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FESTA DI CONCORDIA (16 gennaio)


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DEA CONCORDIA

Il 16 gennaio nell'Impero romano si festeggiava la Concordia, Dea dell'accordo sia pubblico che privato. La Dea era onorata in un tempio situato all'estremità occidentale del Foro Romano, affiancato al tempio di Vespasiano e Tito e, col lato posteriore, appoggiato sulla sostruzione del Tabularium presso cui si conservavano gli archivi pubblici di Stato. Secondo alcuni fu u un esempio di culto ad una personificazione e non ad una divinità, la Concordia, che avrebbe avuto in seguito numerosi altri esempi.

Secondo altri fu invece la riedizione romana della Dea greca Harmonia, da cui deriva la parola "Armonia", con lo scopo di portare appunto concordia e comprensione tra la gente. Figlia di Giove e di Temi e quindi sorella della Pace, presiedeva alla unione delle famiglie, dei cittadini e delle case, pertanto aveva a Roma un culto sia pubblico che privato. Venne spesso rappresentata come una matrona in posizione seduta che reggeva un ramo d'olivo e la Cornucopia, sovente in mano della Dea Fortuna.
Il tempio principale, nel Forum, fu dedicato da Furius Camillus nel 367 a.c., per celebrare il termine degli scontri tra i patrizi e i plebei, Un altro tempio in Capitolium era stato costruito da L. Manlius nel 216 a.c. per la fine di una ribellione nella Gallia Cisalpina.

A volte la Dea è raffigurata fra due membri della famiglia Imperiale in carica nell'atto di stringere loro la mano, come la concordia tra Augusto e Livia. L'identificazione del tempio è testimoniata dalla sua rappresentazione in un frammento della Forma Urbis severiana dove esso è raffigurato accanto a quello vicino di Saturno.

Il culto della Dea Concordia venne sancito con l'edificazione del suo primo tempio nel 367 a.c. ad opera di Lucio Furio Camillo, figlio del dittatore, che lo volle per commemorare la avvenuta riconciliazione tra patrizi e plebei, conclusesi in quell'anno grazie alla promulgazione delle leggi Lacinie Sestie caldeggiate da Furio. Venne poi ricostruito nel 121 a.x. da Lucio Opimio, console appunto nel 121 a.c., per il ritorno all'armonia dopo l'omicidio dei Gracchi.

Il tempio era stato costruito su di un alto podio, addossato al Tabularium, ai piedi del colle Capitolino, dovendo assecondare la conformazione del luogo. Il tempio di età repubblicana era più piccolo di quello ricostruito in età imperiale: originariamente infatti misurava 15x25 m. Una volta ricostruito, la cella del tempio, a pianta trasversa, era quasi due volte più larga che profonda (m 45 per 24), così come il pronao che la precede, che doveva essere probabilmente formato da una gradinata e da sei colonne corinzie sulla facciata.

La cella era illuminata da due finestre sul lato lungo anteriore che assicuravano la visuale delle opere lì conservate. Il tempio venne usato come archivio di Stato durante l'epoca repubblicana e per le riunioni del Senato romano, particolarmente nei tempi di disordini civili: qui Cicerone pronunciò la quarta Catilinaria e qui il Senato varò la condanna a morte per Seiano.

TEMPIO DI CONCORDIA A ROMA


Sappiamo che verso la fine del 211 a.c., la statua della Vittoria, posta nel punto più alto del tempio, venne colpita e abbattuta da un fulmine e restò ancorata alle altre statue della Vittorie, poste ad ornamento, senza cadere dal tetto, il che apparve come un segno della perpetua vittoria romana sui popoli stranieri.. Infine nel regno di Augusto venne di nuovo restaurato da Tiberio tra il 7 a.c.. e il 10 d.c., anno in cui rivenne consacrato. Scrive infatti Svetonio:
«Dedicavit et Concordiae aedem, item Pollucis et Castoris suo fratrisque nomine de manubiis.» «Con il ricavato del bottino di guerra restaurò il tempio dedicato alla Concordia, così come fece per quello di Castore e Polluce, a nome proprio e di suo fratello.» (Gaio Svetonio Tranquillo - De vita Caesarum - Tiberio)

Questo restauro su distinse per la ricchezza dei marmi, per gli ornamenti architettonici, per la bellezza delle sculture greche, per la maestria degli affreschi, per le stoffe preziose, le incastonature e le dorature, si da diventare una specie di museo dell'arte e della scultura, tanto che Plinio il Vecchio ha scritto e tramandato un vero catalogo delle opere in esso contenute, soprattutto delle statue greche di epoca ellenistica.

Fu in questo periodo che venne ingrandita la sua cella, sfruttando lo spazio della basilica Opimia, demolita per l'occasione, una delle tre basiliche di epoca repubblicana, assieme alla basilica Porcia ed alla basilica Emilia (quest'ultima è l'unica sopravvissuta)..

Si conosce poco del tempio di Concordia in epoca imperiale, che dovrebbe aver subìto un restauro a seguito di un incendio nel 284. Anche se fosse stato ancora in uso, il tempio non fu sicuramente più utilizzato dopo la promulgazione dell'Editto di Tessalonica nel 280 ad opera di Teodosio, che proclamò il cristianesimo religione di Stato e proibì tutti gli altri culti pagani, sancendo l'inizio di un periodo di feroci persecuzioni contro i seguaci dell'antica religione romana.

Nonostante l'avvento del Cristianesimo, il tempio non fu per il momento distrutto, ma rimase inutilizzato. L'ultimo riferimento all'edificio risale all'VIII secolo, quando sebbene risultasse pericolante e in pessime condizioni, sulla facciata conservava ancora l'iscrizione S. P. Q. R. aedem Concordiae vetustate conlapsam in meliorem faciem opere et cultu splendidiore restituerunt.

Venne definitivamente raso al suolo solo intorno al 1450, quando il cristianesimo cercò di cancellare i resti del demonizzato paganesimo, e i suoi marmi preziosi e le sue statue vennero trasformati in calce viva, per la costruzione di nuovi edifici. Venne così distrutto un patrimonio di arte e di bellezza unico al mondo.



I RESTI

Del tempio resta solo il basamento in tufo, il podio e la soglia della cella, formata da due blocchi di marmo di portasanta nei quali è inciso un caduceo, oltre ai gradini che conducevano al pronao. Una parte della ricchissima trabeazione si trova conservata nel Tabularium, mentre un capitello (con una coppia di montoni scolpita), si trova nell'Antiquarium Forense.

TEMPIO DI CONCORDIA A ROMA

LA FESTA

Salus Publica, Concordia et Pax era una festa celebrata il 30 marzo in onore appunto di Salus Publica Populi Romani, Concordia et Pax, divinità della salvezza dello Stato romano, della concordia dei cittadini e della pace. L'imperatore Augustus nel 10 a.c. fece erigere un altare davanti al tempio della Concordia, sul quale si svolgeva ogni anno la celebrazione.

