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BASILICA ULPIA


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RICOSTRUZIONE GRAFICA (By Gilbert Gorski)

La Basilica Ulpia era all'epoca la più grande basilica di Roma, con 170 m di lunghezza (120 senza absidi) e 60 m di larghezza e chiudeva il lato nord-occidentale della piazza con il suo lato lungo, rialzato su tre gradini.

La facciata era articolata da tre avancorpi, ed era sormontata da un attico con sculture di Daci in marmo bianco, alternati a pannelli con a rilievo cataste di armi (i trionfi). Il coronamento sporgente sopra i Daci recava iscrizioni in onore delle legioni dell'esercito.

La monumentale basilica era inserita nel complesso del Foro di Traiano e intitolata alla famiglia dell'imperatore Traiano, il cui nome completo era appunto Marcus Ulpius Traianus (98-117), e fu costruita tra il 106 e il 113 d.c., data dell'inaugurazione del Foro di Traiano, da Apollodoro di Damasco su ordine dell'imperatore.

Oltre alle funzioni forense e commerciale, nella basilica aveva anche luogo, secondo la Forma Urbis, l'emancipazione degli schiavi nell'Atrium Libertatis, locale che fu distrutto per dare più spazio alla basilica stessa.

In seguito fu trasferito, con l'archivio dei Censori, in una delle due absidi non più visibili oggi .

BASILICA ULPIA (By https://trajanspuzzle.trinity.duke.edu)


DESCRIZIONE

Il Foro Traiano si articolava su una vasta piazza rettangolare con portici sui due lati, chiusa sul fondo dalla splendida Basilica Ulpia su cui svettava la colossale statua equestre di Traiano. La piazza era pavimentata con lastre rettangolari di marmo bianco e la basilica era sopraelevata invece su tre gradini in marmo giallo antico con un colonnato anch'esso nel pregiato marmo giallo antico.

Aveva tre avancorpi: quello centrale a 4 colonne, e i due laterali a 2 colonne e sopra ai colonnati correva l'attico decorato con statue di Daci in marmo bianco che si alternavano a pannelli con rilievi di cataste di armi, simili a quelli sul basamento della Colonna Traiana.

Tra i Daci che reggevano il coronamento erano iscritti infatti i nomi delle legioni che avevano partecipato alle campagne daciche e di cui restano alcuni frammenti con iscrizioni. Il motivo riprendeva sui portici laterali, con Daci in pavonazzetto alternati a clipei (scudi) e ritratti di personaggi imperiali.

Le immagini sulle monete rivelano anche statue, probabilmente in bronzo dorato, di quadrighe con Vittorie alate. Si supponeva venisse da qui il grande fregio traianeo riciclato in quattro tronconi nell'arco di Costantino, ma la cosa è incerta.


All'interno, sappiamo dai testi che il tetto era rivestito da tegole in bronzo dorato, mentre
dentro aveva uno spazio centrale di 25 m di larghezza, circondato sui quattro lati da 96 colonne con fusti in granito grigio di ordine corinzio e un fregio con Vittorie "tauroctone". La navata centrale aveva due navate laterali per lato, divise da colonnati sempre in granito grigio. Sui lati corti una fila di colonne separava le navate da due absidi semicircolari, con un lungo fregio di sfingi.

POSIZIONE DELLA BASILICA EMILIA E DEL FORO TRAIANO
La navata centrale era dotata di secondo piano, con colonne in marmo cipollino, e un terzo ordine, in parte chiuso e in parte aperto dai colonnati sui lati corti. Dal secondo piano si poteva assistere ai processi nelle absidi. Le navate laterali avevano volte a botte ribassate in laterizio, probabilmente controsoffittate secondo l'uso, mentre la navata centrale era a capriate lignee, sempre con controsoffitto.

Il muro di fondo opposto all'ingresso e il muro di fondo dell'abside erano rivestiti in marmo con lesene e semicolonne e la pavimentazione era in marmi colorati: giallo antico, pavonazzetto e marmo africano. Il pavimento della navata centrale era a cerchi e quadrati, tipo il pavimento del Pantheon, mentre nelle navate laterali si alternavano lastre rettangolari.

RICOSTRUZIONE 3D DELLA FACCIATA

I RESTI

Oggi è visibile solo il settore centrale, con l'abside occidentale nascosta sotto via dei Fori imperiali. Qualora fosse interamente scavata la basilica giungerebbe infatti fino alle pendici dell'Altare della Patria, e quella orientale sotto la scalinata di Magnanapoli ed edifici vicini.

L'area della Basilica venne scavata durante l'occupazione napoleonica, agli inizi del XIX sec., con la speranza di proseguire il ricco bottino di opere d'arte che operò in Italia e che possiamo ammirare al Louvre. Furono scoperti il cortile e le fondazioni dei portici laterali antistanti le due Biblioteche. Si scavò poi verso sud-ovest e si rimise in luce una parte più consistente dell'estremità della Basilica, con tracce di pavimentazione, e i resti della biblioteca occidentale, lasciati visibili al di sotto di una soletta in cemento armato che attualmente sostiene i giardini lungo via dei Fori Imperiali.

Negli anni trenta si scavò anche il settore del portico e dell'esedra orientali, ai piedi dei Mercati di Traiano, da cui il Foro è separato da una via basolata.

Ne restano, in parte ricostruiti, i gradini della facciata del portico, con alcuni fusti in granito grigio rialzati in posto, alcuni filari in blocchi di peperino del muro di fondo dei portici e delle esedre ed ampi lacerti della pavimentazione, con grandi lastre originali e traccia dell'impronta delle lastre mancanti sullo strato di preparazione. Tre fusti di colonna in marmo cipollino, rialzati lungo il perimetro del moderno recinto, fuori posto, devono essere invece attribuiti al secondo ordine della navata centrale della Basilica.

Gli scavi effettuati sotto i crolli delle volte delle navate laterali hanno mostrato che alcune parti della Basilica erano rimaste in piedi fino al XII sec. Un settore dell'abside orientale è stato rimesso in luce da scavi condotti sotto il palazzo Roccagiovine.

Infine in anni recenti un grande scavo condotto nel 1998-2000 ha portato alla luce un ampio settore della piazza, in gran parte comunque coperto dagli edifici che sorsero in epoche successive sui resti della basilica. Ne è ancora visibile la fossa di fondazione per la grande statua equestre dell'imperatore, spostata verso sud rispetto al centro della piazza, in corrispondenza del centro delle esedre dei portici.
In occasione dei lavori di ristrutturazione effettuati dalla Fondazione Alda Fendi, sono emerse ampie porzioni della pavimentazione marmorea in giallo antico, pavonazzetto e africano pertinenti alla Basilica Ulpia.

Sul lato opposto settentrionale, in direzione del Campo Marzio, le indagini condotte nei sotterranei di palazzo Valentini e della contigua chiesa del Santissimo Nome di Maria, hanno mostrato strutture in laterizio, ancora da indagare, ma che non sembrano pertinenti alla basilica.

La Basilica Ulpia, come tutte le altre basiliche pubbliche romane, poteva servire di tribunale, di borsa, di luogo di negozio, di ristoro e di passeggiata, protetti dai portici da sole e pioggia.



