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COLONNA MENIA


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La Colonna Menia (latino Columna Maenia) era un'antica colonna nel Foro Romano che si trovava nella zona del Comizio (Comitium), il centro politico di Roma, dove si svolgevano le più antiche assemblee dei cittadini (comizi curiati). Oggi ne sono visibili solo pochi resti, anticamente occupava l'angolo nord-orientale del Foro, tra la basilica Emilia, l'Arco di Settimio Severo e il Foro di Cesare. Proprio quest'ultimo ne invase gran parte della superficie per l'edificazione della nuova Curia Iulia.

La Colonna Menia distava poco dal Carcere Mamertino, (Carcer o Tullianum) dove oggi passa la via che fiancheggia l'arco di Settimio Severo. E' il carcere più antico di Roma, a ridosso della Via Sacra nel Foro, di due piani sovrapposti di grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio, a fianco delle Scale Gemonie per questo dette Scale dei sospiri, verso il Comitium.

La colonna Menia, di cui l'origine del nome è dibattuta, è citata da Cicerone (106 a.c. - 43 a.c.) come luogo "presso il quale i debitori erano perseguiti dai creditori", e si trovava davanti al tribunale del pretore ed ai Rostra dove si affiggevano le proscriptiones (le proscrizioni).

Andò probabilmente distrutta durante la riorganizzazione di questa parte del Foro in epoca cesariana, con la creazione del Foro di Cesare. Dopo numerose questioni relative al suo posizionamento, ne venne infine trovato una parte del basamento a ovest della Curia Hostilia, luogo di riunione del Senato romano, costruita nel Comizio, davanti alle Scalae Gemoniae (scalae Gemoniae), una scalinata di accesso al colle Campidoglio venivano esposti i corpi dei prigionieri uccisi, prima di essere gettati nel Tevere.

LA POSIZIONE


GAIO MENIO

Molti pensano che la colonna riguardasse il console Gaio Menio, un politico e generale romano, eletto console nel 338 a.c.. avendo come collega Lucio Furio Camillo. Ripreso l'assedio di Pedo, i due consoli sconfissero in una battaglia campale gli abitanti, a cui si erano uniti anche i Tiburtini e Prenestini. Presa Pedo, i due consoli espugnarono ogni singola città latina del Lazio che si era ribellata, ottenendo la definitiva sconfitta dei Latini e la fine della guerra latina. 

Per questa loro impresa, ai due consoli, fu concesso l'onore del trionfo e nel foro furono collocate statue che li raffiguravano a cavallo. Menio trionfò secondo i "Fasti de Antiatibus Lavinieis Veliterneis" anche se i rostri delle navi degli Anziati confitti al muro del suggesto degli oratori nel comizio (luogo elevato del Campo Marzio da cui i magistrati arringavano il popolo, o su cui facevano salire le persone denunciate ai cittadini come colpevoli), e la colonna Menia nel Foro, vadano forse connessi con avvenimenti posteriori. 

Censore nel 318, Menio costruì i maeniana, gallerie per assistere agli spettacoli, e fece altri lavori nel Foro. Fu poi eletto dittatore nel 314 a.c., per il timore di una defezione di Capua, mentre l'esercito romano si trovava in Apulia per combattere contro i Luceri. Capua non defezionò, perché il capo della rivolta si suicidò alla notizia dell'investitura di un dittatore a Roma, mentre la successiva indagine a Roma, per verificare se qualche Senatore, fosse coinvolto nella congiura, non portò ad alcun risultato. 

Ovvero si ritenne che Menio, primo console plebeo, tentasse in quel modo di colpire la nobiltà, procedendo a un'inchiesta intorno alle associazioni elettorali. Ma. pagando l'ardire di tanta sfrontatezza, fu costretto ad abbandonare la carica, fu sottoposto a processo e tuttavia infine venne prosciolto perchè non riuscirono ad accusarlo di alcuna corruzione o tanto meno errore da lui commesso.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab urbe condita libri -
- Camillo Ravioli - Ragionamento del Foro Romano: e de' principali suoi monumenti - Roma, Tipografia Delle Belle Arti - 1859 -
- Flaminio Vacca - Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della città di Roma - 1594 -
- Filippo Coarelli - Storia dell'arte romana. Le origini di Roma - Milano - ed. Jaca Book -
- Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari - I tempi dell'arte - volume 1 - Bompiani - Milano - 1999 -
- Rodolfo Lanciani - Ancient Rome in the Lights of Recent Discoveries - Boston - New York - Houghton - Mifflin and Co. - 1888 - L'antica Roma - Roma - Newton e Compton - 2005 -



SANTA MARIA ANTIQUA


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Nel 552 i Bizantini, una volta conquistata Roma, ripristinarono, oltre a mura e acquedotti, anche i vecchi palazzi imperiali e ripristinarono, nel Foro Romano, ai piedi del Palatino, in una zona considerata sede del Tempio di Augusto ma che oggi si attribuisce all'epoca di Domiziano, un'aula rettangolare con antistante quadriportico per fondare una specie di "cappella palatina" dedicata alla Madonna.

L'edificio, eretto sulle strutture di un grande complesso architettonico di età domizianea, alla cui epoca era ingresso e raccordo tra i palazzi imperiali sul Palatino e il Foro sottostante, dove probabilmente stazionava la guardia di pretoriani, era una basilica, cioè con un'aula rettangolare divisa in tre navate.

Nel muro di fondo venne ricavata in era cristiana una piccola abside, e ai lati del presbiterio, situato alla fine della navata centrale con altare e abside sul fondo, e ai lati due piccole cappelle. Nel cortile quadrato che faceva da vestibolo si trovano invece i resti di un impluvium dell'epoca di Caligola e lungo le pareti erano dislocate delle nicchie, che accoglievano statue, di Dei o imperatori. A sinistra della chiesa una rampa sale al Palatino, fungendo da entrata ai palazzi imperiali

PLANIMETRIA DELLA CHIESA

Caligola fece edificare e dedicare nella zona il tempio in onore del divo Augusto e i testi precisano che dietro al tempio di Augusto, di solito identificato nella grande Aula occidentale, c’era la biblioteca, da situare verosimilmente negli spazi dell’attuale atrio della chiesa. 

La chiesa di Santa Maria Antiqua venne dunque fatta sorgere negli ambienti che costituiscono l’ampliamento della domus tiberiana verso il Foro, ambienti realizzati da Caligola e, successivamente, rifatti da Domiziano che riconfigurò completamente l’area occupata dalla domus di Caligola, cambiandone l’orientamento e costruendo il complesso le cui strutture si conservano ancora per grande altezza. 

