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LA PROSTITUZIONE NELL'ANTICA ROMA


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IERODULIA E PROSTITUZIONE

Nella Roma antica la prostituzione era un’attività fiorente e non scandalosa: si stima che nel I secolo le donne dedite al mestiere, regolarmente registrate e che quindi pagavano le tasse, fossero parecchie migliaia, ma un numero molto inferiore alla realtà, visto che anche all'epoca impazzava il lavoro in nero per eludere il fisco.

La maggioranza delle prostitute erano schiave o liberte, anche se non mancavano donne libere ridotte in miseria, magari in quanto vedove, o aristocratiche, chiamate "famosae", che esercitavano per voglia di trasgressione, o per fare soldi, o come sfida ai benpensanti o per cocenti delusioni d'amore.

La più antica prostituzione è detta "ierodulia", cioè la prostituzione sacra, pertinente a quasi tutte se non a tutte le civiltà antiche, sia in Oriente che in Occidente. Essa richiamava ai riti legati alla Dea Madre, alla fertilità e alla ciclicità, mentre l’accezione negativa della sessualità appartiene solo al Cristianesimo.

La ierodulia è la sacralizzazione dell’atto sessuale di alcune sacerdotesse legate ad un santuario della Dea, in cui spesso risiedevano e a cui offrivano i proventi delle proprie attività. Anche per questo i luoghi sacri in cui veniva svolta la ierodulia, godevano di un erario abbondante. In Etruria, nel santuario di Pyrgi, è stato rinvenuto un edificio detto “20 celle” come sede delle “scorta pyrgensia” (meretrici sacre) di cui parla il poeta latino Lucilio. 


È per questo che, durante l'invasione persiana della Grecia, si domanda alle ieredule dell'Afrodite corinzia di fare preghiere pubbliche e di offrire un sacrificio per la salvezza della Grecia. A quanto pare le loro preghiere furono efficaci, perché infine l'esercito e la Flotta di Serse furono sconfitti dalla coalizione delle città greche; i Corinzi posero allora nel tempio di Afrodite diverse statue della Dea con un'epigrafe che elenca di tutte le prostitute che avevano collaborato alla vittoria. 

Una struttura rettangolare parallela al Tempio B di Uni-Astarte, di fronte allo stesso tempio, è formato da venti celle che hanno davanti un piccolo altare. Sul tetto delle antefisse fittili rappresentavano divinità e personificazioni delle fasi del giorno, poste da Est ad Ovest, come il ciclo solare.

Astarte, “regina” degli dei fenici, nel santuario di Pyrgi, viene identificata con Uni, “regina” del pantheon etrusco,  identificata anche con Hera/Giunone ma pure con Afrodite/Venere. Come il santuario di Erice, in Sicilia, il Tempio di Venere Erycina, che andò a sostituire quello più antico di Astarte, qui adorata dal popolo italico degli Elimi.

La pratica della ierodulia etrusca, nata in Oriente, fu esportata poi in Occidente soprattutto grazie al popolo fenicio, uno dei motivi per cui troviamo la prostituzione sacra soprattutto nei santuari delle città portuali. Ler sacerdotesse erano di norma di buona famiglia, tanto che uscite dal servizio religioso facevano in genere un matrimonio di grado superiore al ruolo della sua famiglia, proprio perchè avevano professato un incarico di valore.

Per il Cristianesimo invece l’atto sessuale, assolutamente vietato per gli uomini e le donne di chiesa, era un atto orribile che pertanto si doveva compiere solo al fine della procreazione, provare piacere era tentazione diabolica, il corpo doveva essere mortificato, anestetizzato e punito.

LUPANARE DI POMPEI

I LUPANARE


Tutti i miti sono un rimaneggiamento nonchè occultamento di un culto più arcaico, quello della Dea Lupa, la Potnia Theron, ovvero la Signora delle Belve, ovvero la Grande Madre Natura che nutriva uomini e bestie, e presso i cui templi si esercitava la ierodulia, o prostituzione sacra. Il rito italico era molto sentito nei Castelli Romani e a Roma stessa, quando era ancora agli albori.

Le sacerdotesse della Dea Lupa venivano chiamate Lupe, nome che passerà poi alle prostitute profane di Roma. Nel passaggio dal matriarcato al patriarcato molte cose cambiarono, nei costumi, nelle religioni e nei miti. Fu proprio studiando la storia e la mitologia romana che Bachofen comprese la derivazione del patriarcato da un matriarcato precedente, in cui il potere femminile era più sacro e sacerdotale che civile.

Poichè i templi avevano locali annessi per la prostituzione, questi locali presero il nome di Lupanare, nome usato nell'antica Roma e a tutt'oggi per indicare il postribolo. Poichè la Dea aveva sovente il tempio nei trivii, incroci fra tre vie, in onore della sua triplicità, o trinità poi ripresa dalla religione cattolica, essa era chiamata Trivia, come Diana Trivia e Ecate Trivia, ma poichè vi si esercitava la ierolulia, ne derivò in epoca patriarcale l'aggettivo di "triviale" con un certo disprezzo.

La lupa in questione fu per alcuni una contadina e per altri, in memoria della sacra prostituzione, una prostituta, però profana: ACCA LARENTIA, una benefattrice che aveva regalato terre ai romani, e per questo era venerata, aveva una statua nel foro e a lei erano dedicate le feste Larentalia. Ma davvero si può credere alla storia di una prostituta venerata nei secoli?

Per un approfondimento: I  LUPANARE


I LUPERCALIA

Secondo Ovidio, al tempo di re Romolo vi sarebbe stato un prolungato periodo di sterilità nelle donne. Donne e uomini si recarono perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino, e qui supplicarono. Attraverso lo stormire delle fronde, la Dea rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone sgomentando le donne, ma un augure etrusco interpretò l'oracolo nel giusto senso sacrificando un capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.

Così la lupa, o Dea Lupa, quella italica per cui negli antichi Lupercali, nella zona dei Castelli Romani, le sacerdotesse, vestite di sola pelle di lupo, ululavano nei templi e praticavano la prostituzione sacra, venne dimenticata. Eppure le prostitute romane, quelle profane, perchè quelle sacre erano state abolite, ancora facevano il verso del lupo per attirare i passanti, e i postriboli si chiamavano, guarda caso, "lupanare", termine conservato a tutt'oggi. 

Inoltre la Grande Dea, che era trina, aveva i suoi lupanare nei trivii, cioè all'incrocio tra tre strade, da non confondere con i templi di Ecate, cioè il lato mortifero della Dea, che stava nei quadrivii, dove operavano le streghe.

Ma non dimentichiamoci di Giunone Caprotina, l'antica Dea conservata nei musei capitolini con la testa e la pelle di capra sul capo, anch'essa assimilazione di un'antica Dea Italica, la Dea Capra, fertile e lussuriosa, che sicuramente amava il sesso e l'accoppiamento e non la fustigazione delle donne.

Il rito dei lupercali passò quindi a una divinità maschile, non capro nè lupo, il Dio Luperco, ma guarda caso mezzo lupo e mezzo capro, un Dio che secondo alcuni difendeva le greggi dai lupi. Poco credibile perchè un lupo azzannerebbe il gregge e un caprone non era in grado di difendersi dai lupi, che operavano sempre in branco.

Guarda caso occorreva purificare le donne, da cosa? Forse dalla prostituzione sacra che veniva praticata per un periodo, dopodichè tornavano e si sposavano, senza l'odioso obbligo della verginità, già persa nel tempio.


La prostituzione nell'antica Roma era legale e pure gli uomini romani di più alto status sociale erano liberi d'impegnarsi in incontri con persone che esercitavano la prostituzione, sia femmine sia maschi, senza alcun pericolo d'incorrere nella disapprovazione morale. Tutto questo purché avessero dimostrato autocontrollo e moderazione nella ricerca del piacere sessuale perchè il più alto valore di un romano era la "Continenza".

Allo stesso però le prostitute cadevano nella vergogna sociale; la maggior parte di loro erano schiave o ex schiave (liberte) o, se di nascita libera come cittadini romani erano stati relegati alla condizione di infamia, prive di posizione sociale e della maggior parte delle protezioni concesse a chi possedeva la cittadinanza romana; status condiviso dai gladiatori e dagli attori di teatro.

Tuttavia alcuni storici, come Tito Livio e Tacito menzionano certe prostitute che erano riuscite ad acquisire una certa rispettabilità attraverso atti patriottici o la pratica dell' evergetismo, per cui un privato donava alla collettività alcuni beni, ristrutturava strade, edifici pubblici, e così via.

L'arte erotica a Pompei e Ercolano, proveniente soprattutto dagli scavi archeologici di Pompei, comprende anche la vita nel bordello e provando che erano sia le donne sia gli uomini a praticare la prostituzione, anche se la prostituzione femminile era più ampia. Una prostituta poteva in certi casi essere autonoma e affittare una camera per il lavoro.