BIBLIO

- Cassio Dione - Storia romana - a cura di Alessandro Stroppa - 5 volumi - BUR - Milano - 1995 -
- Carla Maria Amici - Foro di Traiano: Basilica Ulpia e Biblioteche, Spoleto 1982.
Roberto Meneghini, Luigi Messa, Lucrezia Ungaro, Il Foro di Traiano, Roma 1990.
James E. Packer, The Forum of Trajan in Rome, Los Angeles & London 2001 -
- Eugenio La Rocca - (con R. Meneghini, L. Ungaro, M. Milella) - I luoghi del consenso imperiale. Foro di Augusto. Foro di Traiano - Progetti Museali editore - Roma - 1995 -






STADIO DOMIZIANO - CIRCO AGONALE


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RICOSTRUZIONE DELLO STADIO DI DOMIZIANO (di Jean-Claude Giovin)


LA STORIA

Prima della costruzione dello stadio di Domiziano, nell'area del Campo Marzio presso il Pantheon, sorsero le terme Neroniane Alessandrine, fatte costruire da Nerone nel 62 d.c. e completamente restaurate da Alessandro Severo nel 227.

Presso le terme Nerone fece realizzare una grande palestra contornata da giardini che, secondo Svetonio, suggerì all'imperatore Domiziano l'idea di costruire un nuovo stadio per abbellire il Campo Marzio e per poter far svolgere le gare ginniche e le corse dei cavalli.

Nell’86 d.c., l’imperatore Domiziano istituì dunque l’Agon Capitolinus in onore di Giove, con gare che si svolgevano ogni quattro anni, con competizioni ginniche precedute da quelle letterarie e musicali all'uso greco.

Il complesso eterogeneo di competizioni includeva, oltre a gare sportive, competizioni di tipo artistico, prevedendo un abbinamento per cui alla corsa a piedi e all’eloquenza, succedevano il pugilato e la poesia latina, il lancio del disco e la poesia greca, quindi il lancio del giavellotto e la musica, in una successione competitiva mista in cui, alle discipline atletiche, si alternavano le dispute culturali.

L’Agone, ideato da Domiziano, era segnato nel programma delle feste della capitale con un ricco cerimoniale, aperto da un fasto inaugurale segnato dalla presenza dell’imperatore che, per l’occasione, si mostrava ( Svetonio, Vite dei Cesari):

“con i sandali ai piedi e indossando una toga purpurea di foggia greca, la testa cinta da una corona d’oro che recava le immagini di Giove, Giunone e Minerva mentre attorno a lui stavano seduti il Flamine Diale e il sacerdote dei Flavi, vestiti allo stesso modo, a eccezione del fatto che le loro corone recavano invece il suo ritratto”

Per l’agone l’imperatore fece costruire uno stadio di 275 m di lunghezza e 106 di larghezza, e un Odeon per le audizioni musicali. I Cataloghi Regionari, elenco di monumenti di età costantiniana, asseriscono potesse contenere circa 30.000 spettatori.

L'edificio dell'Odeon, destinato agli spettacoli musicali, aveva una capienza di circa 10.000 spettatori. Anche in questo caso la forma dell’antico edificio è stata ricalcata dal Palazzo Massimo, la cui facciata su Corso Vittorio Emanuele segue la linea curva della cavea. Dell’Odeon rimane forse solo una alta colonna di marmo cipollino, probabilmente appartenente all’antica scena, che si trova al centro di Piazza dei Massimi, davanti alla facciata posteriore del Palazzo. Dalle fonti sappiamo che questo edificio venne restaurato sotto Traiano dal suo architetto Apollodoro di Damasco.



La pista misurava 276 m di lunghezza e 54 di larghezza e aveva un lato curvo nella parte settentrionale. Questo fu il primo edificio costruito in muratura a Roma e destinato alle competizioni atletiche, precedentemente svolte in strutture lignee smontabili, oppure nel Circo Massimo o nel Circo Flaminio, generalmente destinati alle corse con le bighe.

La forma degli stadi era simile a quella dei circhi, ma senza la spina, obelisco o struttura in muratura centrale che divideva con le mete la pista a metà, indispensabile per le corse delle bighe, e non c'erano i carceres (i cancelli da cui uscivano i cavalli da corsa).
L’obelisco attuale di Piazza Navona non ornava dunque lo stadio domiziano, bensì il Circo di Massenzio sull’Appia Antica.

Si presume non sia vero che piazza Navona venisse usata per le battaglie navali, cioè per la naumachia, leggenda che sarebbe nata perchè la attuale piazza Navona veniva allagata nei secoli scorsi solitamente nel mese di agosto per lenire il caldo; anticamente la piazza era concava, si bloccavano le chiusure delle tre fontane e l'acqua usciva in modo da allagare la piazza. Ma in realtà le leggende sono altre.

(di Jean-Claude Giovin)

SANTA AGNESE IN AGONE

A piazza Navona c'era il tempio di Angerona la Dea Muta, Dea per cui si celebravano sacri misteri, e il cui gesto di intimare il silenzio fu passato poi ad Asclepio.

Nel tempio si esercitava in tempi remoti la prostituzione sacra, per cui nel tempio c'era il Lupanare, il sacro monastero che così si chiamava dai tempi della Dea Lupa, quando le sue "sacerdotesse vergini", le Lupe, esercitavano la ierodulia.

Non si trattava dunque di un postribolo ma di luogo sacro, ma da qui fu montata la storia della tredicenne santa costretta a prostituirsi, che però fa cadere fulminato chi osa avvicinarsi a lei.

Di lei si sa che il suo nome risultava tra i martiri del Canone Romano, ma della sua storia non si sa nulla. Per alcuni fu martirizzata sotto Valeriano, per altri sotto Domiziano. S. Ambrogio scrisse per lei: "Quest'oggi è il natale di una vergine, imitiamone la purezza. E’ il natale di una martire, immoliamo delle vittime." che sa tanto di un pezzo riservato alla Dea Angerona, che era vergine come tutte le Grandi Madri antiche e a cui sicuramente si immolavano vittime.

In quanto alle battaglie navali Svetonio narra che vi si svolgevano, e se nel '700 la piazza poteva essere allagata è perchè i Romani l'avevano all'epoca già resa impermeabile.
Il Fea, dopo raccolte varie testimonianze sulle scoperte di lastroni di travertino fra le chiese di s. Silvestro e di s. Andrea delle fratte, scoperte che attribuisce alla naumachia di Domiziano, narra che:

« nell'anno 1778 fu trovato un gran pezzo di platea ben conservata, sotto la punta della piazza sterrata, incontro la facciata di s. Silvestro e il muro delle Convertite, cavandovi il ... Piranesi. Alcuni quadri di travertini furono levati: altri sono rimasti al suo luogo. Vidi che sotto i travertini scappava l'acqua».


L’edificio, messo fuori uso dall’incendio avvenuto all’epoca di Macrino, fu restaurato nel 217 d.c. e nel 228 d.c.; al tempo di Alessandro Severo, furono eseguiti altri lavori. È probabile quindi che lo Stadio sia stato utilizzato per lo svolgimento degli agonas (gare ginniche) per tutto il IV sec. Comunque era perfettamente conservato e funzionante ancora nel 356 d.c.

