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HISTORIUM - VASTO (Abruzzo)


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RESTI DI VILLA ROMANA

La storica Histonium (Ἱστόνιον Histónion in greco antico), corrispondente all'odierna Vasto, della provincia di Chieti in Abruzzo, era un'antica città del popolo italico dei Frentani, con un territorio che iniziava a sud del porto di Ostia Aterni (Pescara) e si estendeva fino al Fortore.  I Frentani erano antico popolo italico di lingua osca della costa adriatica centrale, molto affini ai Sanniti, posti nell'Abruzzo sud-orientale e nel basso Molise.

 Histonium, secondo la tradizione mitica, viene fatta fondare da Diomede, il condottiero greco, esule dopo la guerra e la distruzione di Troia. Questi nel suo peregrinare nel Mediterraneo, sbarcò con i suoi reduci nell'Italia meridionale dove fondò diverse città. I coloni greci furono indotti a stabilirsi in loco per via dell'industria ed il commercio della lana. 


IL NOME

La denominazione potrebbe provenire dal greco HERCOS (recinto fortificato) oppure ERCE  dal latino ARX (sommità), ipotizzare ci fosse un'acropoli o una roccaforte; oppure il nome deriverebbe da ARKHAIOS (cioè antico) perchè in queste zone esisteva una colonizza greca, prima dell'arrivo degli italici. 

In località Selvotta venne rinvenuta la lapide che riporta: 
HERRCVLI EX VOTO ARAM / L.SCANTIVS / L LIB.MODESTVS.MAG. / AVG.MAG.LARVM. AVGVST. / M AG. / CERIALLIVM VRBANORVM, riferita a Lucio Scanzio Modesto, capo dei cereali urbani (sacerdoti addetti alla città di Historium).


LA STORIA

Si batterono con la Repubblica romana alla fine del IV secolo a.c., da cui vennero costretti a un' alleanza con Roma, in posizione subordinata. I Frentani erano una popolazione italica che occupava gran parte dell'attuale costa abruzzese meridionale. In seguito alla conquista romana (305 a.c.) il centro frentano si dotò di vari edifici pubblici, in parte ancora visibili.

Tuttavia Roma lasciò loro una certa autonomia interna fino al I secolo a.c., quando si estese a tutti gli Italici la cittadinanza romana, in seguito alla guerra sociale a cui avevano preso parte anche i Frentani. Da allora si accelerò la loro romanizzazione, inquadrati nelle strutture politico-culturali di Roma.

 Nel 91 a.c. il popolo di Histonium, insieme a tutti i popoli italici prese parte alla confederazione dei popoli italici per ottenere il titolo di municipio.

La città fu ricostruita e, nel 117 venne inserita nella regio Sannio. In seguito la città man mano perse d'importanza e decadde. I vari edifici romani furono saccheggiati durante le "Invasioni barbariche" subendone anche le lotte che si susseguirono fino in epoca feudale.

 L'antico nome di Histon da lui dato sarebbe dovuto al fatto che il suo promontorio dal mare ricordasse all'eroe troiano il monte Histone di Corfù.

MOSAICO DI NETTUNO ALLE TERME

In effetti i coloni greci furono indotti a stabilirsi in loco per via della posizione adatta al commercio della lana che già praticavano da Troia. Historium fu infine municipio romano iscritto alla tribù Arnensis. Tra i culti religiosi sono testimoniati quelli di Ercole, di Cerere, del Sole, di Giove Dolicheno. 

In seguito alla conquista romana del 305 a.c. il centro frentano si dotò di vari edifici pubblici, in parte ancora visibili oggi. Nel 91 a.c. il popolo di Histonium, insieme a tutti i popoli italici prese parte alla confederazione dei popoli italici per ottenere il titolo di municipio, che ottenne venendo iscritto alla tribù Arnensis. Le famiglie maggiori di Histonium erano i Didia, gli Helvidia e i Vibia.

Fabio Massimo fece restaurare il campidoglio. La città fu devastata da Silla nella lotta contro Mario. La città fu ricostruita e, nel 117 venne inserita nella regione del Sannio. L'area archeologica del quartiere Gisone sorto sulla città romana è compreso tra via Roma (fuori Porta Nuova) a nord, e via Barbarotta a sud, dentro cui si ergono quattro file di due isolati rettangolari su strade perfettamente ortogonali. 

Il Corso Palizzi è considerato il cardo maximus, e il Corso Dante il decumanus maximus, mentre altri cardi sono costituiti da Corso Plebiscito e di via Adriatica. Presso l'ospedale si trovano alcuni resti murari di un edificio della fine del I-metà del II secolo d.c.,



IL SITO ARCHEOLOGICO

La città antica corrisponde alla città vecchia, che ne ha conservato la pianta almeno in parte. Restano le vestigia di: teatro, anfiteatro, terme, vari acquedotti, serbatoi idrici, mura civiche reticolate, pregiati pavimenti, statue, colonnati di granito orientale, templi.

Nella città moderna si trovano i resti della remota città romana in gran parte riutilizzati sia nelle chiese (Madonna delle Grazie, San Pietro, piazza del Popolo), sia nelle strade e nelle piazze cittadine (Ospedale, Tagliamento, Sant'Antonio, piazza Dante Gabriele Rossetti).

La zona settentrionale della città attuale, vale a dire il centro storico, ricalca  l'antico impianto urbanistico romano. La città antica è infatti corrispondente alla città vecchia, che ne ha conservato la pianta almeno in parte. In quest'area ubicata sulla collina prospiciente il mare si innalzavano i templi e il Campidoglio. 


L'ANFITEATRO

La Piazza Rossetti conserva la forma ellissoidale dell'anfiteatro che fu costruito tra la fine del I e la metà del II secolo Alcuni resti dell'edificio sono tuttavia visibili  visibile sotto teca di vetro allo sbocco di via Cavour sulla piazza, in opus reticolatum inglobati nei sotterranei del castello di Vasto ed in parte nelle mura che si affacciano nel lato orientale della piazza stessa. 

Vi sono anche atri tratti dell'anfiteatro presso la Torre di Bassano e in un negozio della piazza. I resti visibili sono parte dell'ingresso e parte del perimetro ellissoidale dell'anfiteatro. L'anfiteatro di cui una porzione è fuori dal perimetro urbano, realizzato in opus cementizia: misurava circa 225 piedi (67 m ca.) di lunghezza per 210 (62 m) di larghezza. Gli edifici situati nella parte nord-est della piazza sorgono a forma ellittica, presso la Torre di Bassano, segno che dopo la caduta di Roma, l'anfiteatro fu smantellato per ricavarci materiale di costruzione di nuove case. 

La presenza vicino alla piazza di via Naumachia, a fianco della chiesa dell'Addolorata, ha fatto ipotizzare che l'anfiteatro fosse stato usato anche per le celebri battaglie navali. Un'alluvione nel tardo impero romano ricoperse l'anfiteatro di fango, determinandone l'abbandono.

Presso Via S. e F. Ciccarone vi è un rudere detto cappella della Madonna del Soccorso da cui proviene la lastra funeraria di Gaio Osidio Veterano (Caius Hosidius Veteranus) ora posta nel museo archeologico di Vasto. Il sito venne trasformato nel 1442 in carcere ed in seguito, nel 1614, nella cappella di Santa Maria del Soccorso. Nel 1794 risulta abbandonata.


Nel 1817 la porta viene murata, indi, mediante un'apertura sulla volta viene usata come tumulazione per neonati non battezzati e per impenitenti. L'esterno ha una muratura in calcestruzzo di manifattura romana. L'interno con volta a botte presenta un'intonacatura e pavimentazione moderne. 

Nella parte di via Anelli, all'altezza della Scuola d'Arte, è ancora visibile un muro di 20 metri risalente all'epoca romana, nella facciata di una casa civile; in via Tagliamento affiorano resti di un muro in opus caementitia. In via B. Laccetti la chiesetta della Trinità poggia su fondamenta di un'abitazione romana, con visibili resti sulla destra. 

In seguito la città man mano perse d'importanza e decadde. I vari edifici romani furono saccheggiati durante le invasioni barbariche subendone anche le lotte che si susseguirono fino in epoca feudale.

Nella seconda metà del XVI secolo sul pianoro intorno a Santa Maria della Penna erano visibili fra gli altri i resti di due templi e di un teatro, il che potrebbe ricollegare il contesto al noto complesso di Pietrabbondante, e ancora oggi sono visibili i resti di un abitato e forse dello stesso luogo di culto, databili fra IV-III e I secolo a.c.