Una "ragazza" (puella) poteva convivere con una Lena, o Lenona, e anche mettersi in affari sotto la gestione della mater che in genere era una Lena. Il ricorso alla prostituzione da parte di donne nate libere nasceva da disperato bisogno finanziario, ed erano in genere le più famose e ricercate.

Solitamente si presumeva che anche gli attori e i ballerini fossero disponibili per fornire prestazioni sessuali a pagamento, e le cortigiane i cui nomi sono sopravvissuti nel ricordo storico a volte erano del tutto indistinguibili dalle attrici e da altri tipi di artisti. Al tempo di Marco Tullio Cicerone la cortigiana Citeride era un'ospite assai gradita per le cene al più alto livello della società romana: affascinanti, con spiccate doti artistiche ed istruite.


L'ABBIGLIAMENTO

L'ABBIGLIAMENTO

Le prostitute erano le uniche donne romane che portavano la toga, concessa peraltro solo ai cittadini di sesso maschile. Era l'antica usanza che garantiva l'inviolabilità, dovuta un tempo alle antiche ierodule, sacre in quanto sacerdotesse. Le cortigiane in privato indossavano poi costosi abiti sgargianti di seta trasparente. Sembra che le prostitute di più bassa estrazione si mostrassero per lo più nude al cliente di turno. 

Lucio Anneo Seneca descrive la condizione di prostituta come quella di una schiava pronta per la vendita: "Nuda si trovava sulla riva, a piacere dell'acquirente; ogni parte del suo corpo è stato esaminato e soppesato. Vuoi ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha venduto; il protettore acquistato, che lui la possa utilizzare come una prostituta."

Giovenale descrive invece una prostituta eretta in piedi e nuda "con capezzoli dorati" all'ingresso della sua camera. Le pitture murali erotiche di Pompei ed Ercolano mostrano donne e presunte prostitute che stranamente indossano un reggiseno, mentre è in corso il rapporto sessuale.



PROSTITUZIONE FORZATA

La maggior parte delle prostitute erano schiave o liberte e sebbene lo stupro fosse un crimine, la legge puniva la violenza sessuale su una schiava solo se ciò avesse "danneggiato la merce", dal momento che uno schiavo non aveva la legittimazione ad agire come una persona. La pena serviva solo a compensare il proprietario per il "danno" subito dalla sua proprietà.

Sembra che le prostitute schiave ricavassero dei guadagni dal proprio lavoro; un po' come tutti gli schiavi che potevano trarre profitto dalla conduzione degli affari del loro proprietario. Del resto lo schiavo che guadagnava qualcosa dal proprio lavoro sicuramente lavorava di più e meglio. A volte il venditore di una schiava stabiliva una clausola nei documenti di proprietà per impedirle di venire prostituita per se veniva usata per meretricio ella diventava libera d'ufficio, cioè liberta.

Le prostitute dovevano registrarsi presso l'ufficio dell'edile dando il proprio vero nome, l'età, il luogo di nascita e lo pseudonimo di esercizio. Se la ragazza era giovane e rispettabile, il funzionario poteva tentare di farle cambiare idea; se non riusciva le rilasciava la licenza (licentia stupri), accertava il prezzo a cui vendeva i suoi favori, e faceva entrare il suo nome nella lista delle professioniste.
 


LA GESTIONE

I bordelli di proprietà e gestiti da un lenone o da una lenona (in genere una exprostituta) tenevano un segretario (villicus puellarum) che in genere fungeva pure da sorvegliante per le ragazze che dava loro un nome d'arte, ne fissava il prezzo, ne riscuoteva il denaro, la riforniva di abbigliamento ed altre necessità, faceva da cassiere, e ne adattava la tassa dovuta. Alcuni di questi segretari erano solo degli agenti che riscuotevano l'affitto delle camere messe a disposizione oltre ad agire come fornitori per gli affittuari.

Le decorazioni murali avevano uno scopo esplicativo. Sopra la porta di ogni cella si trovava un titulus con il nome della risiedente e il prezzo; un cartello con la parola "occupata" veniva girato durante i periodi di servizio.

Nella stanza c'era una lampada in bronzo o, più economica, in argilla e un lettino con una trapunta e talvolta un tendaggio. Le tasse registrate a Pompei andavano dai 2 ai 20 assi, moneta di rame o bronzo di valore relativamente basso.



MERETRICI PER STRADA

Avevano molti disagi ma evitavano le tasse. Gli Archi sotto il circo erano una delle loro mete preferite per l'incontro con i clienti. Questi rifugi venivano chiamati fornix, da cui deriva la parola "fornicazione". Chi cercava sesso a pagamento a basso poteva andare in cerca delle postribulae, le più povere tra le tante donne costrette a vendersi per denaro.

Tra loro, le ambulatae appartenevano a una delle categorie più infime, donne che esercitavano il mestiere per strada, aspettando i clienti nei pressi dei più costosi bordelli, vicino ai circhi e alle arene dei gladiatori.

Peggio di loro, nella considerazione sociale, c’erano solo le bustuariae, che esercitavano di notte all’interno dei cimiteri. Solitamente il primo approccio con i clienti avveniva durante un funerale, visto che la maggioranza di esse di giorno lavorava come prefica e piangeva per morti sconosciuti. Secondo il poeta romano Marziale erano i vedovi recenti ad essere attratti dalle "bustuariae", per quel loro modo lugubre e lamentoso di gemere durante l’amplesso.



LE FESTE

Nel mese di aprile, esattamente al primo del mese le donne onoravano la "Fortuna virilis"; era il giorno della Veneralia, una festa dedicata a Venere. Secondo Publio Ovidio Nasone in questo giorno le prostitute si univano alle donne sposate, ovvero le matronae, per la purificazione rituale e per porre nuove vesti alla statua di culto della "Fortuna virile".

Di solito la demarcazione tra donne rispettabili ed infames era accuratamente segnata: quando una sacerdotessa si metteva in viaggio, era accompagnata da servitori che spostavano di lato le prostitute, o gli animali per non inquinare il suo percorso.

Il 23 di aprile le prostitute mandavano offerte al Tempio di Venere Ericina (Campidoglio) come al secondo tempio a Roma dedicato alla Venere di Erice (Eryx) in Sicilia, Dea strettamente associata alle prostitute. La data coincideva con il Vinalia, festa del vino e con i "lenonii pueri" celebrati il giorno 25, lo stesso giorno della Robigalia, una festa agricola arcaica volta a tutelare i raccolti del grano.

Il 27 di aprile infine si svolgeva la Floralia, una sagra in onore della Dea Flora ed introdotto all'incirca nel 238 a.c,; caratterizzato da un ballo erotico e da uno spogliarello delle prostitute, Decimo Giunio Giovenale si riferisce anche alla danza dello spogliarello in completa nudità. Nudo che fu molto criticato dallo scrittore cristiano Lattanzio "oltre alla libertà di parola che sgorga come oscenità le prostitute, a seguito delle insistenze della plebe, cominciano a togliersi i vestiti agendo come mimi in piena vista della folla, e tutto ciò continua fino alla completa sazietà degli spettatori senza alcuna vergogna".


BIBLIO

- Antonio Varone - L'erotismo a Pompei - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2000 -
- Edwards Catharine - Unspeakable Professions: Public Performance and Prostitution in Ancient Rome - Princeton University Press - 1997 -
- Luciana Jacobelli - Le pitture erotiche delle Terme Suburbane di Pompei - Roma - L'Erma di Bretschneider -1995 -
- McGinn, Thomas A. - Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome - Oxford University Press - 1998 -
- McGinn, Thomas A. - The Economy of Prostitution in the Roman World: A Study of Social History and the Brothel - University of Michigan Press - 2004 -
- Thomas A.J. McGinn - Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome - Oxford University Press - 1998 -


LA MORTE PER I ROMANI


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"SII ALLEGRO E GODITI LA VITA" ammonisce uno spensierato scheletro affiancato da una forma di pane e una bottiglia di vino. Il mosaico è stato reperito in Turchia, è scritto in greco ed è del III secolo a,c., ma sembra appartenga a una villa romana.

Per i Romani, nell’età più antica, la rappresentazione della morte si identificava con Mors, ovvero Orcus. Essi pensavano che quando la vita si spegneva, l’anima usciva liberandosi e discendeva nel regno di Ade; alle anime veniva poi consentito di tornare sul mondo dei viventi in precise occasioni, per aiutarle con qualche avvertimento o per avversarle se avevano ricevuto torti.
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Pertanto, come dichiara lo scheletro dall'alto della sua saggezza da defunto, la vita per alcuni poteva essere più godibile da vivo che da morto, ma per i romani l'anima piangeva alla nascita quando doveva incarnarsi e rideva alla morte del corpo perchè sapeva di tornare a un mondo più felice, e avvertiva pure: "Hodie mihi, cras tibi", (Oggi a me, domani a te)

Secondo i romani più antichi le anime, liberate dal corpo, si tramutavano in essenze divine, i Manes (Mani), o Dei Mani, che con la loro presenza rendevano sacro il luogo dove il defunto era sepolto. Nella comunità familiare i Manes rappresentavano la comunità dei defunti ed il loro rapporto con i vivi era regolato da comportamenti rituali. 