Il complesso domizianeo era costituito da quattro vani comunicanti: 
- 1) la grande Aula occidentale, uno degli ambienti più vasti dell’architettura flavia, chiusa su due lati da un portico, dalle pareti animate da nicchie, forse per ospitare delle statue. La sua identificazione come tempio del divo Augusto resta ancora assai discussa; 
- 2) l’ambiente più piccolo a est, dalle alte pareti scandite da nicchie, che oggi funge da atrio di Santa Maria Antiqua, dove in età domizianea forse si trovava la biblioteca ad Minervam ricostruita da Domiziano e dove, sulle pareti, erano esposti, secondo le fonti letterarie, i diplomi militari; 
- 3) il quadriportico voltato a cui si accedeva dall’attuale atrio, organizzato intorno ad un cortile con impluvio; 
- 4) i tre vani a sud del quadriportico. con ampi resti di una decorazione pittorica costituita da riquadrature rosse e da tondi, databile in età adrianea o di poco successiva.


Tutto il complesso è, poi, chiuso ad oriente da una rampa, che conduceva al sovrastante palazzo imperiale. Per la sua posizione strategica, esso rivestì sempre un ruolo importante di collegamento tra il Foro e il soprastante Palazzo imperiale. Gli autori antichi forniscono notizie fondamentali per l’identificazione dei monumenti sui quali fu edificata Santa Maria Antiqua.

Gli ambienti domizianei subirono vari restauri nel corso dei secoli, in particolare sotto Antonino Pio. Essi, tuttavia, rimasero in funzione fino ad epoca tarda, quando furono trasformati nel complesso di Santa Maria Antiqua.

L’aula orientale del complesso domizianeo, dal VI al IX secolo, svolse la funzione di atrio di Santa Maria Antiqua e continuò ad essere utilizzata per altri due secoli anche dopo l’abbandono della chiesa a causa del terremoto dell’847.

Infine delle costruzioni di Caligola, distrutte dagli incendi del 64 e dell’80 d.c., non resta quasi nulla, tranne una grande vasca rettangolare rivestita di marmo nell’ambiente dell’Atrio, scavata da Giacomo Boni agli inizi del 1900.

ORATORIO DEI 40 MARTIRI


GLI SCAVI

Fu Giacomo Boni (1859 - 1925), il grande archeologo italiano, durante i suoi scavi nell’area del Foro Romano, a riportare alla luce Santa Maria Antiqua decidendo di demolire (fra non pochi risentimenti e critiche) la chiesa barocca di Santa Maria Liberatrice che fu costruita sopra di essa. 

Il 17 Marzo 2016, dopo oltre 30 anni di lavori per il restauro e interdizione al pubblico, venne riaperta grazie alla mostra “Santa Maria Antiqua. Tra Roma e Bisanzio” promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma con Electa.

Gli scavi operati da Giacomo Boni hanno riportato alla luce anche una vasta zona cimiteriale in uso tra l’VIII e il IX secolo. Durante questo periodo, l’atrio e gran parte della superficie sottostante il pavimento della chiesa erano occupati da numerose sepolture. 

I DIPINTI

Gli scavi di Boni evidenziarono che tutta l’area era piena di sepolture di epoca tarda: tombe povere, ad eccezione di quelle relative ai sarcofagi, tutti riutilizzati e trasportati qui da altri luoghi.

Per alcune di queste sepolture, forse di esponenti che ricoprivano alte cariche del clero oppure politiche dell’epoca, vennero infatti reimpiegati antichi sarcofagi di marmo, reperiti da altri contesti, del tutto pagani. Le loro decorazioni erano pertanto profane e databili tra la metà del II e il III secolo d.c., per la volontà dei defunti di qualificarsi come appartenenti ad una élite di classe. 

Era di grande decoro essere degni di essere inumati in pregevoli sarcofaghi con bassorilievi stupendi che nessuno in epoca cristiana era più capace di fare, e poi per ritenersi tanto importanti da essere inumati nella chiesa. Ma c'era un altro fattore, se non si era importanti prelati si poteva pagare il privilegio dell'inumazione sotto la chiesa, che si supponesse potesse riservare un certo riguardo nell'immissione dell'anima nel mondo dei cieli.

PAPI E VESCOVI ERANO USI ALL'AMMANSIMENTO DEI DRAGHI


IL DRAGONE

All'epoca le chiese all'interno delle mura avevano come titolo i nomi dei proprietari delle case in cui veniva fondata una chiesa, mentre le nuove chiese sorgevano fuori le mura per il culto sulle tombe dei martiri. Una leggenda infatti che in quel luogo papa Silvestro I avesse ucciso un "dragone", alludendo alla Dea Vesta, effigiata con un "dragone" nel vicino tempio a lei dedicato.

Ora c'è da tener conto che il termine draco per i romani era simbolo di serpente, e che nel tempio di Vesta, come in tutti i templi della Madre Terra, si usava allevare un serpente, che era appunto un simbolo della Dea, oltre che di saggezza.

In tutti i culti antichi e moderni i serpenti sono stati da sempre considerati sacri, dall'India, alla Cina, alle religioni precolombiane, alla Grecia antica e nella Roma antica. la religione cattolica è l'unica che considera il serpente diabolico. Tutti i dragoni uccisi dai vari santi o papi sono pertanto leggende.

Le leggende cristiane fiorivano così: " Si dice che nel IV secolo d.c. vivesse in una caverna del monte Palatino un terribile drago, che con il suo alito uccideva chiunque gli passasse vicino per poi divorarlo. Stanchi, gli abitanti del luogo decisero di chiedere aiuto a Papa Silvestro I, che già in precedenza si era incaricato del caso di una bestia simile a Poggio Catino.

Il santo Pontefice, vedendo che si trattava di un compito arduo, decise di chiedere consiglio ai santi Pietro e Paolo. (Pietro era però morto nel 67 e Paolo tra il 64 e il 67, evidentemente si consultò con i loro spiriti). Su consiglio dei santi si diresse alla grotta del mostro totalmente disarmato, solo con un crocifisso in mano, invocando l’aiuto della Vergine Maria. Qui si tratta però di un'altro drago, ma la storia è la stessa.

La chiesa, continuamente restaurata, venne invece abbandonata dopo che un terremoto nell'847 fece franare sopra di essa parte dei palazzi adiacenti. Sui ruderi venne costruita nel XIII secolo una chiesetta, riedificata poi nel 1617. Gli scavi eseguiti alla fine dell'Ottocento, riportarono alla luce tracce degli antichi affreschi recentemente restaurati e dal novembre 2012 la chiesa è stata aperta al pubblico.

