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MAUSOLEO DI LUCIO SEMPRONIO ATRATINO


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LUCIO SEMPRONIO ATRATINO

Lucio Sempronio Atratino (73-20 a.c.), esponente della patrizia gens Sempronia, intraprese la carriera politica diventando pretore suffectus nel 40 a.c. e console suffectus nel 34 e, dapprima sostenitore di Marco Antonio, in seguito si schierò dalla parte di Augusto che lo nominò nel 23 a.c. governatore dell’Africa Proconsolare.

Nel 22 intraprese un viaggio in Africa dal quale tornò con un male incurabile e, al suo ritorno, dopo la celebrazione del trionfo per le azioni vittoriose compiute nella provincia, si suicidò nel 20 a.c., a 53 anni, tagliandosi le vene dei polsi in una vasca d’acqua calda, onde darsi una morte dignitosa. Il suo cambiamento di partito da Antonio a Ottaviano dovette essere molto convinto perchè lasciò tutti i suoi averi all'imperatore Augusto.



IL MAUSOLEO

Non conosciamo nè la data di inizio lavori del mausoleo nè la data del termine dei lavori, per cui ci sono tre ipotesi:
- il mausoleo era già ultimato prima della morte di Atratino, essendo stato iniziato in precedenza; 
- il mausoleo era in corso di costruzione, al tempo della morte, e venne fatto ultimare dall’imperatore.
- alla morte di Atratino la costruzione del mausoleo non era iniziata e fu diretta da Augusto, utilizzando i beni lasciatigli dal defunto; 
Augusto aveva un suo codice d'onore molto preciso per cui sicuramente avrebbe ultimato o ordinato del tutto un mausoleo di colui che era diventato suo amico.

Il mausoleo di Lucio Sempronio Atratino venne anche chiamato Mole Atratina o Torre dell'Atratina, ed è situato nel centro abitato di Gaeta, sul colle Atratino, che costituisce l'area superiore del quartiere Porto Salvo. 

L'area in cui si sorge il quartiere di Porto Salvo era, in epoca romana, occupata da alcune ville, tra le quali quella dell'imperatore Antonino Pio sul versante occidentale dell'istmo di Montesecco, quella di Lucio Sempronio Atratino (nell'area superiore dell'attuale quartiere) e quella di Lucio Marcio Filippo, marito di Azia, figlia di Giulia, che a sua volta era la sorella di Cesare, per cui divenne padre adottivo di Ottaviano Augusto.

Il mausoleo di Lucio si trova oggi sul colle Atratino che da esso prende nome; non lontano da via Gastone Maresca, all'incrocio tra via Atratina (che lo costeggia sulle fiancate settentrionale e occidentale), via Cuostile e via Cristoforo Colombo. Già in posizione isolata rispetto al centro abitato, è attualmente in una zona densamente edificata a scopo residenziale.

MAUSOLEO DI LUCIO MINAZIO PLANCO COME IMMAGINE DEL MAUSOLEO DI ATRATINO INVIOLATO 

DESCRIZIONE

Il mausoleo ha pianta circolare, del diametro di m 36,30, con una circonferenza di m 114. Lungo il perimetro, internamente vi è un alto corridoio anulare largo m 2,50 coperto con volta a botte; di quest'ultimo manca tutta la metà meridionale, crollata in seguito allo scoppio del 1815. 

Esso si eleva per 13,30 metri dal suolo raggiungendo col torrino m 18,10 e ciascuno dei suoi lati misura 9 metri di larghezza. Il torrino era a pianta circolare, in parte ancora visibile, raggiungibile tramite una scala situata all'interno del corridoio anulare.

LA PIANTA - Il TRATTEGGIATO E' CROLLATO NEL 1815
Intorno al pilastro centrale a base quadrata, avente lato di circa 3 metri, si sviluppano quattro ambienti principali, disposti a croce: in corrispondenza di ciascuno dei punti cardinali (ad eccezione dell'ovest), vi sono tre celle a pianta rettangolare, di m 6 x 4, anch'esse coperte con volta a botte. 

In luogo della quarta cella, vi è una cisterna per l'acqua, elemento peculiare del mausoleo di Atratino, a pianta ellittica e foderata internamente di cocciopesto. 

Gli ambienti intermedi sono aperti verso l'alto e, qualora la copertura del mausoleo fosse stata dotata di uno strato apicale di terriccio con piante come in monumenti coevi, probabilmente essi erano ricolmi di terra così da poter accogliere le radici dei soprastanti alberi.

Il mausoleo di Atratino somiglia molto al coevo mausoleo di Lucio Munazio Planco, situato sul poco lontano monte Orlando, il quale in luogo della cisterna presenta una quarta cella funeraria. Inoltre non è stato spogliato come il mausoleo atratino. 

Rispetto al mausoleo di Planco quello atratino è leggermente più ampio, e con le fiancate più alte di circa 5 metri (il torrino è presente solo sul mausoleo di Atratino). Per le sue dimensioni, il mausoleo di Atratino è nel suo genere il più grande del Lazio, superato solo da quelli di Augusto (31-4 a.c.) e di Adriano (secondo decennio del II secolo d.c.) a Roma.

TRIGLIFI E METOPE DEL MAUSOLEO

IL CAMPANILE DEL DUOMO

Il mausoleo Atratino è privo del rivestimento esterno in conci lapidei, in quanto vennero utilizzati per costruire il basamento del campanile del Duomo di Gaeta e la scalinata degli Scalzi. Il basamento del campanile, costruito nel XII secolo, riutilizzò infatti parte del rivestimento esterno del mausoleo di Lucio Sempronio Atratino, lungo il perimetro sia esterno che interno del sepolcro, con diversi elementi scultorei ed epigrafici del mausoleo.

Sulla fiancata sinistra del campanile sono visibili infatti diversi conci lapidei decorati a bassorilievo con metope e triglifi, costituenti il coronamento esterno del mausoleo. Sullo stesso lato del basamento, in basso a sinistra, vi è un blocco recante la seguente epigrafe:

«L(ucius)•ATRA[tinus]»

Tale iscrizione, letta come parte della parola "latrator", presente nel IX libro delle Metamorfosi di Ovidio e riferita ad Anubi, attraverso i cui latrati il Dio Mercurio dava i suoi vaticini, fece scambiare il basamento del campanile per la base di un tempio dedicato a Mercurio.

Diverse metope e triglifi costituiscono il filare inferiore del lato anteriore del basamento, alla sinistra dell'arcata di ingresso; altre metope si trovano all'interno del basamento, sulle pareti della scalinata monumentale, decorate con rilievi raffiguranti insegne sacerdotali e strumenti sacrificali, riferite all'attività di augure di Lucio Sempronio Atratino.

Fra i conci lapidei ne sono visibili alcuni decorati a bassorilievo con metope e triglifi (in particolare nella parte inferiore sinistra della facciata settentrionale e nella parte superiore destra di quella orientale) e diverse iscrizioni in lingua latina. Lungo il fianco sinistro ve ne sono due: la prima, situata in basso a sinistra, recita:

«L(ucius)•ATRA[tinus]»

SARCOFAGO ROMANO E MOSTRO MARINO CHE INGOIA UMANO

Più in alto, in asse con questa, vi è un'altra iscrizione, più estesa e collocata capovolta. Il testo si articola su quattro righe ed è lacunoso alle due estremità; è di carattere funerario, relativo a due soldati, Gaio Furio Emilio Gallo figlio di Gaio e Gaio Furio Emilio figlio di Gaio e nipote di Marco:
«[C(aius)•Fu]RIVS•C(ai)•F(ilius)•AEM(ilius)•GALLV[s]
[prae]F(ectus)•LEVIS•ARMATURAE•PR[..]
HISPANIENSIS
[C(aius)•F]VRIVS•C(ai)•F(ilius)•M(arci)•N(epos)•AEM(ilius)•[...]»


Sulla stessa fiancata, nella parte superiore del quadrante sinistro, vi sono altre due epigrafi; quella posta più in basso, tre filari al di sopra della precedente, è riferita a Lucio Munazio Planco, che aveva una villa a Gaeta e che, alla sua morte (1 d.c.), trovò sepoltura nel mausoleo eretto nel 22 a.c. sulla sommità del Monte Orlando:

«[L(ucio)•Mun]ATIO•L(ucii)•F(ilio)•[Planco]
[Cretes(ium)•]GORTYNII•[patrono]»

Poco sopra, un'altra breve iscrizione, relativa alla gens Ummidia:
«[- - -] P(ublius?) Ummidi[us - - -]»

Tutti gli elementi citati, dal sarcofago con eroti alle varie iscrizioni, sembrerebbero appartenere al mausoleo depredato di Sempronio Atratino.


BIBLIO

- Patrizio Pensabene - Provenienze e modalità di spoliazione e di reimpiego a Roma tra tardoantico e Medioevo - in O.Brandt - Ph. Pergola - Marmoribus Vestita - Miscellanea - F. Guidobaldi - Città del Vaticano - 2011 -
- G. L. Gregori, ‘Horti sepulchrales e cenotaphia nelle iscrizioni urbane’ - BullCom 92 - 1987 -
- Giulio Jacopi - L. Munazio Planco e il suo mausoleo a Gaeta - Milano - Pleion - 1960 -
. Giuseppe Fiengo - Gaeta: monumenti e storia urbanistica - Napoli - Edizioni scientifiche italiane - 1971 -
- Marcello Di Marco, Franca Colozzo e Erasmo Vaudo - Il campanile del duomo di Gaeta - Gaeta - Centro Storico Culturale - 1972 -



MAUSOLEO DI VIRGILIO


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PARCO E TOMBA DI VIRGILIO
Nel piccolo parco sito alle spalle della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, nei pressi della stazione ferroviaria di Mergellina, sulle pendici orientali del promontorio di Posillipo, sembra si trovi la preziosa tomba-mausoleo di Virgilio Marone (Andes, 70 a.c. - Brindisi, 19 a.c.), il grande autore dell'Eneide.

Posillipo viene dal nome greco Pausilypon (“pausa della tristezza”) dato alla splendida villa romana che sorgeva sulla collina, villa Patulco, dal nome della divinità venerata in zona, che avrebbe appartenuto al grande Virgilio, ma tutta l’area a giardino, che ospita monumenti rilevanti per la storia dell’area partenopea, ha un aspetto magico e sognante.

Publio Virgilio Marone asserì aver qui composto le sue opere Bucoliche, Georgiche e parte dell’Eneide. Morto a Brindisi, dopo un viaggio dalla Grecia, nel 19 a.c., lasciò per testamento di essere sepolto in detta zona, ovvero nel mausoleo a colombario di età augustea.

All’entrata del parco un'edicola del 1668, posta dal viceré Pietro d’Aragona, ricorda la presenza della tomba virgiliana e in una grande nicchia sulla parete, si trova un busto di Virgilio su colonnina, omaggio nel 1931 degli studenti dell’Accademia dell’Ohio. Poi salendo si giunge all’ingresso orientale della Crypta Neapolitana, una delle più antiche gallerie del mondo, scavata in età augustea come collegamento tra Napoli e i Campi Flegrei.

PARCO VIRGILIANO E CRYPTA NEAPOLITANA
Circa un secolo dopo la morte di Virgilio, il luogo divenne sacro e meta del turismo colto, come Stazio, Plinio il Giovane e Silio Italico, il quale si recava al sepolcro virgiliano, per ricordare il 15 ottobre l’anniversario della nascita del poeta. 

Secondo Elio Donato (secolo IV d.c.), biografo di Virgilio, il poeta fu sepolto al II miglio della via Puteolana, un’ubicazione che sarebbe per alcuni l’area attigua alla strada romana che attraversava la grotta in direzione di Pozzuoli, per altri si riferirebbe a luoghi più lontani, fino alle falde del Vesuvio. 

Però la tradizione popolare giura che in questo mausoleo venne sepolto Virgilio, assurto a divino protettore di Napoli e magico creatore della Crypta. Il mausoleo, edificato in opus reticulatum a colombario con tamburo cilindrico su un basamento quadrangolare, ha la cella funeraria a pianta quadrata con volta a botte, illuminata da feritoie e dotata di dieci nicchie per ospitare le urne cinerarie. 