I TEMPLI

I culti testimoniati a Historium sono quelli di Ercole, di Cerere, del Sole, di Giove Dolicheno. In Via Antonio Bosco 16 vi è un tempietto romano, scoperto nel 1975 in seguito a lavori a palazzi della stessa via, con forma a V e vertice ad ovest. I lati a sud ed a nord misurano 4,90 e 4,30 m, il primo lato ha un basamento di 25 cm ed una cortina di 10 cm, mentre il secondo ha il basamento e la cortina 10-50 cm. I muri interni ed esterni sono in cortina laterizia con mattoni di 25 cm X 15 X 3 con colori dal rosso vivace all'ocra.

I templi, di cui si ha riferimento da antichi documenti, vennero riordinati dallo storico Luigi Marchesani: 
- un Tempio dedicato al Dio Elio presso la chiesa di Sant'Antonio di Padova, sopra cui oggi poggia la cappella della Madonna delle Grazie, 
- quello della Dea Cerere nell'area dove venne eretta la chiesa collegiata di San Pietro, 
- il tempio di Giove Delicheno o Ammone sorgeva presso Piazza del Popolo, 
- insieme al vicino tempio di Bacco. 
- In località Selvotta si trovava il tempio di Ercole, con la lapide conservata nel Museo archeologico del Palazzo d'Avalos.

Nel 1888 fu rinvenuta, presso la chiesa di Santa Maria della Penna in località Punta Penna, una lastra di rivestimento in terracotta appartenente ad un edificio templare, oggi conservata presso il Museo Civico Archeologico di Vasto. 

 Il motivo principale consiste in due teste contornate da elementi vegetali: in quella di sinistra appare riconoscibile Ercole con la clava sulla destra, l'altra con volto largo e piatto e capelli a fiamma, sembra attribuibile ad una figura femminile inquadrate da una cornice di motivi vegetali, con grossi fiori a forma di campanula. 

CAVALLUCCIO MARINO

LE TERME

Nella zona del Muro delle Lame, dopo la frana del 1956 che inghiottì parte del quartiere, ci fu l'affioramento di un pavimento a mosaico di grande valore, e delle fondamenta dell'edificio termale presso l'ex convento di San Francesco. In Via Adriatica le terme del II secolo d.c. sono divise in tre livelli. Il restauro eseguito a partire dal 1994 ha ricollocato in situ un mosaico riportato alla luce nel 1974 un mosaico con raffigurazioni di Nettuno col tridente.

Da queste terme il mosaico di Nettuno, di ben 13.50 x 12.60 m, per un totale di 170 mq, uno dei più estesi mosaici mai rinvenuti lungo l'intera costa adriatica, ha una decorazione molto articolata, basata su un raffinato intreccio di elementi vegetali stilizzati all'interno del quale campeggia la possente figura del Nettuno con il tridente e quattro Nereidi, due in sella a cavalli, una ad un drago, e una ad un cavallo marino. 

Il mosaico è tessere bianche su sfondo scuro e risale alla prima metà del II secolo d.c. 
 Gli scavi del 1997 hanno riportato alla luce quattro ambienti destinati ad essere riscaldati e il praefurnium, la fornace che riscaldava i locali presso l'ingresso. 

L'ANFITEATRO SOTTO PIAZZA ROSSETTI

 ANFITEATRO 

La Piazza Rossetti conserva la forma ellissoidale dell'anfiteatro. L'anfiteatro fu costruito tra fine I secolo e metà II secolo d.c.. Alcuni resti dell'edificio sono tuttavia visibili, trattasi di resti in opus reticolatum inglobati nei sotterranei del castello di Vasto ed in parte nelle mura che si affacciano nel lato orientale della piazza stessa, ma vi sono anche atri tratti dell'anfiteatro presso la Torre di Bassano e in un negozio della piazza. 

I resti visibili sono parte dell'ingresso e parte del perimetro ellissoidale dell'anfiteatro. In via Pampani nel 1854 venne estratto un pavimento musivo, lungo via Santa Maria Maggiore sono visibili tracce di antiche fondazioni, che corrispondono all'anfiteatro di Piazza Rossetti, di cui una porzione è visibile sotto teca di vetro allo sbocco di via Cavour sulla piazza) fuori dal perimetro urbano, realizzato in opus cementizia.

Il teatro misurava circa 225 piedi X 210 (67 X 62 m). Gli edifici situati nella parte nord-est della piazza sono a forma ellittica, presso la Torre di Bassano, segno che dopo la caduta di Roma, l'anfiteatro fu smantellato per ricavarci materiale di costruzione di nuove case. 

La presenza vicino alla piazza di tal via Naumachia, a fianco della chiesa dell'Addolorata, ha fatto ipotizzare che l'anfiteatro fosse stato usato anche per le celebri battaglie navali, data la presenza degli acquedotti di alimentazione idrica. Un'alluvione avvenuta nel tardo impero romano coprì l'anfiteatro di fango, determinandone l'abbandono.
 

ACQUEDOTTI E CISTERNE

Nel 1614 furono rinvenute in via Lago delle condotte, che si dirigevano verso le chiese di San Giovanni dei Templari e di San Pietro (il Murello), mentre l'acquedotto delle Luci invece era già disseccato.
In via Cavour sono presenti i ruderi delle cisterne di Santa Chiara realizzate in opus signinum. Le cisterne erano alimentate dall'acquedotto delle Luci. Le cisterne erano degli ambienti rettangolari con volta a botte comunicanti tra loro mediante arcate. Anche in Via V. Laccetti vi sono delle Piccole Cisterne.

PARCO ARCHEOLOGICO SOMMERSO DI VASTO (HISTONIUM)

IL PARCO SUBACQUEO

Importanti presenze archeologiche dell'antica città come muri, absidi, colonne e resti di edifici attendono di essere ammirati a Histonium nel piccolo paradiso del Parco archeologico sommerso nel tratto di costa vastese compreso tra il Monumento alla Bagnante e il trabocco “Concarerella”, centro portuale dell'antica città.

Lo storico Luigi Marchesani riferisce che i resti murari attualmente sommersi riemersero nel 1816 e che furono quindi visti dai Vastesi quando le acque del mare si ritirarono a causa dell’innalzamento del fondale, avvenuto in coincidenza di un’enorme frana che sconvolse il settore orientale del promontorio su cui sorge Vasto. Nel 2014 è stato pubblicato per la prima volta un saggio che documenta ed inquadra storicamente l’esistenza del centro.

 
EPIGRAFI

Il materiale archeologico, proveniente dalla città e dai dintorni, e in particolare la ricca collezione epigrafica, sono esposti nel Museo Civico. 
- Notevoli due lastrine bronzee con iscrizioni osche, che testimoniano l'esistenza dell'abitato in età preromana.
- Caio Hosidio Geta, che nel 43 fu legato dell'Imperatore Claudio, al comando dell'esercito romano, sbaragliando i nemici in Inghilterra; divenne console e ricevette le insegne del trionfo a carico dell'impero, testimonianza se ne ha dai resti del monumento pedestre che gli venne dedicato a Histonium.
- Publio Paquio Sceva, questore e giudice, pretore dell'erario e proconsole di Cipro. Il suo sepolcro si conserva nel museo del Palazzo d'Avalos, insieme alla moglie Flavia. 
- Marco Bebio che fu edile della città, e questore e sacerdote, nominato dall'imperatore Tito Flavio Vespasiano. Alla sua morte gli histoniensi gli eressero una statua, di cui si conservano elementi nei musi civici.
- Il più famoso fu però il poeta decorato d'alloro al Campidoglio nel 106 d.c., Lucio Valerio Pudente, nominato da Antonino Pio procuratore delle imposte a Isernia. 



 NECROPOLI

La necropoli più grande risale al V-II sec a.c. e si trovava lungo viale Incoronata, le sepolture erano allineate lungo la via del tratturo che collegava le città di Egnazia, Anxanum, Ortona, Larinum, Cliternia. Presso la città, le tombe si dispongono lungo i lati nord e ovest, e una via lastricata che  scendeva al mare presso la chiesa della Madonna delle Grazie, dove si scoprirono due tratti che racchiudevano l'area di un grande cimitero.

TOMBA DI PAQUIUS SCEVA
La prima parte comprende via Crispi e via Roma sud, il vallone San Sebastiano ad ovest e la chiesa della Madonna delle Grazie ad est, con tombe a tegoloni, pavimento musivi, in opus spicatum e cementizia, con rivestimento in opus reticulatum; dal vallone di San Sebastiano le tombe proseguono in Piazza Diamante, scendendo sino a Piazza Barbacani. 

Le tombe sono a l'inumazione, l'incinerazione  è rara, i sepolcri sono a tegoloni, con copertura a cappuccina, ma anche di altri tipi, come il sarcofago monumentale di P. Paquius Sceva. 