BIBLIO

- M. Andaloro, G. Bordi, G. Morganti (a cura di) - Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio - Electa - 2016 -
- Giuseppe Lugli - Foro Romano e Palatino - Bardi ed. - Roma - 1966 -
- Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1984.
- Pietro Romanelli, Jonas Nordhagen - S. Maria Antiqua - Ist. poligrafico dello Stato - Libreria dello Stato - Roma - 1999 -
- Otto Demus - L'arte bizantina e l'Occidente - Einaudi - 2008 -



VULCANAL - VOLCANALE - FORO ROMANO


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IL VOLCANALE AL FORO ROMANO

IL DIO VULCANO

Il Dio Vulcano era in origine un Dio etrusco conosciuto come Velchans a cui si ricollegavano tutte le manifestazioni connesse al fuoco come vulcani, solfatare e fulmini e che doveva essere onorato dedicandogli templi e sacrifici. Ma la sua origine era anche greca, con il nome di Efesto.

Quando dopo il ratto delle Sabine lo scontro tra Romani e Sabini si concluse con la fusione dei due popoli, il re Tito Tazio volle costruire un’ara da dedicare al Dio Vulcano proprio nel luogo dove si era svolta la battaglia.
EFESTO - VULCANO
Il Volcanale (in latino Volcanal) era un antichissimo santuario dedicato a Vulcano, Dio del fuoco terrestre e distruttore, che sorgeva nel Foro Romano, sopra il Comitium, e cioè nell'area Volcani, l'antichissima piazza sacra a Vulcano, un'area all'aperto ai piedi del Campidoglio situata nell'angolo nord-occidentale del Foro.

Nel santuario si trovavano un'ara dedicata al Dio e un fuoco perenne, e Tito Livio lo menziona due volte in merito al prodigium di una pioggia di sangue avvenuto nel 183 a.c. e nel 181 a.c. e si pensa che il santuario risalisse all'epoca in cui il Foro era ancora fuori della città.

L'area Volcani era circa 5 metri più alta rispetto al Comitium, dove si svolgevano le più antiche assemblee dei cittadini (comizi curiati), e che occupava l'angolo nord-orientale del Foro, tra la basilica Emilia, l'Arco di Settimio Severo e il Foro di Cesare. Proprio quest'ultimo ne invase gran parte della superficie per l'edificazione della nuova Curia Iulia. 

Dall'Area Volcani i re e i magistrati della prima repubblica, prima che fossero costruiti i rostra (le tribune nel Foro Romano dalle quali i magistrati tenevano le orazioni), si rivolgevano al popolo per i loro comizi.



L'UMBILICUS

L'Umbilicus Urbis Romae è una costruzione conica in laterizio di epoca severiana, un tempo rivestita di marmi bianchi e colorati, oggi spogliata ma ancora esistente, situata tra i Rostra e l'Arco di Settimio Severo, ed era l'ombelico di Roma, ovvero il centro dell'Urbe, l'equivalente dell'omphalòs greco.

Sicuramente il luogo sacro era preesistente all'epoca severiana, quando però venne decorato e abbellito. L'umbilicus corrispondeva anche al Mundus e quindi al mondo dei morti, un edificio che ben si accordava con l'ara del Dio oscuro Vulcano, che operava nella sua fucina agli ordini di Giove per fabbricargli i fulmini, ma che non vedeva mai la luce del giorno, collocato, insieme ai suoi aiutanti ciclopi, all'interno afoso e nebbioso dei vulcani dove non giungeva la luce del giorno.

LA POSIZIONE DEL VOLCANALE

Sembra che i resti del Volcanale, dove sorgeva l'altare del Dio, siano da ricercarsi proprio dietro l'Umbilicus Urbis, la costruzione conica in mattoni che segnava il centro ideale della città di Roma, annoverato nei Regionari costantiniani dopo il tempio della Concordia, a tre ripiani e rivestito con lastre di marmo bianco e colorato.

Infatti dietro l' Umbilicus, sotto una tettoia moderna di legno, si vedono a tutt'oggi i resti di antichissime costruzioni assai antiche che potrebbero riferirsi al Volcanale, uno dei santuari più antichi di Roma, dedicato secondo la tradizione da Romolo, il quale vi aveva posto una quadriga di bronzo dedicata al Dio, preda di guerra dopo la sconfitta dei Fidenati (ma secondo Plutarco la guerra in questione fu contro Cameria, sedici anni dopo la fondazione di Roma), e una propria statua con un'epigrafe in greco che celebrava le sue vittorie.

Secondo Plutarco, Romolo era rappresentato incoronato dalla Vittoria (equivalente di Nike greca) e avrebbe piantato in loco un albero di loto, che Plinio il Vecchio riferisce vivesse ancora ai suoi tempi, più vecchio della città stessa, e le cui radici si diramavano fin sotto il Foro di Cesare, passando sotto le "stationes municipiorum", dove si riunivano in assemblea i notabili delle città principali dell'impero.



L'ALTARE DI VULCANO

Dietro l'Umbilicus dunque, sotto una tettoia di legno, giacciono oggi i resti di un altare di Vulcano, situato a sud-est del Campidoglio, nell'angolo nord-occidentale del Foro Romano, che sorgeva in una piazza scoperta, sacra al Dio e detto Volcanal in suo onore, a suo tempo dedicato da Romolo che vi aveva anche posto una quadriga di bronzo dedicata al Dio e che era considerato uno dei santuari più antichi dell'Urbe.

Plinio Il Vecchio (circa 70 d.c.) narra che ai suoi tempi accanto al Volcanal, posto fuori dal pomerio della Roma antica, affinchè non avesse a danneggiare coi suoi vulcani la città stessa, sorgeva un albero di loto, che si diceva più vecchio della città stessa e le cui radici si allungavano fin sotto il Foro di Cesare, passando sotto le stationes municipiorum, cioè i locali dove si riunivano i rappresentanti delle principali città dell' impero.

L'area Volcani era lo spazio destinato all'ara, al santuario e alle feste ed era circa 5 metri più alta rispetto al Comitium. Da qui i re e i magistrati della prima repubblica, prima che fossero costruiti i rostra, si rivolgevano al popolo. Sul Volcanal c'era anche una statua in bronzo di Orazio Coclite, che era stata qui spostata dal Comizio, dopo essere stata colpita da un fulmine, un' altra di un istrione  durante i giuochi circensi, e la quadriga di bronzo dedicata da Romolo dopo la sua vittoria sui Ceninati.

L'ALTARE DI VULCANO SOTTO LA TETTOIA GRIGIA

Sulla statua dell'eroe Orazio Coclite Aulo Gellio narra che furono chiamati alcuni aruspici (senz'altro etruschi) per espiare il prodigio, ma questi, in malafede, fecero spostare la statua in un luogo più basso dove non batteva mai il sole. L'inganno fu però scoperto, gli aruspici vennero giustiziati e poi si scoprì che la statua doveva essere posta in un luogo più alto e per questo venne posta nell'area Volcani.