L'EPIGRAFE VERGILIANA
Nota anche come “Grotta vecchia di Pozzuoli”, questa galleria fu costruita in età augustea dal liberto Lucius Cocceius Aucto, architetto di Agrippa ed ammiraglio di Ottaviano. Menzionata nella Tabula Peutingeriana e ricordata oltre che da Strabone anche da Donato, Seneca, Petronio ed Eusebio, risulta scavato interamente nel tufo per m 705, larga m 4,50 e alta m 5,00, rischiarata e ventilata da due pozzi di luce obliqui.

Qui fu rinvenuto però un bassorilievo marmoreo di Mitra di fine III - inizio IV secolo d.c., ora conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il che ha fatto ipotizzare un luogo di culto mitriaco, non a caso usato in luoghi sotterranei. 

Ma la tradizione è importante e il poeta Silio Italico, Console di Roma nel 68 d.c., ne acquisì la proprietà: ”Egli ogni giorno visitava il sepolcro di Marone, adorando le fredde di lui ceneri come fatto avrebbe di un Nume”, come testimoniò Marziale: “Silius haec magni celebrat monumenta Maronis”.

L'INTERNO DEL MAUSOLEO
Papirio Stazio, poeta amico di Domiziano “solea sedere sopra i gradini del monumento, e godea di accompagnare con la lira i versi che i mani del suo eccelso maestro avevano saputo ispirargli”. L'urna marmorea con le ceneri di Virgilio, secondo vari storici, fu fatta trasferire, su ordine di re Roberto d’Angiò, presso il Castel dell’Ovo nel XIV secolo, al fine di metterla in sicurezza dal passaggio dei diversi visitatori e viandanti.

La tomba era posizionata lungo la via Puteolana, strada extra-urbana in direzione di Pozzuoli, ove erano solite le costruzioni funerarie e i templi dedicati al Dio del sole, Mitra.

Vi fu testimonianza di lapide in cui si riscontra la proprietà del sepolcro ceduta dai Canonici Regolari Lateranensi al sig. Giuseppe Vitale nel 1643:

Maronis Urnam, cum adiacenti monticulo extensaque ad cripta planitie modiorum trium cum dimidio circuite, Urbano VIII annuente ac Reverendissimo D.Gregorio Peccerillo, Vicario Neapolitano una cum admodum Reverendo D.Io.Vincentio Iovene, Canonico Cimiliarca Neapolitanae Archiepiscopalis, delegatis exequntoribus, anno addicto censu duc. 52, Domino Iosepho Vitale, eiusque in aevum successoribus Canonici Regulares Lateranenses concessere anno salutis 1643
(Storia Patria, p.723).

IL BUSTO DI VIRGILIO
Sulla lapide, scritta per mano di Virgilio si leggeva:
MANTUA ME GENUIT, CALABRI RAPUERE,
TENET NUC PARTHENOPE,
CECINI PASCUA, RURA, DUCES

“Mantova mi generò, in Calabria venni rapito, Ora mi tiene Partenope; cantai pascoli, campi e condottieri.”

Ma Virgilio non venne ritenuto solo un grande poeta, ma pure un grande mago, tanto più che era iniziato al “neopitagorismo”, corrente filosofica e magica-religiosa diffusa in Magna Grecia ed a Napoli.
Si credeva così che la Crypta Neapolitana fosse stata costruita da Virgilio per agevolare i viandanti diretti o provenienti da Pozzuoli, congegnando il tunnel in modo da essere illuminato dalla luce del sole. 

LA CRYPTA  ADIACENTE AL MAUSOLEO
Ma non solo, perchè gli si attribuì pure di “aver dissipata l’aria malsana de’ dintorni di Napoli; e l’aver per incanto distrutte le cicale e le sanguisughe nelle acque” rendendo salubri i bagni delle acque flegree dalle virtù terapeutiche, donate poi dallo stesso ai poveri della città di Napoli.

Secondo la leggenda un libro di magia, conservato nella sua tomba e tanto ricercato dai negromanti, finì per essere rinvenuto e “studiato nell’opera di Chironte e divenuto esperto in magia” (S. Volpicella).


BIBLIO

- Carlo Villa - Le strade consolari di Roma: storia, itinerari, vicende secolari degli indistruttibili monumenti della potenza di Roma - Roma - Newton & Compton - 1995 -
- Gian Biagio Conte - Virgilio: il genere e i suoi confini, Garzanti - Milano - 1984 -
- Achille della Ragione - Posillipo e Mergellina tra arte e storia - Napoli - 2017 -






TOMBA DEL CALZOLAIO (Pizzone)


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LA TOMBA DEL CALZOLAIO

MARISA DE SPAGNOLIS

Archeologia Viva n. 86 – marzo/aprile 2001
pp. 78-87

L’immagine di questo antico mestiere artigiano oggi in disuso e quasi dimenticato ci viene riproposta dalla scena dipinta nella tomba di un “sutor” insolitamente ricco vissuto a Nuceria e sepolto nella grande necropoli monumentale della sua città.

A Nocera Superiore (Sa), l’antica Nuceria Alfaterna, circa un chilometro dalla cinta orientale delle mura, sulla prosecuzione della strada romana che attraversava la monumentale distesa di sepolcri della necropoli di Pizzone (vedi AV n. 79), chi scrive ha diretto lo scavo archeologico di un edificio funerario realizzato subito dopo l’eruzione vesuviana del 79 d.C.

La tomba era di un artigiano, un calzolaio, un sutor, come dimostra inequivocabilmente l’affresco che lo raffigura al lavoro. L’area esplorata era sottoposta a vincolo, essendo interessata dalla vicina necropoli dove erano già stati riportati in luce e resi visitabili molti monumenti funerari realizzati fra il I sec. a.c. e il IV sec. d.c. 

CAIO GIULIO ELIO

LA TOMBA DI CAIO GIULIO ELIO

Il monumento funerario detto "Tomba del calzolaio" fu rinvenuto in località Pizzone e la sua denominazione deriva dalla raffigurazione dell'attività del proprietario nella taberna sutrina.

A circa 800 m dal perimetro dell’antica città di Nuceria Alfaterna troviamo infatti una zona archeologica  venuta alla luce tra il 1994 e il 1997: la necropoli di Pizzone, situata lungo la via consolare Popilia che congiungeva Nocera con Salerno. 

I cinque dei sette grandi mausolei venuti alla luce appartennero senz'altro a famiglie piuttosto abbienti. Tra questi infatti c'era il sepolcro di Caio Giulio Elio.

Trattasi infatti dell’altare funerario di un personaggio identificabile grazie all'iscrizione dedicatoria riportata sulla base del cippo, con il calzolaio Caius Iulius Helius. 


La sua bottega si trovava però a Roma, presso Porta Fontinalis nei pressi del Campidoglio, verso il Campo Marzio. Un posto centrale ed ambito, quindi molto costoso, che l'imprenditore-calzolaio poteva evidentemente permettersi viste le floride condizioni del suo commercio.
Il calzolaio, ancora in vita, eresse l’altare per sé, per la figlia, per il liberto Onesimo, per le liberte e per i loro discendenti.

Viene da chiedersi cosa ci facesse la stele funeraria nella necropoli di Pizzone. Evidentemente il calzolaio proveniva da questo paese o da questa zona e al momento di preparare il suo monumento funebre volle tornare, sentendo la nostalgia delle sue origini, al suo paese natale.

E non si creda che il mestiere di calzolaio fosse così umile. I calzolai formarono a Roma una potente società fin dal tempo dei re e formarono una loro corporazione chiamata il Sutorium Atrium, che avevano una loro sede e partecipavano alla cerimonia religiosa chiamata Tubilustrium, che aveva luogo ogni anno il 23 marzo.


L'Atrio Sutorium era un edificio in cui veniva eseguita annualmente appunto la cerimonia del Tubilustro, il che fa comprendere l'importanza della corporazione. Il sito dell'Atrio Sutorium è sconosciuto, ma lo sappiamo collegato con il commercio di scarpe e con l'Argileto. Poiché non è menzionato dopo il primo secolo, il suo sito potrebbe essere stato occupato dal forum Transitorium che insisteva sullo spazio tra il forum Augustum a nord-ovest e il forum Pacis a sud-est ( Varro, LL VI .14 ; Fest. 352 ; CIL I 2 p313; Jord. I .2.452; FUR30).

Si dice anche che i membri della corporazione fossero piuttosto irritabili e violenti. Ulpiano parla di
un ricorso per risarcimento danni dinanzi al magistrato da un ragazzo i cui genitori lo aveva messo in un negozio per imparare il mestiere, e che, dopo aver frainteso le indicazioni del suo padrone, venne colpito da lui così pesantemente su la testa con una forma di legno, che perse la vista da un occhio.
Naturalmente un caso non fa una categoria, ma di certo i ragazzini all'epoca non erano grandemente rispettati, specie se di umile famiglia.

LA NECROPOLI

Nella parte superiore dell’edicola sono rappresentate due forme per scarpe, evidentemente Helius doveva essere specializzato nella realizzazione di sandali annodati con lacci, un tipo di scarpa indossato soprattutto dai soldati: le famose caligae che dettero il nome all'imperatore Caligola. Però le calzavano anche le donne, ma come calzature non troppo raffinate.

I tratti del personaggio sono molto veritieri, cosa inusuale nella ritrattistica delle tombe, mentre era la norma nei busti e nelle statue ritrattistiche romane. Evidentemente il calzolaio per il suo sepolcro non aveva badato a spese e aveva fatto ricorso a un costoso ritrattista.

Il suo volto infatti è realistico, e sembrerebbe anche impietoso, vi è evidenziata pure una verruca ricoperta di peletti al di sotto dell’angolo sinistro della bocca, potrebbe avere un aspetto sgradevole, se non fosse per il piglio energico e orgoglioso dell'uomo ritratto nel pieno delle sue forze vitali. 

Risultati immagini per tomba del calzolaio
LE CALIGAE
Il monumento è una tomba a camera, tipo «sepolcro di famiglia» con un unico ambiente quasi quadrangolare, con alcuni sepolcri, recintato sulla facciata per aumentarne l'effetto monumentale.
Il sepolcro a camera appartiene ad una tipologia di camera quadrangolare totalmente fuori terra con copertura estradossata preceduta da un recinto, modello di ispirazione ellenistica, ma attestata in occidente a partire dall'età tiberio-claudia. 

L’altare risale alla prima metà del II secolo d.c., secondo l'uso dell'epoca, per il formato del busto, tagliato all’altezza dei pettorali. Fu scoperto nel 1887 a via Leone IV, corrispondente con l’antica via Triumphalis, nel luogo dove sorgeva la tomba del calzolaio. Oggi l'edicola funebre è conservata nella Sala Caldaie nel museo della Centrale Montemartini. Ci chiediamo come mai il comune di Pizzone non abbia richiesto la copia, magari in resina, dell'edicola e non l'abbia collocata nella camera sepolcrale apposita.

E' stata scavata e ripulita la camera a colombario del calzolaio? Perchè non ci danno foto e notizie? L'archeologia è fonte di forestieri, di cultura di lavoro e di commercio. Qualunque comune dovrebbe darsi da fare per recintare e creare organizzazioni ed eventi. E non si dica che una necropoli non si presti, perchè in esse si organizzavano Ludi Gladiatori, banchetti, musiche, danzatori e sceneggiate a favore dei defunti.

COLOMBARIO DI VIA TARANTO

IL COLOMBARIO DI VIA TARANTO

Si ritiene che il colombario romano di via Taranto (in realtà sito in via Pescara) con copertura a botte ed ingresso su uno dei lati lunghi sia l'antecedente di questo tipo sepolcrale che avrà larga diffusione in epoca successiva. La massima diffusione di questa tipologia si ha, infatti, agli inizi del Il secolo d.c. in particolar modo nella necropoli di Porto SO ove alloggiano tombe quasi tutte con volta a botte, raro il tetto a doppio spiovente e con facciata di laterizio. 

Le tombe della necropoli di Porto sono infatti tutte ad una sola cella a pianta quasi quadrangolare con un'altezza dai m 3,60 ai 4,00 con cornice di mattoni in cui si inserisce l'iscrizione sopra la porta e ai suoi lati, con rilievi in laterizio raffiguranti il mestiere del defunto. Il complesso delle tombe di Porto si data dall'inizio del Il alla metà del III sec. d.c.