Il monumento più importante è infatti il grandioso sarcofago dove erano sepolti P. Pacuvio Sceva e la moglie Flavia. All'interno del sarcofago, sui lati rispettivi, sono incise le iscrizioni che si riferiscono ai due defunti. In quella di Sceva è riportata la brillante carriera del personaggio. Il sarcofago appartiene ad un raro tipo di età augustea, utilizzato da personaggi che preferivano l'inumazione in un periodo di quasi universale diffusione della cremazione.

Molte tombe nell'area di Santa Maria del Soccorso, dove si trova una cappella, con pavimenti musivi rinvenuti fuori dall'abitato, coincidendo nell'area della Madonna delle Grazie con opus spicatum, e nei sepolcri rinvenuti nell'area conventuale di Santa Lucia, fuori Vasto. In contrada "Incoronata" è venuta alla luce una necropoli molto interessante.

Alcune lapidi, tra le meglio leggibili, riportano di :
- Faustina, vissuta 15 anni. 
- Caio Figellio Frontone vissuto 9 anni otto mesi e due giorni (presso la chiesa di Santa Maria Maggiore - Tito Giulio Hilari Pudente (presso la raccolta dei baroni Genova Rulli).
- Mevia Vittoria dedicata alla sorella Cassandra (in Piazza Barbacani).

Il monumento più importante è però il grandioso sarcofago dove erano sepolti P. Pacuvio Sceva e la moglie Flavia. All'interno del sarcofago, sui lati rispettivi, sono incise le iscrizioni che si riferiscono ai due defunti. In quella di Sceva è riportata la brillante carriera del personaggio. Il sarcofago è a inumazione. 

Nel Palazzo d'Avalos, insieme a sculture come il busto in marmo con basamento, che componeva la scultura del poeta vastese Lucio Valerio Pudente, un busto acefalo di donna, diverse statue e lucerne in terracotta, idoli in bronzo. 


BIBLIO

- AA. VV., Histonium, resti della città romana, in Musei e siti archeologici d'Abruzzo e Molise, Pescara, Carsa edizioni, 2001 -
- A. Marinucci, Le iscrizioni del Gabinetto Archeologico di Vasto, in "Documenti di antichità italiche e romane" Vol. 4, Tipografia Centanri 1973 -
- A.R. Staffa, Dall'antica Histonium al castello del Vasto, Fasano di Brindisi: Schena Editore, 1995 -
- L. Marchesani, Storia di Vasto. Città in Abruzzo Citeriore, Napoli 1838 -
- AAVV - Dall'antica Histonium al Castello del Vasto - a cura di A.R. Staffa - Fasano di Brindisi - 1995 -
- AA.VV - Parco Archeologico delle Terme Romane - Vasto, in Trigno Sinello, Amore a prima visita, Brochure Trigno-Sinello Card - Vasto - 2007 -



CASTRUM NOVUM PICENUM - GIULIANOVA (Abruzzo)


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SARCOFAGO ROMANO RITROVATO VICINO A GIULIANOVA

Tito Livio, nel Libro XI, riferisce che con la Battaglia del Sentino del 295 a.c., al termine della III Guerra Sannitica, il Console Curius Dentatus sconfisse e distrusse tutta l'alleanza antiromana, composta dagli eserciti sannitici, etruschi, sabini, umbri, lucani e gallici. A seguito di ciò vennero dedotte le colonie di Castrum Novum Picenum, Sena Gallica e Hatria.

Castrum Noum Picenum venne fondata sulla costa adriatica nell’area della odierna Giulianova, estendendo l’ager romanus nel conquistato territorio degli Equi fino alla costa adriatica, ma il nuovo centro non venne sviluppato secondo il sistema ortogonale romano per la conformazione collinare parallela alla costa, bensì a terrazze digradanti da nord a sud, con un sistema difensivo elevato sul ciglio della collina. 



ABRUZZO ROMANA

L'arrivo dei Romani in Abruzzo portò allo sviluppo di piccoli villaggi rurali e delle antiche città  come Marruvium, Teate, Anxanum, Interamnia e Amiternum. Gli scavi effettuati fin dal 1986 hanno evidenziato l'edificazione delle strutture in pietre di fiume, raramente in calcare, con ceramica a vernice nera, sovradipinta, d’importazione meridionale.

Nell’ultima età repubblicana e nel primo periodo imperiale si ebbe il massimo sviluppo delle città, e fiorirono le ricche domus con pavimenti in signino decorati a losanghe, la scutulata, cioè un impasto di cocci e malta cn inserimento di grossi frammenti di ceramica o di marmo, dette crustae, gettati a caso sulla superficie o disposti a formare precisi disegni.

LA LOCAZIONE
I pavimenti con scaglie erano di tre tipi: mosaici di tessere a fondo bianco, a fondo nero, e a fondo di cocciopesto. Nei pavimenti a fondo nero si otteneva un contrasto di colori inserendo scaglie marmoree molto chiare, come il giallo antico, l'africano, il serpentino e il granito, tagliate a rettangoli o a poligoni.

Vennero realizzati pure muri realizzati con frammenti di anfore, tra i quali una cortina in opus spicatum eseguito eseguito con tali frammenti. Nelle strutture pubbliche quali teatri, anfiteatri, basiliche, fori, impianti termali, templi si esplicò tutta l'arte e il gusto romano dell'architettura monumentale, come si può osservare soprattutto nella città di Alba Fucens nella Marsica e nell'area archeologica di Amiternum.

Per meglio comunicare con il territorio assoggettato si dette il via a importanti vie di comunicazione, come la famosa Via Caecilia, che sembra risalisse al 284 a.c., anno del consolato di L. Caecilius Metellus Denter. La maggior parte delle vie seguivano i corsi fluviali e la costa marittima. Ciò dette grande sviluppo al commercio tanto che, tra III e II secolo a.c., si moltiplicarono gli insediamenti rustici sulle coste e ai piedi della collina dell'agro di Castrum Novum (ager castranus).

La strada che costeggiava il fiume Tordino, attraversava la città di Castrum, e percorrendo la costa, dava spazio a un sistema di fattorie e villae producendo abbondanti prodotti del suolo, inclusi intensi vigneti con la produzione del vino Piceno, in tutto l'agro delimitato a nord dal torrente Vibrata, ad ovest dall'ager di Interamnia e a sud dal fiume Tordino, come stabilito dalla centuriazione romana.

Del vino Piceno, prodotto nelle qualità del palmense e del pretuzio, venne molto apprezzato financo dagli autori latini e greci, come Polibio, lo storico greco del II secolo a.c., che nel Libro V delle Storie, parlando del «vino dei Picenti»  cita i concetti di invecchiamento e di annata, e i processi di cottura del mosto, riferendo che Annibale, giunto nel territorio dei Piceni, « sostenne l'esercito con i vecchi vini di cui era grandissima copia in quella provincia» e che i cavalli, colpiti da un'epidemia, vennero «curati con porzioni di vino caldo ».



CASTRUM NOVUM

Purtroppo degli importanti reperti archeologici rinvenuti nel territorio di Giulianova nel corso l’Ottocento, oggi ben poco rimane. Epigrafi, reperti e materiali nella quasi totalità sono andati perduti, sicuramente venduti chissà dove, lasciando traccia solo in alcuni scritti dell'epoca.

A Bellocchio, nei pressi dell’incrocio tra la Statale per Teramo e la nazionale adriatica, vicino alla scuola, si erge ancora un antico ponte che valicava il fossato di Castrum Novum Piceni, in conglomerato pozzolanico con ciottoli e frammenti di pietre e laterizi, con arco a tutto sesto e rivestito da sesquipedali (mattoni da mezzo metro l'uno).

A tre Km in direzione Teramo, sulla destra, dietro una casa e vicino all’imbocco per via Cupa, si notano delle tombe, realizzate con gli stessi materiali del ponte. Nel giardino di villa Maria Immacolata, su via Gramsci, è sopravvissuta una cisterna con tre navate a volte a botte sorrette da tre ordini di archi perpendicolari e poggianti, sulle pareti da un lato, e su sei pilastri dall'altro. Da qui dipartono dei cunicoli sotterranei non del tutto indagati.



GLI SCAVI

Negli scavi del rinvenuto Castrum, situato nei pressi dell'attuale Bivio Bellocchio, nel 1989 si rinvennero:

- oltre duecento lucerne, di cui molte erano integre e mai usate, altre rotte ma ricostruibili, altre frammentate dagli aratri. Evidentemente si trattava di una bottega artigiana di età augustea e poco oltre. Le lucerne presentavano scene erotiche, gladiatorie o di ispirazione mitologica e a motivi zoomorfi e floreali.