Il Volcanal è menzionato due volte da Tito Livio (Ab Urbe Condita libri - XXXIX) per lo straordinario "prodigium" di una pioggia di sangue avvenuto nel 183 a.c., anno in cui muoiono Publio Cornelio Scipione ed Annibale, e nel 181 a.c. (Ab Urbe Condita libri - XL) anno in cui non accadde nulla di notevole a parte la morte di Prusia re di Bitinia.

Poi presso l'altare di Vulcano venne costruito un santuario dove si riuniva il consiglio dei padri curiali e nei pressi si costruì il Comitium dove si svolgevano esclusivamente le assemblee delle tribù dei due popoli.

Il culto di Volcano nell'area Volcai continuò anche nel periodo imperiale, come attesta l' iscrizione di una grande tavola di marmo, dedicata a Volcano dall'imperatore Augusto nel 9 a.c., rinvenuta nelle vicinanze nel 1548 ed ora conservata nel museo Archeologico Nazionale di Napoli. 

Pur non essendo rimasto alcuno di questi antichissimi monumenti, il culto di Volcano si era mantenuto anche in epoca imperiale, come attesta l' iscrizione di una grande tavola di marmo, dedicata a Volcano dall' imperatore Augusto nel 9 a.c. reperita nel 1548 ed ora conservata nel museo archeologico di Napoli. 

L' area del Volcanale era stata, nel tempo della monarchia, un luogo destinato ai pubblici discorsi, ma venne poi ridimensionata nella sua estensione, nel 304 a.c. vi venne infatti costruito un tempio alla Concordia dedicato dall'edile curule Gneo Flavio e in epoca imperiale, dall'ampliamento del tempio della Concordia voluto da Tiberio, e poi dall'Arco di Severo.

Infatti nei primi del 900 furono ritrovate, proprio dietro l'Arco di Settimio Severo, alcune antiche fondazioni in tufo che probabilmente appartenevano al Volcanale e tracce di una specie di piattaforma rocciosa, di m 3,95 X 2,80, che era stata ricoperta di cemento e dipinta di rosso. 

La sua superficie superiore è scavata da varie canaline e di fronte ci sono i resti di un canale di drenaggio fatto di lastre di tufo. Si pensa possa trattarsi dell'ara stessa di Vulcano. Dietro le fondamenta del supposto altare si scorgono i gradini della scalinata con cui si saliva al tempio della Concordia, tagliati in parte nella viva roccia del Campidoglio, il che confermerebbe l'attribuzione. 


BIBLIO

- Samuel Ball Platner - Volcanal - in A Topographical Dictionary of Ancient Rome - Londra - Oxford - University Press - 1929 -
- Plutarco - Vita di Romolo - XXIV -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - II -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia - XVI -
- Tito Livio - Ab Urbe Condita - XL -
- Rodolfo Lanciani - Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità - Roma - 1902 -




CURIA CALABRA


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IL CERCHIO ROSSO EVIDENZIA LA CURIA CALABRA

IL TEMPIO DELL'OSSERVAZIONE LUNARE

La Curia Calabra era un luogo di culto preposto all'osservazione della luna. Si trattava di un vero e proprio tempio utilizzato per l'osservazione rituale della luna nuova nella Roma antica. La Luna Nuova o novilunio, o Luna Nera, è la fase della Luna in cui il suo emisfero visibile risulta completamente in ombra.

Però anticamente il novilunio non era la Luna Nera, ma era il giorno in cui compariva di nuovo la luna. Vale a dire che era il giorno in cui rinasceva la luna, o il giorno in cui la Dea Diana emergeva dalle grotte in cui si era occultata. Tale giorno è spesso utilizzato come primo giorno del mese nei calendari lunari.


La Luna Nuova

La Luna nuova avviene quando nel corso della sua orbita il nostro satellite è in congiunzione col Sole, cioè si frappone tra la Terra e il Sole. Durante la fase di Luna nuova, non è possibile vedere la Luna in quanto essa è presente in cielo di giorno a poca distanza apparente dal Sole. Se il novilunio si verifica quando la Luna si trova in un nodo della sua orbita, cioè sta attraversando il piano eclittico, la Luna risulta allineata perfettamente con la Terra e il Sole e perciò provoca il fenomeno delle eclissi di Sole.

"Vogliono taluni asserire che alla fondazione di Roma vi fu una congiunzione di luna che ecclissò il Sole e questa essere stata veduta anche da Antimaco Poeta da Teo accaduta essendo nell'anno terzo della sesta Olimpiade"

Il Pantheon di Roma, ricreato da Agrippa sul modello dei templi più arcaici, era, ed è, come quelli, rotondo e con l'oculo in cima che consentiva l'osservazione della luna. Infatti nell'Equinozio di Primavera la Luna Piena è osservabile giusto al centro dell'oculo del tempio. Momento importantissimo perchè nella Roma più arcaica l'anno solare iniziava all'equinozio di primavera e non al solstizio d'inverno come avvenne poi.



1 - Aedes Fidei
2 - Aedes Opis
3 - Aedes Iuppiter Custodis
4 - Aedes Tensarum - (Menzionato solo da un diploma militare. L'edificio è stato utilizzato per immagazzinare i carri che trasportano le sculture degli Dei nelle processioni. Secondo alcune ipotesi, Iuppiter era al lato del santuario di Iuppiter Feretrius.)
5 - Aedes Iuppiter Feretrius
6 - Curia Calabra
9 - Aedes Veneris Erycinae
10 - Aedes Mentis
13 - Aedes Iuppiter Tonantis


Il Calendario

Il calendario romano era infatti originariamente lunare. Le Calende o il primo giorno di ogni mese, il pontifex minor occupava la Curia Calabra per attendere l'avvistamento della luna nuova. Il Rex Sacrificulus (o Rex Sacrorum), una figura magistratuale e sacerdotale insieme, unitamente al Pontefice, poi officiavano una res divina (servizio religioso) e il sacrificio in onore di Giunone, e il popolo romano veniva chiamato in assemblea nei Comitia Calata, che sembra avvenissero sul Campidoglio. Come calata, il nome Calabra deriva probabilmente da calare, "convocare" o "proclamare". Ma secondo altri "calabra" o "galabra" richiama più il significato di roccia.

"Tra i pubblici stabilimenti a Romolo viene attribuita quella della Curia Calabra. Anche il luogo ove si teneva adunanza per cura dei publici affari chiamavasi Curia e dalla parola cura era Curia lo stesso luogo. Nella Curia Calabra di Romolo, asseriscono Varrone, Macrobio e Sesto Pompeo, si trattava solamente ciò che aveva relazione alle cose sacre. Fu detta Calabra a "colendo" verbo che significava chiamare poiché siccome scrive Macrobio vicino alla Curia si chiamava il Popolo per avvertirlo dei giorni che dalle Calende alle None del mese. 