A lui andava il merito e gli onori di aver portato la pace al popolo romano, ma sempre con il principio del "Si vis pacem para bellum" (se vuoi la pace prepara la guerra), risalente ad un passo delle Leggi di Platone e che sembra fosse cara anche ad Augusto. Ma il 16 gennaio si onorava solo la Dea Concordia, quella privata, delle famiglie e dei parenti. Infatti non solo si festeggiava al tempio ma soprattutto nelle case, un invito alla riconciliazione e alla serenità familiare.

Per l'occasione si invitavano amici e parenti, con particolare riguardo a quelli con cui si era avuto dei diverbi; rifiutare l'invito alla festa della Concordia era come inimicarsi la Dea con conseguenze anche sulla salute e sulla fortuna, pertanto difficilmente si reclinava l'invito. Naturalmente ci si scambiavano piccoli doni come dolci e in particolare quelli con i pupazzetti tipo marzapane a foggia di sposi o di amici in armonia.

Si dava particolare rilievo ai vini che si sa aiutano a dimenticare le offese, con ripetuti brindisi, codificati nel numero e nelle parole che li accompagnavano. Per quanto i romani tagliassero i vini con l'acqua in nome della famosa continenza proverbialmente romana, gli animi si lasciavano un po' andare però con il consenso della Dea amante della concordia e delle riconciliazioni.


BIBLIO

- C. Gasparri - Aedes Concordiae Augustae - Roma - 1979 -
- B.A. Kellum - The City Adorned: Programmatic Display at the Aedes Concordiae Augustae - in: K.A. Raaflaub - M. Toher (Hrsg.) - Between Republic and Empire - Berkeley - 1990 -
- A.M. Ferroni - Concordia, aedes - in: E.M Steinby (Hrsg.) - Lexicon Topographicum Urbis Romae - I - 1993 -


FESTIVITA' DELLA DEA IUSTITIA (8 Gennaio)


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8 Gennaio - IUSTITIAE - FESTA DELLA DEA GIUSTIZIA

« Visse ai tempi dell' Età dell'oro degli uomini ed era il loro capo. A causa della sua integrità ed imparzialità fu denominata Giustizia ed a quel tempo nessuna Nazione straniera era impegnata nella guerra, nessuno ancora navigava sopra i mari, ma tutti si godevano le loro vite ché si preoccupano per i loro campi. Ma gli uomini che vennero dopo, cominciarono ad essere meno osservanti al dovere e più avidi, di modo che la Giustizia si accompagnò più raramente con gli uomini. Infine il male diventò sì estremo, durante l'Età del Bronzo, che Ella non poté resistere oltre; e volò tra le stelle »
(Igino Astronomo - Astronomica)

Sembra che si trattasse di un'antichissima Dea dell'età dell'oro, quando nessuna nazione era impegnata nella guerra, nessuno ancora navigava sopra i mari, ma tutti si godevano le loro vite e si preoccupavano dei loro campi. Infatti la Iustitia romana non è tanto equivalente alla Temi Greca, quanto a Diche anche detta Astrea che ebbe appunto una parte nella leggenda dell'Età dell'oro. Era il regno della Giustizia e della Buona Fede, quando gli Dei vivevano accanto ai mortali. Spesso fu associata alle Dee Fortuna, Virginia o Virgo.

Esiodo, ne "Le Opere e i Giorni", racconta che all'inizio, nel periodo in cui regnava Crono, c'era una "razza d'oro". Gli uomini vivevano ancora come gli Dei: non invecchiavano e godevano la vita tra banchetti e feste. Giunto il tempo di morire si addormentavano dolcemente. Non dovevano lavorare ed i beni appartenevano a tutti. Vivevano dell'abbondante raccolto offerto dalla terra e non facevano guerre. Giovenale affermava che un tempo “nessuno temeva ancora i ladri” e la gente viveva “senza chiudere l’orto”. Ci si nutriva di legumi e di frutti, senza uccidere animali.


La Iustitia romana (Dea Giustizia) era una delle Ore ma, pure essendo più mite della greca Temi che puniva le ingiustizie, era spesso bendata per cui non del tutto affidabile nella sua "giustizia", oltre tutto armata di bilancia e spada, ma ebbe come attributi pure la cornucopia e lo scettro. Venne poi sostituita da divinità successive soprattutto maschili.

Anche Vesta lasciò cortesemente il posto a Mercurio, ma perchè gli Dei cambiarono di importanza. Ma gli uomini che vennero dopo, cominciarono ad essere meno osservanti al dovere e più avidi, di modo che la giustizia si accompagnò più raramente con essi. Infine stanca dei misfatti dei mortali, durate l'Età del Bronzo, si trasferì in cielo diventando la costellazione della Vergine.

Con il regno di Zeus, età del ferro, scomparve la razza dell'età dell'oro e gli uomini divennero autori di ogni empietà: "Victa iacet pietas, et Virgo caede madentes, ultima caelestum, terras Astraea reliquit" "Vinta giace la pietà, e la vergine Astrea lascia, ultima degli Dei, la terra madida di sangue". (Ovidio).
La sua figura venne poi assorbita nel cattolicesimo nell'arcangelo Michele armato di spada.


La festa della Dea Iustitia, ricorrente ogni 8 gennaio, era un'esortazione a non colpire chi la onorava o a colpire chi aveva nuociuto all'orante che si riteneva essere nel giusto. Durante la festa le si offrivano primizie e vino, tutti prodotti vegetali, a ricordo probabilmente dei tempi più antichi, quando c'era il divieto di uccidere gli animali.

Era obbligatorio partecipare alla festa e alla cerimonia per rendere omaggio alla Dea se si riteneva di essere persone che agivano secondo giustizia e soprattutto se chiedevano giustizia ritenendo di aver subito ingiustizia. In onore della Dea erano stati costruiti altari e templi, che con il tempo vennero poi distrutti.

L'immagine della Dea veniva portata in processione e ricollocata al suo tempio arricchita di sciarpe, collane, stoffe ed altri donativi effettuati dalla popolazione. Nelle case si effettuavano ricchi banchetti dove si brindava col vino alla Dea, che in questo caso fungeva anche come Dea della buona fortuna, insieme a parenti ed amici ritenuti retti secondo i crismi della Dea Iustitia.


BIBLIO

- Eric Havelock - Dike. La nascita della coscienza - Bari - Laterza - 1983 -
- Anna Jellamo - Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo - Roma - Donzelli - 2005 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Publio Ovidio Nasone - Le Metamorfosi - I -


AUGUSTALIA ( 2-12 Ottobre )


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Le Feste Augustalia andavano dal 2 al 12 di ottobre di ogni anno, in onore di Augusto. Il 2 era il I giorno di festa dell'imperatore. Vennero stabilite a ricordo del ritorno trionfale dell'imperatore Augusto dall'Oriente il 12 ottobre del 19 a.c. Ebbero anche il nome di Ludi Divi Augusti et Fortunae Reducis. Li organizzava il praetor peregrinus. I Ludi, detti anche Augustales (Giochi di Boville) erano l'insieme delle celebrazioni volute da Tiberio per onorare la memoria del padre adottivo Augusto e celebrare la Gens Iulia.