Si riteneva che l’anima del defunto non potesse godere del riposo al quale aveva diritto fino a che il cadavere non fosse stato sepolto, e celebrate le esequie. Pertanto i legionari ci tenevano a seppellire i compagni caduti e credevano che dall'oltretomba li proteggessero. 

In tutte le antiche religioni si pensava che i morti proteggessero i vivi a loro cari, sia che fossero discendenti diretti o indiretti, poi il cristianesimo ha cancellato tutto e siamo noi vivi a dover proteggere i defunti dalle pene, con le preghiere o pagando le messe.

Per i Romani la morte aveva un forte impatto civile: c'era il testamento con le sue clausole e, se il defunto era famoso, il suo funerale doveva avere un impatto pubblico. I riti funebri romani avevano una complessa organizzazione e i cittadini, per assicurarsi una sepoltura adatta al loro rango, si iscrivevano ai collegia funeraria o funeratica o funeraticia, ma non mancavano poi i libitinarii (impresari di pompe funebri). 


COLLEGIA FUNERATICA

Fin dal periodo repubblicano esistevano collegi di artigiani che condividevano il sepolcro come ad esempio:
- collegium anularium, CIL, I, 1107; CIL, VI, 9144;
- collegium restionum, CIL, VI, 9856;
- collegium tibicinum, CIL, VI, 3877).
collegium Salutare - sia religioso che funerario “Bull. arch. com.”, 1885, p. 51, tav. 6;
- collegium Sanctissimum, CIL, VI, 404;
- collegium Victoriae Augustae, CIL, III 1365, ecc.).
- collegia tenuiorum (Marciano, Dig., XLVII, 22),

Trattavasi grosso modo di una «cassa mutua di previdenza» (arca communis) per le spese di culto e della sepoltura dei membri (sodales), tramite un contributo fisso mensile. Il collegio, alla morte di uno dei suoi membri, avrebbe sostenuto gli eredi per le spese del funerale e della sepoltura, talvolta anche per le spese di viaggio. 

Come tutti i collegi autorizzati, anche potevano disporre di un locale o di un luogo di riunione (schola, templum) e di un luogo di sepoltura o di un monumento sepolcrale comune per tutti i loro membri, talora anche per le donne ed i bambini della loro famiglia (CIL, VI, 9484, 9569; IX, 584, ecc.). Dei collegi facevano parte anche schiavi, se autorizzati dai padroni (Dig., VI, 6).

IMMAGINE EPICUREA DELLA MORTE

LA VITA OLTRE LA MORTE

Nella civiltà romana antica i riti funebri erano strettamente collegati con le credenze dell’oltretomba, e la sepoltura dei defunti è la condizione essenziale per la pace del loro spirito. Alcuni collegi esercitavano un culto a determinate divinità come: collegium Aesculapii, collegium Iovis e collegiium Cerneni. I soci defunti vengono onorati in determinate solennità annuali mediante l’ornamento delle tombe ed i banchetti commemorativi, detti convivii o simposii.

La massima diffusione di questi collegia funeraticia avviene, in Italia e nelle province latine dell’Impero, nel II secolo d.c. In Africa se ne conoscono pochi esempi, in Oriente e nelle province greche sono sconosciuti. Durante l’età imperiale, vi sono collegi di legionari che provvedevano anche alle spese di viaggio, e così via. I collegia funeraria spariscono con il cristianesimo, giacché la Chiesa stessa provvede direttamente alla sepoltura dei poveri. Al tempo di Giustiniano i collegia funeraticia erano già spariti.



IL RITO FUNEBRE

Dopo la morte, i suoi familiari lo chiamavano più volte gridando ad alta voce il suo nome (conclamatio), veniva poi profumato e vestito a nuovo e profumato dai pollinctores. Posto sul letto funebre, il defunto veniva esposto nell'atrio della casa. In bocca gli veniva messa una moneta, per pagare il il viaggio per gli Inferi al traghettatore Caronte. Dopo otto giorni iniziavano le exsequiae, proclamate da un banditore.

Al momento del decesso era il pater familias (o il suo successore), ad organizzare il trasporto funebre delle funzioni sacrali necessarie; se era uomo della plebe, alla sepoltura seguiva un convito come offerta simbolica del defunto, e i funerali dei bambini e dei poveri si celebravano di notte, se invece era un gentilizio, si passava dall’esposizione in casa per più giorni del defunto, alla processione e alla commemorazione nel foro e infine la deposizione nella tomba.

Tra il I sec. a.c. e il I d.c., la diffusione del pensiero stoico ed epicureo aveva minato la convinzione della sopravvivenza dell'anima, che sarebbe stata riassorbita da un'energia universale e privata di ogni individualità. Lo stoico e l'epicureo affrontavano serenamente questa realtà.



I FUNERALI DEI FAMOSI

I funerali dei personaggi più prestigiosi a livello sociale o appartenenti a una famiglia prestigiosa, avvenivano sempre di giorno e con molto sfarzo. 

A1 corteo funebre prendevano parte, oltre ai parenti e ai congiunti del defunto, anche altri personaggi: suonatori, portatori di fiaccole, lamentatrici pagate appositamente (le piagnone, dato che per le matrone non era fine abbandonarsi a gemiti, pianti e lamenti), in più avevano mimi e attori che recitavano scene di vita del defunto. I parenti indossavano delle maschere rappresentanti i volti degli illustri antenati della famiglia.

Giunti al Foro, un parente maschio prendeva la parola e pronunciava un discorso di commemorazione, importante perché sottolineava il legame tra famiglia e città. Ottaviano a 12 anni fece la commemorazione funebre di sua nonna Giulia stupendo alquanto i suoi uditori. 

Poi seguiva la cremazione, a Roma e nel Lazio tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro era assai frequente, praticata soprattutto nell'età arcaica e repubblicana; in età imperiale lasciò progressivamente posto alla tumulazione.  In entrambi i casi le ceneri o il corpo venivano posti in una tomba che recava un'iscrizione, al di fuori della Cinta muraria.      
                                                                                                                                                                    Nel Lazio nei primi decenni del VI secolo a.c. termina l’uso di deporre il corredo funerario nelle tombe (che permetteva di distinguere il sesso del defunto e la classe sociale di appartenenza. Verso la metà circa del IX secolo si diffonde il rito inumatorio che coesiste con quello inceneritorio per poi soppiantarlo in poche decine d’anni.

LARVA CONVIVIALIS
                                                                                                                                       
LEMURI

Per scongiurare l’arrivo dei Lemuri ogni 9, 11 e 13 maggio i romani celebravano i Lemuria: verso mezzanotte, a piedi nudi, il capo famiglia si lavava tre volte le mani e metteva in bocca una fava nera, per nove volte, sputandola poi dietro di sé in direzione dell’uscio ma senza guardarlo.

Doveva poi recitare la frase “con queste fave io riscatto me e i miei” con la credenza che i Lemuri le raccogliessero. Dopo un’altra lustrazione delle mani diceva “Manes exìte paterni!” (Ombre dei miei antenati, andatevene!). I Lemuri erano così placati per un anno. 

I manes erano in realtà spiriti protettori, ma alcuni erano ritenuti poco benevoli, per il loro carattere o per il rapporto che avevano avuto da vivi coi vivi. Ma col rituale del pater familias nulla poteva accadere. 


