artù. 

Il film viene narrato da Ambrosinus, ovvero Aureliano Caio Antonio, un druido britanno che conosce la leggenda della spada di Giulio Cesare, passata di mano in mano tra gli imperatori romani fino a Tiberio, alla cui morte venne nascosta per evitare che uomini malvagi se ne impossessassero. 

Il film inizia poco prima dell'incoronazione di Romolo Augusto come imperatore nel 460. Ambrosius ha viaggiato in quasi tutto il mondo in cerca della spada di Cesare, diventa il tutore di Romolo. 

Alla fine Romolo uccide Wulfila con la spada di Cesare, vendicando i suoi genitori, ma non vuole più guerre e getta via la spada, che va a incastonarsi in una solida roccia.

Molti anni dopo, Ambrosinus, che ha ripreso il suo vecchio nome celtico di Merlino è con un giovane Artù al quale rivela di essere figlio di Romolo (che ha preso il nome di Pendragon) che era stato allevato da Aurelio e Mira. Re Artù è dunque romano.



AMBROSIO AURELIANO VENTIDIO

E' di quest'epoca la figura di Ambrosio Aureliano che sconfisse gli invasori anglo-sassoni, e che probabilmente fu il mitico Re Artù, in quanto ritenuto il capo dei britannici romanizzati nella battaglia del Monte Badon, una battaglia combattuta tra i romano-britannici e i celti da un lato e un esercito di invasori anglo-sassoni dall'altra negli anni 490, che risultò una pesante sconfitta di quest'ultimi.

AMBROSIO AURELIANO
Dopo il distruttivo assalto dei sassoni, i sopravvissuti si riunirono sotto la leadership di Ambrosio, che viene così descritto:

«Era un uomo modesto, l'unico della razza romana che era casualmente sopravvissuto nel frastuono della tempesta (i suoi genitori, che avevano sempre indossato la porpora, erano morti con questa) che si è scatenata ai nostri giorni e che ci ha condotti assai lontano dalla virtù degli avi... a questi uomini, con il consenso di Dio, arrise la vittoria

Secondo Gildas, Ambrosio organizzò i superstiti in un esercito e ottenne la prima vittoria militare contro gli invasori sassoni. Tuttavia, questo successo non fu decisivo: "A volte i sassoni e a volte i cittadini (romano-britanni) furono vittoriosi". Il fatto che Gildas dica che i parenti di Ambrosio "portarono la porpora" indicherebbe che egli era collegato con uno degli imperatori romani, forse con la casata di Teodosio o con un usurpatore, come Costantino III, ma secondo altri suo padre era un console romano. Anche qui ricorda il mitico Re Artù.



CASSIVELLAUNUS

A Lud successe, a sua volta, suo fratello Cassivellaunus, uno storico capo tribale britannico che guidò la difesa contro la seconda spedizione di Giulio Cesare in Gran Bretagna nel 54 a,c. Condusse un'alleanza di tribù contro le forze romane, ma alla fine si arrese dopo che la sua posizione fu rivelata a Giulio Cesare dai britannici sconfitti.
Nennio combatté al fianco di Cassivellaunus quando Cesare invase la Britannia. Mandubracio era figlio di un re trinoviano, di nome Imanuentius in alcuni manoscritti del De Bello Gallico di Giulio Cesare, che fu rovesciato e ucciso dal signore della guerra Cassivellaunus qualche tempo prima della II spedizione di Cesare in Gran Bretagna nel 54 a.c.
Mandubracio, figlio del re dei Trinovanti, fuggì allora per farsi proteggere da Cesare in Gallia. Cassivellaunus quindi guidò la difesa britannica contro i Romani, ma i Trinovanti tradirono la posizione della sua fortezza a Cesare, che procedette ad assediarlo. Come parte dei termini della resa di Cassivellauno, Mandubracius fu installato come re dei Trinovantes, e Cassivellaunus si impegnò a non fare guerra contro di lui.