Il luogo simbolico, in cui si officiavano le celebrazioni, era infatti la città di Bovillae, identificata con la frazione di Frattocchie del comune di Marino nei Castelli Romani, località alla quale era ascritta l'origine della Gens Iulia.

- 2 ottobre - Augustalia -
Era il I giorno di festa dell'imperatore. Ebbero anche il nome di "Ludi Divi Augusti et Fortunae Reducis" giochi pubblici di corse di carri, di cavalli, di gare di atleti, di danze e canti. Il I giorno comunque era la festa inaugurale aperta soprattutto dai sacerdoti che immolavano la vittima sacrificale per onorare gli Dei a cui venivano rivolte diverse preghiere a salvaguardia del popolo romano e del suo imperatore.

- 3 ottobre - Augustalia -
I giorni andavano dal 2 al 12 di ottobre in onore di Augusto. Era il II giorno di festa dell'imperatore. i politici e soprattutto gli oratori si mostravano alla folla e tenevano discorsi, i politici per venire eletti dal popolo a qualche carica e gli oratori per venire assunti in qualità di avvocati per difendere o accusare qualcuno, in questo caso mostravano le loro capacità oratorie per farsi pubblicità.

- 4 ottobre - Ieiunium Cereris - 
- ( o Mundus Cereris) in onore di Cerere.  Venne istituita nel 191 a.c. (566 a.u.c.) su indicazione dei Libri Sibillini. " Anno a.c. CXCI libri Sibylini iusserunt quinto quoque anno in honorem Cereris ieiunium fieri. Nemini eo die aliquid edere licebat. " In questo giorno s'interrompeva la festa dell'imperatore perchè non si poteva confondere il mondo dei vivi col mondo dei morti, quindi non si festeggiavano insieme i vivi e i morti, perchè si rischiava di creare passaggi proibiti con conseguenti sconfinamenti tra i due mondi creando una insanabile rottura degli equilibri.

- 4 ottobre - Augustalia -
- dal 2 al 12. in onore di Augusto, era il III giorno di festa dell'imperatore. Iniziavano le gare e le scommesse dei romani, Nei circhi passavano i venditori di focacce, di carne secca, di olive, di lupini (di cui i romani erano ghiotti), di datteri, di biscotti, e di bottiglie di birra.

I LUDI

- 5 ottobre - Mundus  Patens  -
- Uno dei tre giorni in cui era aperto il Mundus Cereris. Era la  seconda festa degli Dei inferi. Le feste delle Augustalia venivano sospese, come qualsiasi altra festa, ma i templi e la città rimanevano addobbati per la festa di Augusto, inoltre la città pullulava di stranieri e di bancarelle che vendevano di tutto, dal cibo agli scialli, alle borse e ai cappelli per il sole.

- 5 ottobre - Augustalia -
Era il IV giorno di festa dell'imperatore, in genere prima delle corse dei cavalli si esibivano danzatori e soprattutto danzatrici vestiti di veli e poco più tra i fischi e le ardite parole gridate ai giovani di entrambi i sessi. I romani non si vergognavano dei loro istinti omosessuali. 

- 6 ottobre - Dies Ater, Manibus Sacer -
Ancora un giorno triste, ma sacro, perchè sacro Ai Mani. Venivano offerti cibi ai morti che potevano mettesi in comunicazione coi vivi, magari mandando presagi. Le feste delle Augustalia venivano sospese, come qualsiasi altra festa, ma i templi e la città rimanevano addobbati per la festa di Augusto. I parenti si invitavano reciprocamente ai banchetti e nelle domus venivano lasciati aperti i cancelli perchè i vicini o altri potessero ammirare il sontuoso banchetto e le ricche portate, tanto che poi fu proibita tale ostentazione

- 7 - 8 - ottobre - Augustalia -
Era il V e il VI giorno di festa dell'imperatore; le gare, o Ludi, continuavano e la gente vi si recava anche per incontrare altra gente, tutti si riversavano nelle strade e nei circhi, chiacchierando e scambiandosi inviti, i romani lavoravano poco e metà dell'anno era vacanza, per cui si socializzava molto, nelle terme, per le strade ma soprattutto durante queste feste dedicate solo al divertimento.

- 9 ottobre -Templum Apollinis Palatini - 
- Era il VII giorno di festa dell'Imperatore, ma pure la Festa in onore di Apollo, ricorrenza della dedicatio del tempio di Apollo sul Palatinus avvenuta nel 28 a.c.. La costruzione del tempio era stata promessa dall'imperatore Augustus nel 36 a.c. durante la campagna contro Sextus Pompeius. 
Festeggiandosi la dedicatio si festeggiava pertanto anche il dedicante, cioè Augusto, nonchè il Dio Apollo che era la divinità prediletta di Augusto, la festa ben si accordava con gli Augustalia che si festeggiava in contemporanea. VIII giorno di festa dell'imperatore.


- 9 ottobre - Felicitas - 
Contemporaneamente alla Festa Templum Apollinis Palatini ricorreva anche la Festa in onore della Dea Felicità. Essendo la "Felicitas Augusta" la giusta conseguenza dei tempi di pace e prosperità portati dall'Imperatore Ottaviano, la sua festa si univa a quella della Felicitas che ne aumentava il gaudio. 

- 9 ottobre - Veneris Dies -
- Si celebrava la festa di Venere come apportatrice di fertilità e gioia. Ma non solo la Dea portava prosperità ma era anche la protettrice della Gen Iulia, la gens di Cesare e pertanto di Augusto e pertanto di Tiberio suo figlio adottivo e successore. Non a caso veniva anche aperto il Tempio di Venere e Roma con la statua del divo Cesare. 

- 10 ottobre - Augustalia -
Ancora gare di atleti e di cavalli in onore di Augusto, da cui il nome Augustalia. Era il IX giorno di festa per L'Imperatore, si stringevano nuove amicizie e nascevano nuovi amori, ma pure  incontri utilitaristici con persone influenti o con nuovi clienti da cui farsi votare. 
La gente sfoggia abiti e gioielli. Orazio non vede di buon occhio gli uomini che si fanno bordare d'oro la clamide o che indossino anelli d'oro, e Plinio, andando poi di moda le stoffe leggere, non poco si scandalizza perchè le donne appaiono nude tanto le stoffe sono trasparenti. Insomma la festa è una passerella per farsi ammirare e fare nuovi incontri.