Probabilmente già nell’VIII sec. in uno dei fornici era sorta la prima chiesa dedicata a S. Agnese. Successivamente lo stadio venne adibito, come gli altri monumenti romani, a cava di materiali; le strutture elevate vennero inglobate nelle fondazioni di palazzi e chiese.

Parti dei fornici dello stadio vennero alla luce nel 1886-1889 durante lavori eseguiti tra piazza Navona e piazza Sant’Apollinare, nell’allargamento della via Agonale e sul lato sud, all’inizio di via della Cuccagna. 

Nel 1936 in occasione dell’apertura della nuova via che allacciava piazza Navona con il Ponte Umberto, iniziava la demolizione e ricostruzione delle case esistenti sull’emiciclo nord dello Stadio.

L'archeologo W. Amelung ha segnalato una terza classe di marmi usati dagli scultori del rinascimento, quella delle « statue antiche trasformate in figure di santi ». Egli cita il S Sebastiano in s. Agnese dei Pamphili, ricavato da un Giove o da un imperatore seduto: la s. Agnese sotto il tabernacolo della basilica nomentana, replica (antica) di una delle due figure femminili di Ercolano, ora nel museo di Dresda vista la cattiva abitudine di vendere i nostri capolavori all'estero.

Da piazza Tor Sanguigna si accede agli scavi conservati al di sotto del palazzo, in parte visibili anche dalla strada, affacciandosi da un balcone presente lungo il marciapiede all’esterno del palazzo. I resti, a circa m 3,50 sotto il livello stradale, sono costituiti da arcate poggianti su pilastri in blocchi di travertino con semicolonne ioniche e da muri radiali in opera laterizia che erano le sostruzioni della cavea.



DESCRIZIONE

L’ingresso era sottolineato da una coppia di colonne in marmo, mentre il resto della facciata era realizzata in blocchi di travertino con semicolonne addossate.

La struttura era invece in laterizio, e si disponeva su tre ambulacri ad arcate che sostenevano due piani di gradinate. 

Ogni cinque arcate vi era una scala che conduceva ai piani superiori. Ancora oggi le cantine dei palazzi che circondano la piazza sono costituite dalle arcate dello Stadio.

Si conservano anche i resti delle scale che immettevano ai piani superiori delle gradinate. Le pareti interne sono rivestite di stucco sobriamente decorato come appare dai numerosi resti.

Originariamente la facciata esterna dello Stadio era costituita da una doppia serie di arcate poggianti su pilastri: 

l’inferiore di ordine ionico e il superiore di ordine corinzio. Ogni cinque fornici vi era un sistema di scale che immettevano al podio, all’ima e alla summa cavea.

La cavea era divisa in due ordini di gradinate separate da un passaggio sovrastante gli ambulacri centrali; un altro stava sopra i portici esterni, e uno ai piedi del podio. Le gradinate erano interrotte in corrispondenza degli assi principali da palchi destinati all’imperatore e alle autorità civili e religiose.

Quello che si trovava alla metà del lato occidentale era il più sontuoso, come risulta dai frammenti marmorei rinvenuti. Dall’esterno dell’edificio si accedeva con ingressi preceduti da protiri.

È probabile che i due ingressi principali fossero uno sul lato meridionale verso l’Odeon e il Teatro di Pompeo, l’altro sul lato nord. 

Gli altri due ingressi si aprivano al centro dei lati lunghi: di uno di essi restano tracce a destra della chiesa di S. Agnese.

Alla decorazione dello Stadio appartengono numerosi frammenti di statue, forse dei fornici del secondo ordine, e decorazioni architettoniche rinvenute durante gli scavi degli anni '30. 

Il gruppo più interessante è il cosiddetto Pasquino, oggi in via del Babbuino, che fu rinvenuto in piazza Navona presso l’angolo con via della Cuccagna.

Appartenente al gruppo di Patroclo e Menelao, è praticamente irriconoscibile ed è noto per le satire che venivano affisse sul piedistallo. Altre testimonianze dello stadio sono visibili anche al di sotto della chiesa di S.Agnese in Agone, il cui primo nucleo fu edificato all’interno delle sue rovine, probabilmente in corrispondenza di una delle entrate principali. 

 Molti altri resti, ben più difficilmente visitabili, possono essere rinvenuti all’interno delle cantine di tutti i palazzi che si affacciano sulla piazza.

Lo Stadio, ancora in uso nel IV sec. d.c., cominciò a decadere nel secolo successivo. 

Tuttavia le gare continuarono a svolgersi nel Campus Agonis, snaturato poi in «Navone» e, per analogia con la forma della cavea simile a una nave, la piazza assunse il nome di «Navona».

Le case edificate sopra i resti della cavea hanno conservato la forma dello Stadio lasciando libera da costruzioni tutta l’area trasformata in piazza monumentale, cioè Piazza Navona, mentre il nome di via Agonale è rimasta ad una via che si immette sulla piazza.

Dopo aver trovato l'attuale sistemazione per intervento di Papa Innocenzo X, nella piazza furono organizzati fino al XIX secolo, vari generi di spettacoli, celebrazioni, e durante il mese di agosto, quando la piazza veniva allagata chiudendo gli scarichi delle fontane, perfino spettacoli acquei e naumachie.


BIBLIO

- Antonio Maria Colini - Lo stadio di Domiziano - Governatorato di Roma - Roma - 1943 -
- Adriano La Regina - Circhi e ippodromi. Le corse dei cavalli nel mondo antico - Roma - Cosmopoli - 2007 -
- J. P. Thuillier - Le Sport dans la Rome Antique - Paris - 1997 -
- James C. Anderson - Architettura e società romana - Baltimore - Johns Hopkins Univ. Stampa - a cura di Martin Henig - Oxford - Oxford Univ. - Comitato per l'archeologia - 1997 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore -Verona - 1975 -
- Flaminio Vacca - Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della città di Roma - 1594 -
- Patrizio Pensabene - Provenienze e modalità di spogliazione e di reimpiego a Roma tra tardoantico e Medioevo - in O.Brandt - Ph. Pergola - Marmoribus Vestita - Miscellanea - F. Guidobaldi - Città del Vaticano - 2011 -






TERME DI TRAIANO E LE SETTE SALE


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RICOSTRUZIONE A CURA DI www.katatexilux.com

LA STORIA DELLE TERME

I primi edifici termali furono costruiti in Campania nel II sec. a.c.; forse in orgine alimentati da sorgenti termali, ma ben presto si sviluppò un sistema di riscaldamento a legna, basato sul passaggio dell'aria calda sotto pavimenti di cemento rialzati su spensurae di mattoni, e in seguito anche attraverso i mattoni forati delle pareti, che terminavano in sfiatatoi sul tetto.

Il sistema era essenzialmente simile a quello dei bagni turchi. C'erano stanze di calore graduato per le varie piscine, spogliatoi, latrine e una palestra. L'architettura termale adottò inoltre l'uso della volta in calcestruzzo.

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LE TERME DI TRAIANO

Le terme di Traiano, costruite sulle rovine dell'ala residenziale della Domus Aurea, che scomparve così appena quarant'anni dopo la sua costruzione, erano un'opera molto più ambiziosa delle prime terme romane.