LARVA CONVIVIALIS

La larva convivialis era il piccolo scheletro che i Romani mostravano durante i banchetti, come monito a cogliere i piaceri della vita:

“Mentre noi stavamo bevendo e ammirando con grandissima attenzione quel lusso, un servo portò uno scheletro d'argento costruito così che le articolazioni e le vertebre snodate si potessero piegare in ogni parte. Avendolo gettato una prima volta e una seconda sulla tavola, e assumendo quel congegno mobile pose diverse, Trimalchione aggiunse: Ahi! Come siamo miseri, che nullità è l'ometto! Così saremo tutti, dopo che l'Orco ci porterà via. Quindi viviamo finché è possibile stare bene."
(Petronio, Satyricon)

Anche nei banchetti degli Egizi “Quando si è finito di mangiare, un uomo porta in giro una statua di legno in una bara, scolpita e dipinta in modo da imitare alla perfezione un cadavere, lunga in tutto uno o due cubiti; e mostrandola a ciascuno dei convitati dice: Guardalo e bevi e divertiti: da morto sarai così.”
(Erodoto, Storie)

La larva convivialis era uno scheletro in miniatura snodabile che aveva la funzione, durante il banchetto romano, di ricordare la brevità della vita e di esortare quindi i convitati a non dolersi dei contrattempi della vita e a godere dei suoi piaceri. Contemporaneamente il padrone di casa da un lato stupiva i suoi ospiti con pietanze strabilianti ed esotiche, dall'altro li colpiva con l’immancabile memento mori (“ricordati che devi morire”).
Non solo faceva giocare gli ospiti con gli innumerevoli scheletrini riprodotti in bronzo o argento, oppure faceva portare scheletri veri più impressionanti ma c'era pure un fattore di moda. Infatti andava molto la filosofia epicurea che nel I sec. d.c. aveva preso piede nelle classi alte della società romana. 
Pertanto parlare di morte era accettare coraggiosamente la visione della morte come un bravo epicureo, ed essere epicureo era sinonimo di saggezza, perchè l'accettazione della morte era alla base della saggezza dell'uomo.
LUCERNA COC SCHELETRI A COLLOQUIO

Una chiara testimonianza di come doveva avvenire la presentazione della larva, sotto forma di marionetta, durante il banchetto si ha nel Satyricon di Petronio quando il padrone di casa, Trimalcione, fa gettare su tavolo dei suoi ospiti questi scheletrini e accompagna l’esibizione con motti sulla brevità della vita:

"Larvam argenteam sic aptatam, ut articuli eius vertebraeque laxatae in omnem partem flecterentur"
(trad.: “uno scheletro d’argento costruito in modo tale che lo snodo delle vertebre e delle giunture permetteva qualunque tipo di movimento.”
 (XXXIV, 8).

Qui sopra uno scheletro in miniatura in bronzo o "Larva Convivalis", un "memento mori" consegnato agli ospiti durante le feste, articolato ma con la parte inferiore della gamba destra mancante e il braccio sinistro sostituito dalla parte inferiore della gamba destra.
Memento mori si traduce dal latino come "Ricordati che devi morire". Si tratta di un tipo speciale di memento mori, chiamato larva convivialis, dato agli invitati a un banchetto o a una festa. Anche quando i Romani si divertivano, si ricordavano della loro mortalità.

Lo scheletro di bronzo è alto poco più di 110 mm. Per uno strano motivo, la gamba destra dello scheletro articolato è stata sostituita dal braccio sinistro, in un modo che ha del tragicomico. Si tratta di un esemplare estremamente raro dove i resti del defunto devono far ridere anzichè commuovere o far riflettere.

BIBLIO

- R. Del Ponte - La religione dei romani - Rusconi - Milano - 1992 -
- Lo spettacolo della morte - Breve storia del funerale - L'ornitorinco Edizioni - Milano - 2010 -
- Michel Ragon - L'espace de la mort: essai sur l'architecture, la décoration et l'urbanisme funéraire - Albin Michel - 1981 -
- J. Bodel - Death on display: looking at Roman funerals - in The art of ancient spectacle - eds. B. Bergmann, C. Kondoleon - Washington - 1999 -


IL TRASCORRERE DEL TEMPO PER I ROMANI


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ERIS (fig. 1)


LA DEA CHE CORRE IN GINOCCHIO

Eris era la Dea della discordia, colei che consegnò a Paride il fatidico pomo della discordia tra Dee. I pomi hanno spesso combinato guai, da quello che Eva ebbe l'ardire di porgere ad Adamo a quello del giardino delle Esperidi guardato da un drago.

Ma dove corre Eris nella fig, (1) qua sopra? Ha un ginocchio a terra e uno sollevato con n braccio sollevato e uno abbassato, quasi a formare l'immagine di una svastica. l'immagine non era tranquillizzante perchè la Dea corre incessantemente, non ha sosta, proprio come il tempo, che è poi quel che rappresenta.

Ma perchè il tempo porta discordia? Perchè porta ansia e terrore, perchè il tempo è inesorabile e l'essere umano è "a tempo determinato", cioè conduce alla morte, pertanto è negativo. Però la Dea è sorridente, è ben vestita e ingioiellata, con collana e due braccialetti, tutti e due a forma di serpente che, si sa, è il simbolo della Madre Terra che in altre parole è la Natura con i suoi cicli.

VENTO BOREA fig. (2)

IL DIO CHE CORRE IN GINOCCHIO

Qui sopra però c'è il vento Borea che a sua volta corre in ginocchio con le ali spiegate. E' anche lui un Dio, ma che c'entra con il tempo? C'entra perchè il tempo corre come il vento e Borea è il freddo Vento del Nord. Il Dio, figlio del titano Astreo e di Eos, quindi anch'esso Titano, viene anche raffigurato come un uomo barbuto ed alato, con due volti e la chioma fluente.

La Chioma fluente è simbolo di istinto libero (infatti alle donne veniva imposto di legare i capelli, tante volte fossero troppo libere, mentre dovevano essere di costumi "castigati" (da notare la vicinanza tra i termini casto e castigato). I Greci credevano che la sua casa fosse in Tracia ed Erodoto e Plinio descrivono entrambi una terra settentrionale nota come Hyperborea ("Oltre il Vento del Nord"), dove le persone vivevano in completa felicità e avevano una vita straordinariamente lunga

I due volti simboleggiano passato e futuro, come Antevorta e Postvorta, ma nella trasformazione sempre più patriarcale dei costumi e dei miti le Dee diventano Dei. Nella mitologia romana Borea corrisponde ad Aquilone.

NIKE CHE CORRE IN GINOCCHIO - FIG. (4)

LA NIKE CHE CORRE IN GINOCCHIO

Nel sec. VI a.c., in Grecia Nike è un'antica Titanessa o Titanide, appartenente a quella razza detronizzata da Giove e che venne ricacciata negli abissi, ma Nike non venne cacciata e continuò ad essere raffigurata nel classico schema arcaico detto della “corsa in ginocchio”, con torso di prospetto e ali falcate, come nella celebre Nike di Delo attribuita ad Árchermos di Chio.

Secondo Omero (per alcuni intorno al 1200 a.c., per Erodoto intorno all'850 a.c.) i Titani furono tre: Giapeto, Rea e Crono; Esiodo (fra l’VIII e il VII secolo a.c.) invece, riferisce nella Teogonia che furono dodici: sei maschi (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono) e sei femmine (Tea, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti). Dal più giovane dei Titani, Crono, derivò la generazione degli Olimpi. 

NIKE DI DELO FIG. (3)
In Esiodo i Titani, tutti giganti e di forza prodigiosa, sono protagonisti della cosiddetta Titanomachia, che narra la lotta di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo contro i Titani per la conquista del trono celeste. 

La lotta si conclude con la sconfitta dei Titani, fatti precipitare nel Tartaro. Fine dei Titani e fine della corsa in ginocchio.

Dunque i Titani erano contrari al nuovo dominio di Zeus per cui ne nacque una guerra che durò dieci anni, detta Titanomachia. 

Zeus si alleò con i Ciclopi e i Giganti dalle cento mani contro i Titani, figli di Urano e Gea, guidati da Atlante.

Alla fine, Zeus colpì Crono con la folgore e i Titani ribelli furono sconfitti. 

Zeus li punì duramente: Atlante venne condannato a reggere sulle spalle la volta del cielo; gli altri vennero gettati nel Tartaro (luogo di pena e di supplizio dell’Ade) ma le mogli dei Titani furono risparmiate per volontà di Rea.

Infatti con l'avvento degli Dei Olimpici alcuni Titani persistono, come Nike che però non corre più in ginocchio ma decreta le vittorie degli eroi tanto che a Roma assume il nome di Victoria che sancisce, oltre alle vittorie romane in guerra, le apoteosi della divinizzazione degli imperatori, a cominciare da quella di giulio Cesare che però imperatore non fu.

ERINNI CHE CORRE IN GINOCCHIO - FIG, (5)

L'ERINNI CHE CORRE IN GINOCCHIO

Le Erinni furono personificazioni femminili della vendetta, chiamate poi Furie nella mitologia romana, che perseguitavano i rei, soprattutto chi colpisse la propria famiglia e i parenti. Anche qui sorge l'immagine di una Erinni che corre in ginocchio. 

Come la Dea Discordia era una creatura inquietante, perchè rimandava ai cicli della natura nel suo avvicendarsi di vita e di morte. Così l'Erinni diviene nefasta perchè corre senza sosta avvicinando ogni giorno la data della nostra morte. 

La Dea diviene così una persecutrice rispetto a tutti coloro che della morte non ne vogliono sapere. Negli antichi questa idea dava il coraggio in battaglia, tanto non era così grave morire prima o morire dopo, l'importante erano la patria e la gloria.