- 11 ottobre - Meditrinalia - 
Festa in onore di Giove. E' una festa dedicata alla lavorazione del vino, non è mai citata una Dea che si chiami Meditrina. Tuttavia si tratta di una festa già in disuso ai tempi di Varrone e nominata poi di nuovo solo ai tempi della riforma di Augusto.
L'antica Dea era infatti Trina, tre Dee in una: la Dea che dà la vita, quella che nutre e quella che dà la morte. Il vino era legato al nutrimento per cui alla Dea centrale della divinità. Pertanto la Festa della Dea Tellus era stata trasformata in festa di Giove, ma sempre al nutrimento alludeva, anche se il vino più che un nutrimento è la consolazione dei mortali ai loro affanni. Era il X giorno di festa dell'imperatore.


-  11 ottobre - Vinalia - 
- Festa con degustazione del mosto. XI giorno di festa dell'imperatore, tutti assaggiano i nuovi vini e degustano i cibi. Le strade si riempiono di gente con non pochi avvinazzati ma gli schiavi fanno attenzione a che nessuno disturbi i propri padroni, ma siccome non tutti hanno gli schiavi scoppiano subbugli e ogni tanto compaiono i vigiles che rimettono a posto rudemente i disturbatori.

- 12 ottobre - Augustalia -
- dal 2 al 12. in onore di Augusto. Giorno di chiusura della festa dell'imperatore. Compaiono gli organizzatori della festa con canti e musica, si eseguono le premiazioni dei vincitori con denaro e ricchi doni. L'imperatore è comparso sul palco del circo per ricevere il plauso della folla che in questo caso non manca perchè la festa con spettacoli e gare è del tutto gratuita e dipende dal volere dell'imperatore. L'ultima invocazione la fanno i sacerdoti agli Dei perchè proteggano Roma e ne amplino il potere nel mondo. 
Al tramonto è tutto finito.


BIBLIO

- H.H. Scullard - Festivals and Ceremonies of the Roman Republic - London - Thames and Hudson - 1981 -
- Adriano La Regina - Circhi e ippodromi. Le corse dei cavalli nel mondo antico - Roma - Cosmopoli - 2007 -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - II -
- W. Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic: An Introduction to the Study of the Religion of the Romans - London - Macmillan and Co. - 1899 -
- Columella - De re rustica -
- Plinio il Vecchio - De Naturalis Historia - XII-XIX libro -
- Storia naturale del vino - Ian Tattersall, Rob Desalle -



LUDI ROMANI (4 - 19 Settembre)


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I Ludi Romani, detti anticamente Ludi Magni, vennero istituiti da Tarquinio Prisco per festeggiare la conquista della città di Apiolae, una cittadella dei Latini distrutta dal re di Roma e localizzata a Castel Savello, tra Pavona e Albano Laziale. sebbene altri autori ne indichino come festeggiamento la vittoria sui Latini nella battaglia del Lago Regillo (496 o 499 a.c.).

La festività iniziava il 4 settembre con i “Ludi Scaenici”, ovvero degli spettacoli teatrali che vennero portati a Roma soltanto nel 300 a.c., introdotti per la prima volta per rendere omaggio agli Dei e placare la loro ira, che aveva scatenato una pestilenza. Ma solo nel 366 si ripeterono con una cadenza annuale.
Dal 347 a.c. furono organizzati dagli aediles curules, dei magistrati patrizi.

I giochi si svolgevano in ambiti diversi, presso i templi, i teatri e presso i circhi, di solito i giochi nel circo duravano dal 15 al 19 settembre. Il Cronografo del 354, un calendario illustrato per l'anno 354, opera del calligrafo Furio Dionisio Filocalo e offerto a (o commissionato da) un aristocratico romano di nome Valentino, invece riporta questi giochi dal 12 al 15 settembre.



LA DURATA

La durata dei giochi è controversa:

- Inizialmente i Ludi Romani duravano un giorno solo
- Un secondo giorno fu aggiunto per celebrare l'espulsione dei re da Roma, nel 509 a.c.,
- Un terzo giorno fu aggiunto per la pace ottenuta dopo la secessio plebis del 494 a.c.
- Dal 191 al 171 a.c. ebbero una durata di dieci giorni,
- Poco prima della morte di Gaio Giulio Cesare sembra durassero quindici giorni, dal 5 al 19 settembre.
- Dopo la morte di Cesare fu aggiunto un ulteriore giorno, probabilmente il 4 settembre, in quanto Cicerone afferma che passavano 45 giorni tra i Ludi Romani e i Ludi Victoriae Sullanae del 26 ottobre, per cui il 19 settembre era l'ultimo giorno dei Ludi Romani.
- Sotto Augusto si svolgevano in onore di Juppiter, e si tennero al Circo Massimo inizialmente dal 12 al 14 settembre.
- In seguito furono estesi dal 4 al 19 settembre. Fu in occasione dei Ludi Romani che per la prima volta a Roma si misero in scena opere tragiche basate sulla tragedia greca.



EPULUM IOVIS

Durante questi Ludi cadeva la festività di Epulum Iovis (13 settembre) in cui si invitavano gli Dei a partecipare alla festa, cosa che facevano simbolicamente attraverso le loro statue, disposte su ricchi letti (detti pulvinaria) con morbidi cuscini. Questi letti erano posti nella zona più onorevole della tavolata e gli Dei erano serviti di ricchi piatti, il cui consumo era poi effettuato dagli epulones.

EQUORUM PROBATIO

EQUORUM PROBATIO

Negli stessi ludi si festeggiava la Equorum probatio il 14 settembre, una prova pratica dei giovani, in genere aristocratici, per essere ammessi, una volta in età, all’ordine equestre.

La festa consisteva in una vera e propria gara nella quale prima della partenza venivano visionati i cavalli per poter effettuare ingenti scommesse. Secondo alcuni comportava anche la dimostrazione della capacità del giovane di usare la lancia montando il cavallo senza le staffe.

Le corse dei cavalli, dall'Equorum probatio ad altre gare, si svolgevano nel Circus Maximus, l'edificio più grandioso per spettacoli pubblici mai costruito, ornato di statue, di metalli nobili, di fregi rari, con 150.000 posti a sedere, che dopo la ristrutturazione di Traiano divennero 350.000.

Per l'occasione venivano fatti giungere a Roma i ludiones, ovvero dei ballerini e musicisti provenienti dall’Etruria che danzavano accompagnandosi con dei flauti. I romani tentarono di imitarli, dapprima rozzamente ma con il passare degli anni impararono a ballare e scrivere melodie adatte a quel tipo o ad altri tipi di festività.

Questi spettacoli danzanti duravano fino al 13 settembre, il giorno in cui veniva festeggiato l’anniversario del tempio Ottimo Massimo sul Campidoglio, che era dedicato a Giove. Lo stesso giorno in cui avveniva l’Epulum Iovis.