Furono erette tra il 104 e il 109 d.c. da Traiano e costruite non solo sulla Domus Aurea interrata a seguito della Damnatio Memoriae di Nerone, ma su altri edifici, come quello dell’affresco della “Città Dipinta”, ed in parte edificate, con un nuovo e rivoluzionario orientamento sud-ovest per maggiore luce e calore.

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Furono il prototipo delle terme imperiali, e il più grande edificio termale esistente allora al mondo, con un'estensione di ben 4 ettari.

Come riportato nei Fasti Ostiensi, il 22 giugno 109 d.c. Traiano aprì al pubblico il grandioso impianto termale edificato sul versante meridionale del colle Oppio, che forse occupava anche una parte dei vicini giardini di Mecenate.

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Dione Cassio informa che il suo architetto fu Apollodoro di Damasco, il geniale costruttore del Foro di Traiano. Il complesso misurava 330 x 315 m, con la sola parte centrale di 190 x 212 m.

Che fossero progettate o meno già sotto Domiziano, la faccenda è controversa, ma le Terme di Traiano furono comunque costruite nel 109, dopo pochi anni dall'incendio del 104 che aveva distrutto parte della Domus Aurea neroniana.

A seguito di ciò vennero sfruttati gli edifici neroniani sottostanti per scaricare le enormi macerie provocate dall’incendio e per costituire una solida base su cui impostare il gigantesco complesso.

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Le innovazioni

Il progetto era innovativo rispetto ai precedenti, non solo per l'orientamento, ma per l’ampia area verde racchiusa in un recinto porticato, che circondava su tre lati l'edificio centrale con gli ambienti destinati ai bagni e alla cura del corpo.

Le terme cambiarono l'orientamento del complesso neroniano, le terme private di Nerone destinate poi al pubblico e restaurate da Alessandro Svero.

Per una migliore esposizione al sole e ai venti, ad esempio il calidarium venne disposto in modo da avere la migliore posizione al sole da mezzogiorno al tramonto.

In seguito tutti gli edifici termali di Roma copiarono questa disposizione, dalle terme di Caracalla, a quelle di Diocleziano e di Decio.

Aggiungiamo che le terme disponevano di finestre con vetri che, aperte d'estate e chiuse d'inverno, procuravano entro queste un piacevole clima.
Ed è da notare che all'epoca le vetrate erano un lusso che solo i ricchi romani potevano permettersi.



DESCRIZIONE

Anche se i resti sono scarsi e soprattutto scavati solo in piccola parte, la planimetria si può ricostruire, oltre che sui disegni rinascimentali, dai resti ancora esistenti nel parco del Colle Oppio, creato nel 1936, nonchè da alcuni frammenti della Forma Urbis, la grande pianta marmorea degli inizi del III secolo d.c., che ne riportano una parte.

L'ingresso principale e monumentale con un propileo era posto a nord. Da qui si accedeva alla natatio, la grande piscina a temperatura naturale, che sui lati dava accesso, a destra e a sinistra, a due sale rotonde confinanti a sud con due palestre.

Al centro si ergeva la grande basilica confinante con la natatio a nord e il calidarium a sud, che sporgeva dal corpo dell'edificio, costituito da una grande aula rettangolare con absidi. In conessione si trovavano anche il tepidarium e il frigidarium.

Una serie di sotterranei di servizio e di collegamento univano le varie parti delle terme. Vari ingressi permettevano comunque di entrare nel recinto termale su tutti i lati.Rispetto alle Terme di Tito.

Un'importante aggiunta allo schema delle terme di Tito fu la grande piscina a nord del frigidarium che fu spostato al centro dell'edificio, nell'incrocio dei due assi principali. Sia dal punto di vista architettonico che quello funzionale il frigidarium divenne il punto principale del complesso.

Sull'asse traverso principale, ai lati del frigidarium erano posti due peristili rettangolari, le palestre, mentre ai lati della piscina i due ambienti circolari, inseriti in un rettangolo suddiviso in piccole celle, erano gli spogliatoi.

Sebbene nelle terme di Traiano le forme curvilinee fossero più numerose che in quelle di Tito, ci fu maggior rispetto delle esigenze funzionali.Altre novità importanti furono le file di finestre lungo la facciata meridionale, tutte a vetro, per la luce e il sole d'inverno, ma aperte e ombreggiate da tende d'estate per il fresco.

Essendo poi gli ambienti del settore centrale allineati sulll’asse longitudinale delle terme, mentre sui due lati si sviluppava un duplice e simmetrico giro di stanze di passaggio, si consentiva ai frequentatori dei bagni di scegliere due percorsi, evitando l'affollamento, che dagli spogliatoi li conduceva al caldarium, situato all’estremità meridionale dell’edificio.

Da qui potevano poi passare al tepidarium al frigidarium e poi alla grande piscina situata all’estremità settentrionale.

Oltre ai settori collettivi, vi erano numerose altre stanze per bagni particolari, massaggi, cure di bellezza, trucco e saune.

 Inoltre le terme furono concepite per la prima volta come un centro commerciale ante litteram, forse meglio attrezzati di quelli odierni, e comunque di straordinaria bellezza, per i giardini, le fontane le statue, i marmi, gli affreschi e gli stucchi, dotando tutto il perimetro esterno di sale di convegno, ninfei, gallerie di scultura, sale di spettacolo, biblioteche, centri di ristoro e negozi.

I due edifici un tempo distinti, le terme e il ginnasio, si fusero. E di qui in poi questi enormi complessi divennero i grandi centri popolari della vita sociale, tanto a Roma che nelle Provincie.



I RESTI

Del complesso termale oggi restano alcuni frammenti sparsi sul colle Oppio ma la pianta è nota attraverso la Forma Urbis Severiana. La disposizione verso i punti cardinali delle precedenti terme della Domus Aurea, riemerge in alcuni punti, come nelle cisterne, le cosiddette "sette sale".

Appartengono all'edificio centrale i resti dell'esedra della palestra orientale e un'aula sul lato sud dove è stata posta una pianta moderna delle terme, oltre alle fondazioni della grande esedra sul recinto meridionale e della grandiosa cisterna detta delle "Sette sale", sul lato opposto dell'attuale via delle Terme di Traiano.

Nel contesto delle antiche terme, a parte le numerose statue rinvenute in periodo rinascimentale, sono stati rinvenuti diversi mosaici ed affreschi. Questi ultimi in alcune gallerie sotterranee, fra cui quelli della "città dipinta".

Nelle vicinanze sono emerse parte di murature inglobate in una piccola costruzione, già casino di caccia dei Brancaccio. Del recinto esterno sono ancora oggi visibili il grandioso emiciclo centrale del lato sud, di cui è tuttora perfettamente conservato il livello inferiore.

Dalle numerose epigrafi rinvenute, conosciamo i nomi di alcuni personaggi addetti all’amministrazione del grande complesso e apprendiamo che nelle Terme di Traiano furono ammesse per la prima volta anche le donne. Numerosissime dovevano essere le opere d’arte di ogni tipo che adornavano i vari ambienti.

Tra i rinvenimenti più importanti possiamo ricordare la statua del Laocoonte dei Musei Vaticani, la grande vasca di granito grigio che si trova nel Cortile del Belvedere e un’ara di Giove con la dedica a Vespasiano.