- strutture in pietre di fiume,
- laterizi, 
- resti di pavimentazioni in mosaico
- due cisterne di diverse dimensioni,


- una necropoli ai piedi della collina su cui sorgeva Castrum Novum. Le quindici tombe rinvenute, coperte con frammenti di tegoloni e coppi di riutilizzo, o con tegoloni bipedali, hanno restituito boccali, coppe. olle, lucerne ed oggetti personali.

- Sotto alla necropoli doveva esservi stato un magazzino perchè vi sono state rinvenute molte anfore di forma Lamboglia 2, atte al trasporto via mare del vino, dell’olio e del garum.

- Medievale ma poggiante su resti romani, sono i resti di una torre nell’angolo sud-est del vecchio cimitero, delle strutture difensive di Castel S. Flaviano, rimodellate su quelle bizantine.


BIBLIO

- M. Montebello - Castrum Novum Piceni e il suo territorio - Roma - 1980 -
- Mario Bevilacqua - Impianto vitruviano ed echi albertiani nel disegno urbano di Giulianova - Quasar - Quaderni di Storia dell'Architettura e del Restauro - 1999 -
- L. Migliorati - Coloniae maritimae: riflessioni urbanistiche - La città nel mondo romano - Atti IX Convegno Internaz. di Archeol. Class, - Tarragona 1993 -



ANXSANUM - LANCIANO (Abruzzo)


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IL DUOMO SOPRA AL PONTE DI DIOCLEZIANO

Anxanum, corrispondente all'odierna città abruzzese di Lanciano, fu un'antica città del popolo italico dei Frentani, posta sul contrafforte di Colle Erminio o di Lancianovecchio, sulle sue pendici in direzione sud-nord (m.285-250) tra il Fosso Spirito Santo (zona ex convento dei Celestini), e il Fosso di S. Apollonia (contrada San Iorio-Santa Liberata). 

Il contrafforte  confluisce in piazza Plebiscito, e risale al I piano della Fiera, dove sta il corso Trento e Trieste, sino al piano del convento di Sant'Antonio, attiguo all'ex convento di Santo Spirito, zona di odierna espansione edilizia. 



LA FONDAZIONE

Gli storiografi antichi di Lanciano Giacomo Fella, Pietro Pollidori, Omobono Bocache e Domenico Romanelli, hanno dibattuto sull'origine del nome, a volte inventando leggende, soprattutto Fella e Pollidori creando il mito della fondazione del compagno Solimo di Enea fuggito da Troia in Italia. Ma tutte le fondazioni antiche sono mitiche, con qualche fondo di verità.

Lo storiografo Pollidori invece si riferì a un tal Anxa, fratello di Solimo, che con i suoi uomini si fermò preso le coste del fiume Sangro, e fondò la città nell'anno 1179 a.c.. Malgrado i reperti archeologici neolitici facciano risalire il sito a un'epoca precedente alla fondazione di Roma nel 753 a.c. non ve ne è prova certa, anche perchè non ci sono lapidi che attestino tale fondazione. 

La leggenda di Giacomo Fella parla poi anche di Solimo che si spostò nella valle Peligna, fondando Sulmona, da cui prese il nome, e a motivo di un possibile legame di parentela tra sulmonesi e lancianesi, il Fella ipotizza che presso la chiesa di San Maurizio a Lanciano (Largo dei Frentani) si trovasse, nelle fondamenta, il tempio della Dea Pelina, venerata anche dai sulmontini, e ipotizzava anche la presenza del tempio della Dea Minerva sotto la cripta della vicina chiesa di San Biagio.



IL NOME

Secondo Pansa, il nome Lanciano proverrebbe dalla fusione del termine Anxanum con la particella locativa "ad", trasformata nell'articolo "L", per cui in alcuni documenti Lanciano era riportata anche come L'Anxianum - L'Anciano. 

Poi l'articolo si fuse completamente col nome nel XII-XIII secolo, poiché nei documenti in altino era ancora riportata, sin dai tempi dell'occupazione bizantina (VI secolo d.c.) come Castrum Anxani, poi modificato in Castrum L'Anxiani.

La città romana si svolgeva lungo il colle Erminio, sulla via dei Frentani del rione Lancianovecchia, e una cisterna romana è stata rinvenuta presso il Ponte di Diocleziano (III secolo), con una fonte presso il sottostante Pozzo Bagnaro. La cisterna romana è accessibile dal percorso archeologico San Legonziano del convento di San Francesco.

CHIESA DI SANTA LUCIA - TEMPIO DI GIUNONE

STORIA

Nell'età del ferro vi sono delle tracce di popoli pelasgici o illirici e in questo periodo potrebbe essere stata fondata Anxa o Anxia. Secondo Varrone, Livio e Plinio il Vecchio, Anxanon divenne la capitale del popolo Frentano, gente di stirpe sannitica che occupò l'area costiera tra Pescara ed il Fortore a partire dal V secolo a.c..

Qui la città subì l'influsso culturale dei Greci, che allora controllavano i traffici commerciali sulla sponda occidentale dell'Adriatico. Tra il IV secolo a.c. ed il III secolo a.c. i Frentani presero parte alle prime due Guerre Sannitiche, accettando di diventare foederati dei Romani, dopo la sconfitta subita nel 304 a.c..

Tra il V e il IV secolo a.c. la città di Anxa con gli altri centri Frentani, escluso Larinum (stato autonomo), formava l'unione federale Frentano-Sannita. Roma per espandersi dovette affrontare i Sanniti, tra cui i Frentani, che avevano empori commerciali rivolti sull'Adriatico, come Ortona, Civita Frentana (oggi Francavilla), Gualdum (San Vito), Buca (Punta Penna del Vasto) e Histonium; empori molto ambiti da Roma che pertanto coinvolse nella guerra anche i Frentani. 

Nel 319 a.c. Roma, dopo numerosi insuccessi, accordò ai Sanniti l'antica alleanza e nel 304 i Frentani accolsero l'invito abbandonando i Sanniti e si allearono con Roma, che tuttavia rispettò sempre la loro autonomia. Infatti fu determinate l'aiuto che essi dettero ai Romani nella II Guerra Punica contro Annibale Barca.

ARCATA DEL PONTE DI DIOCLEZIANO

L'ORGANIZZAZIONE

Il territorio frentano, con il circondario della Val di Sangro, era diviso in tanti centri indipendenti gli uni dagli altri con Anxa come Capitale, che ebbe un ruolo importante nel governo della valle, stabilendo leggi proprie. Il commercio era a carattere agricolo-pastorale, e anche artigiano, poiché presso la valle passava un tratturo che collegava la Majella alla Puglia foggiana. 

Le ceramiche rinvenute, molte delle quali di importazione dalla Daunia (in Puglia) o dall'Africa, hanno testimoniato un'economia molto sviluppata anche grazie al porto di Ortona. Strabone, nel V libro della "Geografia" cita Ortona come principale scalo commerciale marittimo dei Frentani e pure lo storico Domenico Romanelli (1756 – 1819) ritiene il porto fosse costruito in epoca italica, visti i ruderi presenti al fosso Ciavocco, dove sbocca il torrente Peticcio..

Le ceramiche rinvenute negli scavi degli anni '90 presso Largo San Giovanni, Piazza Plebiscito, cisterna dell'ex convento di San Legonziano, terreno del fosso Bagnaro sotto via dei Bastioni, sono oggi conservate nel museo civico archeologico, nell'ex convento di Santo Spirito.



I ROMANI

Anxanon, entrata nella sfera di influenza di Roma intorno al 304 a.c., a differenza delle altre popolazioni sannite rimasero fedeli a Roma durante le Guerre Puniche. Nella Guerra Sociale del 90 a.c., invece, furono tra i fautori della Lega Italica.

Al termine del conflitto i Frentani ottennero però la cittadinanza romana come tutti i popoli italici e il nome venne romanizzato, da Anxanon in Anxanum. In seguito, con la riorganizzazione amministrativa voluta da Augusto, la città fu ascritta alla tribù Arniense, all'interno della Regio IV Samnium.

MUSEO ARCHEOLOGICO DI LANCIANO


LA LAPIDE DELL'ORDINE DEI DECURIONI LANCIANESI

Che Anxanum divenne municipium è attestato da una lapide scoperta da Omobono Bocache, murata nel campanile della cattedrale di Lanciano in Piazza Plebiscito e, poi, fortemente danneggiata in seguito ai bombardamenti tedeschi del 1944.