LUDI CIRCENSES

Il momento più atteso dei giochi erano però i Ludi Circenses, che si svolgevano il 15 settembre. La giornata iniziava con una processione, la Pompa Circensis, durante la quale sacerdoti e notabili in abiti da cerimonia, seguiti dal popolo, attraversava il Foro fino a raggiungere il Circo Massimo, dove si svolgevano i giochi.

Apriva la sfilata un magistrato assistito da tanti giovani a piedi o a cavallo e a loro volta seguiti da atleti e lottatori. Per ultimo il carro che trasportava le statue degli Dei e che era guidato da un giovane senza difetti fisici che non doveva essere orfano né di padre nè di madre.

Terminata la processione venivano svolti dei sacrifici in onore degli Dei con preghiere e libagioni. Venivano infine uccisi dei buoi e le loro carni erano offerte a Giove. A questo punto iniziavano i Ludi Circenses che consistevano nelle varie gare svolte dagli atleti e che terminavano poi il 19 settembre.
I combattimenti tra i gladiatori non erano inseriti all’interno di questi Ludi.


BIBLIO

- Sesto Pompeo Festo - Ludos Magnos - De verborum significatu -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane -
- Cicerone - De divinatione -
- Dionigi di Alicarnasso - VI -
- Cicerone - In Verrem - I -


NEMORALIA (15 Agosto)


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DIANA NEMORENSE


ASSUNZIONE DI MARIA

Il 15 di agosto, Ferragosto, è per i cristiani cattolici il giorno dell’Assunzione della Vergine Maria, stabilita per dogma, Il 1º novembre 1950, da Papa Pio XII che, avvalendosi dell'infallibilità papale, lo proclamò con la costituzione apostolica "Munificentissimus Deus" con la seguente formula: «La Vergine Maria, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».
 
C'è anche una consuetudine cristiana per cui nello stesso giorno, tra Genzano ed Ariccia, in Via Diana, i fedeli riuniti in processione salgono dal Lago di Nemi sino al centro di Genzano. Sembra una festa cristiana, è in realtà un rito più antico che risale a prima dell’Impero Romano, quando Roma era solo un piccolo centro su colli circondati da paludi mentre Albalonga dominava la potente Lega Latina.



NEMORALIA, LA FESTA DELLE TORCE

È la storia di Nemoralia, o Festival Delle Torce, e del Nemus Aricinum.
Ne parla Ovidio nei “Fasti”:

Nella Valle di Ariccia, c’è un lago circondato da scure foreste ritenuto sacro da un culto sin dalla notte dei tempi. Lungo un muro sono appesi molti pezzi di filo intrecciati e molte tavolette sono poste come dono alla Dea. Spesso donne a cui Diana ha risposto alle preghiere, con una corona di fiori sulla testa camminano verso Roma portando una torcia accesa. ”
Da notare che Ovidio è nato nel 43 a.c. e scrive: “sin dalla notte dei tempi”, dunque il rito è antichissimo.

LE MANI DELLA DEA  (NAVI DI CALIGOLA A NEMI)


LA SACRA PROSTITUZIONE

Narra Plutarco che le donne si lavavano i capelli con le acque del lago e si ornavano le vesti di fiori. Perché si lavavano? Era il residuo di un rito più antico, in cui le sacerdotesse di Nemi, che professavano la ierodulia, o Prostituzione Sacra, solevano nella festa immergersi nelle acque del lago sacro, lo Specchio di Diana, per riacquistare la perduta verginità.

Naturalmente non si trattava di una verginità fisica ma di una interiore, infatti anticamente la Virgo era colei che non si sottometteva a nessuno, e da Virgo a Virago la spiegazione è chiara, vir-ago agisco con forza, mentre la vergine nel corpo veniva chiamata la Virgo Intacta.



I FEDELI

In memoria di ciò le donne si lavavano i capelli. Poi c'erano le offerte alla Dea dei fedeli che prevedevano messaggi scritti su fiocchi legati ad altari o alberi, ma pure piccole statuine di terracotta o di pane raffiguranti parti del corpo da guarire, oppure piccole immagini di madri con figli, o ancora piccole statue di cervi, ma si offrivano alla Dea pure danze e canti sacri.

IL TEMPIO DI NEMI


DIANA - ECATE

Nei secoli successivi all’ellenizzazione si aggiunse un'offerta d'aglio alla Dea Hecate, che era associata a Diana/Artemide in quanto divinità lunare: Ecate luna calante, Diana luna crescente, Selene luna piena. Ma pure Semele, guarda caso, fu assunta in cielo con l'anima e col corpo per volere del potente Giove. E' evidente che l'Assunzione è stata copiata dal rito più antico. 

Molto tempo prima, nel 170 a.c. Catone il Vecchio informa della fondazione del Tempio di Diana sull’Aventino, costruito da Servio Tullio per accentrare il potere politico, religioso e culturale a Roma al posto del santuario federale dei Latini Diana Aricina, nel VI secolo a.c., rifatto poi da Lucio Cornificio dopo il 36 a.c.

Aggiunge poi che le celebrazioni della Dea avvengono nelle Idi di agosto, successivamente rinominate “Feriae Augusti” dall’Imperatore Ottaviano nel 18 a.c. da cui il termine odierno ferragosto, ovvero la festa dell’Assunzione. Una bella trasformazione. 

Quindi già 2500 anni fa, ad agosto, lunghe processioni notturne di torce e candele si snodavano sulle le rive dell’oscuro Speculum Dianae, ovvero il lago di Nemi, dove le luci dei fedeli scintillavano  sull’acqua con la luce della luna. 

Successivamente la cultura romana si confuse con quella greca e l’italica Diana venne fusa con la greca Artemide, ma sebbene il culto di Diana fosse talmente importante che il suo sacerdote veniva chiamato “Rex”, già nel 400 a.c. se ne erano ormai perse le origini.

Così poeti come Virgilio presero l’immagine leggendaria di Virbio, il primo Rex Nemorensis, e lo fecero diventare l’eroe greco Ippolito, figlio di Teseo, che venne fatto uccidere da Afrodite per vendetta in quanto disdegna le donne e segue solo Diana. 
Tuttavia, su richiesta della Dea, questi viene riportato in vita da Asclepio, il Dio della medicina e della necromanzia, che si era innamorato di lui.

Venere fa così innamorare la matrigna di Ippolito, che, respinta, lo accusasse ingiustamente di fronte al padre Teseo, il quale da poco padre quale è, chiede a Poseidone di punire suo figlio. Poseidone gli mandò contro un toro feroce nato dalle acque mentre Ippolito si trovava sul suo carro. I cavalli imbizzarriti lo trascinarono nella loro corsa e Ippolito morì. 

Artemide-Diana chiese allora ad Esculapio di riportarlo in vita grazie alle sue doti di guaritore. Giove infuriato confina il medico nell'Ade. La Dea nasconde Ippolito agli Dei facendo scendere la nebbia e mascherandolo da vecchio e poi lo porta nella valle di Nemi, nel lontano Lazio, affinché vi vivesse nascosto con il nome di Virbio.