LE TERME

Traiano celebrò l'apertura delle sue gloriose terme nel 109 d.c. stupendo Roma e il mondo con la grandiosità e preziosità dell'opera, ma c'era anche una parte molto bella ma invisibile al pubblico di allora e purtroppo ancora di oggi: la cisterna delle 7 sale, così denominata fin dal medioevo, quando era ancora visibile.

Sembra però che prenotando si riesca a visitare il luogo suggestivo, dove si potrebbe giare un film fantasy per quanto misterioso e irrealistico, che tanti autori, tra cui Pinelli incisero o immortalarono su tela secoli fa.

Infatti alcuni ambienti della cisterna, rimasti visibili nei secoli anche dopo la fine delle terme, nel V sec. d.c., fu utilizzato nel medioevo come luogo di sepoltura: nello scavo operato nel 1967 ne sono emersi infatti più di mille scheletri.



LE SETTE SALE

Ora Traiano aveva bisogno di molta acqua per le sue grandiose terme, aveva l'acquedotto, quello traiano, ma non bastava, per cui fece costruire un'enorme cisterna denominata Sette Sale fin dal Medioevo. Aveva una capacità di oltre 8 milioni di litri e, ancora ben conservata, si trova accanto al Parco del Colle Oppio, con accesso in via delle Terme di Traiano.

E' formata da nove ambienti paralleli, tutti larghi m 5,3, ma di lunghezza variabile da un minimo di 29,3 a un massimo di 39,75, a causa dell'andamento curvilineo della parete perimetrale orientale, con pareti in calcestruzzo idraulico e aperture ad arco in diagonale, per evitare il formarsi di correnti o il ristagno d'acqua.

L'edificio, in cementizio rivestito di mattoni, ha due livelli: quello inferiore, che poggia direttamente sul terreno, con la funzione di sopraelevare e sostenere il piano superiore, cioè il serbatoio, formato da nove ambienti a volta, rialzato per la pendenza necessaria alla pressione all'acqua per le Terme.

La risorsa idrica era un ramo dell'acquedotto che entrava nella città da Porta Maggiore sull'Esquilino, riversando nella cisterna attraverso un condotto che entrava al centro della parete posteriore ricurva.

Nella 3° e 7° sala c'erano le aperture per i controlli e la pulizia dell'edificio. Il piano superiore aveva delle nicchie con le finestre per l'areazione, corrispondenti in quelle inferiori ai condotti per l'uscita dell'acqua che si riversava in un grande collettore, la cui prosecuzione è stata rinvenuta davanti all'esedra nord-est del recinto termale.

L'interno della cisterna è rivestito di cocciopesto, per l'uso riempito, per quasi un metro, da un deposito di limo stratificato. Si pensò a lungo che la struttura servisse alle terme del la vicina Domus Aurea, ma i bolli dei mattoni hanno dimostrato la stessa epoca delle terme di Traiano.

L'edificio fu parzialmente incassato nel terreno, in modo che la parete posteriore ricurva e le due laterali fossero in parte coperte dal terrapieno, mentre la parete frontale rettilinea era in vista, con nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari.

Il complesso archeologico sul Colle Oppio soffre dell´uso improprio delle architetture ideate dal grande Apollo di Damasco, tra cui la cisterna delle Sette Sale: in tutto nove ambienti chiusi al pubblico da una decina di anni per la caduta di frammenti dalle volte. Si cerca uno sponsor perchè mancano i soldi, come al solito.

Il sovrintendente è contrario a campagne di scavo nell´area centrale, «costa tantissimo farli e, soprattutto, tenerli aperti». Eppure manca poco per completare lo sterro dell´edificio pubblico, precedente e sottostante alle Terme, che conserva in facciata l'affresco con la Città dipinta.

«Ci auguriamo che tra un anno circa, completati gli interventi di messa in sicurezza delle opere, e delle visite guidate, anche la Città dipinta entrerà a far parte del tour tra le meraviglie di Colle Oppio». E il magnifico mosaico della Vendemmia? Si tirerà fuori anche quello, magari trasportato in un museo dove si conserva meglio, data la delicatezza e la bellezza dell'opera.



DOMUS DELLE 7 SALE

Scavi condotti tra il 1966-67 e nel 1975 riportarono in luce sulla terrazza sovrastante la cisterna delle Sette Sale i resti di una domus, due parti distinte. Quella occidentale con murature di opera mista di reticolato e laterizio di età traianea, due file di ambienti regolari in opera mista, forse per alloggiare il personale addetto alla manutenzione della cisterna. La costruzione, di età traianea in base ai bolli laterizi, conserva tracce di pavimenti a mosaico bianco e nero.

Nel IV secolo queste strutture vennero inglobate in una domus, con murature in laterizio e opera vittata, cioè filari alternati di mattoni e blocchetti di tufo, e conservate per un'altezza di molto inferiore al metro, tutte conservate per un'altezza non superiore ai 50 cm.

L'edificio è diviso in due settori da un corridoio con pavimento di mosaico a tessere nere.

Una grande sala formata da sei ambienti, 4 absidati e 2 rettangolari, disposti a raggiera intorno ad un vano centrale esagonale, presenta pavimenti di piastrelle e lastre di marmi colorati con disegni geometrici.

Poi un'aula absidata, probabilmente con copertura a capriate lignee, col pavimento decorato in marmi colorati a grandi riquadri con cerchi e quadrati. Sontuosa anche la decorazione marmorea parietale, con partizioni architettoniche e fregi floreali. Addossata a questa sala era una grande fontana-ninfeo, affacciata su uno spazio evidentemente a giardino.

La ricca Domus patrizia disponeva pure di piccole terme private delle quali rimangono tracce di un frigidarium e di un caldarium con una piccola cisterna per l'approvvigionamento idrico. Il prestigio della domus emerge dalla ricchezza della decorazione in marmi policromi in opus sectile parietale e pavimentale, oltre che dalla vastità degli sale. La domus doveva avere un'estensione maggiore di quella rinvenuta, ma le strutture a est e a ovest sono andate completamente distrutte.

Nelle "Sette sale", sopra le terme di Traiano, è stata restaurata un'ampia sala absidata del recinto esterno, a ovest, identificata con una biblioteca.


LANCIANI - SCAVI DI ROMA

THERMAE TRAIANAE - "Sopra le terme Titiane, vicino à santo Martino in monte furono già le terme di Traiano ove poco fa furono ritrovate due statue del fanciullo Antinoo molto amato d'Adriano, statevi poste per comandamento di esso Adriano, tale che ancora hoggidì il detto luogo si chiama Adrianello. Le predette statue furono poste da Leone X nel Vaticano » p. 89 Venuti, Antichità di R. (voi. I, p. 200)."