BIBLIO

- J. M. Jocelyn, M. C. Toynbee - Morte e Sepoltura nel mondo romano - Erma di Bretschneider - 1993 -
- R. Lanciani - Delle scoperte avvenute nei disterri del nuovo Palazzo di Giustizia - in Bullettino della Commissione Archeologica comunale di Roma - serie III - Tip. della R. Accademia dei Lincei -  Roma - 1889 -
- Nadia Agnoli - L'archeologia delle pratiche funerarie. Mondo romano - Il Mondo dell'Archeologia - Enciclopedia Treccani - 2002 -
- Javier Arce - Funus Imperatorum: los funerales de los emperadores romanos - Alianza Editorial - 1990 -




TOMBA DEGLI ORAZI E CURIAZI


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STAMPA DEL PIRANESI  RITRAENTE LA TOMBA (1750)

LA LEGGENDA

Al tempo di Tullo Ostilio, III Re dell'Urbe, Roma entra in conflitto con Albalonga e i due eserciti si affrontano proprio qui, sulle Fossae Cluiliae che segnano il confine tra i due Stati. Il fatto che Romani e Albani, due nazioni dello stesso sangue si facessero guerra dovette sembrare molto grave e soprattutto si temeva di perdere l'esercito, per cui i due re delle due città decisero di risolvere tutto con un duello fra 3 Romani e 3 Albani: gli Orazi e i Curiazi.

All'inizio i Curiazi uccisero due Orazi romani. I tre Curiazi erano però feriti mentre l'Orazio era ancora integro, per cui cominciò a fuggire inseguito dai tre, con una tale velocità che riuscì a distanziarli. Ciò gli permise di affrontarli uno per volta e ucciderli.

La leggenda indicò le tombe degli Orazi e dei Curiazi proprio ad Albano, dove ancora si vedono alcuni tumuli circolari dalla forma arcaica a cono. D'altronde nei pressi esiste un grande recinto in opera quadrata che venne ritenuto dagli studiosi il campo dello scontro. In realtà si trattava di un grande ustrino, dove si bruciavano i cadaveri per incinerarli. Lo fece pensare anche il fatto che la via Appia, in questo punto, fa una deviazione come dovesse rispettare un luogo "sacro". 

LO SCONTRO TRA GLI ORAZI E I CURIAZI
Oggi sappiamo che lungo le grandi strade consolari romane, tra il V e il VII miglio, veniva posto un santuario che segnava il confine della Roma monarchica. Ai santuari e ai loro Dei si affidavano in effetti il controllo di chi entrava nello Stato. Quando Roma si espanderà e questi confini verranno man mano dilatati. Ancora in età augustea si ricordava l'episodio avvenuto al V miglio della via Appia, e le tombe degli Orazi e dei Curiazi, legate alle origini di Roma.

Questa tomba tuttavia non è arcaica ma tardo repubblicana, con lo zoccolo circolare che appena si riconosce, il nucleo in calcestruzzo (il calcestruzzo si diffonde nel II sec. a.c.), un gran tumulo di terra e la torretta in alto. La torretta non è medioevale ma antica, e porta direttamente alla camera funeraria in basso. Il Mausoleo di Augusto era fatto allo stesso modo, anche se in forma molto più monumentale: tamburo cilindrico con al centro una specie di torre in opera quadrata coperta dal tumulo, e in fondo l'urna che conteneva la tomba d'Augusto. 
PIANTA E FRONTALE

Ora qui è lo stesso: evidentemente il tamburo era più alto di come appare oggi e quindi il cono arrivava a coprire interamente la torretta. Gli archeologi però hanno trovato nella tomba solo un'urna vuota, quindi l'edificio non è una tomba ma un cenotafio, una costruzione solo commemorativa, un fatto piuttosto insolito.

Cento metri più avanti, sempre sulla destra, sono i cosiddetti Tumuli degli Orazi, anche essi, come quello precedente dei Curiazi, legati allo scontro tra romani e albani. Sono due tombe caratterizzate da un cono basso di terra, un po' come i tumuli che vediamo in Etruria, a Cerveteri; ma non troppo arcaici perchè una ha la cornice di base in travertino e l'altra in peperino, pietre che si diffondono a partire dal II-III sec. a.c.

Un tumulo è interamente di terra, l'altro ha invece lo scheletro a raggiera in calcestruzzo per contenere la terra. Questi sepolcri a cono di solito avevano una suddivisione come gli spicchi di una arancia, a raggiera, allo stesso modo del Mausoleo di Augusto.

Oggi si ritiene che furono costruiti o restaurati in età augustea a "memoria" della tradizione del duello tra Orazi e Curiazi, e dell'antico confine tra Roma e Albalonga al V miglio. La narrazione del duello è riportata da Tito Livio, autore di età augustea, seguendo la politica di Augusto di valorizzare le tradizioni, con gli antichi culti e gli antichi templi, per istigare l'orgoglio degli antenati e del "Civis romanus sum"

FOTO DI INIZIO 1900

IL SEPOLCRO

Il Sepolcro (o Tomba o Mausoleo) degli Orazi e Curiazi di Albano Laziale è situato a sud del centro abitato, sul ciglio della Via Appia antica, e rappresenta un esemplare unico per l’architettura che trova riscontro solo nelle urne cinerarie etrusche di Volterra. Il prezioso monumento rappresentò per anni il simbolo della pace ottenuta tra la Città di Albalonga e Roma, costruito sul combattimento cruento tra due famiglie.

La tradizione lo ricollega ai guerrieri Orazi e Curiazi, ma storicamente è più verosimile considerarlo una ricostruzione della tomba di Arunte (condottiero etrusco), da parte dell’antica famiglia Arrunzia che aveva possedimenti in zona; infatti è stato edificato nella prima metà del I sec. a.c., quindi sei secoli dopo il combattimento fatale degli Orazi e dei Curiazi.

Il sepolcro è realizzato da grossi blocchi di peperino; materiale molto amato dagli etruschi, ed è costituito da un parallelepipedo di pianta quadrata sormontato da quattro tronchi di cono posti agli angoli (di cui soltanto due sono ancora integri), ed uno di dimensioni maggiori al centro, contenente la cella sepolcrale, del quale rimangono solo i resti. L’urna, tra l’altro, è vuota, tanto che gli studiosi parlano di monumento commemorativo. Lo zoccolo del mausoleo, appena visibile, è circolare.

LA TOMBA OGGI

IL RESTAURO

Nel 1812 Antonio Canova, in qualità di Ispettore Generale delle Belle Arti dello Stato Pontificio, incaricò Giuseppe Valadier e Paolo Provinciali di eseguire il restauro del mausoleo; l’intervento durò dodici anni, e non ebbe risultati brillanti, perchè causò distacchi di materiali e crepe, elemento incredibile della storia del monumento, data l'importanza di un architetto come il Valadier.

Si dice che rappresenti una importante testimonianza delle prime opere di restauro effettuate secondo i moderni criteri di intervento, ma visti i risultati forse erano meglio gli antichi restauri. Tanto più che ci si lavorò per un periodo incredibilmente lungo, ben 12 anni.

Leon Battista Alberti ha attribuito la tomba agli Orazi e Curiazi, altre studiosi a Gneo Pompeo Magno, altri ancora ad Arunte. L’ipotesi più verosimile vuole che la struttura fosse la ricostruzione fedele della tomba di Arunte. Resta comunque un monumento di particolare importanza storica.

Nel sito che la riguarda si annuncia che il monumento è sempre aperto al pubblico e visitabile, ma non è vero, da anni non vine valorizzato nè pubblicizzandolo, nè dandogli un’adeguata illuminazione, nè restaurandolo, nè pulendo l’area antistante, e per giunta esso risulta perennemente chiuso. Si dice sempre che all'estero i monumenti siano più valorizzati perchè ne hanno molti di meno, ma non risulta che Albano abbia questa esorbitanza di monumenti.




SARA' UN'EQUIPE OLANDESE A SVELARE I SEGRETI DELLE TOMBE DEGLI ORAZI

da la Repubblica  domenica, luglio 24th, 2011
La prima campagna di scavi dopo 150 anni. Al V miglio l’Appia fa una curva attorno ai tumuli più antichi della Regina viarum.

Al V miglio dell’Appia Antica, dove l’archeologia affonda le radici nel mito, quando re era Tullio Ostilio e gli Orazi affrontarono in duello i Curiazi per conquistare la supremazia su Albalonga alla metà del VII sec. ac., una squadra di ricercatori olandesi sta scoprendo la vera identità dei sepolcri che la tradizione attribuisce agli eroi romani.

Per la prima volta dalle indagini di Luigi Canina (1850-59), i monumenti tra i più leggendari dell’antichità sono oggetto di una campagna di scavo. A guidarla, due professori dell’università di Nijmegen, Eric Moorman e Stephan Mols, che hanno ricevuto in concessione dalla Soprintendenza per otto anni l’area compresa tra V e VI miglio.

È il primo scavo che affidiamo in concessione – racconta la direttrice dell’Appia, Rita Paris – L’istituto universitario è stato scelto per i suoi titoli e procederà con finanziamenti propri”. Uno scavo sistematico dei sepolcri, infatti, non è stato mai possibile per mancanza di fondi. La scelta del V miglio è legata al progetto di restauro e valorizzazione messo in campo per l’Appia con il commissariamento, tra Villa dei Quintili e Santa Maria Nova.

L’importanza del sito è evidente: qui il rettifilo dell’Appia, che regala suggestioni di un agro romano incontaminato, disegna l’insolita curva, motivata, come raccontava già Livio, per rispettare i tumuli celebrativi della memoria della battaglia tra Orazi e Curiazi, eretti prima della costruzione della Regina Viarum. Le indagini sono iniziate due anni fa, tra ricerche d’archivio, panoramiche aeree e misurazioni col georadar su sepolcri che appaiono come colline erbose. “Il materiale acquisito è stato propedeutico per la prima campagna di scavo che si concluderà domani”, racconta Mols. Protagonisti sono i due tumuli in coppia degli Orazi, legati secondo la tradizione ai due fratelli romani uccisi.


Nella forma possono essere considerati oggi come piccoli mausolei di Augusto – annuncia Mols – Conservano una possente struttura cilindrica del diametro di circa 15 m, con un nucleo interno di blocchetti di tufo e materiale vulcanico, e tracce di rivestimento di travertino”. Il corpo è alto oltre 8 m e presenta un coronamento arrotondato. La datazione ufficiale colloca i sepolcri alla fine del I sec. a.c. La vera novità è il muro di recinzione, alto oltre m 1,5. Obiettivo principale ora è indagare l’interno dei sepolcri con il sistema del georadar per verificare la presenza della cella funeraria. 

Lo scavo rientra in un progetto più vasto: “Vogliamo realizzare una carta archeologica tridimensionale del V miglio – dice Mols – Abbiamo fatto fotogrammetrie terrestri per ricostruire in 3D tutti i monumenti dell’area. Il prodotto sarà pronto già a ottobre con l’obiettivo di proporlo in visione al pubblico”. Ne viene fuori la prima indagine completa del sito, che comprende anche il sepolcro dei Curiazi, legato, secondo la tradizione, ai tre fratelli albani sconfitti con l’astuzia dall’unico degli Orazi sopravvissuto, e il misterioso mausoleo a piramide alto oltre 20 m.

ALBANO 13 Gennaio 2014 - Crollano due pezzi del sepolcro degli Orazi e Curiazi, tale è oggi in tale data e luogo il rispetto dei nostri monumenti.

ALBANO 24 luglio 2017 - date dei lavori: inizio 23 gennaio 2014, durata 90 giorni. Cioè il termine per la fine dei lavori di restauro è scaduto da più di tre anni e nessuno si sente in dovere di avvisare del perché e del per come; nessuno chiede scusa al visitatore che invece della tomba deve sorbirsi la vista di un'imbragatura edilizia.

"Questo Sepolcro, detto degli Orazi e Curiazi, che si erge sulla destra della via Appia Antica, nel tratto che da Albano va verso Ariccia, è un interessante rudere ABBANDONATO, fagocitato da una vegetazione fitta che lo rende invisibile"


BIBLIO

- Luigi Canina - Indicazione topografica di Roma antica - 1831 -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I, 48 -
- Plinio - Storia naturale - XXXVI - 19 -
- Relatione delle feste fatte in Roma per l'elettione del re de romani - In Roma: appresso Lodovico Grignani - 1637 -






MAUSOLEO DI LUCULLO (Frascati)


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RESTI DEL MAUSOLEO OGGI

"Il Mausoleo si presenta come una torre quasi completamente integra. Alcuni marmi e colonne sono già stati smontati per la costruzione dell'altare maggiore della chiesa di San Pietro, mentre altri pezzi di cornici e colonne sono in terra semicoperti".