Venne studiata anche dal Mommsen, che però inizialmente la ritenne un falso. Venne rimontata dentro il palazzo comunale, benché alcuni frammenti rimasero presso la torre campanaria, poi ricomposti ed oggi si trovano nella parete sinistra del secondo piano del Palazzo Comunale. 

L'autenticità della lapide fu poi riconosciuta dallo stesso Theodor Mommsen in una sua opera (vol. IX - Berlino 1883 pag. 280 n. 2998), in cui narra che fu rinvenuta dal poeta Oliviero di Lanciano nel 1510 che la portò in Contrada Santa Giusta e da qui, nel 1520, fu ritrasferita in città per ordine del pretore Alfonso Belmonte. Mommsen conferma che "Lanciano fu senza dubbio un municipio romano".

Secondo gli studi di Florindo Crabba la lapide fu mal studiata dal Bocache, e ancora prima dal Pollidori che crearono la leggenda della città perduta al tempo di Roma, credendo che l'antica Anxanum, per mancanza di monumenti e ruderi architettonici consistenti e cospicui, come per altre città antiche abruzzesi, non si trovasse sopra il Colle Erminio, ma nella contrada di Santa Giusta. 

Ma lo storico Pollidori, basandosi su Giacomo Fella, ipotizzò vari monumenti e templi dell'antica Anxanum sotto le attuali chiese e palazzi maggiori, benché non ve ne fossero prove certe, a parte qualche lapide, piuttosto interessante. poi venne scoperta una lapide che invece riporta il collegio amministrativo dei decurioni di Anxanum, vigente ancora al tempo delle invasioni gotiche e bizantine al V secolo d.c.. Anxanum era lì, sotto i loro piedi.

L'ANTICO FORO

ANXANUM

In epoca romana Lanciano dovette conoscere una buona prosperità grazie alle sue fiere, dette nundinae (perchè ricadevano ogni nove giorni), come testimoniato anche dagli scritti di in scritti di Varrone, Livio, Sigonio e Plinio il Vecchio. In effetti, fin dall'età antica la città ha dovuto la sua prosperità al commercio, favorito dalla sua posizione in collina, quindi ben difendibile, ma contigua al mare, nonchè vicina ad un'antichissima rotta commerciale che già collegava la Puglia all'Italia settentrionale. 

Questo tracciato, probabilmente legato al tratturo L'Aquila-Foggia per la transumanza delle greggi, in epoca romana divenne una strada, la Via Traiana, che partiva da Hostia Aterni (Pescara) e arrivava in Puglia passando per Ortona, Anxanum ed Histonium (Vasto).

I due itinerari sono stati pubblicati da Mommsen nel volume IX del "Corpus inscriptionum latinarum". L'antica Anxanum si trovava lungo la Via Frentano-Tranianea, e comunicava con la via Flaminia che passava per Aternum (Pescara), ed era stazione di pellegrini, mercanti, e pastori transumanti che passavano lungo il tratturo.

Se giungevano da nord ossia da Ortona, seguivano la strada del comune di Frisa e risalivano dalla ripa di San Nicola di Bari, passando poi per Porta San Biagio, e da lì, attraverso la piazza del Plebiscito, antico foro di Lanciano, risalivano il prato della Fiera (corso Trento e Trieste), e procedevano verso il mare, dal convento di Sant'Antonio, passando per Conicella, fino all'area del Sangro, tra Mozzagrogna e Fossacesia.

Lo storico Anton Ludovico Antinori disse di Lanciano "che fosse stata una città colta, ricca, ben governata, e non ignota ai Romani, le di cui pratiche ed usanze cercavano sempre di emulare nelle cose civile e sacre". Qui si trovavano non solo importanti mercati, ma anche la sede di istituzioni e magistrature, importanti manifatture di pelle, rinomata era inoltre l'arte farmaceutica e l'unguentaria, come attestato da una lapide che menzionava una certa Lucilla di professione unguentaria.

CHIESA DI SAN BIAGIO - TEMPIO DI MINERVA

GLI SCAVI

La città romana era costruita sul colle Erminio, sopra cui insiste il rione medievale di Lancianovecchia. Scavi negli anni novanta sotto la torre di San Giovanni hanno portato alla luce monete romane e sculture, conservate ora nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti e nel Museo Archeologico dell'ex convento di Santo Spirito di Lanciano.

Il rione di Lanciano vecchio, nella ricostruzione di Pietro Pollidori nelle "Antiquitates Frentanorum", conserva l'altare del tempio di Minerva, situato nella cripta della chiesa di San Biagio. La cripta è a botte con diversi ordini di colonne romaniche. L'altare sacro è in un angolo a sinistra, realizzato in pietra con decorazioni vegetali. 

Presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore nel rione Civitanova si trovava il tempio di Apollo, in origine posto sulla sommità del centro abitato. I resti sono effettivamente visibili nella facciata romanica della chiesa e nella parete retrostante presso il campanile. 

Sempre presso il rione Civitanova si trova, fuori le mura, la Fontana Grande, che risale al III secolo, anche se profondamente restaurata nel 1823. Presso la chiesa di Santa Lucia nel rione Borgo sorgeva il tempio di Giunone.

Gli scavi nella città, nei primi anni '90, e nel circondario di Marcianese - Serre, hanno rivelato ceramiche e statuette, oggi nel Museo Archeologico del Polo Santo Spirito, nell'ex convento celestiniano. Gli scavi operati nel 2012 per la riparazione della rotatoria di viale Cappuccini, fecero emergere il corso romano che portava al foro dell'attuale piazza Plebiscito. Per mancanza di denaro gli scavi si sono interrotti.

FONTANA GRANDE DELLA CIVITANOVA

Oggi l'unica parte visitabile con percorso guidato, è l'area sotterranea la Piazza Plebiscito, fino al convento di San Francesco, presso il Ponte di Diocleziano, edificato nel III secolo per unire Anxanum alla collina delle fiere mercantili (oggi corso Trento e Trieste). Fu modificato in epoca medievale (XII secolo) dopo un terremoto e poi nel XV secolo con la costruzione di una chiesa dedicata a santa Maria Annunziata, oggi la Cattedrale.



IL PONTE ROMANO

Il ponte è composto di quattro enormi bastioni e arcate, che sovrastano il fiume Malavalle, che un tempo alimentava la scomparsa fontana Pozzo Bagnaro. L'interno è un auditorium con alcune lapidi in iscrizione latina, rinvenute alla fine del '700 dallo storico Omobono Bocache, il quale interpretò che il ponte doveva essere stato realizzato nel III secolo d.c., perché si cita un restauratore, tal Pietro, vissuto in tale epoca.

Il percorso comprende anche il salone con le fondamenta della chiesa di Santa Maria Annunziata, demolita nel XVII secolo per la Cattedrale della Madonna del Ponte. Presso le rovine dell'antico foro Anxani, si giunge alla cisterna romana del fiume del Malvò (I secolo a.c.), all'interno della chiesa di San Francesco. 

Il vecchio convento di San Legonziano è la primitiva struttura della chiesa attuale di San Francesco d'Assisi. Del convento antico rimane solo la parte del basamento con colonne romane, adibito a zona archeologica, con un fonte battesimale rozzo e semplice, dell'epoca presto-romanica.

L'antica città occupava più o meno il sito attuale del centro storico, il cardo massimo era via dei Frentani, in Largo San Giovanni c'era il Foro, il Campo Marzio era in Piazza Plebiscito col tempio di Marte (dove oggi sorge la Cattedrale), altri templi sorgevano nell'area di San Biagio.

La parte romana de I secolo d.c. è in definitiva nel rione Borgo, con alcuni templi, dei quali quello maggiore era dedicato a Giunione Lucina, lungo il Corso Roma (oggi chiesa di Santa Lucia). 
C'era poi il colle della Selva (per la presenza di un bosco sacro), dove oggi sorge il quartiere Civitanova-Sacca. 
Vi erano stati costruiti il tempio di Apollo, dove verrà edificata la Prepositura di Santa Maria Maggiore, e il teatro romano, nell'area del Palazzo arcivescovile.