GORGONE DI SIRACUSA - FIG. (6)

LA GORGONE CHE CORRE IN GINOCCHIO

Ma ancora più rappresentata con la sua corsa in ginocchio è la Gorgone, di origine orientale, che fiorì nell'arte greca e soprattutto corinzia, tra il sec. VII e il VI a.c., nel tipo del mostro con occhi enormi, bocca ricurva e aperta da cui pende la lingua e spuntano le zanne, capelli a ciocche serpentiformi, grandi ali sulle spalle e ai piedi.

La Gorgone fa veramente paura perchè coi secoli la paura della morte aumenta, tanto è vero che alla fine viene vinta dall'eroe immortale, sfidando tutte le leggi naturali. Infatti la Gorgone finisce per essere uccisa da Perseo che, aiutato da Athena, la quale gli svela che non può guardarla negli occhi altrimenti pietrifica, la combatte guardandola attraverso uno specchio.

Naturalmente ciò che pietrifica è la paura della morte, perchè la sua idea, ovvero il suo concetto, fa perdere ogni energia, terrorizza, così Perseo la uccide tagliandole la testa, ovvero la toglie dalla sua testa.

Perseo, come tutti gli uomini, non ci pensa più e continua a vivere come fosse immortale, dannandosi a conquistare beni, ricchezze e onori come se non dovesse abbandonare tutto con la morte.

GORGONE CHE CORRE IN GINOCCHIO

La Gorgone (greco Gorgo, tardo Gorgónē; latino Gorgo-ŏnis) è solo una delle tre sorelle (Steno, Euriale e Medusa) figlie di Forco e Ceto.

Esse avevano ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli; pietrificavano chiunque le fissasse. Di esse solo Medusa (la Gorgone per eccellenza), era mortale e venne uccisa da Perseo.

Infatti in età greca arcaica la Gorgone è raffigurata nell'atto di essere decapitata da Perseo (metopa del tempio C di Selinunte), oppure in fuga nel tipico schema della corsa in ginocchio (frontone del tempio di Artemide a Corfù; lastra fittile policroma dell'Athenaion di Siracusa).

La sola testa della Gorgone, o gorgoneion, con valore di maschera apotropaica ricorre poi come motivo decorativo su frontoni, metope, antefisse di templi, nei vasi a rilievo, nella ceramica dipinta, nella scultura, nei bronzi (cratere di Vix), nelle armature e negli scudi.


Secondo una tarda leggenda evemeristica (secondo cui gli Dei altri non sarebbero che umani famosi divinizzati), le Gorgoni sarebbero state un popolo occidentale di donne guerriere. Il nome delle mitiche sorelle è entrato nel linguaggio comune a indicare una donna di aspetto orribile, sciatta e scarmigliata.

L'aspetto terrificante della Gorgone è particolarmente accentuato nell'arte etrusco-italica (antefisse di Veio). Di lei è rimasto un ricordo ma soprattutto difensivo e ornamentale, come colei che difende la soglia, il cosiddetto "guardiano della soglia" tanto caro poi alle chiese del medioevo.

Nel sec. V a.c., nella classica atmosfera dell'arte fidiaca anche la Gorgone tende a umanizzarsi, come nella Medusa Rondanini (Monaco, Antikensammlungen), dal volto composto e sereno, con piccole ali tra i capelli.

ANUBIS CHE CORRONO IN GINOCCHIO

GLI ANUBIS CHE CORRONO IN GINOCCHIO

I due tipi (arcaico e classico) convivono nell'arte ellenistica e romana, dove la testa della Gorgone diventa solo decorativa. Tipiche le maschere di Medusa in bronzo delle navi di Nemi e quelle del Foro Severiano di Leptis Magna, dal violento chiaroscuro barocco.

Ma la divinità che corre in ginocchio, ovvero il "Tempus fugit" non fu ovviamente appannaggio solo del suolo italico e greco perchè anche l'Egitto ebbe il suo monito a chi volesse intendere, in questo caso come il Triplice Anubis, lo sciacallo umanizzato dal nero volto come lato oscuro della Dea Iside.

In oriente il simbolo, antichissimo divenne semplicemente una svastica, discusso simbolo al tempo della II Guerra Mondiale ma in realtà antichissimo simbolo del divenire, uno dei simboli più antichi nella storia dell'umanità, che ornò anche il petto del Budda

E ora passiamo al suolo italico, particolarmente illuminante una moneta di Crotone, in Calabria, nella quale c'è il gruppo, di Pitagora di Reggio, dell'Apollo combattente, che, il ginocchio piegato a terra, uccide il serpente Pitone. Come Perseo uccide la Gorgone, Apollo uccide il serpente Pitone, simbolo della Madre Terra e pertanto della Natura. L'Eroe sconfigge la morte, o almeno così si illude.

GORGONE-MEDUSA NEL TEMPIO DI CORFU'

Il tempio di Artemide di Corfù che risale al 590 a.c. ha un'importante decorazione sul frontone, dove spicca una grande immagine di Gorgone. Si tratta della Gorgone Medusa, raffigurata in gloria tra i suoi due figli, Chrysaor (di cui si conserva il busto alla sua sinistra) e Pegaso (perduto, alla sua destra).

Secondo il mito quando Perseo, per volere di Polidette, re delle Cicladi, uccise Medusa decapitandola, dal corpo di questa nacquero due creature prodigiose: Chrysaor ('l'uomo dalla spada d'oro') e Pegaso, un meraviglioso cavallo alato. Perseo salì in groppa al destriero, mise la testa della Gorgone, per sottrarla al suo sguardo, nella bisacca magica, e fuggì. 

Ai lati dei figli di Medusa vi sono due pantere accosciate, e nell' angolo a destra c'è Zeus che solleva il braccio destro con un fascio di fulmini (rappresentati con un doppio fascio di fiori di loto) che scaglia contro un Titano vinto; a sinistra è invece un uomo seduto (forse Priamo) che viene trafitto con una spada. 

La Gorgone-Medusa troneggia al centro nella posa della corsa con ginocchio a terra. Ella è l'inesorabilità del divenire che si riedita continuamente attraverso le morti e le nascite delle creature.


EOS RAPISCE KEPHALOS - MUSEO DI GELA

Ed ecco l'arula fittile di Eos che rapisce Kephalos. L'aruola è un'arapure Eos (l'Aurora), alata e a volte fornita di nimbo, ma non in questo caso, che procede in corsa o in volo recando tra le braccia Kephalos dopo averlo rapito. Si tratterebbe della prima versione del mito, che vuole Eos invaghita del giovane eroe cacciatore, Kephalos, figlio di Hermes e di Herse, che diverrà così il suo sposo. 

In Etruria alla Dea greca dell'Aurora corrisponde sostanzialmente la divinitä astrale Thesan, che precede o accompagna il Sole, (Usit) nel corso della levata. A epoca arcaica risalgono molti documenti epigrafici e iconografici che ne attestano il culto, sebbene indizi precoci si collochino già nel VII sec. a.c.

Ma il fatto è che qua sopra la Dea tra le braccia non tiene un cacciatore ma un bimbo, e che a meno di essere pedofila non può essere il suo amante. Infatti la Dea tiene fra le braccia un bambino, e lei corre con il classico ginocchio a terra, in quanto ancora una volta LEI RAPPRESENTA LA DEA DEL DIVENIRE.

Siamo di nuovo alla presenza della SVASTICA, ed è molto evidente, provate voi a correre con un ginocchio che sfiora la terra, è praticamente impossibile, non ci riuscirebbe nessuno. Ancora una volta la Dea è la Natura, ovvero l'ETERNO DIVENIRE, che nasce, cresce, muore e resuscita, nell'eterna reincarnazione di se stessa.



SATURNO

IL DIO SATURNO

« Sed fugit interea fugit irreparabile tempus » cioè 
« Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo »
(Georgiche, III, 284, traduzione di Clemente Bondi)

Il Dio del tempo romano era Saturno, raffigurato come un anziano barbuto, vestito con un mantello e con in mano una falce. 

Si riteneva che, scacciato dall'Olimpo, per un periodo avesse regnato nel Lazio, nella lontana età dell'oro, in un'epoca pacifica e di progresso. 

Un giorno sarebbe improvvisamente scomparso, causando la decadenza progressiva dell'umanità.

Egli era inoltre rappresentato con i compedes, le fasce di lana ai piedi caratteristiche degli schiavi. Infatti nei Saturnalia, celebrati dal 17 di Dicembre, c'era totale libertà per gli schiavi che potevano banchettare con i padroni, da cui venivano anche serviti.

Dunque Saturno era una divinità, e quindi una festività, che promuove la trasgressione dell'ordine vigente per rigenerare forse, come alcuni studiosi ipotizzano, un ordine migliore del precedente, o almeno per permettere un progresso nei costumi.

Sia il Saturno che le sue feste, i Saturnalia, collegate alle Kronia di Atene, rievocano l'Era Aurea (aurea aetas), o Età dell'oro, priva di conflitti e di differenze sociali, quando regnava la prosperità e l'abbondanza e queste non erano frutto della fatica e della sofferenza. Durante tali festività i tribunali venivano chiusi e si evitava di provocare una guerra.