Questa Curia fu coperta di strame, che è un insieme di erbe secche e paglia che vengono usate come foraggio e come lettiera per il bestiame, tuttavia ottimo per coprire i tetti sostenuti da vimini intrecciati e pali di legno. Ciò dimostra la povertà di quei tempi ed era situata Campidoglio nella parte meridionale e precisamente vicino alla rupe da Manlio nella insalizione de Galli come scrive Virgilio, vicina a questa Curia fu altra Casa di Romolo e di tal piccolezza che le dà il nome di tugurio. Era ancor questa coperta di canne di strame con legature di vinchi per testimonianza di Ovidio".

Secondo altri studiosi la sua posizione esatta è poco chiara, ma la ritengono un un recinto scoperchiato davanti a una capanna augurale (auguraculum, un tempio senza tetto), sul lato sud-ovest della zona Area Capitolina, il recinto del tempio di Giove Ottimo Massimo. Servio Mario Onorato, grammatico e commentatore romano del IV secolo, identifica la Curia Calabra con una Casa Romuli ("Capanna di Romolo") o Tugurium, o "Tegurium Romuli" sul colle capitolino. Il tegurium era una capanna con un tetto di paglia, molto isolante dal freddo e dalle piogge, usatissimo anche nei paesi anglosassoni dell'800 e '900 ma alcuni a tutt'oggi. Tuttavia Ambrogio Teodosio Macrobio fa supporre, e molti studiosi sono concordi, che invece era adiacente alla Casa di Romolo.

La Curia Calabra ebbe dunque un aspetto sia religioso che civile, per propiziarsi gli Dei, e per stabilire il calendario che il popolo doveva rispettare, onde permettere una civile e fruttuosa convivenza tra i cittadini romani. E' evidente che nei tempi più antichi fosse una capanna con un foro sul tetto, ma che poi venne edificata in muratura con un tetto e un cortile che fungeva da osservatorio.


Curia Calabra

"Generalmente da tutti i più accurati topografi si stabilisce esservi stata sulla descritta Rocca la Curia Calabra, nella quale il Pontefice Minore, dopo di avere osservato il Novilunio, pronunziava alla plebe ivi raccolta quanti giorni avanzavano dalle Calende alle None. Io poi ne ritrovo la sua forma in quel frammento della Pianta Capitolina, distinto quivi col N. LX che il Bellorio, seguendo il sentimento di Andrea Bufalini, crede esservi rappresentato il tempio di Giove Capitolino con quello di Giove Custode 170. Questo ritrovato primieramente lo deduco dalla forma quadrata stabilita nella lapide all'edifizio maggiore, la quale molto conviene con quella di una Curia; quindi dalle altre cose che si vedono disegnate nella medesima lapide, le quali assai bene si adattano a rappresentare il recinto meridionale del Tarpeo con le lunghe scale, denominate dei Cento gradi, che venivano ivi a riferire; e circa alla sommità di queste si trova indicato esservi stata una porta arcuata."

(STORIA E TOPOGRAFIA DI ROMA ANTICA DELL'ARCHITETTO CAV. LUIGI CANINA)



LA CURIA CALABRA ACCANTO ALLA CASA DI ROMOLO 

Le fonti storico –letterarie c’informano che la casa si trovava nel’angolo sud occidentale del palatino sulle pendici che guardano verso il velabro e il circo massimo, ai cui piedi era la grotta del lupercale dove  il pastore Faustolo rinvenne i fatidici gemelli, era il "tugurium faustoli", una capanna divenuta oggetto di venerazione che venne conservata, costantemente restaurata e rifatta durante tutta l’antichità, preziosa reliquia delle origini di Roma, tanto che Augusto vi fece edificare nei pressi la propria casa.

Una serie incredibile di coincidenze e corrispondenze che ci porta a credere seguendo le fonti antiche di trovarci di fronte alla mitica casa di Romolo dove si doveva trovare il “ lituus “ di Romolo il caratteristico bastone con l’estremità superiore ricurva attributo dei re e dei grandi sacerdoti, e nei cui pressi Romolo aveva fatto edificare la Curia Calabra, un luogo vicinissimo da cui riunire il popolo in ogni questione che volesse risolvere con il popolo e per il popolo. Popolo che contò sempre per Roma, anche durante la monarchia.


BIBLIO

- Luigi Pompili Olivieri - Annali di Roma, dalla sua fondazione sino a' di' nostri - Parte I, contenente gli anni av. G.C, vol. 1 - Roma - Tipografia Perego-Salvioni - 1836 -
- Furius Dionysius Filocalus - Cronica -
- A.Tighe - The Development of the Roman Constitution - D. Apple & Co. - 1886 -
- Gabriella Poma - Le istituzioni politiche del mondo romano - Bologna - 2009 -
- Biondo Biondi - Istituzioni di diritto romano - Ed. Giuffré - Milano - 1972 -






CURIA ACCULEIA


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ORATORIO DEI 40 MARTIRI (CURIA ACCULEIA)

Le attribuzioni di luogo e di edificio della Curia Acculeia sono molteplici:

1) - La Curia Acculeia viene menzionata da Varrone (LL. VI.23) come una località dove si celebravano le Angeronalia, e dove si offrivano sacrifici per tale festa, che venivano anche celebrate al sacellum Volupiae (Macrob. Sat. I.10.7; Hemerol. Praenest. ad XII Kal. Ian.).

2) - Secondo alcuni la Curia Acculeia era solo un altro nome del Sacellum Volupiae.

PLANIMETRIA
3) - Secondo altri invece si trattava di una non ben identificata struttura adiacente, che stava vicino al punto dove la Via Nova entrava al Velabro (HJ 45; RE IV.1821; Gilb. I.56‑58; II.104‑107).

Il 21 dicembre i pontefici, come riporta Macrobio, eseguivano un rito nel Sacello di Volupia, dove un'immagine di Angerona con la bocca imbavagliata era posta sull'altare del sacello. Nei Fasti (Prae. Maff. ) questo giorno è chiamato Divalia.

Plinio spiega la bocca imbavagliata come immagine del silenzio che deve essere mantenuto sul nome sacro di Roma e ciò deve essere inteso allo stesso modo dal grammatico romano Verrio Flacco in una nota dei Fasti Prenestini, sostiene che poichè il 21 dicembre è il solstizio d'inverno, ci si dovrebbero aspettare in questo giorno il culmine delle celebrazioni del nuovo anno.

Macrobio dice che Verrio Flacco derivò il nome di Angerona dalla sua capacità di disperdere "angores ac sollecitudines animorum". Aggiunge che Masurio spiega la sua presenza sull'altare di Volupia: "quod si suos dolores anxietatexque dissimulant perveniant patientiae beneficio ad maxima voluptatem "

4) - Secondo altre interpretazioni la Curia Acculeia fu semplicemente un recinto senza tetto, come la Curia Calabra, probabilmente una stazione augurale per l'osservazione di segni celestiali riferiti al solstizio.