CESARE

NENNIO

Nennio e suo nipote Androgeo, il figlio maggiore del re Lud, guidarono le truppe di Trinovantum (Londra) e Canterbury, e incontrarono le truppe di Cesare e Nennio affrontò Cesare in un combattimento. Caesar colpì Nennio con un colpo alla testa, ma la sua spada rimase bloccata nello scudo di Nennio. 
Dopo essersi separati nella mischia, Nennio gettò la propria spada e attaccò i romani con la spada di Cesare, uccidendo molti, incluso il tribuno Labieno. Secondo Geoffrey, "tutti quelli che Nennio aveva colpito con la spada avevano la testa tagliata oppure erano rimasti feriti così gravemente da non avere alcuna speranza di poter mai guarire". 
La mitica spada è dunque Escalibur che uccide con un solo tocco, e da sola può sterminare un gruppo. Chi ne è ferito, anche lievemente, alla fine muore. Ed ecco l'invincibilità di Cesare, aveva una spada magica, il che spiega da un lato quanto fosse temuto e mitizzato Cesare, dall'altro canto il merito non era suo ma della sua magica spada.



QUINTO LABERIO DURUS

Quinto Laberio Durus (morto il 54 agosto a.c.) era un tribuno militare romano morto durante la II spedizione di Giulio Cesare in Gran Bretagna. Cesare descrive come subito dopo l'arrivo nel Kent, i Romani furono attaccati mentre costruivano un campo dai nativi britannici. Prima che i rinforzi potessero arrivare, Laberio fu ucciso. Il suo luogo di sepoltura è tradizionalmente il terrapieno della Tombadi Julliberrie vicino a Chilham (che è in realtà un lungo tumulo neolitico).

Orosio, nei suoi Sette libri di storia contro i pagani, lo chiama Labieno, confondendolo con il legato di Cesare Tito Labieno, che visse per combattere contro Cesare durante la guerra civile. L'errore fu perpetuato da Bede e Geoffrey of Monmouth, i quali si riferiscono a un tribuno chiamato Labieno ucciso in Gran Bretagna. Quest'ultimo dice di essere stato ucciso da Nennio. A noi sembra si sia confusa la I con la II spedizione di Cesare.
CESARE

GIULIO CESARE

Nel corso delle sue Guerre Galliche, effettivamente Giulio Cesare invase il Regno Unito due volte: nel 55 e nel 54 a.c.. Nella prima occasione Cesare portò con sé solo due legioni, e riuscì poco oltre uno sbarco sulla costa del Kent. La seconda invasione consisteva in 628 navi, cinque legioni e 2.000 cavalieri. La forza era così imponente che i britannici non osarono contestare lo sbarco di Cesare nel Kent, in attesa invece di iniziare a muoversi nell'entroterra. 

Cesare penetrò nel Middlesex, un'antica contea nel sud-est dell'Inghilterra, e attraversò il Tamigi, costringendo il generale britannico Cassivellaunus ad arrendersi come referente di Roma e ad insediare Mandubracio dei Trinovanti come re cliente. Quindici giorni dopo la battaglia Nennio morì per la ferita alla testa inflittagli da Cesare con la sua straordinaria spada, e fu sepolto a Londra (la "Città dei Trinovantes"), vicino alla Porta Nord. 

La spada di Cesare, chiamata Crocea Mors (Morte gialla), fu sepolta con Nennio. Nelle versioni medio-gallesi, si chiama Angau Coch (Morte rossa) o Angau Glas (Morte grigia).


Versioni successive

Lo scrittore anglo-normanno R. Wace elabora la storia del combattimento nel suo libro Roman de Brut, dove Cesare sconfigge Nennio, ma la sua spada è bloccata nello scudo di Nennio ed è costretto a ritirarsi quando gli amici di Nennio vengono in suo aiuto. In questa versione, la perdita della sua spada è un'umiliazione che porta al ritiro di Cesare e ispira la ribellione nelle Gallie. E qui Cesare senza la sua magica spada non vale nulla. Ovviamente Cesare non ha mai combattuto personalmente da generale, limitandosi al massimo di recarsi nelle prime fila a incitare i suoi uomini.

Comunque nel periodo Tudor Nennio divenne un simbolo patriottico dell'indipendenza britannica. Avere abquisito la magica spada era come avere il potere di Cesare, o almeno chi la trovava lo erdeitava.