LA SPOLIAZIONE

Il fenomeno delle spoliazioni dei monumenti antichi romani è purtroppo la più grande vergogna del bel suolo italico. Alla decadenza dell'Impero Romano i patrizi si accorsero che non era più possibile arricchirsi diventando generali e guidando eserciti di legionari. La capacità guerriera con l'avvento del cristianesimo era tramontata, i romani non combattevano perchè era peccato, ma siccome occorreva combattere si fece uso dei soldati stranieri mercenari per difendere la patria.

Purtroppo questi soldati non avevano assolutamente nè il valore nè l'abilità dei legionari romani per cui le invasioni straniere non poterono essere più bloccate. Il nuovo potere fu invece quello ecclesiastico per cui i vecchi patrizi fecero la scalata al vescovato, al cardinalato e pure al papato. Il mondo si rinnovava cercando nuove forme di espressione artistica, senza però riconoscere il valore del vecchio che era di incomparabile e incomparata bellezza.

Così i nuovi palazzi e monumenti vennero edificati spogliando i bei monumenti romani delle loro bellezze: blocchi di marmo, architravi lavorati, colonne, capitelli, statue e bassorilievi. Tutto fu asportato senza un rimpianto, condannando all'oblio tanti bei monumenti. tra questi il Mausoleo di Lucullo a Frascati.

"Il prof. Mattei attribuisce all'anno 1598 la distruzione del cosiddetto mausoleo di Lucullo « massiccio in figura conica, vicino le mura della città di Frascati, nel Borgo, alla parte destra della Porta Nuova per la strada che conduce a' Cappuccini; e fu spogliato de suoi ornamenti circa l'anno 1598 de quali si servì la città nella fabrica della nuova catedrale; ma le cose migliori e più rare furono prese da diversi cavallieri Romani per adornarne le loro gallerie: ne si sa che vi fusse trovata alcuna iscrizzione . . . bensì nel farvi alcune cave ne tempi nostri, poco lungi si sono trovate molte tegole di terracotta, che servivano per coprire alcune ossa » . Mem. dell'antico Tusculo pp. 61-62.



Il MAUSOLEO 

"Si passa sopra il ramo della Marrana, sopra un ponte, che si chiama di Vermicino da una osteria, che ivi dappresso trovavasi. Si trova poi un bivio, la strada a sinistra continua ad essere la moderna via di Frascati, quella a destra porta a Grotta Ferrata. Deviando un poco per questa seconda strada, si vede subito un magnifico mausoleo di forma rotonda, coperto di massi quadrati di pietra albana, o peperino, ben conservato, e di perfetta costruzione. Questo, mentre mostra l'epoca repubblicana per la sodezza, e la semplicità sua, può ancora attribuirsi a Lucullo con qualche verosimiglianza, giacchè si trova dentro i limiti delle possessioni Lucullane."

Sul principio della via Cappuccini a Frascati c'è un magnifico mausoleo di forma rotonda, privo di base quadra, detto Sepolcro di Lucullo, che morì nel 56 a.c., come informa Plutarco, narrando inoltre che il funerale fu eseguito a spesa pubblica e che il popolo romano, desideroso di onorarlo, avrebbe voluto seppellirlo a Campo Marzio, ma la famiglia, ed esattamente fratello e figlio, non accettarono avendo già un mausoleo che attendeva la spoglia.

Secondo alcuni la famiglia non voleva farsi carico di una cerimonia così impegnativa, ma secondo Plutarco la sepoltura probabilmente sarebbe stata predisposta dallo stesso Lucullo. Infatti il fratello Marco insisté molto per ottenere il permesso di seppellire Licinio nella sua tenuta.
LUCULLO

FLAMINIO VACCA

"Ma ciò, che merita maggiormente di essere in questo luogo osservato, è un grandioso avanzo di villa Romana antica, chiamato le grotte di Lucullo, e consistente, secondo il solito delle ville antiche, in lunghi portici a più piani, con molte camere, ed inoltre ha un piano sotterraneo forse per ergastulo degli schiavi, il quale ricevea la luce dalle volte, come in altre fabbriche di questa natura si osserva. 

Queste rovine occupano un lungo tratto, e per la loro situazione possono avere appartenuto alla villa di Lucullo, come il nome volgare le chiama. Che la sua villa si estendesse da questa parte, Frontino lo accenna. 

E siccome da Frontino stesso rilevasi, che l'agro Lucullano si estendeva fino alle sei miglia lungi da Roma, sulla via Prenestina: "concipitur Appia in Agro Lucullano via Praenestina inter miliarium VI., et VIII", e le rovine indicate si trovano fra le otto, e le nove miglia distanti da Roma, sulla via Latina, e per conseguenza fra i due limiti accennati da Frontino, perciò con ogni probabilità alla sua villa sontuosissima appartengono, la cui grandezza cosi ci viene descritta da Plutarco nella sua vita, cap. 39.



LA VILLA A FRASCATI

Sembra dunque che Lucullo possedesse una villa a Frascati dove si rifugiava all'epoca del gran caldo romano, quando abbandonava i suoi splendidi Horti per rifugiarsi ai Castelli romani. Evidentemente, come scrive Plutarco, era abitazione di famiglia da lui ereditata.

Plutarco:

- (Lucullo) ...avea presso Tusculo abitazioni patrie, ed altissime vedette, e fabbriche di camere, e passeggi aperti. Nelle quali portatosi Pompeo, rimproverò a Lucullo, che avendo disposto molto bene la villa per l'estate, l'avea resa inabitabile l'inverno: al che colui sorridendo, disse; Così ti sembro di avere meno intendimento delle gru, e delle cicogne, che non cangi insieme colle stagioni anche le case? -


FOTO D'EPOCA DEL MAUSOLEO (PRIMI 900)

FLAMINIO VACCA

Un solo dubbio può farlo la costruzione, la quale sembra piuttosto appartenere ai secoli della decadenza. Ma chi può conoscere le vicende di una delizia così estesa, e cosi magnifica? Forse ella fu ristaurata in tempi meno remoti, ma il piano generale è ben degno de' tempi Romani. 

Dietro, cioè verso settentrione, si veggono addossati alla villa degli avanzi di fortificazione de' tempi bassi; ciò mostra, che questo edificio, come tanti altri, fu ne' tempi della barbarie ridotto a fortezza, e forse in quella epoca fu risarcito tutto, e rivestito di selci di una forma quasi quadrangolare, che lo fanno comparire come fabbricato intieramente in quella epoca. -

Il grande mausoleo a tamburo sulla Tuscolana, chiamato un tempo Torre di Micara, è stato da lungi identificato come mausoleo di Lucullo.

E' la più antica tomba a tamburo di grandi dimensioni, con un diametro di 29 m, probabilmente ispirato alle tombe ellenistiche che Lucullo aveva visto nei suoi viaggi in Cirenaica e ad Alessandria.

Sembra che da allora sorgesse la moda architettonica di erigere mausolei di forma rotonda. Tuttavia poi il mausoleo rotondo verrà posto su una base quadra, come nella Mole Adriana o il monumento funebre di Cecilia Metella.

Il perchè Lucullo avesse scelto come collocazione il suolo della sua villa sulla Tuscolana anzichè sui magnifici Horti del Pincio ha dato luogo ad alcune congetture, tra cui il fatto che un mausoleo di tipo orientale non sarebbe stato gradito ai romani.

Di certo è poco credibile perchè i romani avevano già visto sull'Appia diversissimi modelli di tombe e mausolei, e ben accettarono pure le tombe a piramide, come quella di Caio Cestio. Roma era una metropoli internazionale e difficilmente si scandalizzava.

Purtroppo il bellissimo monumento venne depredato privandolo del travertino e dei marmi preziosi, infatti si sa che nella chiesa di San Pietro a Frascati l'altare maggiore fu realizzato con colonne in porfido e marmi preziosi provenienti dal Mausoleo di Lucullo.


BIBLIO

 - McCracken - The villa and the tomb of Lucullus at Tusculum - AJA 46 - 1942 -
- Jochen Griesbach - Villa e mausoleo: mutamenti nel concetto della memoria nel suburbio romano -
- F. Fontana - Sepulcrum: L. Licinius Lucullus - in LTUR 4 - Roma - 1999 -
- N. Purcell - Tomb and Suburb - Gräberstraßen - 1987 -




MAUSOLEO DI FIANO ROMANO


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BASSORILIEVI DEL MAUSOLEO AL MUSEO DI FIANO ROMANO
Marziale narra di un combattimento avvenuto il primo giorno dei giochi che Tito tenne nell’80 d.c. per l’inaugurazione del Colosseo tra due famosi gladiatori che ormai avevano raggiunto una notorietà e una popolarità enorme.

“Poiché sia Prisco che Vero prolungavano il combattimento, e l’esito della lotta restava per lungo tempo incerto per entrambi, venne chiesta la liberazione dei valorosi lottatori con potenti e frequenti grida. Ma Cesare rimase fedele alla legge del combattimento da lui stesso stabilita – essa imponeva che si combattesse finché uno dei due, deposto lo scudo, sollevasse il dito – fece però ciò che poté, mandò cioè varie volte piatti e doni. Tuttavia venne trovato un esito per l’incerto combattimento: parimenti combatterono e parimenti caddero. Ad entrambi Cesare donò la spada di legno e la palma della vittoria: questo fu il premio riportato dal coraggio e dalla bravura. Questo non era mai successo con nessun imperatore tranne te, o Cesare, che due uomini combattessero e due uomini vincessero entrambi.”



IL RINVENIMENTO

E di rappresentazioni scultoree di gladiatori si tratta infatti nel ritrovamento presso Fiano Romano, una piccola cittadina presso l’antico centro italico-etrusco e poi romano di Capena, una trentina di km a nord di Roma. Fiano, oggi come 2000 anni fa, vive sui prodotti dell’allevamento e della terra, con campi coltivati, fattorie e uliveti.

RICOSTRUZIONE DEL MAUSOLEO
Proprio all’interno di uno di questi appezzamenti a ulivi, all’inizio del 2007 gli uomini del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza intervengono, affiancati da addetti e funzionari della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria Meridionale, a rimuovere un cumulo di materiale inerte: terra, pietrame, tavole di legno, vecchi attrezzi per lavori agricoli, accumulati in un campo coltivato a ulivi.

In effetti l'indagine della procura di Roma, partita in modo fortuito da una serie di intercettazioni, andava avanti da tre anni. Secondo la soprintendente Annamaria Moretti, deve trattarsi di un importante monumento funebre a edicola, un genere allora molto diffuso e di cui già si conosceva un esempio anche nella zona di Capena.

L’attività di intelligence della GdF, teso a smantellare il commercio clandestino delle opere d’arte, ha prodotto una serie di informazioni, secondo cui fra gli ulivi di Fiano Romano si trovavano reperti di grande valore scientifico ed economico, scavati e trafugati dalla non lontana località Monte Bove, in attesa di essere venduti al meglio a qualche antiquario o col sensale di un museo estero. I beni italiani venduti illegalmente all'estero sono infiniti, e costituiscono spesso la base dei musei stranieri.

Secondo altri invece il rinvenimento invece sarebbe del tutto casuale, avvenuto durante gli scavi per costruire una villetta abusiva nelle campagne di Colle Forno, vicino a Fiano Romano ed è rimasto sottoterra per ben 16 anni mentre le trattative per trovare un compratore andavano per le lunghe.

Sono state denunciate due persone a piede libero ma gli investigatori hanno già individuato i due intermediari che avrebbero portato il monumento in Svizzera prima di fargli intraprendere il viaggio per la destinazione definitiva: Cina o Giappone dove i nuovi capitalisti fanno incetta di opere d' arte o reperti archeologici rubati. Il prezzo iniziale era di 10 miliardi tondi, una cifra che dovrebbe essersi abbassata col passare del tempo e chi indaga è assolutamente certo che il mausoleo sia stato visto ed esaminato da diversi esperti, debitamente compensati.