INTERNI DELL'ORATORIO DEI 40 MARTIRI
5) - Varrone suggerisce una relazione tra la Curia Acculeia e Acca Larentia, la cui ricorrenza cade il 23 dicembre, due giorni dopo la festa del solstizio, e la cui tomba giace al Velabro presso la Porta Romana (Varro Ling.). Se il Sacellum Volupiae e la Curia Acculeia non erano identiche, i tre luoghi dovevano essere contigui, o vicini tra loro, come a grappolo, ai piedi del Palatino, appena a ovest di San Giorgio al Velabro, non necessitando di grande spazio.

Sembra che sia i Divalia che la Curia Acculeia fossero nomi ideati per nascondere il vero nome di Angerona, ammesso che questo fosse il suo vero nome. Se il suo bavaglio alla bocca aveva a che fare col nome segreto di Roma e la locazione del suo tempio giusto fuori la Porta Romana, ne consegue che possiamo considerarla come la protettrice della Porta.

6) - Al contrario Coarelli pone la Curia Acculeia vicino al Lacus Jugurtae. In effetti il Lacus Juturnae era luogo sacro e miracoloso In onore della ninfa Giuturna, a Roma e nel Lazio, si celebrava la festa Iuturnaria, per scongiurare la siccità. La fonte era tra i numerosi santuari dedicati alle divinità acquatiche dove si recavano gli ammalati per cercare beneficio nelle acque considerate medicamentose.

La parete di fondo dell' edicola di Giuturna infatti s' appoggia ad una sala con abside di buona opera laterizia, situata esattamente nell'asse della Nova Via. Si suppone trattarsi della Curia Acculeia, che in era cristiana fu trasformata in un oratorio dedicato ai Quaranta martiri. 
In quest'area la trasformazione in ampio piazzale pavimentato viene messa in relazione con la presenza della "tatio Aquarum" che si trovava nell'area già nel III sec.

L'edificio della Statio aquarum (ufficio degli acquedotti) si trovava nel Foro Romano tra la Fonte di Giuturna, il tempio di Vesta e la Casa delle Vestali, con strutture murarie di varie fasi, dalla tarda repubblica all'epoca di Costantino, e venne identificato grazie a due iscrizioni su un cippo reperito in una stanza dell'edificio.

L'edificio era decorato da varie statue, come quella di Esculapio ancora in sito (che ricorda forse la virtù medicamentosa delle acque), mentre un Apollo arcaicizzante è stato portato nell'Antiquarium del Foro. Il pavimento dell'interno dell'Oratorio è realizzato rozzamente utilizzando pezzi di marmi di vari colori, il che testimonia che qui e intorno vi fossero invece preziosi pavimenti in opus sectile.



7) - Secondo Fabiano Nardini il tempio rotondo di Ercole (o di Vesta):

 " Non è strano che fosse il Sacello di Volúpia di cui Varrone parlando della Porta Romanula - Qui habet Gradus in annuncio navalia Volupie Sacello que Nauali - il testo non voglia dire in Nova Via che dal Palatino si riguardavano altrove, esser stato possibile non necessario dir che fosse l' antico sbarco prima ch'al tempo d 'Anco Marzio fosse col Ponte Sublicio impedito alle navi arrivar tant'oltre.

Anzi assai dopo esservi durato lo sbarco de burchij ch'una seconda del fiume venivano prima che si fabricassero gli altri ponti non ê negabile. Se dunque l' annuncio Sacello Volupie si riferisce da Varrone ai Navali, parola più prossima, il Sacello è cosa facilissima fosse questa convenendo in quella della fabrica rotonda e corintia. Più ch 'annuncio altro Nume se il medesimo annuncio si riferisce alla Porta Il Sacello di Volúpia fu altrove.

Tra S Anastasio e S Teodoro dovumque si fosse nell'altare di questa Dea esser Stato il simulacro di Angerona fuit contraria scrive Macrobio nel Primo libro de Saturnali - Duodecimo Vero Feriae sunt Dive Angeronie cui Pontifices nel Sacello Volupie facrum faciunt quam Verrio Flacco Angeroniam dici ait quid Angares ac animorum sollicitudines propiciata depellat Mafurtui adjcit simulacrum eius Dee minerale obligato atque obsignato in air Volupie Praeterea collocatum quod qui suos dolores anxietatesque dissimulant perveniant patientie beneficio annuncio maximam voluptatem -

(Fabiano Nardini - Roma Antica - 1666)

DENARIO CON DIANA NEMORENSE (ACCA LARENTIA)

Giuturna - Acca Larenta - Acca Larenzia - Dea Lara - Angerona - Voluptas - Curia Acculeia

Ai piedi del Palatino, tra il Tempio di Vesta e quello dei Dioscuri, c'era una sorgente dedicata alla ninfa Giuturna.  Il gruppo dei Dioscuri ad essa correlati fu trovato in pezzi (dovuti a una furia depurativa cristiana) nella vasca della Fonte di Giuturna e poi ricomposto, databile tra la fine del II sec. e l’inizio del I sec. a.c.. 

Sui quattro lati vi sono raffigurati i Dioscuri, su un lato Giove e su un altro Leda, genitori dei gemelli, e davanti una figura femminile con fiaccola, che si suppone Giuturna. La statua di stile arcaizzante di Apollo in marmo greco, dell I-II secolo d.c., probabilmente decorava il vicino edificio dell’amministrazione delle acque e degli acquedotti (Statio aquarum).

Del punto dove sorgeva la fonte è visibile il bacino con al centro il calco dell’ara. Un’edicola sacra, probabilmente il tempietto dedicato a Giuturna, e l’edificio in mattoni della Statio Aquarum, in origine decorato da numerose sculture, completano il sito della fonte più importante a Roma in età arcaica. Dietro la parete dell'edicola sorgeva, a quanto dicono, la Curia Acculeia.

Il culto della Curia Acculeia e della Dea Acca Larentia (o Acca Laurentina) hanno in comune il nome di Publius Accoleius Lariscolus, magistrato monetario nel 43 a.c., che pose la testa di Acca Larentia su una moneta in corso. La testa di Acca richiama Accoleius e il nome Larentia richiama Lariscolus. E' possibile che Acculeia fosse un nomen derivato da Acca. Questo potrebbe spiegare il fatto che la Curia Acculeia effettuasse un sacrificio in onore di Angerona, Dea tutelare della stessa Roma, durante la Angeronalia.

MOSTRA DELLA FONTE DI GIUTURNA
Nella Curia Acculeia aveva luogo il sacrificio ad Angerona (Varrone) che altre fonti (Macrobio) ambientano nel Sacellum Piae Volupiae: per questo è probabile che Ara Volupiae e Signum Angeronale si trovassero all'interno della Curia Acculeia.