In The Mirror for Magistrates è interpretato come una "lezione ispiratrice per il futuro popolo britannico per difendere il proprio paese dall'invasione straniera". In questa versione Caesar sconfigge Nennio ma attraverso un imbroglio, perchè avvelena la punta della sua spada. Qui Cesare è il cattivo ingannatore che può uccidere il grande britanno solo con l'astuzia e l'inganno. Così Nennio diventa la vittima e Cesare il sordido carnefice, e qui ricorda un po' l'Amleto che muore a causa dell'avvelenamento della spada nemica ad opera del perfido padrigno.


LA REGINA BOUDICA

Nennio appare anche nelle commedie in epoca giacobiana, in particolare Fuimus Troes di Jasper Fisher e Bonduca di John Fletcher. Nel primo incarna lo spirito combattivo dei britannici e viene dato il discorso patriottico di apertura che esorta il popolo a resistere all'invasione. I suoi giochi funebri dopo il suo combattimento con Cesare formano il punto culminante del gioco. In quest'ultimo è anacronisticamente ritratto come un contemporaneo di Boudica (60 o 61 d.c.), agendo come uno dei suoi generali.
Boudica è un'eroina e i romani sono stati bugiardi, crudeli e barbari. Comunque neanche Boudica è una santa perchè si diverte a torturare i romani. Circa 70.000-80.000 tra romani e inglesi vennero uccisi dagli eserciti di Boudica, molti dalle torture. 
Svetonio, nel frattempo, raggruppò le sue forze, e nonostante fosse pesantemente in inferiorità numerica, sconfisse decisamente i britannici. Boudica si uccise per evitare la cattura (Tacito), o morì di malattia (Cassius Dio).

CONCLUSIONE
Le invasioni britanniche di Giulio Cesare misero a contatto le tribù locali con la grande capacità organizzativa, combattiva dei romani, ma pure della loro civiltà molto più avanti del livello britannico che era pressoché all'età del bronzo. 
EXCALIBUR
Tale salto qualitativo per essere assorbito aveva bisogno di sforare in una dimensione diversa che superasse l'ansia del quotidiano, e come sempre dette luogo a leggende e miti, in una dimensione al disopra dell'umano.
Così Cesare diventa un uomo eccezionalmente potente, ma essendo nemico non è per suo merito ma perchè possiede una spada magica, superlativa, che uccide chiunque la tocchi. E' la spada Escalibur, la spada su cui nasce il mito di Re Artù, l'essere eccezionale che può, unico fra tutti, impugnare la spada del grande Cesare. 
Il mito però viene volto al positivo, risentendo già della morale apportata dal cattolicesimo: mentre Cesare vince perchè è un eccezionale stratega, Artù vince perchè è puro di sangue reale, un sangue che assicura un'audacia e un coraggio sconosciuti al volgo.
La spada in un certo senso sceglie il suo padrone, per virtù e per nascita, e ricompone l'audacia dei Britanni con la capacità dei romani, fondendo nella figura del re la grandezza dell'animo e la capacità di battersi. 
E' la figura del re che attrae fatalmente il mago Merlino, erede della arcaica magia britannica, e contemporaneamente è Merlino che opera quasi suo malgrado perchè la terra abbia il Re Degno di governare in giustizia il suo popolo. 
Il tutto poi mescolato col Santo Graal che riunisce in sè magia e religione, prima che la mentalissima Chiesa Cattolica non perseguitasse la magia come opera diabolica. Il tempo dei miti è il tempo del grande cambiamento che può effettuarsi a favore del mondo dell'anima con la poesia, il sogno e i miti, o a favore della mente, con l'intransigenza, le regole drastiche e la richiesta di obbedienza supina. 
Unico vincitore resta Gaio Giulio Cesare che, per quanto assassinato a tradimento, resta il più grande eroe dell'antica Roma, a cui, dopo 2000 anni, persone di ogni paese pongono fiori sulla tomba.


BIBLIO

- Andrea Frediani - Le grandi battaglie di Giulio Cesare - Roma - 2003 -
- Luciano Canfora - Giulio Cesare - Il dittatore democratico - Laterza - 1999 -
- Theodore Ayrault Dodge - Caesar - New York - 1989-1997 -
- J. Carcopino - Giulio Cesare - traduzione di Anna Rosso Cattabiani - Rusconi Libri - 1981 -
- Plutarco - Vite parallele - Vita di Cesare e Vita di Pompeo -


 

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