Le lastre erano nascoste in un maggese poco distante dal luogo dove, nel 1991, gli operai le avevano trovate durante gli scavi, non lontano dal "Lucus Feroniae", il bosco sacro della Dea Feronia, depredato da Annibale nel 211 a.c. e rimasto attivo fino al V secolo. Gli scavi della soprintendenza sono iniziati il 13 gennaio e si sono conclusi il giorno successivo con la scoperta di un dodicesimo "pezzo". 

Si è immediatamente compresa l'importanza del ritrovamento che restituisce ampie porzioni di un pregiatissimo fregio narrativo con scene di combattimenti gladiatori. Al momento sono stati recuperati dodici blocchi di marmo di circa m 0,60 x 1,00 x 0,30 che, in origine disposti su due assise, decoravano tre lati di un imponente monumento funerario, il cui basamento è stato rivenuto negli scavi del 2007.

Alla luce sono venute anche trabeazioni, sezioni scultoree, cornici policrome, steli epigrafate, colonne e capitelli pertinenti alla sepoltura del magistrato. All' inchiesta si sono "affacciati" anche i carabinieri del comando tutela patrimonio artistico che avevano scoperto, in passato, un' altra trattativa, poi andata a monte, con un collezionista canadese. «Se chi ha trovato quest' opera le avesse consegnate alla soprintendenza - sottolinea il pm Paolo Giorgio Ferri - avrebbe guadagnato un quarto del suo valore commerciale. Invece dovrà accontentarsi di un processo».



LA PROMESSA DI RICOSTRUZIONE DEL MAUSOLEO

Comunque sono stati recuperati dodici grandi blocchi di marmo lunense decorati a rilievo, la parte inferiore di una statua di togato, resti di un'iscrizione e numerosi elementi di cornici e decorazioni architettoniche, ma molti frammenti mancano all'appello, il fregio ritrovato è solo una parte di quello che originariamente decorava il monumento funebre.

A differenza della maggior parte dei pezzi che, frammisti a terra e a massi di travertino, risultavano disposti senz'ordine a formare un grande cumulo, gli elementi decorati, occultati sotto un basso strato di vegetazione, si presentavano ben protetti e ordinati, gli uni accanto agli altri.

«Un ritrovamento straordinario - sottolineò all'epoca il ministro dei beni culturali Francesco Rutelli - è un monumento sepolcrale di grande bellezza che l' arte italiana riconquista. Ora sarà oggetto di studio e di restauro e, in futuro, verrà esposto nell' area in cui è stato ritrovato. Oggi - ha aggiunto il ministro - è molto difficile smerciare all' estero reperti archeologici "clandestini". Il cerchio si sta stringendo attorno ai trafficanti d' arte».

Magari fosse vero che sia diventato difficile smerciare i beni culturali italiani, molti musei non hanno neppure un catalogo dei beni ospitati, e i direttori dei musei spesso sono nominati dai politici, il che non tranquillizza. Comunque a tutt'oggi il monumento non è stato ricostruito, come volevasi dimostrare.

Gli archeologi della soprintendenza sono riusciti intanto a identificare l’area su cui sorgeva l’antico monumento funerario, un sepolcro a torre di cui è stato rinvenuto in loco il basamento della struttura, eretto sul ciglio di una strada, come consuetudine presso i romani. 

All' appello mancano ancora alcune sezioni del monumento e, probabilmente, anche un' ara funebre. I reperti potrebbero trovarsi ancora in mano ad alcuni complici dell' organizzazione o, presumibilmente, essere stati già venduti "a pezzi" per clienti meno esigenti o meno facoltosi.



I GLADIATORI

In genere i gladiatori venivano reclutati verso i 17-18 anni, come i soldati, e difficilmente vivevano oltre i 30 anni, che era comunque anche la speranza di vita media di un Romano in età imperiale.
Una volta reclutato, il gladiatore si sottometteva al lanista e gli prestava giuramento; a quel punto il lanista, per il periodo della durata del contratto, acquisiva potere di vita e morte sul gladiatore, anche se nato libero.
Il valore di un combattente veniva misurato dal numero di incontri sostenuti: da un minimo di tre ad un massimo di quaranta. Al gladiatore che riusciva a sopravvivere a più gare veniva consegnata la rudis, una spada di legno che era utilizzata per gli addestramenti e significava per il gladiatore il ritorno alla libertà e il congedo dalle arene. C’è da dire comunque che i veterani in genere, una volta congedati, preferivano continuare a fare il mestiere che ormai conoscevano divenendo a loro volta istruttori o arbitri durante i combattimenti.



IL COMMITTENTE

Secondo gli esperti della soprintendenza per l' Etruria meridionale, il committente doveva essere un ricco esponente della magistratura dell' Età repubblicana che aveva organizzato i giochi e ordinato il sepolcro per celebrare degnamente i suoi funerali.

Il mausoleo sarebbe dunque appartenuto ad un magistrato capenate, come informano i resti dell'iscrizione i cui frammenti sono stati recuperati in diverse occasioni tra 2006 e il 2007, che sicuramente era un grande appassionato di ludi gladiatori, tanto da preferire la loro rappresentazione a scene che invece magnificassero il padrone del mausoleo e la sua famiglia, come spesso è accaduto nei mausolei più importanti, come ad esempio nel Sepolcro di Eurisace a Roma, anch'esso della fine del I sec, a.c.



DESCRIZIONE

Sulla base dei caratteri stilistici e dei dati antiquari il rilievo sembra potersi collocare verso la fine del I sec. a.c., in un'epoca densa di colpi di scena, poco prima del principato di Augusto.

La scena figurata ha un andamento continuo, su modello della colonna Traiana, e propone, secondo modelli ormai consueti, episodi successivi di un combattimento tra gladiatori, con ben sei coppie di combattenti. A queste si alternano, sul fondo, figure di suonatori dei quali si conserva un suonatore di tromba ricurva (cornicen) all'estremità del lato destro e due suonatori di lunghe trombe (tubicines) all'estremità destra del quadro centrale.

Anche nelle parti più rovinate emergono alcuni personaggi, con resti di figure in tunica corta poste in secondo piano, in corrispondenza della coppia di gladiatori posta al centro del lato principale del fregio e di quella impegnata in combattimento al centro del lato sinistro.

Le ampie lacune che interessano il lato sinistro e quasi per intero quello centrale impediscono, tuttavia, una completa lettura delle scene, anche se il soggetto è il medesimo, come confermano resti delle vesti e delle armi da offesa e da difesa.

Fortunatamente si è conservato in buona parte il rilievo all'estremità del lato centrale del fregio, il più ricco di drammaticità narrativa e di minuziosi particolari, nel quale è rappresentata una coppia di gladiatori in combattimento.

Uno dei gladiatori, ormai caduto a terra, è sopraffatto dall'avversario il quale calca il piede sopra la mano del nemico che ancora stringe una corta spada ricurva, con l'evidente intenzione di fargli abbandonare l'arma. comunque quest'ultimo, che ha già abbandonato lo scudo, alza il braccio sinistro nel gesto della missio, cioè della domanda di grazia. Normalmente, nelle scene gladiatorie, il gladiatore vincente preme il piede su quello dell'avversario vinto, mentre in questo caso ne calca la mano.


Nell'immagine posta sul lato destro del mausoleo arrende anche il gladiatore della prima coppia di combattenti  con un ginocchio a terra egli abbassa lo scudo stringendo ancora la spada nella mano destra arretrata, mentre l'avversario lo blocca e rivolge lo sguardo in attesa del verdetto finale dell'editor.

Nell'ultima scena posta all'estremità del lato destro, è rappresentato un gladiatore morente, caduto a terra e con lo scudo oblungo ormai definitivamente abbandonato. E' rappresentato con grande maestria, lo sguardo obnubilato e le labbra leggermente piegate all'ingiù, che esala ansimando gli ultimi respiri.

Si tratta di una rappresentazione caratterizzata da un intenso dinamismo, sebbene le figure dei gladiatori appaiano saldamente impostate e siano rese con notevole plasticismo.

Un gusto quasi calligrafico manifestano, invece, le figure dei suonatori nei quali l'accurata resa dei panneggi concorre ad esaltare i delicati lineamenti dei volti incorniciati da una corta capigliatura, che nel caso dei tubicines appare resa a ciocche sottili, una vera e propria anticipazione dei modelli di gusto classicistico.

 Il fregio narrativo nel suo complesso si rivela di altissima qualità, prodotto forse da una bottega di primo piano, capace di impegnarsi in una narrazione densa di contenuti, ma anche attenta ai dettagli minori. Questa testimonianza proveniente dal territorio capenate non costituisce un episodio isolato: sono note, infatti, altre attestazioni dell'importanza artistica dell'antica Capena.

I monumenti funerario del tipo a edicola, molto diffuso in quest'epoca e ben attestato anche in area capenate, d'altronde i resti dell'iscrizione, la parte inferiore di una statua di togato, come pure i numerosi blocchi di cornici e altri elementi architettonici confermano la qualità e l'importanza del monumento.

I mausolei più antichi del tipo a edicola prevedono del resto una notevole ricchezza e fantasia di schemi. Frequentemente come nella ricostruzione proposta per il nostro monumento è presente sull'attico un tempietto o un'edicola porticata.

Avvalora l'ipotesi ricostruttiva il rinvenimento, tra gli altri elementi architettonici, di una colonna liscia di marmo lunense. Il monumento è esposto con allestimento temporaneo nel Museo di Lucus Feroniae.


BIBLIO

- Boris Pahor - Necropoli - trad. Ezio Martin - revisione di Valerio Aiolli - prefazione di Claudio Magris - Fazi Editore - Roma - 2008 -
- Rodolfo Lanciani - Underground Christian Rome - in the Atlantic Monthly - 1891 -
- Umberto Fasola - Les Catacombes entre la légende et l'histoire - in "Les Dossiers de l'Archéologie" - Dijon - 1976 -
- Antonio Bosio - Roma sotterranea - Roma - 1632 -




TROPAEUM AUGUSTI O TROPAEUM ALPIUM (Francia)


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RICOSTRUZIONE DEL MONUMENTO


E’ un luogo sconosciuto in Italia, soprattutto da quando esiste l’autostrada che passa per l’interno e porta in mezz’ora da Ventimiglia a Nizza. Dall’alto di questo promontorio di 450 m, a picco sul Mediterraneo, si gode il panorama più bello della Costa Azzurra. Si chiama “Tête de Chien” (testa di cane).

In questo paesino arroccato alle spalle del mare della Costa Azzurra, in Francia, troviamo il Trofeo d’Augusto, detto più comunemente "Trofeo delle Alpi", oppure "Trofeo de la Turbie". Trattasi di un prezioso monumento romano costruito per celebrare la “pax romana” ottenuta nella regione e per glorificare la vittoria del futuro Imperatore Augusto sulle tribù Liguri ribelli.

Il Trofeo di Augusto, o Tropaeum Augusti (detto anche Trofeo delle Alpi, Tropaeum Alpium, e in francese Trophée des Alpes) è un monumento romano elevato a emblema dei trionfi e quindi dei trofei di Augusto, posto su un'altura a 480 m slm, nel comune di La Turbie, nel dipartimento delle Alpi Marittime, molto vicino al Principato di Monaco.

Il monumento venne eretto, sulla cosiddetta via Iulia Augusta, la strada che da Aquileia portava al Norico, negli anni 7-6 a.c. in onore di Augusto per commemorare le vittorie riportate dai suoi generali (tra cui Druso e Tiberio) e la definitiva sottomissione di 46 tribù alpine.

Servì inoltre a demarcare la frontiera tra l'Italia romana e la Gallia Narbonese lungo la Via Julia Augusta. Si entra a piedi nel piccolo villaggio medievale di La Turbie, costruito in cima al promontorio sopra la “testa del cane”. Attraverso la Porta Ovest si percorre la via romana Iulia Augusta (il proseguimento dell’antica via Aurelia che da Roma arrivava in Liguria). La strada è lastricata e affiancata da case di pietra.

Poi d'improvviso,.sulla sinistra, seminascosto sul retro da altissimi cipressi che li fanno da corona, in omaggio all'antica abitudine romana di porre cipressi attorno ai mausolei o ai trofei,:compare il Trofeo delle Alpi o Trofeo di Augusto. 