Ma quest'ultima prende probabilmente nome da Acca Larentia, ciò che obbliga legarne il culto a quelli di Volupia e di Angerona: si tratta ovviamente di un rapporto di carattere cultuale, oltre che topografico, risulta anche dalla posizione del sacellum Larundae (forse da identificare con la curia Acculeia) in cui Tacito riconosce l'angolo Acca Larentia, Larunda.

La connessione con Angerona era interpretata dagli antichi come una relazione tra “piacere” (voluptas), pertinente alla Dea Volupia, e “dolore” (angor), pertinente alla Dea Angerona. Sembrerebbe un inno al masochismo, ma è tutt'altro.

Questi miti sono tutti molto arcaici e preromani, che appartenevano a diversi riti italici. Volupia (Voluptas= sesso) e Angerona erano il duplice volto della Dea della vita e della morte. Angerona custodiva il segreto della morte, evidentemente retaggio di un antico culto misterico.

Acca Larentia, antica Dea Lupa, era connessa alla prostituzione sacra e alla morte e rinascita. Anche qui la sessualità, produttrice di vita, era connessa con la morte. Lara o Larenta o Larunda, madre dei Lares, era una Dea degli inferi, e quindi connessa ad un rito ctonio e segreto.

Ma c'era anche la Dea Muta o Tacita, Dea degli inferi che presiedeva ai culti funebri intesi come trapasso da ciò che è semplicemente morto a ciò che diviene sostegno per nuova vita. E’ dal rito propiziatorio alla Dea Tacita che è nata la tradizione delle fave dei morti, i dolci che in molti paesi vengono preparati e mangiati durante le annuali feste dei morti.

La fava era sacra in quanto una volta aperto il baccello questo moriva e ne usciva invece il seme della nuova vita, che era commestibile ma pure interrbile come seme per la pianta. Insomma era un simbolo di reincarnazione.

La Dea Tacita si poneva il dito sulle labbra intimando il silenzio, oppure era imbavagliata come Angerona. Si sa, i culti nei tempi si trasformano per adattarsi ai nuovi tempi, ma a cercar bene si ritrovano le loro origini sacre e molto antiche.

La Curia Acculeia doveva accogliere queste antiche divinità ctonie adorate nei diversi luoghi e in età diverse sotto diversi nomi. La gente si raccoglieva in loro nome per riconoscersi e applicare la giustizia o prendere decisioni ispirate dalla Dea della vita e della morte.


BIBLIO

- Marcus Terentius Varro - De Lingua Latina -
- Giulia D'Angelo and Alberto Martín Esquivel - "P. Accoleius Lariscolus (RRC 486/1)" - Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica - vol. 58 - 2012 -
- Alberto Martín Esquivel, Giulia D'Angelo - "Un cuño romano republicano de P. Accoleius Lariscolus" - Nvmisma. Revista de estudios numismáticos - Año LXIV - 2014 -
- Carlo Prandi - Mito in Dizionario delle religioni - a cura di Giovanni Filoramo - Torino - Einaudi - 1993 -
- U. Lugli - Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico - ECIG - Genova - 1996 -



AEDES OPIS ET SATURNIS


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VICUS IUGARIUS

"Aedes Opis, et Saturni" nel Vico Giugario o Jiugario; ovvero, Aedes Saturni nel Foro Romano, la quale servì ancora al Publico Erario. Il Vico Jugario corrisponde, insieme alla via della Consolazione, all'antico "vicus Jugarius" dove c'era un altare di "Iuno Iuga", ossia "Giunone" che univa in matrimonio ("iungere") oppure dalle botteghe di costruttori di gioghi ("iuga") per i buoi in relazione al vicino Foro Boario.

« Si dice che Opi sia moglie di Saturno
Tramite lei si esplica la terra,
poiché la terra distribuisce tutti i beni al genere umano. »

(Sesto Pompeo Festo, 203:19)


Ad Opi furono dedicati due santuari, uno sul Campidoglio e l'altro nel Foro, e in suo onore si celebravano le feste degli Opiconsivia il 25 agosto e degli Opalia il 19 dicembre.
Alla sua protezione era affidato il grano mietuto e riposto nei granai. È raffigurata con una cornucopia, con del grano o con uno scettro.

Il tempio di Saturno nel Foro Romano venne consacrato sotto il consolato di Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio Augurino nel 497 a.c.,ed è il più antico luogo sacro di Roma dopo il Tempio di Vesta e quello di Giove. 

I due templi, di Opi e di Saturno sul Campidoglio, erano piuttosto vicini e condividevano l'aedes, detta appunto "Aedes Opis et Saturnis", con un'ara sacra su cui si svolgevano sacrifici annuali e misteriosi.



CATENE O BENDE

Secondo il mito romano, quando Saturno fu spodestato dal figlio Giove, fu esiliato in Ausonia, cioè nel suolo italico e, accolto dal Dio Giano, avrebbe fondato le mitiche città saturnie. Insegnò l'agricoltura alle genti del luogo portando pace e giustizia. Per i suoi molti meriti avrebbe ricevuto una parte del regno di Giano, cui conferì anche il dono della preveggenza.

Saturno resterà l'unico a regnare dopo la morte e la divinizzazione di Giano, ed ebbe la sua dimora in Campidoglio e c'era un tempio in cui la sua statua era avvolta in catene perché i Romani non volevano che lasciasse mai Roma, oppure perché si ricordava così il periodo in cui Zeus lo aveva imprigionato.

Sede del tesoro di stato, il tempio conteneva una statua di Saturno che le fonti antiche riferiscono fosse velata e con in mano una falce, inoltre era cava e interamente riempita di olio. Se era cava è ovvio fosse in argilla, quindi probabilmente etrusca. Aveva inoltre le gambe legate con bende di lana, sciolte solo in occasione dei Saturnali. Saturno era detto Saturnus pater in Lucilio (framm. 21 Marx) e in talune iscrizioni; nel carme dei Sali è scritto: "qui deus in Saliaribus Saturnus nominatur", (Fest., p. 432)

Durante i Saturnalia, le festività che si tenevano dal 17 al 23 dicembre, le bende venivano tolte, si teneva un banchetto pubblico, il gioco d'azzardo era ammesso;  l'ordine sociale basato su padroni e schiavi veniva sovvertito e i padroni  servivano i loro schiavi a tavola, e la festa terminava al grido di "Ego Saturnalia" (Io Saturnalia).

Durante i sette giorni dei festeggiamenti più famosi di Roma, si compiva un rito su un antichissimo altare, posto sempre nell'Aedes Opis et Saturnis, da collegare, secondo la tradizione, alla mitica fondazione della città sul Campidoglio da parte di Saturno. 