« La maggior parte della Grecia, e soprattutto Atene, a Saturno
celebra feste, che da loro sono denominate Cronie,
e festeggiano quel giorno: per campi e per città quasi tutti
banchettano in letizia e servono ciascuno
i propri schiavi e tale costume passò di là ai nostri parimenti,
sicché gli schiavi mangiano a tavola con i propri padroni
. »
(Lucio Accio, citato da Macrobio - Saturnali -)  

Ma Saturno non è solo il Dio dell'abbondanza, ma è il Dio che ha insegnato agli uomini la tecnica dell'agricoltura e con essa la civiltà, e da qui deriverebbe l'accensione dei ceri durante i suoi riti, celebrati in occasione anche dell'apertura dei granai e della conseguente distribuzione del farro alla cittadinanza.

« Abitavano questi luoghi Fauni indigeni e Ninfe;
forti creature nate da tronchi di duro rovere;
non avevano civiltà di costumi, né sapevano aggiogare
tori, o raccogliere provviste, o serbare il raccolto,
ma gli alberi e la dura caccia li sostentavano di nutrimento.
Primo venne Saturno dall'etereo Olimpo,
fuggendo le armi di Giove ed esule del regno usurpato.
Raccolse la stirpe indocile e dispersa per gli alti monti,
e diede leggi e volle che si chiamassero Lazio
le terre nella cui custodia era vissuto nascosto. 
Sotto quel re vi fu il secolo d'oro, che narrano; 
così reggeva i popoli in placida pace;
finché poco a poco seguì un'età peggiore, che mutava
in peggio il colore, e la furia della guerra e del desiderio di possesso

(Virgilio - Eneide -VIII - traduzione di Luca Canali)

Saturno fu anche il fondatore di una comunità situata sul Mons Saturnus prima che questi venisse indicato come Capitolium, dopo essere giunto esule, via mare, scacciato dal suo regno, vivendo nascosto in quella regione che per questo motivo volle chiamare Latium (Lazio). Così anche Roma come anche l'Italia, fu indicata con il nome di Saturnia. Quindi come Giano ha la sua sede sovrana sul Mons Ianiculus, Saturno possiede il Mons Saturnus (Campidoglio).

Come alcune altre personalità divine ed eroiche delle storie romane, anche Saturno scompare come del resto scompare Romolo:
« Nel frattempo Saturno scomparve improvvisamente, e Giano pensò di attribuirgli maggior onore: anzitutto chiamò Saturnia tutta la regione sottoposta al suo potere, poi, come ad un dio, gli consacrò un altare con riti sacri che chiamò Saturnali. Di tante generazioni i Saturnali precedono l'èra di Roma! E volle innalzarlo alla dignità del culto in quanto artefice di una vita migliore: ne fa fede la sua effigie, a cui diede come attributo la falce, simbolo della messe. »
(Macrobio, Saturnalia, I, 7, 24)

Narra la leggenda che la tomba di Saturno sia nascosta nel Lazio, o Latium, da latere (nascondere). Chi riesce a trovare questa tomba può aprirla e ritrovare, insieme al tempo, il seme d'oro della vita. Come a dire che scoprire e accettare la morte faccia scoprire il significato prezioso della vita e magari il mistero della sua riproduzione continua.


BIBLIO

- Plutarco - Quaestiones Romanae -
- Macrobio - Saturnalia -
- Dionigi di Alicarnasso - Le antichità romane -
- Virgilio - Eneide -
- Ovidio - Fasti -
- Livio - Storie -
- Dario Sabbatucci - La religione di Roma antica - Milano - Seam - 1988 -


BARZELLETTE E MOTTI ROMANI


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LO SPIRITO UMORISTICO DEI ROMANI

Si dice che gli antichi romani avessero un forte senso dello humor, che amassero battute e barzellette, il che era vero, ma che fossero sempre raffinate non è vero, perchè spesso nel teatro le battute erano dirette al popolino, gli uomini colti preferivano invitare a cena scrittori e poeti o attori di valore, perchè spesso in teatro le battute erano scontate o volgari.

Si dice anche che gli stessi imperatori accettassero proprio per il loro spirito ilare di esser presi in giro da gente di classi sociali umili ma mal volentieri dai nobili. In realtà ci furono imperatori di spirito ed altri meno, tanto è vero che più volte ripristinarono il reato di lesa maestà "maiestatis".

La Lex Iulia maiestatis venne emanata nell'8 a.c. per volere dell'imperatore Augusto, il quale riordinò l'intera materia circa il crimine di lesa maestà, cioè di qualunque offesa o minaccia arrecata alla figura dell'imperatore e quindi alla sua auctoritas.

Ben diverso fu lo spirito di Giulio Cesare che accettava le frecciate e rispondeva scambiando arguzie e frecciatine a sua volta spesso più argute e salaci di quelle a lui dirette, senza comunque aversene a male. 
C'era in questo una precisa ragione, un imperatore poteva fare rappresaglie sui patrizi ma sui plebei che costituivano circa un milione di persone a Roma la faccenda diventava pericolosa. Diversi imperatori se la presero col senato ma si tennero sempre buono il popolo, regalando cibo e spettacoli.

SPETTACOLI COMICI ROMANI

SUGLI ABDERITI

Abdera era una città della Tracia, i cui abitanti hanno sopportato il peso degli scherzi muto-etnici almeno dai tempi di Cicerone nel primo secolo a.c..

- Un Abderita vide un eunuco e gli chiese quanti figli avesse. Quando quello rispose che non aveva le palle, per poter avere figli, l'Abderita chiese quando avrebbe avuto le palle.

- Un abitante di Abdera, dato che era venuto a sapere che cipolle e fagioli gonfiano, durante una navigazione in cui c’era una gran bonaccia ne riempì un sacco e lo appese alla poppa. Un timoniere spiritoso, quando gli chiesero che aria tirava, rispose: “Aria di fave e cipolle….”. 

- Un abderita vide un eunuco parlare con una donna e gli chiese se fosse sua moglie. Quando lui rispose che gli eunuchi non possono avere mogli, l'abderita chiese: "Allora è tua figlia?"

- Un abderita divideva il materasso con un uomo che soffriva di ernia. Durante la notte, egli si alzò per liberarsi. Quando tornò, accidentalmente (dato che era ancora buio) calpestò proprio il punto dell'ernia. Quando l'uomo emise un urlo, l'Abderita chiese: "Perché non eri sdraiato a testa in su?".

- Un abderita seguì l'usanza e cremò suo padre morto. Corse a casa e disse alla madre malata: "Ci sono ancora alcuni ceppi di fuoco. Se vuoi smettere di soffrire, fatti cremare su di essi".


SULL'ARGUZIA

- A un barbiere chiacchierone che gli chiedeva “Come te li taglio?” un arguto misantropo rispose “Stando zitto”.

- Ad un insegnante incompetente fu chiesto chi fosse la madre di Priamo. Non conoscendo la risposta, disse: "È educato chiamarla signora". (Non c'è da stupirsi che fosse in difficoltà: c'erano sei nomi diversi correnti per la madre del re di Troia.)

- Quando il console Galba, che era gobbo, invitò Augusto a correggerlo nel caso in cui avesse commesso degli errori, l'imperatore rispose che avrebbe anche potuto correggerlo, ma non certo raddrizzarlo.

- Un giovane uomo disse alla sua moglie assetata di libido: "Cosa dovremmo fare, tesoro? Mangiare o fare sesso?" E lei rispose: "Puoi scegliere. Ma non c'è una briciola in casa".

- Un mendicante di professione aveva lasciato credere alla sua ragazza che fosse ricco e di nobile nascita. Una volta, mentre stava ricevendo un'elemosina a casa del vicino, la vide improvvisamente. Si voltò e disse: "Fate mandare qui i miei vestiti per la cena".

- Un medico scorbutico e guercio chiese ad un malato: “Come stai?” E lui rispose “Come mi vedi”. Allora il medico dice “Se stai come ti vedo, sei mezzo morto”. 

- Un tale con l’alito cattivo incontra un medico e gli dice: “Dottore guardi: mi è scesa l’ugola”. Non appena apre la bocca, il medico si volta dall’altra parte ed esclama: “Non ti è scesa l’ugola, ma ti è salito il culo”. 

- Cicerone durante la Guerra Civile, giungendo  nell'accampamento di Pompeo dopo molte esitazioni, disse "Non sono in ritardo, vedo che non c'è nulla di pronto per cena".

- Quando Tiberio era ancora un soldato i suoi commilitoni lo prendevano in giro storpiando il suo nome da Tiberius Claudius Nero a "Biberius Caldius Mero", (bevitore del vino caldo e puro).