DA IPPOLITO A SANTO IPPOLITO

"Non vi è dubbio che il S. Ippolito del calendario romano, trascinato a morte dai cavalli il 13 agosto, giorno dedicato a Diana, altri non sia che l'eroe greco suo omonimo che, morto due volte come pagano, fu felicemente resuscitato come santo cristiano

I RESTI DEL TEMPIO DI NEMI


DA IPPOLITO A VIRBIO

Però nel VII canto dell’Eneide, dopo la resurrezione, Ippolito viene trasportato da Diana sui Monti Albani, che lo chiama: Virbio, cioè “nato due volte“, ed egli istituisce nel Lazio il culto della Dea, sposa la giovane ateniese Aricia e fonda una città cui dà il nome di lei, diventandone re. dalla coppia nasce poi un figlio, anch’esso chiamato Virbio, che gli succede nel regno.

Nel 380 d.c., con l’Editto di Tessalonica, l’Imperatore Flavio Teodosio I impone il cristianesimo come religione di stato e bandisce il culto degli Antichi Dei, pena la confisca dei beni e la morte. I templi vengono distrutti o convertiti in chiese e chi offre sacrifici agli Dei viene punito per tradimento, cioè condannato a morte. Successivamente l’Impero Romano d’Occidente crolla nel 480 d.c. e anche il Senato Romano scompare.



DA NEMORALIA A FERIAE AUGUSTI E ALL'ASSUNZIONE DI MARIA

L’unica istituzione che sopravvive è la Chiesa Cattolica. Ma nelle campagne è ancora vivo il culto di Diana-Ecate. Sebbene non ci sia più un Rex Nemorensis, sebbene i suoi templi siano distrutti, le partorienti si rivolgono ancora a lei per alleviare il dolore delle doglie ma soprattutto le guaritrici, con preghiere ed erbe medicinali impastano i medicamenti per alleviare le malattie. gli unici medicamenti perchè la medicina è stata spazzata via. Ora per guarire bisogna raccomandarsi a Dio e ai santi e le guaritrici sono diventate streghe.

La Chiesa Cattolica ha innalzato parecchi roghi alle streghe per far cessare il culto pagano, finchè decide di associare Diana a Maria: entrambe vergini, con un bambino in braccio e un serpente che nelle statue di Diana era il simbolo della Madre Terra, ma nella iconografia mariana viene posto sotto il piede della Madonna, a rappresentare il male che viene schiacciato.

La festa di Nemoralia al 15 del mese di Augustus divenne così la festa dell’Assunzione e il 6 gennaio, data in cui Diana insieme alle sue ninfe rendeva fertili i campi, divenne la festa della Befana, che non a caso è raffigurata come una strega.


BIBLIO

- Livio - Periochae ab Urbe condita libri -
- AA.VV. - Les bois sacrés - Actes du Colloque International, du Centre J. Bérard - Napoli - 1993 -
- Servio - Ad Aeneidem -
- Augustus - Res Gestae Divi Augusti -
- James George Frazer - Il Ramo d'Oro - Ed. Bollati Boringhieri 2012 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Verona - Arnoldo Mondadori Editore - 1984 -


DIVINIZZAZIONE DI ROMOLO (5/7 Luglio)


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ROMOLO QUIRINO

Il 5 Luglio del 716 a.c. è la presunta data (alcune fonti indicano il 7 luglio) della morte di Romolo, gemello di Remo, fondatore e primo Re di Roma. La leggenda racconta che dopo la morte Romolo viene assunto in cielo durante una tempesta ed un’eclissi, avvolto da una nube, nei pressi del Campo Marzio.

I Romani lo proclamano Dio (con il nome di Quirino, figlio di Marte, Re e “Pater” di Roma). Probabilmente il 5 muore e il 7 viene proclamato Dio e gli si pone un culto nel tempio già esistente del Dio Quirino, già venerato all'epoca dai sabini.

Tito Livio, nella sua “Ab Urbe condita”, riporta il racconto del compagno di Romolo, Proculo Giulio, alcuni giorni dopo la sua morte:
 

Stamattina o Quiriti, verso l’alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. […] Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell’arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane”.

Ovidio, come Festo e Varrone, ce ne tramanda il mito:

"Mentre Romolo, per passare in rassegna l'esercito, teneva un'assemblea nel capo presso la palude delle Capre, all'improvviso una tempesta levatasi con grande fragore di tuoni avvolse il re con una nuvola così densa che tolse la sua vista all'assembea; poi Romolo non fu sulla terra.

Quando, dopo una così torbida giornata, una luce limpida e serena apparve, i giovani romani, abbandonati al terrore, videro il trono vuoto; ma poiché i patrizi, che si erano trovati vicinissimo, affermarono che Romolo era stato trascinato in aria dalla tempesta, (la gioventù) afflitta mantenne il silenzio per molto tempo.

Poi tutti quanti salutarono Romolo, dio disceso dagli dei, re e fondatore della città di Roma; implorano con preghiere la pace, e che benevolo protegga la sua stirpe in ogni tempo. La spartizione dei resti fu un atto rituale per riconsegnare il potere di Romolo-Marte ai Quiriti che con lui avevano dato vita all’Urbe."



I TEMPLI

Il più antico santuario di Quirino è la rupe più alta del colle Quirinale, che del resto dal Dio Quirino prende il nome. Successivamente gli fu costruito un tempio presso la porta Quirinale e poi un altro nel 293 a.c., dedicato da Lucio Papirio Cursore, nel quale era conservato il trattato fra Roma e Gabii scritto su una pelle di bue che copriva uno scudo.

Il tempio fu restaurato da Augusto nel 16 a.c. e il giorno della dedica, il 29 giugno, divenne la nuova festa di Quirino. Secondo la tradizione, Tito Tazio gli aveva dedicato un sacello sul Campidoglio, poi sostituito col tempio di Giove capitolino al tempo di Tarquinio il Superbo.

IL PRESUNTO SARCOFAGO E L'ARA


LA TOMBA DI ROMOLO

Nel Comizio, presso l’angolo nord-ovest del Foro Romano, dove si riuniva l’antica assemblea delle curiae, si conservava il santuario di Vulcano, poi coperto di pietra nera (il lapis niger), dove Romolo sarebbe stato ucciso. Secondo un'altra tradizione che risale a Varrone, la tomba di Romolo sarebbe prossima all'altare di Vulcano. 

Proprio qui è stata rinvenuta in scavi recenti una piccola cassa e un cilindro (un’ara?) in tufo grigio che sono stati interpretati come la tomba-santuario del primo re. A suo tempo l'archeologo Giacomo Boni, tra fine XIX e inizio XX secolo, dimostrò che il luogo dove si riunivano le curiae risaliva effettivamente all’epoca regia e annunciò:
Sotto a questo ossario, a m. 3.60 dal nucleo della gradinata, trovasi una cassa o vasca rettangolare in tufo, lunga m. 1.40, larga m 0.70, alta m. 0.77, di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro del diametro di m. 0,75. La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di pectunculus e un pezzetto di intonaco colorito di rosso”.