CATTEDRALE MADONNA DEL PONTE - TEMPIO DI MARTE

I MONUMENTI

Secondo lo storico Pietro Pollidori i principali monumenti dell'Anxanum romana sarebbero:

- Tempio di Marte (Piazza Plebiscito - Cattedrale della Madonna del Ponte)
- Foro (Largo San Giovanni - Piazza Plebiscito)
- Tempio di Minerva (Sacello di San Giorgio, poi cripta della chiesa di San Biagio)
- Tempio della de Pelina - chiesa di San Maurizio, Largo dei Frentani
- Tempio di Giunone (chiesa di Santa Lucia - Corso Roma)
- Tempio di Venere sotto la Chiesa di San Giovanni in Venere
- Terme romane (via dei Frentani - Palazzo del Capitano, poi D'Avalos, e dal XVIII secolo Palazzo De Crecchio)
- Teatro romano (Largo dell'Appello - Palazzo arcivescovile)
- Tempio di Giove Olimpio (Largo dell'Appello - chiesa della Maddalena, poi di Santa Maria Nuova o Santa Giovina)
- Ponte dell'imperatore Diocleziano (Piazza del Plebiscito)
- Cisterna romana (Piazza Plebiscito - fondaci dell'ex convento di San Basilio sotto San Francesco d'Assisi)
- Tempio di Apollo (via Garibaldi - chiesa di Santa Maria Maggiore).

Sembra inoltre che la Fontana Grande del rione Civitanova, presso la contrada Sant'Egidio, sotto le mura medievali, risalisse al III secolo d.c. ma nel 1825 è stata ricostruita quasi totalmente con un aspetto neoclassico.

CHIESA DI SA GIOVANNI IN VENERE - TEMPIO DI VENERE

MUSEO DI SANTO SPIRITO

Gran parte del materiale archeologico scultoreo rinvenuto a Lanciano, è stato conservato nella Raccolta civica archeologica, oggi nei locali dell'ex convento di Santo Spirito come la lapide rinvenuta nel '500 nella piazza, e anche un'altra rinvenuta dallo storico Omobono Bocache nei fondaci del Ponte di Diocleziano, che parla del pretore romano che fece restaurare il sito.

La lapide della Torre riporta invece: IMP. CAES. AVG. ANXIANO ADSTANTE ORDINE / CVM PARTIBVS AVIONVS IVSTINIANVS RECTOR / NOMINATAM DECVRIONVM QUAM ETIAM COLLEGIA./TORVM OMNIVM PVBLICE INCIDI PRAECEPTI. V.T.

Segue un elenco dei politici che amministravano la città, nel I secolo.

I reperti più antichi riguardano vasellame e ceramiche, appartenenti ai Frentani, stanziati in piccoli villaggi, come Serre e Marcianese, e successivamente arroccatisi sul Colle Erminio di Lanciano Vecchio. 

In località Gaeta sono state rinvenute nel 1965 le tombe di due guerrieri con corredo di: vasellame, ceramiche a figure nere del VI-V secolo a.c., e una collana di pasta vitrea per il corredo femminile. Altre ceramiche più tarde risalgono al IV-III secolo a.c., tra cui una testa di divinità in terracotta del II secolo a.c., probabilmente Minerva.

All'età tardo-antica risalgono i reperti rinvenuti negli scavi negli anni 1990-94 in Largo San Giovanni e in Piazza Plebiscito con il ritrovamento di statue e teste, come la testa marmorea di Diocleziano, ulteriore prova che il ponte sotto la Cattedrale fu fatto erigere da lui, come riporta anche l'iscrizione rinvenuta da Bocache, oggi conservata nel Museo Archeologico di Chieti.


BIBLIO

- Giacomo Fella "Chronologia Urbis Anxani" manoscritto del 1626, capitolo "tempio della dea Pelina"
- AA.VV. - Anxanon - Libero -
- F. Carabba, "Storia antica di Lanciano. Dalle origini alla conquista normanna", Tabula edizioni, Lanciano 2010
- Pollidori, "Antiquitates Frentanorum", manoscritto
- Florindo Carabba, Storia antica di Lanciano: dalle origini alla conquista normanna, Tabula edizioni, 2010



HATRIA - ATRI (Abruzzo)


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CISTERNA ROMANA
Hatria, oggi Atri, è una città posta in provincia di Teramo, anche se più vicina e meglio collegata con Pescara e la sua area metropolitana, nel comprensorio delle Terre del Cerrano, in Abruzzo. Secondo una leggenda vanne fondata da Diomede il quale, essendovi giunto in inverno ed avendovi tuttavia trovato una giornata di sole, la chiamò Haithria, cioè sereno, nome poi corrotto in Hatria.
Secondo altri le sue origini leggendarie risalirebbero alle migrazioni dalla Dalmazia del X sec. a.c., degli Illiri che, attraversato l'Adriatico, si stabilirono anche sulle opposte sponde del Piceno, spingendosi pure nelle valli interne e integrandosi con le primitive popolazioni indigene. 
Questa impronta illirico-sicula si evincerebbe anche dal nome Hatria, caratterizzata dalla stessa radice di Hatranus o Hadranus, divinità sicula raffigurata insieme al cane, animale ad essa sacro, sulle monete cittadine coniate, secondo molti studiosi, anteriormente ai primi contatti con Roma. Atri si contende con Adria veneta l'onore di aver dato il nome al mare Adriatico. Il territorio su cui era sorta Atri fu sottoposto successivamente alle migrazioni delle genti umbro-sabelliche, a loro volta soppiantate dai Piceni.


In antico la città ebbe floridi commerci con gli Etruschi, gli Umbri e con la Grecia alla quale esportava vino e olio. L'Ager Hatrianus si estendeva a nord dal fiume Tordino, comprendeva il Vomano, e finiva a sud fino al fiume Saline, dove aveva inizio il territorio dei Vestini, mentre il confine occidentale coincideva con le pendici del Gran Sasso.

Ad Hatria era molto viva anche l'oreficeria, segno del lusso della sua popolazione, ma pure oggetto di grande esportazione. Ad Hatria sono stati rinvenuti splendidi monili (secondo alcuni etruschi, secondo altri locali), conservati oggi nel museo archeologico nazionale di Campli o museo Paludi di
Celano, qui rinvenuti oppure sono conservati al British Museum di Londra.



L'ALLEATA DI ROMA

Il suo importante porto le permise di creare una nutrita flotta e di avere contatti commerciali floridi con la Grecia, nonostante le navi venissero spesso attaccate dai pirati Illirici. Infatti partecipò al fianco di Roma alla lotta contro i pirati che infestavano l'Adriatico, alla guerra illirica ed alla guerre puniche.

Molto probabilmente Annibale, dopo aver saccheggiato tutto il Piceno, si accampò con le sue truppe nel ricco e fertile Ager Hatrianus per ritemprare i suoi soldati e pure i suoi animali.


Atri rimase fedele a Roma, inviando soldati e vettovaglie anche quando la vittoria cartaginese sembrava vicina e per questo, insieme a Signa, Norba, Saticola, Fregelle, Lucera, Venosa, Brindisi, Fermo, Rimini, Ponza, Pesto, Cosa, Benevento, Isernia, Spoleto, Piacenza e Cremona, fu inserita in un decreto del Senato romano che rendeva pubblici i nomi delle città cui Roma doveva la sua salvezza. 
Divenuta colonia latina nel 289 a.c., comunque Hatria continuò comunque a battere la sua moneta e si distinse nelle ulteriori battaglie accumulando premi e privilegi. Anche durante la Guerra Sociale Atri si schierò a fianco di Roma, anche perchè godeva del diritto di voto nei Comizi essendo iscritta nella tribù Mecia. 

Nel periodo imperiale la città continuò ad essere un centro importante, diede origine alla famiglia dell'imperatore Adriano, che la riteneva sua seconda patria ed in essa ricoprì la carica di quinquennale a vita e di curator muneris pubblici. Dalla stessa famiglia, italica, trasferitasi in Spagna nacque anche l'imperatore Traiano, suo consanguineo.

LE GROTTE

LE GROTTE

Le Grotte, raggiungibili attraverso una ripida gradinata a circa 800 metri da porta Macelli, caratterizzano tutto il territorio delle Terre del Cerrano. L’ingresso è posto a Nord – Ovest; provenendo dal centro storico, in zona caserma dei carabinieri, si deve imboccare la prima strada a destra. Da lì è molto semplice continuare da soli grazie ai cartelli. 

 Secondo l’Archeoclub locale si tratterebbe di un enorme complesso industriale di età romana. Infatti, Atri era famosa in quel periodo soprattutto per il commercio del lino. Le pareti presentano anche i caratteristici cordoli, tipici delle cisterne romane. Le grotte non sarebbero altro che un’enorme vasca in cui si lasciava questo filato a macerare. 

Mentre, le piccole aperture in fondo, ai grandi saloni, non erano altro che sfoghi per le acque reflue dopo il complesso ed ingegnoso sistema di macerazione. Ai dubbiosi si ricorda che in altri siti cittadini si possono rinvenire sistemi di canalizzazione e raccolta del le acque di alta ingegneria, come le fontane archeologiche (kanat) ed il sistema di raccolta e trattamento di potabilizzazione rinvenuto recentemente presso il Palazzo D’Acquaviva. 