L’imperatore romano, dopo aver sconfitto la quarantacinquesima tribù celto-ligure ribelle dell’arco alpino, decise di far costruire il Trofeo, alto 49 metri, compresa la gigantesca statua di Augusto.
Con l'erezione del trofeo si celebrò la vittoria finale di Roma su alcune popolazioni alpine irriducibili alla dominazione romana. Come sempre, Roma aveva colto il suo trionfo.

Per molti secoli nell’antichità ha suscitato, sui viaggiatori che percorrevano la strada consolare, ammirazione e rispetto per la potenza di Roma, incarnata da un imperatore che fu un mito nei secoli dei secoli.

Questo trofeo nel tempo segue, nelle Gallie, il trofeo di Pompeo, in Summum Pyrenaeum, quello di Briot (ora al museo di Antibes), i Trofei di Mario e altri.



LE BATTAGLIE

26-25 a.c.

- In questi due anni di campagne furono sottomesse le popolazioni a guardia del passo del Gran San Bernardo. Il primo scontro con i romani si era avuto nel 143 a.c. sotto il consolato di Appio Claudio Pulcro, che venne sconfitto con gravi perdite, finchè nel 100 a.c. il Senato Romano aveva istituito la colonia latina di Eporedia (Ivrea), apportandovi molti coloni romani.

I romani di Augusto si batterono ancora contro i Salassi, sospingendoli verso le montagne; le ultime resistenze organizzate cessarono nel 25 a.c. Al termine delle varie battaglie i 44.000 sopravvissuti tra i Salassi furono tutti venduti come schiavi al mercato di Eporedia, mentre in luogo della fortezza militare venne fondata la colonia di Augusta Praetoria (Aosta), con la concessione del diritto romano agli abitanti.

23 a.c.

- La conquista romana del Trentino era già avvenuta nel corso del primo secolo a.c. Trento, sorta già prima della conquista come accampamento militare romano (castrum), venne battezzata Tridentum ("città dei tre denti"), perché nei pressi sorgono proprio tre colli somiglianti a tre denti. Divenne municipium tra il 50 e il 40 a.c.

In periodo augusteo, con l'Impero impegnato in una serie di operazioni militari nell'arco alpino, Tridentium (Trento) venne fortificata, per la futura avanzata del generale Druso.

- Tiberio accompagnò Augusto in Gallia, dove trascorse i tre anni successivi, fino al 13 a.c., per assisterlo nell'organizzazione e governo delle province galliche.

Il Norico meridionale fu occupato, ottenendo anche una forma di vassallaggio da parte del regno Norico settentrionale


15 a.c.

- Tiberio, insieme al fratello Druso, condusse una campagna contro i Reti, stanziati tra il Norico e la Gallia, e i Vindelici.

L'operazione a tenaglia permise ai due fratelli di avanzare fino alle sorgenti del Danubio, dove ottennero la definitiva vittoria sui Vindelici.

Queste vittorie consentirono ad Augusto di sottomettere le popolazioni dell'arco alpino fino al Danubio, e gli valsero una nuova acclamazione imperatoria, mentre Druso, figliastro prediletto di Augusto, poté più tardi ottenere il trionfo.

14 a.c.

- Al termine delle battaglie, vennero lasciate a protezione dei territori conquistati della Vindelicia due legioni. La provincia della Rezia verrà infatti costituita sotto Claudio.

Anche i Liguri Comati delle Alpi sudoccidentali furono in parte sottoposti ai praefecti civitatum, in parte aggiunti al vicino regno di Cozio, che trovò un accordo di alleanza con Roma. A Segusium venne eretto il famoso Arco di Augusto con il patto di alleanza ancora oggi visibile nel fregio.

Tutti questi successi furono commemorati con l'erezione del celebre trofeo di La Turbie nella Francia mediterranea, per commemorare la pacificazione delle Alpi da un estremo all'altro e per ricordare i nomi di tutte le tribù sottomesse. In quanto alle Alpi Marittime, in esse abitavano diversi gruppi di tribù: le Ligures, Capillati e Montani.

Queste ultime raggruppavano tre serie di tribù: le tribù del litorale, già da tempo sottomesse: (Deciates, Oxibii, Vedianti); le tribù dell’entroterra (Avantici, Biodontici, Sentii). e le popolazioni vinte da Augusto e menzionate nel Tropaeum Alpium (Sogionti, Brondionti, Nemaloni, Gallitae, Triullati, Vergunni, Eguituri, Namaturi, Oratelli, Nerusi, Velauni, Sutri);

Il monumento, eretto negli anni 7-6 a.c. in onore di Augusto, conteneva i nomi di ben 45 tribù alpine tra l'Italia, la Gallia Narbonese e la Rezia:

Triumpilini, Camuni, Vennoneti, Venosti, Isarci, Breuni, Genauni,

Focunati, le quattro tribù del Vindelice: Suaneti, Rucinati, Licati e Catenati, Ambisonti, Rugusci, Suaneti, Calugoni, Brixeneti, Leponti, Uberi, Nantuati, Seduni, Varagri, Salassi, Acitavoni, Meulli, Ucenni, Caturigi, Brigiani, Galliti, Triutalli, Ectini, Vergunni, Equituri, Nemanturi, Oratelli, Nerusi, Velauni e Suetri..



TROPAEUM AUGUSTI

Il monumento, eretto negli anni 7-6 a.c. in onore di Augusto, conteneva i nomi di ben 45 tribù alpine tra l'Italia, la Gallia Narbonese e la Rezia:

Triumpilini, Camuni, Vennoneti, Venosti, Isarci, Breuni, Genauni, Focunati, le quattro tribù dei Vindelici (Suaneti, Rucinati, Licati e Catenati), Ambisonti, Rugusci, Suaneti, Caluconi, Brixeneti, Leponti, Uberi, Nantuati, Seduni, Varagri, Salassi, Acitavoni, Meulli, Ucenni, Caturigi, Brigiani, Galliti, Triutalli, Ectini, Vergunni, Eguituri, Nemanturi, Oratelli, Nerusi, Velauni e Suetri.


La Gallia Narbonense 

Era una provincia romana più o meno corrispondente alle regioni della Francia meridionale di Linguadoca-Rossiglione e Provenza-Alpi-Costa Azzurra.

Prima si chiamava Gallia Transalpina e in epoca romana Provincia Nostra o semplicemente Provincia, da cui il nome francese di Provence (Provenza).

Essa era già provincia romana fin dal 121 a.c., col nome di Gallia Transalpina (aldilà delle Alpi), o Gallia ulterior o Gallia comata, mentre la Gallia cisalpina era "al di qua delle Alpi", o Gallia citerior.

Nel 118 a.c. venne fondata Narbona, che fu la prima colonia romana al di fuori dell'Italia, con l'apporto di di alcune migliaia di agricoltori italici che convissero coi nativi.

Un secondo nucleo di coloni, per lo più da veterani della leggendaria X Legio vi si insediò, per dono di Cesare, nel 46 a.c.

La regione venne così rinominata Gallia Narbonensis, con capitale Narbona. In età imperiale, la provincia fu affidata a un proconsole dell'ordine senatorio.


- La Rezia:

La conquista di Rezia ed arco alpino sotto Augusto degli anni 16-7 a.c. preparavano all'invasione della Germania del 12 - 9 a.c., onde portare i confini settentrionali dell'impero ai fiumi Elba e Danubio. Le campagne di Augusto dovevano consolidare le conquiste dell'età repubblicana, per ottenere frontiere più difendibili.

L'imperatore, in realtà di indole pacifica, comprese che doveva rafforzare i confini se desiderava un regno pacifico. "Si vis pax para bellum" se vuoi la pace prepara la guerra e così fu. Augusto in persona si dedicò, con l'aiuto di Agrippa, sottomise anzitutto la parte nord-ovest della penisola iberica, in tumulto da decenni.

Questi territori furono annessi con le sanguinose campagne militari in Cantabria durate 10 anni (dal 29 al 19 a.c.). A questa conquista succedette quella dell’arco alpino, per la sicurezza dei valichi e le relazioni con la Gallia.



ARCO DI AUGUSTO

Il Tropaeum Augusti non fu l'unico monumento eretto all'epoca in onore di Augusto.

A Segusium, capitale del Regno dei Cozii, nella provincia detta delle Alpi Cozie. venne eretto inoltre un arco per ricordare l'accordo con Roma, che riporta fra i nomi delle quattordici tribù governate da Cozio, alcune delle quali sono riportate nel Trofeo delle Alpi.

Sagusium era stata conquistata all'epoca dai Romani guidati da Giulio Cesare che combatterono con le popolazioni locali e stabilirono con Donno, il loro re, un patto di alleanza, in modo da garantire un transito sicuro verso la Gallia a militari, merci e carri.

Augusto penalizzò fortemente le tribù ribelli, soffocandole nel sangue. Poichè però Sagusium non si era ribellata, sancì di nuovo con essa i buoni rapporti avuti con Cesare, e a memento dei saldi rapporti di pace si procedette alla costruzione dell'arco di Augusto.


1) I Triumplini

I Trumplini erano un antico popolo alpino stanziato in Val Trompia, che vennero sottomessi da Roma durante le campagne di conquista di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte dai suoi generali Druso maggiore e Tiberio contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.c.

Plinio il Vecchio (23-79 d.c.), rifacendosi alle origini di Catone il Censore descrive i Trumplini come una delle tribù euganee assoggettate dai Romani:
« Voltandoci verso l'Italia, i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Trumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camunni molti dei quali assegnati ad una città vicina. »

Evidentemente, in seguito alla sconfitta, vennero stati venduti in massa come schiavi. Il nome degli Trumplini è ricordato in prima posizione nel Trofeo di Augusto.


2) I Camuni

Stanziati in Val Camonica fin dall'Età del ferro (dal XII sec. a.c.), vennero conquistati da Roma all'inizio del I sec. d.c., e inseriti nelle strutture politiche e sociali dell'Impero romano: pur conservando una certa autonomia (Res Publica Camunnorum).

Nella II metà del I sec. d.c.ottennero la cittadinanza romana, con un rapido processo di latinizzazione linguistica, culturale e religiosa.

Strabone (58 a.c.-25 d.c.) pensava che i Camuni facessero parte dei popoli retici e li accostava ai Leponzi, i quali, invece, derivavano dalla Cultura di Golasecca (Pianura Padana, età del bronzo, poi influenzati da popoli di stirpe celtica):

« Vi sono poi, di seguito, le parti dei monti rivolte verso oriente e quelle che declinano a sud: le occupano i Reti e i Vindelici, confinanti con gli Elvezi e i Boi: infatti si affacciano sulle loro pianure. 
Dunque i Reti si estendono sulla parte dell’Italia che sta sopra Verona e Como; e il vino retico, che ha fama di non essere inferiore a quelli rinomati nelle terre italiche, nasce sulle falde dei loro monti. 
Il loro territorio si estende fino alle terre attraverso le quali scorre il Reno; a questa stirpe appartengono anche i Leponzi e i Camuni. »

Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) scrisse invece dei Camunni come di una delle tribù euganee assoggettate dai Romani:

« Voltandoci verso l'Italia, i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Triumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camuni molti dei quali assegnati ad una città vicina. »
Citati nel nel Trofeo di Augusto.



3) I Vennoneti

I Vennoneti o Vennonetes, erano un antico popolo alpino stanziato in Valtellina e nella Svizzera orientale. che vennero conquistati dall'esercito romano durante le campagne militari di Augusto contro la Rezia e l'arco alpino, tra il 16 e il 15 a.c.

A termnare la conquista del fronte alpino orientale fu Publio Silio Nerva, amico intimo di Augusto, con cui condivideva la passione per il gioco ai dadi. Divenne console nel 20 a.c., e combattè nelle campagne nella Spagna superiore.

Nel 16 a.c. fu nominato proconsole dell'Illirico, dove si distinse contro le tribù della Pannonia e del Norico, tra cui i Taurisci, e aver occupato i territori del Norico meridionale. Sottomise inoltre i Camuni e Triumplini, nonchè le valli da Como al Lago di Garda. Citati nel nel Trofeo di Augusto.


4) I Venosti

I Venosti erano un antico popolo alpino stanziato al sud del Passo di Resia, un valico alpino a ovest del Brennero, nell’attuale Val Venosta, una valle dell'Alto Adige occidentale.

I Venostes vennero sottomessi dall'impero romano durante le campagne militari di Augusto di Rezia e dell'arco alpino, condotte dai suoi generali Druso maggiore e Tiberio contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.c. Il nome dei Venosti è in terza posizione nell'iscrizione frontale del Trofeo delle Alpi.