All’inizio della Repubblica (inizio V secolo a.c.), il Comizio era stato trasformato in una piccola piazza triangolare, con la base verso il Foro e il vertice  verso un’altura alla pendice del Campidoglio, sulla quale sorgeva la prima Curia (Hostilia). Ai tre lati avevano basse piattaforme con muri in blocchi di tufo. 

Su una piattaforma il santuario di Vulcano, e vicino ai Rostra, gli speroni delle navi latine sconfitte nel 338 a.c. ad Anzio, doveVarrone poneva la tomba di Romolo. Sulla seconda (Graecostasis) prendevano posto gli ambasciatori stranieri presenti a Roma. Sulla terza il pretore amministrava la giustizia. La cassa con cilindro si trova all’interno della pedana del Tribunal.

Il sarcofago che molto probabilmente appartiene al primo re di Roma, dovrebbe risalire al al VI secolo a.c., misura circa 1,40 metri di lunghezza ed è realizzato con il tufo del Campidoglio. Ma non si sa ancora se cassa e cilindro siano pertinenti alla tomba di Romolo o a un altro monumento del Tribunal connesso dalle fonti all’augure Atto Navio.

ROMOLO - PALAZZO PITTI

Molti studiosi propendono per il cenotafio di Romolo, cenotafio in quanto monumento sepolcrale privo dei resti mortali di Romolo che, come è noto da varie fonti storiche, fu ucciso e smembrato dai senatori proprio in questa zona del Foro.

Il sarcofago è stato scavato nel tufo del Campidoglio e dovrebbe pertanto risalire al VI sec. a.c. Il contesto al di sotto della scalinata di accesso alla Curia, realizzata negli anni ’30 del secolo scorso da Alfonso Bartoli, risulta preservato per il suo stesso significato simbolico dalla sovrastante Curia e coincide con quello che le fonti tramandano essere il punto post rostra (dietro i Rostra) dove si colloca la sepoltura di Romolo (secondo la lettura di un passo di Varrone da parte degli Scoliasti di Orazio, Epod. XVI).

Dice l'archeologa Russo: 
Con grande emozione lo scavo ha portato al rinvenimento del vano ipogeo così come l’aveva descritto Boni, intatto, dietro una tamponatura in mattoni risalente al restauro della Curia degli anni 30 del 1900 di Alfonso Bartoli. 
Con nostra sorpresa, abbiamo constatato che lo stesso Bartoli aveva risparmiato il vano ipogeo costruendo dei pilastrini in mattoni e un solaio in travi di ferro e tavelloni forati. Tutto il vano e l’area del portico della Curia sono stati documentati attraverso un rilievo in Laser scanner in 3D. Sul fondo è visibile il sarcofago in tufo del Campidoglio, cava tra le più antiche di Roma. 
Accanto un elemento circolare sempre in tufo del Campidoglio. Sui lati sud e ovest sono visibili blocchi di tufo grigio o cappellaccio. 
Lo scavo archeologico riprenderà alla fine di aprile. Inoltre, grazie a Bartoli che ha lasciato una breve nota pubblicata nel volume postumo del 1963 e grazie a disegni di archivio sono state individuate due botole nella Curia, in asse con il vano ipogeo, che doveva essere più ampio di quello che oggi noi vediamo in quanto tagliato dalle fondazioni della Curia Iulia di età cesariana. 
Nelle botole infatti sono visibili una serie di blocchi monumentali in tufo, forse appartenenti alla parete di chiusura del vano ipogeo. Allo stato attuale possiamo affermare che il sarcofago e l’elemento cilindrico collocati sul piano di calpestio del piano ipogeo sono in quota, e, dunque, probabilmente in fase con i Rostra della fine del VI secolo a.c.”.

Tuttavia altre tradizioni, tra cui Tito Livio e Plutarco, narrano dell'assunzione in cielo di Romolo. Si tratterebbe dunque di un monumento funerario realizzato, in un periodo successivo alla morte di Romolo, per celebrarne il culto e la memoria.


BIBLIO

- Plutarco - Vita di Romolo -
- Andrea Carandini - Cercando Quirino - Einaudi - 2007 -
- Massimo Pallottino - Origini e storia primitiva di Roma - Milano - Rusconi - 1993 -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Firenze - Sansoni - 1972 -



CARDEAS (21 Giugno)


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CARDEA

Il 21 giugno si celebrava la festa di Cardeas, in onore di Cardea, Dea della salute, delle soglie e cardini della porta e delle maniglie, associata anche al vento. Proteggeva i bambini dagli spiriti maligni, ed era anche la benefattrice degli artigiani.

Veniva festeggiata al solstizio d'estate considerato cardine dell’anno. Venivano appesi agli alberi e agli usci nastri, rami con le bacche e immagini della Dea.

Si tratta del solstizio d'estate, festeggiato ritualmente in tutta Europa, per segnare la giornata più lunga dell'anno, da lì in poi le giornate si sarebbero accorciate e il sole sarebbe calato sempre prima dietro l'orizzonte. Era l'inizio del tramonto del sole che comportava notti più lunghe con maggiore persistenza della luna.

Quella notte si celebrava il solstizio d'estate, spostato poi artatamente per farlo coincidere con la cattolica festa di San Giovanni del 24 giugno. Dell'antica festa di Cardea restarono i fuochi da accendere nelle campagne, quando nella tiepida notte si univano le coppie che desideravano figli o, in tempi più arcaici, le donne si accoppiavano con chi gli pareva per ottenere figli che sarebbero appartenuti all'intera comunità.

E' nella notte tra il 23 ed il 24 giugno che si preparava e ancora si prepara l’acqua di San Giovanni, che si riteneva, e ancora si ritiene, possieda virtù curative e protettrici. Non aveva a che fare, come alcuni ritengono, con la raccolta della rugiada, un rito che si effettuava i primi di maggio raccogliendo all'alba, con dei teli, la rugiada dall'erba.



L'ACQUA DELLE CARDEAS

La tradizione deriva da quella dell'acqua che si esponeva alla luna piena del solstizio d'estate, cioè la notte precedente al 21 che era il vero e proprio giorno di festa di Cardeas. Si ponevano in un bacile d'acqua erbe e fiori come: iperico, lavanda, artemisia, malva, menta, rosmarino, elicrisio, salvia, finocchio selvatico, papaveri, rose, elleboro, alloro e mirto, a seconda di ciò che si voleva ottenere. 