Oggi gli studiosi concordano che le grotte costituissero una grossa riserva d’acqua, mantenuta a bassa temperatura grazie alla posizione interrata. All’ingresso vi è una sala scavata nella viva roccia, collegata ad altre di eguale e minore ampiezza, intersecate da stretti cunicoli, sempre più bassi ed oscuri via, via che ci si allontana dalle aperture. 

Il complesso fin’ora esplorato ha una forma grosso modo trapezoidale, con una superficie di circa 700 mq disposto su tre piani. Particolarmente interessante risulta l’aspetto planimetrico con un corpo di gallerie più ampio (quattro navate e tre gallerie) ed uno ristretto (due gallerie principali e sette laterali, dette “le grotticelle”), che porterebbe denunciare successive riprese dei lavori e con buona probabilità la funzione collaterale di cava. 

La leggenda cristiana invece narra che le grotte, avendo cinque entrate e cinque uscite, sarebbero in realtà l’estensione della mano di S. Reparata che, durante un terribile terremoto, tenne fra le sue mani la Città di Atri impedendole di crollare. 

IL TEATRO

IL TEATRO

L'area archeologica è posta in via del Teatro, nei pressi di Palazzo Cicada, sec. III - II a.c. 
Nell'autunno 1993 sono iniziati gli scavi per riportare alla luce il monumento, ipotizzato da Giovanni Azzena, studioso dell'Istituto "Cardinal Cicada", come italico. 

Il teatro è stato in larga parte riportato alla luce, con un diametro di 70 metri, può contenere 10 000 persone a sede, nella zona della cavea si trova, nelle cantine del palazzo Cicada, al suo interno, dove il paramento dell'originale struttura è visibile, lo stato di conservazione risulta ottimo.

RESTI DEL TEATRO ROMANO
Al contrario i pavimenti non sono conservati, per un generalizzato abbassamento dei piani delle cantine del palazzo, senza un minimo rispetto per le antiche vestigia. Le volte parzialmente distrutte per permettere l'innalzamento dei soffitti moderni, erano costruite in calcestruzzo, con setti delimitati da nervature in laterizi tagliati, posti di coltello. 

Sono venuti alla luce anche parti dell'antico convento dei Gesuiti, sorto sempre sulle rovine di questo teatro nel XVII secolo, e resti di varie abitazioni; inoltre molti mattoni del teatro presentano la scritta PH, ossia Hatrianus Populus (popolo di Atri, oppure "Hatria").



LE MURA

A cingere l'orto del convento di Santa Chiara, nell'area del Belvedere, vi è un lungo e alto muro che, dalla parte che guarda Viale delle Clarisse, è in laterizio e risale al XV secolo, mentre sul tratto affacciato in Vico Mariocchi è costituito da grandi blocchi squadrati di epoca romana, per cui si presuppone che si tratti di una piccola parte delle fortificazioni della romana Hadria.



LE MURA CICLOPICHE

Dichiarate del VI secolo a.c., ma sicuramente più antiche, sono le mure della Atri picena, costituite da blocchi in pietra di varie dimensioni posti a secco e ad incastro. Si trovano presso la Fonte della Strega, poco fuori il centro storico.



IL PORTO ROMANO

«il torrente Matrinus, che scorre dalla città di Atri, con l'omonimo porto»
(Strabone - Geografia - V, 4, 2)  

Sulla costa antistante Atri, nei pressi della Torre di Cerrano (Pineto), su un fondale sabbioso tra 5 e 15 metri, dovrebbero estendersi le rovine sommerse dell'antico porto, con un molo a forma di "L", opere murarie, lastroni in pietra d'Istria, colonne e vari manufatti. Secondo l'opera di Luigi Sorricchio, che ripercorre la storia di Atri nel tempo, le rovine dell'antico porto si troverebbero nei pressi della foce del fiume Vomano precisamente tra Scerne e Roseto degli Abruzzi. 

Nel 2011 è stato ritrovato un antico mosaico di epoca romana durante dei lavori stradali, nel confinante comune di Roseto degli Abruzzi il che fa supporre che tutto ciò non sia solo una semplice supposizione.

Il porto di Cerrano-Matrinus esisteva già in epoca romana, ma alcune indicazioni mostrano che fosse già vivo in epoche anteriori. La successiva decadenza è documentata nella prima menzione medievale, risalente all'VIII secolo:
«In qua sunt civitates Firmus, Asculus et Pinnis et iam vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit
(Paolo Diacono - Historia Langobardorum - II, 19)
dove appunto non si fa cenno al porto che probabilmente doveva essere già sparito da tempo.



BIBLIO

- Museo Nazionale Archeologico - Campli, in Musei e siti archeologici d'Abruzzo e Molise - Pescara - Carsa Edizioni - 2001 -
- Anton Ludovico Antinori - Annali degli Abruzzi - Vol. I -- Luigi Sorricchio - Hatria-Atri - I vol. - Roma - Tip. del Senato - 1911 -
- Giovanni Azzena - Atri - forma e urbanistica - Roma - L'Erma di Bretschneider - 1987 -
- Maria Cristina Mancinelli - L’Antico Porto di Hadria su Torre del Cerrano - Area Marina Protetta, Co.Ges. - Torre del Cerrano -



IUVANUM (Abruzzo)


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IUVANUM, RICOSTRUZIONE DEL FORO
Iuvanum è un sito archeologico di epoca romana posto nello splendido scenario della Majella orientale, e si trova nelle campagne di Montenerodomo, in provincia di Chieti. I monumentali resti dell’antica Iuvanum costituiscono uno dei più importanti siti archeologici della regione.

Dell’insediamento originario, dei Sanniti-Carricini, rimane il santuario arcaico, con due templi affiancati, e il piccolo teatro con scena e gradini in pietra. All’età romana risale invece la gran parte dei resti archeologici oggi visitabili: strade lastricate, la grande piazza centrale (il foro), pavimentata con lastre di pietra e circondata da botteghe ed edifici pubblici, e poco distanti le terme.

A ridosso del sito, un moderno edificio ospita il Museo Archeologico, che dispone di un percorso appositamente pensato per gli ipovedenti, e il Museo della Storia e Trasformazione del Paesaggio.

Sono resti di un insediamento romano successivo alla guerra sociale (91-88 a.c.) un foro, un tempio e una basilica e si pensa che il nome derivi dal fatto che il centro fosse abitato inizialmente da iuvenes ("giovani").

IL SITO ARCHEOLOGICO
Nel Liber Coloniarum Iuvanum viene elencato come Jobanos e Plinio il Vecchio afferma che Juvanenses è una derivazione di Lanuenses, ma si pensa non abbia a che fare con Iuvanum che probabilmente dovette il suo nome invece da un santuario dedicato a Iuventas, la Dea della gioventù.

Il centro originario si trova lungo l'odierna strada che da Montenerodomo porta a Torricella Peligna. E' probabile che il primo nucleo si trovasse su una sorgente ove i pastori dediti alla transumanza facevano abbeverare le loro greggi.

Nell'età repubblicana è da ricercare l'oppido preromano che si è sviluppato sulle colline limitrofe tutt'intorno. Già prima della guerra sociale risulta essere municipio romano. Il municipio comprendeva i seguenti paesi:

- Montenerodomo (antica città frentana-carecina che, verso il IV-III secolo venne spostata a valle ove divenne municipio romano)
- Torricella Peligna (La fondazione di Torricella si fa risalire secondo la tradizione locale ad un esodo dagli esuli di Juvanum, durante le guerre bizantine del VI secolo d.c.)
- Taranta Peligna (epoca preromana e romana)
- Palena (epoca preromana e romana)
- Gessopalena (In Monte San Giuliano sono stati ritrovati resti di mura megalitiche di epoca preromana, Durante la costruzione della via Peligna, venne ritrovata una statua raffigurante una sfinge).

LA FONTE
Reperita un'iscrizione di Juvanum dove un certo Poppedius fu "Patronus Munic(ipii) Iuvanens(is)". Il municipio fu iscritto alla tribù Arniensis e fu gestito da quattuomviri. Nel centro abitato vi erano dei seviri augustales (magistrature minori in genere a carattere onorario) e la divinità principale era Ercole, culto gestito dal collegium Herculaniorum (congregazione di pii dedicati al culto di Ercole). Nel 325 vennero restaurate le mura dal governatore provinciale Fabio Massimo il quale restaurò le mura e fece erigere il secretarium.

La città romana fu attiva fino al IX secolo d.c. circa, quando si spopolò per la costruzione di nuovi centri fortificati per difendersi dalle incursioni barbariche. Nacquero così i castelli di Montenerodomo e Torricella Peligna. 