5) Gli Isarci

Gli Isarci erano un antico popolo alpino stanziato nella Val d'Isarco, una delle due valli principali dell'Alto Adige, che si estende dalla sorgente del fiume Isarco al Brennero fino alla foce nell'Adige a Bolzano.

Sottomessi da Roma nelle campagne di conquista di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte da Druso maggiore e Tiberio contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.c. Il nome degli Isarci è ricordato in quinta posizione nel Trofeo di Augusto.


6) I Breuni

I Breuni erano un antico popolo alpino che abitava la Val d'Isarco e i due versanti del Brennero.
Strabone (63 a.c. – 24 d.c.) sosteneva che facessero parte dei popoli illirici e assieme ai Genauni della Val di Non:
« I Vindelici ed i Norici invece occupano la maggior parte dei territori esterni alla regione montuosa, insieme ai Breuni e ai Genauni; essi appartengono però agli Illiri. Tutti questi effettuavano usualmente scorrerie nelle parti confinanti con l’Italia, così come verso gli Elvezi, i Secani, i Boi e i Germani. »

Conquistati da Roma durante le battaglie di Augusto di Rezia e dell'arco alpino, tra il 16 e il 15 a.c. Il nome dei Breuni è ricordato in sesta posizione nel Trofeo di Augusto.

Orazio (65. – 8 a.c.) li cita nel IV libro delle sue Odi:
« quid Marte posses. milite nam tuo
Drusus Genaunos, inplacidum genus,
Breunosque velocis et arcis
Alpibus inpositas tremendis
deiecit acer plus vice simplici;
maior Neronum mox grave proelium
conmisit immanisque Raetos
auspiciis pepulit secundis, »


7) I Genauni

I Genauni erano un antico popolo alpino di cui è ancora incerta la localizzazione.
La scoperta della Tabula Clesiana (rinventa nel1869), un editto di Claudio del 46 che concedeva la cittadinanza romana a Anauni, Sinduni e Tulliassi, e che trattava della controversia fra i Comensi o Comaschi ed i Bergalei, posizionati nella Val di Non, lasciò intendere che questi popoli coincidessero con gli Anauni. Secondo altri invece avrebbero dovuto risiedere nell'angusta Val di Genova.

Gli Anauni vennero assoggettati da Roma anche prima delle campagne di Augusto di Rezia e arco alpino.

Il loro nome non è ricordato nel Trofeo delle Alpi, dove invece sono citati i Genauni e per qualche tempo si è ritenuto che i due nomi indicassero la stessa popolazione.

Essi vennero aggregati da Augusto al municipium di Tridentum

Strabone (63 a.c. – 24 d.c) sosteneva che i Genauni facessero parte dei popoli illirici e assieme ai Breuni:
« I Vindelici ed i Norici invece occupano la maggior parte dei territori esterni alla regione montuosa, insieme ai Breuni e ai Genauni; essi appartengono però agli Illiri. 
Tutti questi effettuavano usualmente scorrerie nelle parti confinanti con l’Italia, così come verso gli Elvezi, i Secani, i Boi e i Germani. »

I Genaunes vennero sottomessi a Roma da Augusto nelle campagne militari di Rezia e arco alpino, condotte dai generali Druso maggiore e Tiberio.

Orazio (65 – 8 a.c.) li cita nel IV libro delle sue Odi:

« quid Marte posses. milite nam tuo
Drusus Genaunos, inplacidum genus,
Breunosque velocis et arcis
Alpibus inpositas tremendis
deiecit acer plus vice simplici;
maior Neronum mox grave proelium
conmisit immanisque Raetos
auspiciis pepulit secundis
, »

Il nome dei Genauni è ricordato in settima posizione nel Trofeo di Augusto.


8) I Focunati

I Focunati erano un antico popolo alpino.della cui localizzazione c'è ancora incertezza, anche se diversi autori lo pongono bella Valsesia, Considerata la valle più verde d'Italia e posta in Piemonte, la Valsesia è una valle alpina della provincia di Vercelli, di cui occupa la parte settentrionale, le cui acque confluiscono nel fiume Sesia, da cui prende il nome

I Focunates vennero sottomessi da Roma nelle campagne militari di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte dai generali Druso maggiore e Tiberio. Il nome dei Focunati è posto in ottava posizione nel Trofeo di Augusto.



LE QUATTRI TRIBU' DEI VINDELICI

I Vindelici erano un'antica popolazione alpina che abitava la regione preromana,Vindelicia. L'area corrispondeva alla parte nordorientale della Svizzera, al Baden sudorientale ed al sud del Württemberg e della Baviera.

La cultura dei Vindelici era la Cultura di La Tène, che va dall'età del ferro fino al I sec. a.c.. Alcune delle società archeologicamente identificate come appartenenti al La Tène furono definite dagli autori greci e romani del V sec. a.c.con i termini di "celtiche" e "galliche"Si suppone che fossero una popolazione di origine celtica, ma con una forte componente illirica.

I Vindelici vennero sottomessi a Roma nelle campagne militari di Druso maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.c. Nello stesso anno la capitale della regione occupata dai Vindelici, in realtà un accampamento militare attorno a cui si sviluppò un abitato, venne rinominata Augusta Vindelicorum (Augusta dei Vindelici), e in seguito trasformata dall'imperatore Adriano in municipium. Oggi è la città di Augusta.

Orazio li citò nel IV libro delle Odi, descrivendo il primo volo dell'aquila, una lunga metafora a lode di Druso.

« Quae cura patrum quaeve Quiritium
plenis honorum muneribus tuas,
Auguste, virtutes in aevom
per titulos memoresque fastos
aeternet, o, qua sol habitabilis
inlustrat oras, maxime principum,
quem legis expertes Latinae
Vindelici didicere nuper 
»

Il nome dei Vindelici è ricordato in nona posizione nel Trofeo delle Alpi e in esso si specifica che essi si suddividevano in quattro tribù: 9) i Suaneti, 10) i Rucinati, 11) i Licati e 12) i Catenati. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


13) Gli Ambisonti

Gli Ambisonti erano un antico popolo alpino che abitavano una zona del Norico presso il fiume Isonta, oggi Salzach, nella provincia di Salisburgo.

Essi erano legati federalmente con i Taurisci, sotto un unico re che risiedeva a Noreia (oggi Magdalensberg), un oppido a m 1000 s.l.m.

Gli Ambisontes vennero sottomessi da Roma nelle campagne militari di Druso maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.c. Ricordati nel Trofeo di Augusto.



 I Taurisci

Nel 16 a.c. un'invasione dell'Istria da parte di alcune tribù della Pannonia e del Norico, tra cui alcune tribù dei Taurisci, provocarono l'annessione del Norico meridionale con la campagna condotta da Publio Silio Nerva. Nel trionfo di Augusto però vennero incluse solo le vittorie dei suoi due figli, come fossero direttamente di Augusto, pertanto non fa parte del trionfo e non vi è citato.

14) I Rugusci

Erano un antico popolo alpino che abitava la zona della Svizzera meridionale tra l'alta Valle del Reno e l'alta Valle dell'Inn. Vennero sottomessi da Roma nelle campagne militari di Druso maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.c. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


15) I Suaneti

I Suaneti erano un antico popolo alpino della Vindelicia di cui è incerta la collocazione. Secondo alcuni è la Val Schams nella Svizzera del sud, secondo altri è la Valle Soana in Piemonte, anche se l'ipotesi si basa solo sulla similarità tra il torrente "Soana" e "Suaneti".
I Suanetes vennero sottomessi da Roma nelle campagne militari di Druso maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.c. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


16) I Caluconi

I Calucones vennero sottomessi da Roma nelle campagne di Rezia e arco alpino, condotte da Druso maggiore e Tiberio contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.c. Il nome dei Caluconi è ricordato (anche da Plinio il Vecchio) nel Trofeo di Augusto.


17) I Rugusci

I Rugusci erano un antico popolo alpino che sembra abitasse la zona della Svizzera meridionale tra l'alta Valle del Reno e l'alta Valle dell'Inn. Essi vennero sottomessi da Roma tra il 16 e il 15 a.c. Il loro nome è ricordato nel Trofeo di Augusto.


18) I Brixeneti

Secondo lo storico Claudio Tolomeo (100 - 175) essi dovevano essere i più settentrionali tra i Reti. Secondo gli studiosi moderni dovevano invece abitare la Val Pusteria, una valle delle Alpi Orientali e la città di Bressanone (del Trentino-Alto-Adige). Ricordati nel Trofeo di Augusto.


19) I Leponzi 

Il loro territorio era compreso tra il Canton Ticino, la Lombardia occidentale, la Val d'Ossola e l'alto Vallese e facevano parte della provincia romana della Rezia. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


20) Gli Uberi 

Secondo Plinio il vecchio essi dovevano essere una comunità che comprendeva i Leponzi, situata presso il Rodano. Vennero sottomessi da Roma dai suoi generali Druso maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.c. Ricordati nel Trofeo di Augusto.



21) I Nantuati 

Una delle quattro tribù galliche stanziate nell'attuale Canton Vallese verso la fine della cultura di La Tène, poco prima della conquista della Gallia da parte di Cesare. Il loro oppidum era Tarnaiae, probabilmente dedicata al culto di Taranis, Dio del tuono. Come le altre tre tribù della Vallis poenina, i Nantuati caddero sotto la dominazione romana, all'interno della provincia della Raetia, Vindelicia et Vallis Poenina. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


22) I Seduni 

I Seduni erano galli stanziati nel Vallese centrale nel I sec. a.c. La loro esistenza è attestata da iscrizioni e testi antichi. Non sappiamo che rapporti avessero con i Galli che saccheggiarono Roma nel 390 a.c.. Ricordati nel Trofeo di Augusto.


23) I Veragri

Antica tribù collocata nell'attuale Svizzera. Giulio Cesare, nel De bello Gallico, li stanzia nel canton Vallese tra i Nantuati e i Seduni. La loro capitale era Octodurus; per questo Plinio li chiama Octodurenses.

Dione Cassio (155 - 235), citando Cesare afferma che il loro territorio si estendeva da quello degli Allobrogi, al lago di Ginevra fino alle Alpi.
Strabone li chiama "Varagri", e li colloca tra i Caturigi e i Nantuati; Plinio il vecchio li pone tra i Seduni e i Salassi: questi ultimi nell'attuale Valle d'Aosta.

Livio (59 a.c. - 17 d.c.) li colloca tra le Alpi, sulla strada che conduce al passo delle Alpi Pennine, o al Gran San Bernardo, il che sembra molto probabile. Riporta anche che il passo era occupato da "tribù semigermaniche", ponendo un dubbio sulla loro appartenenza etnica.

Ricordati nel Trofeo di Augusto.


24) I Salassi 

Fu un popolo appartenente alla cultura di La Tène, che si collocò a nord delle Alpi intorno al VI sec. a.c. Espandendosi a sud i Salassi giunsero nella valle della Dora Baltea e nel Canavese, zone poco popolate, colonizzando l'intero territorio e fondando Eporedia (Ivrea).

La prima battaglia con i romani si tenne nel 143 a.c. sotto il consolato di Appio Claudio Pulcro, che venne sconfitto con gravi perdite. Ma le sorti mutarono e nel 100 a.c. il Senato Romano vi istituì la colonia latina di Eporedia, inserendovi molti coloni romani.

L'Impero romano si scontrò ancora ripetutamente contro i Salassi, sospingendoli verso le montagne; le ultime resistenze organizzate cessarono nel 25 a.c. con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta), attraverso la concessione del diritto romano agli abitanti. Menzionati nel Tropaeum Augusti.


25) Gli Acitavoni

Non si sa bene dove fossero insediati, ma alcuni studiosi li stanziarono in acune vallate del Gran Paradiso, tra Valle d'Aosta e Piemonte, tra le quali la Valle Orco, Valle di Rhemes e Valsavarenche. Menzionati nel Tropaeum Augusti.


26) I Medulli 

Tribù del regno dei Cozii. Menzionati nel Tropaeum Augusti.


27) Gli Ucenni 

Non se ne hanno notizie, seppur menzionati nel trofeo di Augusto.