BIBLIO

- Lucos Cozza - I recenti scavi delle Sette Sale - RendPontAc 47 - 1974 -
- Romolo Augusto Staccioli - Acquedotti, fontane e terme di Roma antica: i grandi monumenti che celebrano il "trionfo dell'acqua" nella città più potente dell'antichità - Roma - Newton Compton Ed. - 2005 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore -Verona - 1975 -
- Procopius - De Aedificiis - 5.3.8-11 -
- Paul Zanker - Arte romana - Bari - Economica Laterza - 2008 -
- Rodolfo Lanciani - Scavi di Roma -




TEMPIO DI VENERE E ROMA


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RICOSTRUZIONE GRAFICA ( http://www.altair4.com/it/ )

Il tempio di Venere e Roma (templum Veneris et Romae) era il più grande tempio di cui si abbia notizia nell'antica Roma. Collocato nella parte est del Foro romano, occupava tutto lo spazio tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Era dedicato alla Dee Venus Felix (Venere portatrice di buona sorte) e Roma Aeterna.



STORIA

Precedentemente si trovava in questo sito l'atrio della Domus Aurea di Nerone, dove era collocato il colosso dell'imperatore, un'enorme statua bronzea alta 35 metri più la base.

Quando Adriano decise la costruzione del tempio, ridedicò la statua al Dio Sole e la fece spostare, con l'aiuto di ventiquattro elefanti. La base del colosso si conserva ancora sotto l'angolo nord est del portico, sottolineato da blocchi di tufo, ancora visibili, di fronte al Colosseo.

 Le pareti del tempio, secondo le fonti, erano decorate da colonne di pregiato porfido rosso e da nicchie che originariamente presentavano un timpano, alternativamente triangolare, e semicircolare e colonnine di porfido poggianti su mensole.

Il pavimento era ornato da motivi geometrici realizzati con vari tipi di marmo, tra cui il porfido. Il tutto poi fatto a pezzi e trasformato in pavimento cosmatesco nell'attuale chiesa che lo sovrasta.

Il progetto dell'imperatore di erigere sull'altro angolo, verso la Meta Sudante, un'altro colosso che rappresentasse la Dea Luna, di cui era molto devoto, non fu poi eseguito. I saggi archeologici al di sotto del tempio hanno trovato i resti di una ricca casa di età repubblicana.

SEZIONE DEL TEMPIO DI VENERE
L'architetto del tempio fu lo stesso imperatore Adriano, già architetto di illustri opere a Roma e a Tivoli. La costruzione, iniziata nel 121, fu inaugurata ufficialmente da Adriano nel 135 e finita nel 141 sotto Antonino Pio. L'opera venne ironicamente criticata dall'architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita la sua audacia.

Cassio Dione Cocceiano narra che Adriano gli facesse recapitare i disegni del tempio di Venere e Roma per fargli vedere la sua maestria anche senza il suo aiuto, chiedendogli un parere sull'opera.
SEZIONE DEL TEMPIO DI ROMA
L'architetto rispose che si sarebbe dovuto costruire il tempio su un piano sopraelevato creando locali sottostanti, di modo che avrebbe dominato la Via Sacra, ospitando macchine teatrali nei suoi scantinati da cui introdurle nel Colosseo senza essere viste.

A proposito delle statue delle Dee, disse inoltre che erano troppo grandi per l'altezza delle celle:
"Se le Dee volessero alzarsi dai loro troni, urterebbero la testa sul tetto"

DAVANTI AL TEMPIO SI ERGEVA IL COLOSSO DI NERONE
Ad Adriano non piacque la critica, anche perchè era troppo tardi per rimediare agli errori, per cui lo fece uccidere.

I rapporti tra Apollodoro e l'imperatore erano pessimi fin da quando, molti anni prima, parlando di architettura con Traiano, si era rivolto ad Adriano che l'aveva interrotto con alcune osservazioni, dicendogli di andarsene e aggiungendo: "Tu di queste cose non capisci niente." Adriano se l'era legata al dito, peccato perchè privò Roma di un grande architetto.

Danneggiato dal fuoco nel 307, il tempio di Venere e Roma fu restaurato dall'imperatore Massenzio.

Un ulteriore restauro fu eseguito sotto Eugenio, usurpatore (392-394) contro Teodosio I, che mirava alla restaurazione dei culti pagani.
Le colonne che vediamo oggi, furono dissotterrate e allineate secondo la posizione originaria, per volontà di Benito Mussolini, nel corso dei lavori per aprire la via dei Fori Imperiali.

Nella metà del IV sec. d.c. si annoverava ancora fra le meraviglie di Roma. Intorno alla sua distruzione definitiva, nulla si sa di certo, ma non risulta distrutto da un terremoto IX sec.come alcuni affermano.

PIANTA DEL TEMPIO DI VENERE E ROMA
Infatti per cancellare la memoria di un tempio molto venerato (venerare da Venere), il Papa Paolo I (757-767) creò su questo luogo la contesa degli apostoli San Pietro e San Paolo con Simone Mago, e costruì nel punto ove gli apostoli si sarebbero inginocchiati per far cadere il Mago, cioè sul tempio delle Dee, l'oratorio dei ss. Petri et Pauli in Sacra Via e, verso l'anno mille, vi si aggiunse la Basilica di Santa Maria Nova, tuttora esistente col nome di Santa Francesca Romana.

Il pavimento della basilica è ricavato dal pavimento del tempio, come dimostra il serpentino e il porfido rosso di epoca imperiale, cave poi esaurite, e così diverse colonne e decorazioni. Del resto quasi tutte le chiese romane del centro storico sorgono su templi pagani.

Sulla spianata dinanzi la cella di Venere furono rinvenute, negli scavi del 1828, numerose fornaci da calce, da cui si può avere idea della barbara devastazione dell'edifizio effettuate dai Papi nel medio evo.

Alcune monete mostrano, a destra ed a sinistra del tempio, due colonne colossali con statue, forse di Adriano e di Sabina: della settentrionale son rimaste le fondamenta nell'asse trasversale dell'edificio ed un pezzo del fusto di marmo cipollino.
RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO

DESCRIZIONE

Posto su un podio di 145 m. in lunghezza e 100 m.in larghezza, il peristilio misurava 110 x 53 m. Due doppi colonnati sui lati lunghi cingevano l'area sacra, con dei propilei al centro. Alcune delle colonne in granito della prima fase adrianea tutt'ora esistenti facevano parte di questi portici. Di proporzioni gigantesche dunque, costruito sulla Velia sopra una terrazza artificiale alta di m. 9 per compensare il dislivello tra la cima del Foro e la parte bassa del Colosseo.

IL TEMPIO OGGI
Lo stilobate con gradini, blocchi di pietra affiancati a formare una base uniforme all'ultimo gradino su cui sorgeva il colonnato, seguiva lo stile greco, molto amato da Adriano.

Il tempio consisteva in due cellae adiacenti e simmetriche verso l'esterno con la parete di fondo in comune.

Originariamente senza abside, avevano un copertura piana a travi di legno. Le attuali absidi e le volte furono aggiunte da Massenzio.

Le celle ospitavano la statua di Venere, Dea progenitrice di Enea, nonchè dunque della gens iulia e dei Romani stessi, e Roma, la Dea dello Stato romano, ambedue su un trono.

La cella ovest, della Dea Roma, venne inglobata nell'ex convento di Santa Francesca Romana, che oggi ospita l'Antiquarium del Foro. Grandi colonne in porfido ne scandiscono le pareti e fiancheggiano l'abside. È visibile un tratto di pavimento originale e una parte del basamento in laterizio della statua.