La città romana fu spogliata, inoltre, per l'edificazione di case pastorali, e per la costruzione della vicina Abbazia di Santa Maria in Palazzo. Fino alla seconda metà del '900, la città romana era caduta in oblio, e l'erba l'aveva interamente ricoperta, tranne le colonne di alcuni templi, che furono prelevate nel 1933 per il restauro della chiesa parrocchiale di San Martino di Montenerodomo. Il sito è stato completamente riportato alla luce negli anni '90.

Grosso modo Juvanum era composto da un foro posto al centro dell'abitato, una basilica posta a destra del foro, a sinistra si apriva la via Orientale e sullo sfondo si elevava la collina dell'acropoli.

ISCRIZIONE DELLA PIAZZA

IL FORO

Il Foro, luogo di aggregazione sociale e di mercato, mostra una grande piazza rettangolare, tutta lastricata, che misura metri 64 x 27,50. Alcuni lastroni del pavimento del foro recano delle incisioni.

L'intera piazza del foro è circondata quasi per intero da portici che costeggiavano delle tabernae, con botteghe artigianali e commerciali, sostenuti da 13 colonne sui lati maggiori e 8 su quelli minori. Le colonne erano 8 x 18, mentre l'intercolumnio misurava 3,90 metri. Nella piazza vi erano anche delle statue come si può ipotizzare da alcuni basamenti ritrovati.
Naturalmente assunse la sua forma monumentale solo in età augustea, quando si realizzo il foro lastricato, con le statue poste tra le colonne e si edificarono importanti edifici pubblici.Sono state infatti rinvenute molte le iscrizioni che celebravano fatti e personaggi influenti.

Una iscrizione pavimentale con lettere in bronzo fuse nella pietra su tre righe caratterizzava la piazza, che era dedicata ad un uomo politico, un tale Herennius Capito che nella metà del I sec. d.c. realizzò la pavimentazione del foro a sue spese. Capitava sovente tra gli antichi romani che un influente personaggio facesse una grossa donazione alla sua città per conquistare voti elettorali.
All'epoca questo fenomeno era detto evergetismo e veniva usato spesso per venire eletti in un'importante carica pubblica. era una forma di pubblicità, ma non era corruzione perchè ne usufruivano tutti i cittadini.

Ancora oggi passeggiare nel foro di Iuvanum è un'esperienza emozionante, sono visibili i fori delle iscrizioni in bronzo colato, il perimetro della piazza e la base del porticato, le fondamenta degli edifici, la basilica e le strade.

LE MURA MEGALITICHE

LE MURA

Le mura poligonali risalgono al IV e III secolo a.c. erano atte a difendere un'area di culto forse dell'acqua. Erano situate presso un colle roccioso nelle vicinanze del borgo vecchio della città di Montenerodomo ed erano mura poligonali con pietre a secco di epoca sannitica. Nel III secolo a.c. l'abitato venne spostato più a valle, ove sorse Juvanum.

I TEMPLI

I TEMPLI

Intorno al III sec a.c. si sviluppò sulla cima di una collina nei pressi di Montenerodomo il santuario di Iuvanum, forse su un preesistente luogo di culto legato all'acqua.

Sulla sommità dell’acropoli, nella prima metà del II secolo a.c. i Carricini, una delle quattro tribù che componevano il popolo sannita, edificarono un tempio, su alto podio in opera quadrata rivestita da lastre in pietra con scalinata centrale e quattro colonne con capitello dorico.

Il tempio conserva delle tracce di antico podio con dei pezzi di travertino. Le misure del pavimento dovevano essere di 21,30 X 12,60 metri, mentre l'ingresso era di 9 x 2,6 metri. Le misure possono essere imprecise, dato che sopra il tempio, intorno all'anno mille, i benedettini edificarono un'abbazia, Santa Maria del Palazzo utilizzando le pietre dell'antica città e del tempio che divenne la fondamenta del nuovo edificio di culto.

IL SANTUARIO DEL III SEC: A.C.
Successivamente, ma sembra nello stesso secolo, l’area sacra venne ampliata con la costruzione di un secondo tempio più piccolo, anch’esso su podio, con cella unica preceduta da un pronao con gradinata, ora scomparsa. Intorno al II secolo a.c. venne costruito un 2° tempio ad una distanza di 3,9 metri dal tempio precedente. Di questo tempio rimane solo il podio. 

Le epigrafi citano i culti di Eracle, Diana, Vittoria e Minerva. I due templi sono di influenza ellenistica importata da alcune maestranze campane e la diffondono in tutto il Sannio-Pentro tramite richiesta di alcuni committenti, (i pentri erano una delle quattro tribù sannite stanziate nel Sannio settentrionale, a cavallo delle attuali province di Isernia, Campobasso, L'Aquila e Chieti, tra Molise e Abruzzo).

A sud-est della collina con l'acropoli è stata trovata la cavea del teatro, di impianto sannita, risalente al II secolo a.c. di cui sono rimaste le prime 7 file di gradini costruito con delle pietre più piccole ai lati e più grandi al centro. La frons scenae è a tre nicchie. Il teatro, posto al di sotto dell'area dei templi non è in simmetria con i teatri sulla parte alta del sito.



LE TERME

Poco distante troviamo le fondamenta di un imponente edificio, oggetto di scavi negli ultimi anni, probabilmente utilizzato per attività termali.

LA BASILICA

LA BASILICA

La basilica era a pianta absidale (struttura architettonica a pianta semicircolare o poligonale con volta generalmente a semicupola) e pavimento a lastre di marmo, vi si praticava secondo alcuni il culto imperiale, secondo altri, e con più probabilità, i processi e la giustizia.

A sud est del foro sono stati ritrovati alcuni vani:

- il vano W aveva funzione, forse, di cucina, come pare attestare la presenza di un focolare al centro;
- il vano B è una taberna di un medico dato il ritrovamento di attrezzi medici usati anche nel campo della cosmetica e farmaceutico;
- il vano K probabilmente era la stanza di una ornatrix come paiono attestare oggetti ivi rinvenuti appartenenti al mundus muliebris celati da bipedali.

- A sud est del portico del foro, si apre la città giulio-claudia. Uno degli altri ambienti ha ridato alla luce una mola olearia utilizzata per il riempimento della pavimentazione. Alcuni ritrovamenti sotto la città romana fanno ipotizzare un antico insediamento rurale.

- Due delle vie di Juvanum vengono chiamate in modo fittizio, dato che non si conosce il loro nome reale, "Via del Foro" e "Via Orientale". Le due vie non sono strutturate con vie ortogonali e non attraversano il foro.
- La Via del Foro era pavimentata con delle lastre a struttura regolare. La lunghezza della via era di 5,30 metri.

I RESTI DEL TEATRO
- Della Via Orientale ne rimane un tracciato di 90 metri di lunghezza per 3 metri di larghezza. I lastroni di pavimentazione sono delimitati da argini.

Varie ceramiche a patera del II e I secolo a.c., mentre tra il I secolo a.c. ed il I secolo d.c. vengono realizzate le coppa da mensa in sigillata italica liscia o con decorazioni di barbottine (legante semliquido, ottenuto dall'impasto di acqua e argilla).

Delle fibule ad arco semplice del tipo Aucissa, della fine del I secolo d.c. che prende il nome di un fabbricante celtico iscritto sulla fibula.

Una tomba di un bambino con due bronzetti raffiguranti Ercole recante una lamina d'argento con un'incisione riempita a niello (lega metallica nera usata come intarsio nell'incisione di metalli).

Delle statue di togati di cui uno con una bulla, forse raffigurante un membro della famiglia imperiale, un altro con un mantello.

Nel Museo archeologico di Juvanum sono conservate alcune suppellettili di Juvanum. È stato inaugurato nel 2006. Nel Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo di Chieti vengono conservati frammenti architettonici di Juvanum.


BIBLIO

- Adriano La Regina - Abruzzo, Molise - coautore Filippo Coarelli - Roma-Bari - Laterza - 1984 -
- L. Martelli - Montenerodomo e Juvanum - Pescara - 1994 -
AA. VV. - Iuvanum parcheologico - in Musei e siti archeologici d'Abruzzo e Molise - Pescara - Carsa Edizioni - 2001 -
- Adriano La Regina - I sanniti - Milano - Libri Scheiwiller - 1989 -
- A. Mucciante - Iuvanum - scavi nel settore occid. del foro, Area 1, Campagne di scavo 2007-2008. Rinvenimento di un gruzzolo IV secolo, possibili implicazioni archeosismologiche e breve nota sulla ceramica dipinta tarda di Iuvanum - Quaderni di Archeologia d'Abruzzo - Firenze - 2014 -



 

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