- C'era un uomo, un gran chiacchierone, ma in realtà impoverito. Per caso si ammalò, e la sua ragazza, entrando in casa sua senza preavviso, lo trovò disteso su un'umile stuoia di canne. Girandosi, sostenne che i responsabili erano i medici: "I migliori e più famosi medici della città mi hanno ordinato di dormire su una stuoia come questa".

- Un buontempone ruba un maiale e si dà alla fuga. Quando viene raggiunto, lo posa e lo picchia dicendo: “Grufola sulle terre altrui, non sulle mie!

- "Ermete, caro Ermete, figlio di Maia, Cilleno, ascolta la mia preghiera, perché sono dannatamente congelato, i miei denti battono. . . Concedi a Hipponax un mantello e una bella tunica e dei bei sandali e dei bei stivali di pelliccia, e sessanta sovrane d'oro per bilanciarmi..."

- Il filosofo Crates, quando ebbe visto un giovane che camminava da solo, gli chiese cosa stesse facendo da solo in quel luogo. "Parlavo da solo". Al che Crates disse: "Attento, stai molto attento: sei in cattiva compagnia".


SUI BURLONI

- Quando un burlone che faceva il negoziante trovò un poliziotto che si scopava sua moglie, disse: "Ho ottenuto qualcosa che non avevo contrattato".

- Quando un burlone vide un pappone che affittava i servizi di una prostituta nera, disse: "Qual è la tua tariffa per la notte?"

- Quando vide suo genero Lentulo, che era basso di statura, con una lunga spada appesa in vita, Cicerone esclamò: «Chi ha legato mio genero a quel ferro?».

- Quando un burlone vide un oculista impegnato a strofinare una ragazza nel fiore degli anni, disse: "Non rovinare le sue profondità nel curare la sua vista".

Un burlone andò all'estero; lì gli venne un'ernia. Tornando a casa, gli fu chiesto se aveva portato un regalo. "Niente per te - solo un poggiatesta per le mie cosce". (Nel tipo più comune di ernia sofferta dagli uomini, una parte dell'intestino inferiore entra nello scroto distendendolo).

- Un attore burlone era amato da due donne, una con l'alito cattivo e l'altra con le ascelle puzzolenti. Una disse: "Dammi un bacio". E una disse: "Abbracciami". Ma lui declamava: "Ahimè, cosa devo fare? Sono diviso tra due mali!".

- Un ghiottone aveva promesso sua figlia a un altro ghiottone. Alla domanda su cosa le desse in dote, rispose: "Una casa le cui finestre si affacciano sul forno".


SUI CUMANI

Strabone parla della proverbiale stupidità dei Cumani.

- A Cuma viene portato alla sepoltura un personaggio illustre; un tale che viene da fuori chiede a quelli che lo portano in processione: “Chi è il morto?” Un cumano si volta, lo indica e dice: “Quello steso nella bara”. 

- Un cumano che vende casa, leva da un muro una pietra e la porta in giro a scopo dimostrativo. 

- Un cumano cerca un amico e lo chiama per nome davanti a casa. Dato che un passante gli suggerisce: “Chiamalo più forte se vuoi che ti senta!” allora grida: “Più forte!” (Moralia di Plutarco riferito ad Archelao di Macedonia). 

- Un cumano a cui è morto il padre ad Alessandria affida il corpo agli imbalsamatori. Dopo qualche tempo cerca di recuperarlo. Siccome questi hanno anche altre salme e chiedono quale segno di riconoscimento abbia suo padre, lui risponde: “Tossiva”. 

- Un cumano vende del miele. Arriva un tale, lo assaggia e dice “Mmmh, che buono!”, allora lui risponde: “Eh già…. Se un topo non ci fosse caduto dentro, non lo avrei messo in vendita!

- Un cumano costruì un'enorme aia e pose sua moglie all'estremità opposta. Le chiese se poteva vederlo. Quando lei rispose che era difficile per lei vederlo, lui scattò: "Verrà il tempo in cui costruirò un'aia così grande che io non potrò vederti e tu non potrai vedere me".


SUGLI INDOVINI

- Un indovino incompetente predice a un uomo il suo futuro e gli dice che non potrà avere figli. Quando l’uomo ribatte di averne già sette, l’indovino replica: «Ma li hai guardati bene?» (non avrebbe potuto avere altri figli se i suoi dovessero morire).

- Un astrologo incompetente fece l'oroscopo di un ragazzo e disse: "Sarà un avvocato, poi un funzionario della città, poi un governatore". Ma quando questo bambino morì, la madre affrontò l'astrologo: "È morto... quello che avevi detto che sarebbe stato un avvocato e un funzionario e un governatore". "Per la sua santa memoria", rispose, "se fosse vissuto, sarebbe stato tutte queste cose!"

- Un uomo, appena tornato da un viaggio all'estero, andò da un indovino incompetente. Chiese della sua famiglia e la cartomante rispose: "Stanno tutti bene, specialmente tuo padre". Quando l'uomo obiettò che suo padre era morto da dieci anni, la risposta arrivò: "Tu non hai idea di chi sia il tuo vero padre".

- Un rude astrologo fece l'oroscopo di un bambino malato. Dopo aver promesso alla madre che il bambino aveva molti anni davanti a sé, chiese il pagamento. Quando la madre disse: "Pagherò domani", lui obiettò: "Ma cosa succede se il bambino muore durante la notte? Perdo il mio compenso?".


SUGLI INTELLETTUALI

Nell'antica Roma i veri intellettuali erano considerati i Greci, molto spesso intenti a discutere di filosofia ma con un tale accanimento che spesso erano oggetto di scherno da parte dei Romani.

- Un intellettuale, ammalatosi, aveva promesso di pagare il medico se si fosse ripreso. Quando sua moglie lo rimproverò per aver bevuto vino mentre aveva la febbre, disse: "Vuoi che guarisca e sia costretto a pagare il medico?"

- Quando qualcuno disse a un intellettuale: "Ora sta venendo a te la tua barba", questi andò nell'ingresso posteriore e lo aspettò. Un altro intellettuale gli chiese cosa stesse facendo. Una volta ascoltata l'intera storia, replicò: "Non mi sorprende che la gente dica che ci manca il buon senso. Come fai a sapere che non arrivi dall'altra porta?"

- Un intellettuale durante la notte ha violentato sua nonna e per questo è stato picchiato da suo padre. Egli si lamentò: "Hai montato mia madre per molto tempo, senza subire alcuna conseguenza da parte mia. E ora sei arrabbiato perché mi hai trovato a scopare tua madre per la prima volta in assoluto!".

- Un intellettuale vide un pozzo profondo nella sua proprietà di campagna e chiese se l'acqua era buona. I contadini gli assicurarono che era buona, e che i suoi stessi genitori bevevano da quel pozzo. L'intellettuale espresse il suo stupore: "Quanto erano lunghi i loro colli, se potevano bere da qualcosa di così profondo!"

- Un intellettuale stava cenando con suo padre. Sulla tavola c'era una grande lattuga con molti germogli succulenti. L'intellettuale suggerì: "Padre, tu mangia i bambini; io prendo la madre". (Il gambo principale della lattuga è la "madre" e i suoi germogli sono i "figli": Crono ha ingoiato i suoi stessi figli; Edipo ha sposato sua madre)

- Un intellettuale mise incinta una schiava. Alla nascita, il padre suggerì di uccidere il bambino. L'intellettuale rispose: "Prima uccidi i tuoi figli e poi dimmi di uccidere i miei".

- Un intellettuale comprò un paio di pantaloni. Ma non riusciva a metterli perché erano troppo stretti. Così si sbarazzò dei peli intorno alle gambe.

- Un intellettuale ha fatto visita ai genitori di un compagno di classe morto. Il padre si lamentava: "O figlio, mi hai lasciato uno storpio!" La madre piangeva: "O figlio, hai tolto la luce dai miei occhi!". Più tardi, l'intellettuale suggerì ai suoi amici: "Se fosse stato colpevole di tutto ciò, avrebbe dovuto essere cremato mentre era ancora vivo".

- Un intellettuale era stato a un ricevimento di nozze. Mentre se ne andava, disse: "Prego che voi due continuiate a sposarvi così bene".

- Lo stesso intellettuale disse che la tomba di Scribonia era bella e sontuosa, ma che era stata costruita su un sito malsano.

- Alla morte di sua moglie, un intellettuale era in giro a comprare una bara e si mise a litigare per il prezzo. Quando il venditore giurò che non poteva venderla a meno di cinquantamila, l'intellettuale disse: "Visto che sei sotto giuramento, eccoti i cinquantamila. Ma ci metta in omaggio una piccola bara, nel caso mi servisse per mio figlio".

- Un amico ha incontrato un intellettuale e gli ha detto: "Congratulazioni! Hai un bambino!". L'intellettuale rispose: "Grazie ad amici come te!"