Altre colonnine in porfido poste su mensole inquadrano le nicchie dove erano collocate altre statue, secondo uno schema decorativo tipico dell'epoca imperiale come si trova anche nella basilica di Massenzio e nella Curia Iulia.

La cella est, visibile dall'esterno, è peggio conservata, ma serba ancora una parte degli splendidi stucchi dell'abside. Nel timpano della facciata, ora conservato al museo delle Terme, erano rappresentati in bassorilievo Marte e Rea Silvia, la lupa con i gemelli e probabilmente la fondazione di Roma.


Il colonnato che cingeva su quattro lati l'edificio è scomparso e ne resta solo traccia in pianta, dove sono state collocate siepi di bosso. Era originariamente composto da dieci colonne sui lati brevi, venti sui lati lunghe e quattro davanti ai pronai.

Settant'anni prima di Adriano, Nerone aveva costruito su tutta questa area il vestibolo della Casa Aurea, e infatti avanzi di un portico, di stanze e di una scala monumentale scendente verso la valle del Colosseo furono rinvenuti nel secolo XVI sul lato settentrionale del tempio, ma sono ora profondamente interrati ed inaccessibili. Forse un giorno vedranno la luce.

RICOSTRUZIONE DELLA PARTE CON LA DEA ROMA

"1385, 15 giugno. TEMPLVM ROMAE ET VENERIS.

"Patti fra il priore di s. Maria Nuova da una parte, lacobello Paluzzi e Buccio Nardi socii muratori dall'altra, per fabbricare certe pareti, grosse palmi due e mezzo, nelle fondamenta « in renclaustro monasterii ubi ligna reconduntur, in quo debet cisterna hedificari ante hortum dicti monasteri » . 
Le fondamenta dovevano essere murate « lapidibus grossis » certamente del tempio, poiché, mentre i due socii fabbricatori dovevano metter del loro calce, legname, e mano d'opera, i « lapides grossi " erano forniti direttamente dai frati."

(Roberto Lanciani)


BIBLIO

- Andrea Barattolo - Sulla decorazione delle celle del tempio di Venere e Roma all'epoca di Adriano - in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - 1974-75 -
- Alessandro Cassatella e Stefania Panella - Restituzione dell'impianto adrianeo del Tempio di Venere e Roma - in Archeologia Laziale - Consiglio Nazionale delle Ricerche - 1990 -
- Vincent Laloux, Restauration du temple de Vénus et Rome - in Mélanges de l'Ecole Française de Rome - Archéologie - 1882 -
- Giuseppe Lugli - Il restauro del tempio di Venere e Roma, in Pan - 1935 -
- Antonio Muñoz - Il tempio di Venere e Roma - in Capitolium - 1935 -




MERCATI DI TRAIANO


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INTERNI DEL MERCATO

I Mercati di Traiano sono un complesso di edifici costruiti in laterizio (cementizio rivestito da un paramento in mattoni), che sfruttava tutti gli spazi disponibili, ricavati dal taglio delle pendici del Quirinale, inserendo ambienti con piante diverse, variamente disposti, sui sei livelli del monumento.

Questa articolazione permetteva di passare dalla disposizione curvilinea dell'esedra del Foro di Traiano, a quella rettilinea del tessuto urbano circostante.

I lavori per la sua realizzazione iniziarono, secondo la datazione riportata su alcuni bolli laterizi, fra il 94 ed il 95 d.c. durante l'impero di Domiziano. L'inaugurazione dei Mercati avvenne tra il 112 e il 113 d.c.

Il complesso, che in origine si estendeva oltre i limiti dell'attuale area archeologica, in zone oggi occupate da palazzi per lo più ottocenteschi, era destinato ad attività amministrative collegate ai Fori Imperiali, ma soprattuto ad ampie attività commerciali, nelle numerose tabernae ai lati delle vie interne.

I MERCATI TRAIANI SONO EVIDENZIATI IN ROSSO
I Mercati sorsero contemporaneamente al Foro di Traiano, agli inizi del II secolo, per occupare e sostenere il taglio delle pendici del colle Quirinale, ed è separato dal Foro da una strada basolata.

Le date dei bolli laterizi sembrano indicare che la costruzione risalga in massima parte al regno di Traiano ad opera del suo architetto prediletto, Apollodoro di Damasco.

Le aree edificate su sei livelli, sono collegati prevalentemente da scale: tre livelli nella zona superiore del complesso, dove la Grande Aula e il Corpo Centrale si snodano tra la via Biberatica (da bibier, bevanda) e l’area retrostante (oggi Giardino della Torre delle Milizie); tre livelli nella zona inferiore, dove il Grande e il Piccolo Emiciclo degradano verso il piano del Foro, dal quale sono divisi per mezzo di un altro percorso basolato.

SCORCIO DI UNA PARTE DEL MERCATO OGGI

L'USO

L'uso delle scale ha fatto pensare a molti che l'uso dei Mercati non fosse propriamente commerciale, per la difficoltà di carico e scarico merci mediante carri, dimenticando diversi particolari:
  1. I Romani edificavano secondo standard consueti, e non avrebbero mai dato ad edifici pubblici la forma di tabernae, isolate tra loro, quindi senza possibilità di passare da un ufficio a un altro, neppure per gli impiegati, e collegate solo alla via esterna, quindi al pubblico e basta.
  2. L'inclinazione del terreno, già attenuata da ben 4o m. di sbancamento, esigeva le scale, ma i Romani avevano muli ed asini per trasportare le cose, e soprattutto avevano schiavi, e a parte che c'erano anche declivi da usare, le scale comunque non erano un problema, come non lo sono state per un'infinità di paesi medievali arroccati sui colli in tutta Italia.
  3. In ogni città di epoca romana gli ambienti a forma di tabernae erano appunto tabernae e mai edifici pubblici ebbero questo aspetto.
  4. Il nome di via Biberatica indica una funzione precisa: lì si trovavano le bevande: vino e birra, insomma i bar di oggi, di evidente uso commerciale.

DESCRIZIONE

Gli edifici erano separati tra loro da un percorso antico che in età tarda prese il nome di via Biberatica, che correva a mezza costa sul pendio del colle. La parte inferiore, nel livello più basso, comprende gli edifici del Grande emiciclo, articolato su tre piani e con due grandi aule alle estremità con una raffinata decorazione marmorea, e del Piccolo emiciclo, con ambienti su tre piani.

Due scale alle estremità del Grande emiciclo consentivano di raggiungere i piani superiori e la via Biberatica.

In cima alla strada c'era il Corpo centrale, con tabernae al livello della via e altri tre piani di ambienti interni, alcuni particolarmente curati ed elaborati, probabilmente uffici, destinati al funzionario preposto al vicino Foro, il procurator Fori Divi Traiani testimoniato da un’iscrizione.

Altri ambienti più riservati potrebbero essere addirittura serviti come casse di sicurezza dei senatori (i vani del Grande Emiciclo). La sala absidata al primo piano sembra fosse una sala di rappresentanza, per la raffinatezza degli ornamenti.

Gli ambienti hanno in comune un raffinato rivestimento laterizio con il nucleo in cementizio. Le coperture spaziano su ogni tipo di volta romana, sono infatti delle volte a botte, o a semicupole che coprono gli ambienti più grandi, o, nella Grande aula, con sei volte a crociera poggiate su pilastri allargati, con mensole in travertino, e fiancheggiata al piano superiore da ambienti che ne contenevano le spinte laterali, collegati alla volta da archi che permettevano il passaggio nel corridoio antistante.