28) I Caturigi

I Caturigi, o Caturiges, furono un piccolo popolo celtico stanziato nella valle dell'alta Durance, nelle Alpi Cozie. Gaio Giulio Cesare li menziona una volta nel De bello Gallico..

Sono ricordati tra i popoli alpini che rispondevano a Cozio nell'iscrizione dedicatoria dell'Arco di Augusto a Susa. Menzionati nel trofeo di Augusto.

- 29) I Brigiani  - 30) I Sogionti  - 31) I Brodionti  - 32) I Nemaloni  - 33) Gli Edenati   - 34) I Vesubiani -  35) I Veamini  - 36) I Galliti -  37) I Triullati -  38) Gli Ecdini -  39) I Vergunni -  40) Gli Eguituri -  41) I Nematuri -  42) Gli Oratelli -  43) I Nerusi -  44) I Velauni -  45) I Seutri

Di tutti questi popoli non si hanno notizie, seppur menzionati nel trofeo di Augusto.




IL MONUMENTO

Secondo la tradizione, i trofei erano dedicati alle divinità della vittoria, in questo caso si pensa ad Ercole, nonchè alla Nike o Dea Vittoria romana. Al termine di un combattimento, i vincitori riunivano le spoglie del nemico su un palo costituendo così una sorta di fantoccio. Questi fantocci, portati poi come vessillo per dimostrare al popolo la conquista eseguita, però si usuravano per vennero poi riprodotti in pietra e lasciati a perenne ricordo, cosicchè i trofei divennero veri e propri monumenti architettonici.

Il Tropaeum Augusti è edificato parte in marmo lunense (da Luni), un marmo bianchissimo che spiccava in lontananza come un faro, e parte in pietra calcarea locale, eseguito secondo le regole di Vitruvio sul modello del Mausoleo di Alicarnasso. Esso venne edificato sulle alture dell’antico porto di Monaco, di modo che segnalava l’estremità delle Alpi. Si inquadrava anche nel paesaggio del santuario dedicato ad Eracle Monoikos (Ercole di Monaco).

Gli scrittori antichi associano quasi sempre il nome di Monaco, in greco Monoikos, a quello di Ercole: Augusto venne così assimilato ad Ercole, figlio di un Dio che doveva diventare un Dio, un eroe che porta la civiltà oltre le Alpi, nel paese dei barbari.

Il monumento presentava un piedistallo quadrato di 38 m di lato, sulla cui facciata occidentale era posta un'iscrizione con la dedica ad Augusto. Ai lati dell'iscrizione c'erano dei trofei. Il secondo ordine era composto da un basamento, anche questo quadrato ma di m 36, su cui poggiavano 24 colonne, con capitelli dorici, poste in cerchio e adornate da un fregio dorico con alternanza di metope e triglifi.

All'interno del colonnato si trovava una torre cilindrica in cui, tra le colonne, si aprivano delle nicchie con le statue dei generali che avevano guidato o partecipato alle battaglie tra cui quella di Druso e sicuramente quella di Tiberio.

Sulle colonne poggiava una copertura conica a gradoni, alla cui sommità si ergeva una grandiosa statua di Augusto in bronzo dorato, colto nell'atto di sottomettere due barbari inginocchiati ai suoi piedi. Nell'insieme il monumento doveva raggiungere i 50 m d'altezza.

COME DOVEVA APPARIRE ORIGINARIAMENTE


L'ISCRIZIONE

La gigantesca iscrizione posta sulla facciata occidentale, di cui rimanevano solo alcuni frammenti, è stata ricostruita completamente durante il restauro del monumento curato da Jules Formigé, avendone letto la citazione di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Essa è la più lunga iscrizione latina scolpita conosciuta nella storia antica.

Il testo riporta tutti e 45 i nomi delle tribù sconfitte in ordine cronologico ed è affiancato da due bassorilievi della Vittoria alata. C'è poi l'immagine del "trofeo", una raffigurazione delle armi conquistate ai nemici e appese ad un tronco d'albero. Ai due lati del trofeo sono raffigurati coppie di prigionieri galli in catene.

« All'imperatore Augusto, figlio del divino Cesare,
pontefice massimo, nell'anno 14° del suo impero,
17° della sua potestà tribunizia, il senato e il popolo romano
poiché sotto la sua guida e i suoi auspici tutte le genti alpine,
che si trovavano tra il mare superiore e quello inferiore
sono state assoggettate all'impero del popolo romano.

Genti alpine sconfitte:
I Trumpilini -   I Camunni - I Venosti -  I Vennoneti -   Gli Isarci -  I Breuni -  I Genauni -  I Focunati
- Le quattro nazioni dei Vindelici: Cosuaneti  Rucinati  Licati  Catenati -  Gli Ambisonti -  I Rugusci
- I Suaneti -  I Caluconi -  I Brixeneti -  I Leponzi -  Gli Uberi -  I Nantuati -  I Seduni - I Veragri -  I Salassi -  Gli Acitavoni -  I Medulli -  Gli Ucenni -  I Caturigi -  I Brigiani -  I Sogionti - I Brodionti -  I Nemaloni -  Gli Edenati -  I Vesubiani -  I Veamini -  I Galliti -  I Triullati -  Gli Ecdini -  I Vergunni -  Gli Eguituri -  I Nematuri -  Gli Oratelli -  I Nerusi - I Velauni -  I Seutri »

l'iscrizione riportata sul monumentale trofeo di Augusto, TROPAEUM ALPIUM. Il Trofeo delle Alpi, eretto per volontà del Senato nel 7-6 a.c. in onore delle vittorie riportate da Augusto sulle popolazioni alpine, si trova a nord dell'odierno principato di Monaco a La Turbie (Costa Azzurra), lungo l'antica via Iulia-Augusta che collegava l'Italia alla Gallia e alla Spagna. Sulla base del monumento c'era una lunga iscrizione celebrativa con lettere in bronzo, oggi ricostruita, che riportava l'elenco dei 44 popoli alpini e galli sottomessi dall'Imperatore. 

Ecco l'iscrizione originale.
IMP . CAESARI . DIVI . FILIO . AVG .
PONT . MAX . IMP . XIIII . TRIB . POT . XVII
S . P . Q . R
QUOD . EIUS . DVCTV . AVSPICIISQVE . GENTES . ALPINAE .
OMNES . QVAE . A . MARI . SVPERO . AD . INFERVM . PERTINEBANT .
SVB . IMPERIVM . P . R . SVNT . REDACTAE
GENTES . ALPINAE . DEVICTAE . TRIVMPILINI . CAMVNI .
VENNONETES . VENOSTES . ISARCI . BREVNI . GENAVNES .
FOCVNATES . VINDELICORVM . GENTES . QVATTVOR . COSVANETES .
RVCINATES . LICATES . CATENATES . AMBISONTES . RVGVSCI .
SVANETES . CLAVCONES
BRIXENTES . LEPONTI . VBERI . NANTVATES . SEDVNI . VARAGRI .
SALASSI . ACITAVONES . MEDVLLI . VCENNI . CATVRIGES . BRIGIANI
SOGIONTI . BRODIONTI . NEMALONI . EDENATES . VESVBIANI .
VEAMINI . GALLITAE . TRIVLLATI . ECTINI
VERGVNNI . EGVITVRI . NEMETVRI . ORATELLI . NERVSI . VELAVNI .
SVETRI 




LA DEVASTAZIONE

LA TRASFORMAZIONE IN FORTEZZA
Tra il XII ed il XV secolo il Trofeo venne trasformato in fortezza, soprattutto contro le scorribande dei pirati saraceni.

Durante la Guerra di successione spagnola, Luigi XIV ordinò la distruzione di tutte le fortezze conquistate ed il Trofeo venne minato e fatto esplodere il 4 maggio 1705.

La distruzione del complesso dette luogo alla sua spoliazione per trarne materiale da costruzione, nonostante l'originaria cava di epoca romana si trovasse a soli 500 m di distanza.

Quando Turbia tornò sotto i Savoia andò ancora peggio, perchè venne autorizzato il prelievo dei materiali dal Trofeo, per la costruzione della sottostante chiesa di San Michele, nel 1764.



LA RICOSTRUZIONE

Dopo l’annessione della Contea di Nizza alla Francia, nel 1860, il trofeo venne classificato come monumento storico. Nel 1905, la Società francese degli scavi archeologici affidò a Philippe Casimir, erudito locale, lo sterro del Trofeo. Successivamente, Jean-Camille Formigé e suo figlio Jules, architetti dirigenti dell’ente di tutela dei monumenti storici, ricostruiscono una parte dell’edificio grazie al finanziamento del mecenate americano, Edouard Tuck (1929-1933).

Prima del restauro parziale del XX secolo non rimanevano che quattro colonne intatte, e solo la facciata occidentale (con l'iscrizione) è stata ricostruita quasi completamente grazie agli studi dell'architetto Jules Formigé; ulteriori resti e frammenti sono esposti nel museo archeologico ricavato nel basamento. L'altezza del monumento misura oggi 35 m, mentre originariamente, con la statua d'Augusto, raggiungeva i 50 metri.

Infatti come il Colosseo, l’Arena di Verona e molti antichi edifici, il trofeo è stato usato per anni come vera e propria “cava di pietra” da generazioni di più o meno inconsapevoli “vandali”.
Inconsapevoli a livello di popolo che ormai, data la chiusura delle scuole alla caduta dell'Impero Romano, non sapevano affatto dell'importanza dei monumenti in genere perchè nel Medioevo si ignorava perfino l'esistenza del glorioso impero.

Più consapevoli da parte del clero cristiano che in ogni modo cercò di cancellare le tracce dell'architettura e dell'arte in genere del famoso impero, per il timore di rinverdire rimpianti di una religione politeista soffocata con la violenza.



LA VIA IULIA AUGUSTA

Il bel monumento si avvale inoltre di un panorama fantastico, dominando il mare da Sanremo al massiccio dell’Esterel e stagliandosi tra il verde dei pini e l’azzurro del cielo e del mare.
Nell’antichità questo sito, lungo la Via Iulia Augusta, corrispondeva al punto dove finiva l’Italia, il suolo i cui abitanti avevano il privilegio della cittadinanza romana, e avevano inizio le Gallie, provincia di Roma.

Il giovane Augusto, nipote e figlio adottato di cotanto padre, Giulio Cesare Augusto, divenuto celebratissimo, dominò le genti alpine, tramite i suoi validissimi generali Druso e Tiberio, punendo qualsiasi popolo potesse mettere in dubbio l’autorità di Roma con rivolte o razzie.

D’altronde parcere subiectis et debellare superbos (Virgilio, Eneide, 6, 853) era il solo modo con il quale si riteneva possibile pacisque imponere morem (Virgilio, Eneide, 6, 852).

Così il Tropaeum Alpium in candida pietra calcarea, modellato sulla struttura dell'altettanto celebre Mausoleo di Alicarnasso, svolgeva la funzione che i Romani davano da sempre ai Trofei: celebrare la vittoria romana, la sua superiorità militare, civile e culturale sui barbari e sui vinti in particolare, e fungere da monito per chi non volesse accettare questo magnanimo potere, clemente con chi accettava, fatale per chi si ribellasse alla potenza romana stabilita dagli Dei.

Questo monumento celebra la vittoria di Augusto, imperatore romano, sui popoli delle Alpi definitivamente sottomessi tra il 25 e il 14 a.c. Nel 7-6 a.c., il senato ed il popolo di Roma gli dedicano il trofeo. E’ eretto sul colle di La Turbie, punto culminante di quella via Giulia che Augusto aveva fatto costruire per agevolare gli scambi con la Gallia.

Peraltro la statua eroica di Augusto, a circa 50 metri di altezza, sormontava originariamente l’intera struttura, svettante come un Dio, protettore o vendicativo a seconda di come si ponessero i popoli verso il compito di Caput Mundi che il Fato e gli Dei tutti avevano assegnato a Roma Eterna.


BIBLIO

Nino Lamboglia - Il trofeo di Augusto in La Turbie - III ed. Inst. Intern. de Studi Liguri - Bordighera - 1965 -
- Jules Formige - Le Trophée des Alpes - Centre National de la Recherche Scientifique - Paris - 1949 -
- Sophie Binninger - Le trophée d'Auguste à la Turbie - Parigi - Éditions du Patrimoine - 2008 -
- L. Crema - Architettura romana - Enciclopedia Classica - III, XII - Torino - 1959 -





 

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