MASCHERE DA TEATRO


SULL'IRONIA

- Avendo una tale faccia, Olimpico, non andare a una fontana e non guardare in nessuna acqua trasparente, perché tu, come Narciso, vedendo la tua faccia chiaramente, morirai, odiandoti fino alla morte. 

- Vedendo che tu solo porti il peso di tanti grandi oneri, custodendo il nostro stato italiano con le armi, abbellendolo con la morale e riformandolo con le leggi, dovresti peccare contro il pubblico interesse se con lunghi discorsi, Cesare, ritardassi le tue ore di lavoro. (Queste sono le prime quattro righe dell'Epistola ad Augusto)

- Marziale su amore e matrimonio: "Paula vuole sposarmi, io non sono disposto a sposare Paula: è vecchia. Sarei disposto, se fosse più vecchia. Devo spiegare questo?" 


SUI MISOGINI 

- Un misogino a cui è morta la moglie la porta a seppellire. Quando un tale gli chiede: “Chi riposa in pace?”, lui risponde: “Io… che mi sono liberato di lei!”. 

- Un censore provvedeva al giuramento formale sulle mogli; la formula era la seguente:
"Se ti fa piacere, hai una moglie?"
l'uomo volle essere spiritoso:
"Sì, ho una moglie, ma per Ercole! non mi piace."

- Quando un misogino si ammalò e sua moglie gli disse: "Se muori, mi impicco", lui alzò lo sguardo verso di lei e disse: "Fammi il favore finché sono ancora vivo".

- A proposito di una matrona romana piuttosto in là con gli anni che dichiarava di averne solo una trentina, Cicerone commentò: «Dev’essere senz’altro vero, sono già vent’anni che glielo sento ripetere».

- Ad un giovane uomo fu chiesto se prendeva ordini da sua moglie o se lei obbediva ad ogni suo comando. Lui si è vantato: "Mia moglie ha così paura di me che se io sbadiglio, lei caga".

- Un misogino aveva una moglie che non smetteva mai di parlare o di litigare. Quando lei morì, lui fece portare il suo corpo su uno scudo fino al cimitero (come si faceva per i guerrieri spartani). Quando qualcuno lo notò e gli chiese perché, lui rispose: "Era una combattente".

- Qualcuno ha fatto uno scherzo a un burlone: "Ho avuto tua moglie, senza pagare un centesimo". Lui rispose: "È mio dovere di marito accoppiarmi con una tale mostruosità. Cosa ti ha spinto a farlo?"

- Un misogino si presentò al mercato e annunciò: "Metto in vendita mia moglie, esentasse!". Quando la gente gli chiese perché, disse: "Così le autorità la sequestreranno".

- Un giovane uomo ospitava vecchie donne vivaci. Disse ai suoi schiavi: "Preparate una bevanda per quella che la vuole e fate sesso con quella che la vuole". E le donne dissero: "Non ho sete".

Mentre un intellettuale stava bevendo in una taverna, qualcuno si avvicinò e gli disse: "Tua moglie è morta". L'intellettuale disse: "È ora, mio buon uomo, di prepararmi un po' di vino scuro".


SUI PIGRI 

- Mentre due pigri dormono insieme, un ladro entra e ruba la coperta tirandola via. Uno dei due se ne accorge e dice all’altro: “Alzati e insegui il ladro”. L’altro risponde: “Lascia stare. Lo acciuffiamo caso mai tornasse a portare via il materasso”

- Un pigro deve un denario a un altro pigro e non appena lo incontra gli chiede il denario. Pigro I: “È legato dentro alla mia bisaccia. Aprila e prenditelo”. Pigro II: “Lascia stare, sono a posto così”. 


SUI SIDONII

- Un cervellone di Sidone che aveva un terreno lontano molte miglia e voleva avvicinarlo distrusse sette cippi miliari per renderlo più vicino. 

- Un commerciante di Sidone viaggiava con un altro. Costretto da esigenze fisiologiche a restare un po’ indietro rimase lì a lungo. Il compagno di viaggio lo lasciò lì e scrisse su un cippo miliario “Sbrigati a raggiungermi!” Quello, non appena lo lesse, incise sotto “E tu aspettami!”. 

- Un grammatico di Sidone chiede all’insegnante: “Quanto tiene una boccetta da un litro?” E lui risponde: “Ma intendi di vino o di olio?” 

- Un tale dice a un cuoco di Sidone: “Prestami un coltello fino a Smirne”. E l’altro risponde “Io non ho un coltello che arrivi fin là”.


SULLA STUPIDITA'

- Un cervellone durante una nuotata per poco non affogò; giurò che non sarebbe mai più entrato in acqua se prima non avesse imparato a nuotare bene.  

- Un tizio, recatosi da un medico cervellone, disse: “Dottore, quando mi sveglio al mattino per mezz’ora mi gira la testa e dopo mi riprendo”. E il dottore: “Svegliati mezz’ora dopo!”. 

- Dal momento che un cervellone vendeva un cavallo, un tizio chiese se avesse cambiato i primi denti. Poiché quello diceva che aveva cambiato i secondi denti, gli chiese: “Come lo sai?” E lui rispose: “Perché una volta li ha cambiati a me e l’altra li ha cambiati a mio padre” (il cavallo ha gettato a terra il cervellone e il padre)

- Un tale incontra un cervellone e dice: “Dottore, ti ho visto nel sonno”. Ed egli risponde: “Per gli Dei, non ci ho fatto caso, dato che ero sovrappensiero

- Un cervellone incontra un amico e gli dice: “Ti ho visto nel sonno e ti ho salutato”. E l’altro risponde: “Scusami, non ci ho fatto caso”. 

- Un medico prescrisse a un cervellone a cui erano state asportate le tonsille di non parlare. Egli ordinò al proprio servo di ricambiare al suo posto il saluto di chi incontrava. Allora lui diceva a ciascuno: “Non prendertela a male se il mio schiavo ti saluta al posto mio: me l’ha ordinato il medico di non parlare”. 

- Un cervellone che voleva insegnare al suo cavallo a non mangiare molto non gli diede più da mangiare. Quando il cavallo morì di fame disse: “Che sfiga: proprio quando ha imparato bene a non mangiare, allora è morto.” 

- Un cervellone che aveva sognato di calpestare un chiodo e aveva immaginato di soffrire si fasciò il piede. Un altro dopo aver saputo il motivo disse: “Perché diavolo dormi scalzo?” 

- Uno di due fratelli gemelli morì. Un cervellone incontrò quello vivo e gli chiese: “Sei morto tu o tuo fratello?” 

- Un cervellone, un calvo e un barbiere mentre erano in viaggio insieme disposero di fare turni di guardia di quattro ore. Il primo turno toccò al barbiere. Per divertirsi rasò il cervellone addormentato; alla fine del turno lo svegliò. Grattandosi la testa come chi si riprende dal sonno e scoprendo la pelata disse: “Gran stronzo di un barbiere: per sbaglio ha svegliato il calvo al posto mio.” 

- Un maestro delle elementari cervellone lancia un’occhiata verso l’angolo e all’improvviso grida: “Lì nell’angolo Dionisio disturba”. Quando qualcuno gli dice che non è ancora presente, lui risponde: “Quando arriverà…”. 

- Un cervellone durante le celebrazioni per il millenario di Roma vede un atleta sconfitto e in lacrime e per consolarlo gli dice: “Non esser triste, vincerai al prossimo millenario!” (Il millenario di Roma fu celebrato nel 248 d.c. per volontà di Filippo l’Arabo) 

- Un cervellone parte per andare a trovare un amico gravemente malato. Quando sua moglie gli dice che se ne è andato ormai, lui risponde: “Allora quando torna digli che sono passato”. 

- Uno dice a un cervellone: “Prestami un cappotto fino al campo”; lui risponde: “Io ce l’ho fino alla caviglia, non fino al campo

- La padrona di casa aveva uno schiavo sempliciotto. Ma quando riuscì a dare un'occhiata a quanto fosse spessa anche l'altra testa di lui, ne ebbe una gran voglia. Si mise una maschera sul viso perché lui non la riconoscesse, e giocò con lui. Unendosi al suo gioco, lui fece sesso con lei. Poi, sorridendo come faceva di solito, fece rapporto al suo padrone: "Signore, signore, ho scopato la ballerina e la padrona era dentro!"


BIBLIO

- Come ridevano gli antichi (Philogelos) - a cura di T. Braccini - Genova - Il Melangolo - 2008 -
- Philogelos - Cuorcontento. Barzellette greche dei nostri avi, con testo greco a fronte - a cura di Giuseppe Vergara - Grauseditore - Napoli - 2011 -
- Baldwin, Barry, trans. with commentary - The Philogelos or Laughter-Lover - Amsterdam - 1983 -
- Rapp, Albert - "A Greek Joe Miller" - Classical Journal 46 - 1951 -
- Thierfelder, Andreas, German trans. with commentary - Philogelos - Der Lachfreund - Munich -1968 -


 

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