Il culto prettamente urbano di Saturno si unì a quello di Crono, si che per sfuggire al figlio Giove si rifugiò nel Lazio risalendo il Tevere fino al Gianicolo. Qui avrebbe incontrato Giano, da cui fu bene accolto, per stabilirsi sulla sinistra del fiume, alle radici del Campidoglio (Saturnia) dove poi sorse il suo tempio. Qui il Dio insegnò agli uomini l'agricoltura togliendoli alla pastorizia vagante (Varr., De re rust., III, 1, 1,5)

Qui si legò alla Dea Opi con cui condivise un aedes sacro: l'AEDES OPIS ET SATURNIS

SATURNALIA

LE BENDE

Le bende poste sulle gambe è il divieto di andare liberamente, il cammino ostacolato. Tolte le bende ci si poteva scatenare sovvertendo ogni regola, un po' come se si libera la mente e si lascia posto all'istinto. Dunque i Saturnalia servivano a scatenarsi, cioè togliersi le catene. Non a caso si riferisce che La sua statua avesse anche delle catene.



IL VELO

Si narra che la statua di Saturno oltre ad avere le bende sulle gambe fosse totalmente coperta da un velo. Era l'indicazione misterica da scoprire, come a dire che occorreva interpretare la statua del Dio, non tutto di quel Dio era stato svelato, e solo gli arditi potevano sollevare quel velo.



L'OLIO

L'olio era ovviamente quello delle lampade, da cui si attingeva durante le feste per proseguire in notturno, quando il sole non forniva più luce. Le feste notturne terminavano quando fosse terminato l'olio per le lampade, almeno in epoca più arcaica, perchè in seguito le feste furono stabilite nella data e nella durata.



EGO SATURNALIA

Come dire: "IO SONO I SATURNALI". cioè lo scatenamento degli istinti, i Saturnalia, sono parte di me, è il Saturno liberato da bende e catene. E' evidente che anticamente i Saturnalia avessero un culto misterico che gli iniziati dovevano interpretare. Per gli altri uomini era invece soltanto una festa.

ARA SATURNI

IL FALCETTO

Saturno era dotato di un falcetto che mieteva grano... e vite umane. Era il Dio della Morte, ma questo era il significato del lato misterico-iniziatico, ignorato dai più. Togliere le bende, cioè la mente, faceva scoprire la bellezza dell'istinto e la temutissima morte. 

L'accettazione della morte da parte di un romano era basilare, perchè egli era anzitutto un combattente. Chi non temeva la morte non era solo un buon legionario ma era un eroe, e come tale salutato e rispettato da tutti.



POI C'ERA OPI

Opi era la natura, provvida di frutti che sostentava tutte le creature, che le faceva nascere, crescere e morire. Lei era eterna perchè si riciclava continuamente, nella vita e nella morte. Questi erano i significati reconditi dei Sacri Misteri di Saturno e di Opi, dell'uomo e della natura. Dell'uomo che nasce, cresce e muore in essa, e che in essa rinasce, nell'eterno ciclo della vita,
Questa era la misterica sacralità dell'"Aedes Opis, et Saturni", per chi era in grado di intenderla.



RODOLFO LANCIANI
1528. AEDES SATVRNI. 

« Pirro Ligorio ricorda la seguente scoperta. Cavandosi nel V anno del ponteficato di papa Clemente VII sotto la rupe Tarpeia in capo del vico lugario furono trovate alcune colonne di Travertino striate et stuccate dell'ordine corinzio non tagliati come sogliono essere le fronde dell'acanto, ma erano li suoi capitelli sodi et garbatamente fatti et con esse furono trovate due tavole di bronzo scritte donate dal cardinale Hippolito de Medici al cardinal della Valle, e venute per eredità in casa de Crapanchi gentilhuomini romani ma a proposito nostro havemo cavate quelle poche parole che sono scritte nel fine della IIXX tavola delle XX questorie, perchè dice esser fissa nella Aede di Saturno nel muro contrasignato nella pianta ivi ad aedem Saturni in pariete intra caucas proxime ante hanc legem. 

Così dunque questa tavola era nella aede di Saturno et questa parte che in quell'hora si cavò è nella parte di dietro nella chiesa di san Salvatore in Astatera sotto la Rupe capitolina. Questa fu la prima cognitione di esso tempio. Dopo sotto del ponteficato di papa Paulo IV, cavandosi dall'altra parte della suddetta chiesa incontro dell'Hospedale di Santa Maria in portico, e avante la chiesa di san Salvatore appunto sotto il colle dove soprastava la Rocca capitolina in vico lugario, furono trovate altre memorie del portico di esso tempio di ordine esastilo ciòè di sei colonne di sasso Travertino stuccate et striate e corinzie come erano quelle ch'erano dentro il tempio.  

Oltre alle memorie de fragmenti che sono trovati di questo tempio delle colonne et de muri havemo vedute alcune rovine delle finestre che havea sopra delli nicchi ch'erano intra le colonne et havea i suoi lumi nei fianchi " .. La lex Antonia de Thermessibus, incisa in lastra di bronzo nell' anno u. e. 683, è stata di fatto " reperta Romae ad Tarpei radices in Saturni ruinis » e fu di fatto posseduta da Camillo Capranica nella seconda metà del cinquecento. Similmente la lex Cornelia de xx quaestoribus, di dieci anni anteriore alla precedente, è cosi descritta nelle schede fiorentine del Borghini: « tabula ahenea clavis olim parieti adfixa reperta Romae in ruinis aedis Saturni ad Tarpei mentis radices ». 



ARA DI SATURNO

Situata a fianco del pilone meridionale dell'Arco di Settimio Severo, si può notare a fianco dell'Umbilicus Urbis una tettoia moderna che copre un'area per il culto intagliata in parte nella roccia viva e completata con blocchi di tufo romano. Questo luogo è stato identificato con l'Ara di Saturno, databile intorno al VI secolo a.c., costruzione che ha anticipato lo stesso tempio dedicato alla divinità.

Secondo vari autori tuttavia, le fondamenta di pietra non sarebbero dell'Ara di Saturno, ma del Volcanal, ovvero dell'Ara di Vulcano. La cosa è ancora oggetto di dibattimento.


BIBLIO

- Macrobio - I Saturnali - a cura di Nino Marinone - Unione Tipografico-Editrice Torinese - Torino - 1967 -
- Eric Orlin - Temples, Religion, and Politics in the Roman Republic - Brill - Dea Store -
- F. B. Sear - "Architettura Religiosa" - sezione Diane Favro - et al. "Roma, antica." - Oxford University Press - 2016 -
- Virgilio, Eneide -VIII - traduzione di Luca Canali -
- Angelo Brelich - Tre variazioni romane sul tema delle origini - Roma - Editori Riuniti university press - 2010 -




 

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