In direzione nord la via Biberatica piegava, fiancheggiata dalla Grande aula, un ampio spazio centrale, su cui si affacciavano una serie di ambienti su due livelli, che sembra essere stata utilizzata per cerimonie ufficiali, in alternativa alla Basilica Ulpia e agli spazi del Foro di Traiano.

La Grande Aula, con vano centrale rettangolare, era coperta da sei grandiose volte a crociera, che scaricavano la massa su ambienti laterali, realizzati a taberna romana, con stipiti e architrave in travertino e finestrella superiore per la luce, che non lascia dubbi sulla loro destinazione commerciale.

Il sistema di corridoi del primo e secondo livello assicurava illuminazione e ariosità.

Verso sud la via Biberatica si ricollega all'attuale Salita del Grillo, che ripercorre un tracciato antico. Ai lati della via si trova un isolato con ambienti scarsamente conservati e in parte rimaneggiati in epoche successive; sul lato opposto il piano superiore di un ulteriore isolato la divide da un altro percorso antico, proveniente dall foro, che si ricollega mediante scale con la Salita del Grillo.




L'ARCHITETTURA

I Mercati di Traiano sono un articolato complesso architettonico che, sfruttando tutti gli spazi disponibili, ricavati dal taglio delle pendici della collina, in varia forma e a differenti livelli, permette di passare elegantemente dalla curvilinea dell'esedra alle spalle dei portici del Foro di Traiano, a quella rettilinea del tessuto urbano circostante.

La tecnica laterizia e' notevolmente curata, anche in senso decorativo, in particolare sulla facciata del Grande Emiciclo, dove un ordine di lesene inquadra le finestre del secondo piano, con frontoncini triangolari, arcuati e altri triangolari spezzati.

Questa decorazione, molto copiata nel Rinascimento, è realizzata con mattoni sagomati che si ritrovano anche nelle cornici marcapiano.

Inoltre il colore rosso dei mattoni venne uniformato per mezzo di una scialbatura rossastra sui giunti di malta intermedi, in voluto contrasto con il bianco del travertino delle cornici marcapiano, testimoniando l'assenza di un intonaco di rivestimento.

Uno dei mattoni che costituiscono la ghiera degli archi della finestra al secondo piano del Grande Emiciclo, mostra scolpita sulla faccia inferiore una fiaccola con il sostegno a forma di bastone, forse un segnale per gli incaricati dell’illuminazione notturna del monumento.

Gli ambienti sui percorsi esterni o interni avevano una struttura modulare: coperti con volte a botte, avevano un'ampia porta con soglia, architrave e stipiti in travertino, sormontata da una piccola finestra quadrata che poteva dar luce ad un soppalco di legno interno.

La pavimentazione è in mosaico geometrico bianco e nero, con affreschi alle pareti. Le classiche tabernae presenti al piano terra delle insulae romane.

Le pavimentazioni utilizzano molto, specie all'esterno, l'opus spicatum (mattoni di taglio disposti a spina di pesce), a cui spesso veniva sovrapposto un secondo strato pavimentale in mosaico monocromo nero in tesserine di selce: la sovrapposizione di due strati assicurava l'impermeabilizzazione degli ambienti sottostanti.



Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano:

Inaugurato nell’autunno 2007, illustra le architetture antiche dei Fori Imperiali e la loro decorazione architettonica e scultorea. Vi sono ricomposizioni di parti di edifici antichi, realizzate con frammenti originali, calchi e integrazioni modulari in pietra, per dare al visitatore la percezione dello stato originatio e poter apprezzare la ricchezza dell'architettura e della figurativa.

Inizia nella "Grande aula" con l’introduzione all’area dei Fori imperiali, ciascuno dei quali è rappresentato ha un pezzo molto significativo.

Il livello superiore della "Grande aula" è dedicato al Foro di Cesare e al tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto. Sullo stesso piano il museo prosegue nel "Corpo centrale" con la sezione dedicata al Foro di Augusto, anche come modello dei Fori delle capitali provinciali romane.

Gli ambienti della parte superiore dei Mercati di Traiano, che ospitano il museo sono stati oggetto negli anni 2005-2007 di importanti restauri strutturali e conservativi.

Il museo sarà completato con la sezione sul Foro di Traiano, che sarà ospitata negli ambienti delle "Aule di testata", a diretto contatto con i resti antichi, dopo i necessari restauri.

Il museo si avvale di un sistema di comunicazione mista, con pannelli e video attraverso tecnologie multimediali, collegando i materiali esposti all'aspetto degli edifici a cui i resti appartengono.



LE EPOCHE SUCCESSIVE

Tra la fine del II e gli inizi del III sec. avvennero i restauri di Orazio Rogato, procuratore del Foro di Traiano.

Al complesso degli edifici si aggiunse fra il XII ed il XIII secolo la Torre delle Milizie, in origine un’altissima e stretta torre a pianta quadrata, costruita in blocchetti di tufo nel XII-XIII secolo, e innestata all’angolo di un palazzo colonnato.

Dopo la metà del XIII secolo, il palazzo fu demolito e la torre originaria venne inglobata per due terzi della sua altezza da una spessa struttura di cementizio rivestita all’interno di mattoni.

Ne risultava una nuova torre a tre corpi rientrati, quello superiore costituito dall’estremità della torre primitiva. La parte superiore crollò in seguito a un terremoto, dando così alla Torre delle Milizie la forma che tuttora conserva.

Nella stessa epoca venne costruito, sopra una sezione dei Mercati Traiani, un castello fortificato, che prese il nome di Militiae almeno a partire dal XII secolo, e la cui proprietà passò tra il XIII e il XV sec. alle grandi famiglie romane degli Annibaldi, dei Caetani e dei Conti, finchè non venne inglobato nel monastero di S.Caterina da Siena a Magnanapoli, fondato nel XVI secolo.


BIBLIO

- Cairoli Fulvio Giuliani - Mercati e Foro di Traiano: un fatto di attribuzione - Quaderni della Facoltà di Architettura - 1-10 (1983-87) -
- Roberto Meneghini - I Fori imperiali e i mercati di Traiano - Storia e descrizione dei monumenti alla luce di studi e scavi - Roma - Libreria dello Stato-Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato - 2009 -
- M. P. Del Moro, M. Milella, L. Ungaro, M. Vitti - Il Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano - Milano - Mondadori Electa - 2007 -
- Sovraint. Com. a Musei Gallerie Mon. e Scavi - Anni del Governatorato (1926-44) - Collana Quaderni dei mon. - Roma - Ed. Kappa - 1995 - Valter Vannelli - Le case dei Mercati Traianei tra la piazza del Foro, via Alessandrina e via di Campo Carleo: premesse su via dei Fori Imperiali -
- Sovraint. Com. a Musei Gallerie Mon. e Scavi - Anni del Governatorato (1926-44) - Collana Quaderni dei mon. - Roma - Ed. Kappa - 1995 - Lucrezia Ungaro - Scoprimento dell'emiciclo del Foro di Traiano (1926-34) -






 

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