Al mattino si beveva un bicchiere di quell'acqua e si faceva bere a chi si voleva mormorando formule magiche. Ce n'era per restare incinte e per curare le malattie. Ma il rito più antico prevedeva l'invasamento della Dea  per vedere il futuro e magari profetare. 

SALOME'


LA FESTA DI SAN GIOVANNI

La Dea Cardea era la Dea delle porte e dei passaggi: delle stagioni ma pure della vita e della morte. I famosi fuochi erano il richiamo per l'accoppiamento, rituale che usano ancora oggi le prostitute. Il medioevo poi ha esaltato i fuochi usandoli per i roghi ove bruciare eretici, atei, ebrei e streghe.

Per dimenticare l'antica festa del solstizio la chiesa l'ha sostituito con la festa di S. Giovanni che poi non è esattamente al solstizio, perchè si celebra il 23-24 giugno.  Che c'entra poi S.Giovanni decapitato col solstizio e i fuochi dovrebbero spiegarlo. 

Comunque Giovanni venne giustiziato perchè non si faceva i fatti suoi e denigrava pubblicamente Erode Antipa perchè conviveva con Erodiade, moglie divorziata da suo fratello; ciò non era possibile secondo la legge ebraica perché il matrimonio era stato regolare e fecondo, tanto è vero che era nata una figlia Salomè. 

Ma non era Erodiade ad aver divorziato perchè le donne ebree non potevano, bensì suo marito, ma Giovanni amava fare il moralista. 

Fu un gran santo, tanto che tutte le chiese se ne litigavano le reliquie, perchè producevano un grande afflusso di fedeli con molte offerte alla chiesa: se ne custodisce la mandibola a Roma, il Sacro Mento a Viterbo, oltre a dita, denti e ossa varie, prelevate dal corpo spezzettato e poi sparse in tutto il mondo.

San Giovanni è l'unico santo di cui viene festeggiato, oltre al giorno della morte, quello della nascita, cioè di cui si celebra la nascita secondo la carne e non l’ascesa al cielo, per il semplice fatto che mentre la sua morte avvenne in agosto, la sua nascita avvenne a fine giugno, per cui, anche se non esatta, poteva comunque sostituire la festa del solstizio d'estate.



FESTA DI CARDEA

Dopo aver adornato gli usci, il tempio e gli alberi adiacenti, si formava una processione che portava in trionfo la statua addobbata della Dea, con canti e danze. Seguiva il banchetto rituale all'aria aperta con frizzi e lazzi (spesso osceni) che durava fino a sera. Poi ci si ritirava a casa o nei campi dove splendevano i falò dedicati alla Dea. 

Il giorno dopo si riapriva il tempio per ringraziare la Dea donandole statuine, nastri e rami.  Seguiva un giorno di festa con nuovo banchetto e visita al tempio, dove veniva eseguito un sacrificio incruento. 


BIBLIO

- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- William Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic  - Londra - 1908 -
- John F. Donahue - "Towards a Typology of Roman Public Feasting" in Roman Dining - A Special Issue of American Journal of Philology  - University Press - 2005 -
- R. Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -



QUAM STERCUM DELATUM FAS (15 Giugno)


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VESTA E LE VESTALI

"La Porta Stercoraria si trovava nel Clivo Capitolino come ho detto più volte fu ella porta di un ridotto in cui le immondizie spazzate dal Tempio di Vesta solevano in un particolare giorno dell'anno condursi"


Sesto Pompeo Festo nel libro IXX così ne scrive: "Stercus ex c A de Veste XVIII Kal Jul defertur in Angiportum medium ferè Clivi capitolini qui locus clauditur porta stercoraria Tante santitatis majores nostri esse indicavere" e nel libro XIII in quanto dice lo stesso.

Nel Calendario Maffeiano sotto il dì 15 di Giugno si legge O ST DF cioè a dire come nel quinto da Varrone s'interpreta gittando "Stercus delatum fas" le cui proprie parole sono "Dies qui vocatur" quando "Stercus delatum fas ab eo appellatus quod eo die ex cde l est c Stercus everritur ci per Capitolinum clivum in locum defertur certum".

Da che è, dalle parole di Festo, dicente quel ridotto "medium ferè Clivi Capitolini" può congetturarsi presso la sommità se fu presso al Tempio di Tonante io per me direi essere stato della Fortuna quello di cui le otto colonne sono in piedi a che le parole di Livio "alter in primigeniae Fortunae qua e in Colle erat"; c fede quasi dette a distinzione Fortuna che non era sul colle ma vicino di esso e che il Tempio della primogenia sul Campidoglio scrive nell'operetta Plutarco "Anzi quel della Fortuna essere all'angiporto stercorario"  coll'autorità di Clemente Alessandrino quale nel Protreptico dice "Romani autem res maximas o praeclarè galas Fortunae suunt ci eam esse Deam maximam existimant posterionteam in sterguilinio dignum Deae secessum tribuentes".

I Vestalia arcaici duravano probabilmente un solo giorno, il 9 del mese, visto che questo è l'unico giorno segnato con tale nome sui Calendari più antichi, ma in età repubblicana ed imperiale vennero portati a nove, dal 7 al 15 di giugno; secondo Sabbatucci in origine i giorni erano tre, cioè i tre giorni dispari compresi al centro dei nove, il terzo, il giorno dei Vestalia propriamente detti, il quinto, la festa di Mater Matuta, ed il settimo, il giorno delle Eidus.


Ma, secondo il parere di alcuni, essendo le Eidus originariamente un giorno mobile e non fisso poiché doveva coincidere con l'effettiva fase lunare, è più probabile che il terzo giorno anticamente fosse il nono, ossia l'ultimo, conosciuto con la sigla Q St D F.

Mentre i rimanenti erano qualificati solo come dies religiosi, questi tre erano dies religiosi festi come lo erano anche i tre giorni di apertura del Mundus ad agosto, ottobre e novembre: in ambedue i casi “l'apertura” metteva in contatto con il mondo dell'aldilà, quello degli antenati identificati con i Penates o delle divinità del mondo infero, mondi pericolosi se non vi si accedeva nel modo dovuto.

Il periodo dei Vestalia inizia con l'apertura del penus Vestae (Vesta aperitur): il penus è letteralmente la dispensa della casa, ma anche il luogo ove la famiglia conservava le statue dei Penates, ed analogamente nel penus del tempio di Vesta erano conservati secondo molti Autori i Penates Populi Romani.

In questi giorni era consentito alle matrone, e solo a loro, entrare a piedi nudi nella parte esterna del penus Vestae, luogo proibito nel resto dell'anno a tutti ed in particolare agli uomini (con la sola eccezione del Pontifex Maximus).
L'ultimo giorno (Vesta cluditur) era definito con la sigla Q St D F (Quam Stercus Delatum Fas, cioè “quando l'immondizia del tempio è stata portata via, il giorno è fas”): in coincidenza con le Eidus, l'aedes Vestae veniva solennemente ripulita e le impurità portate, a quanto riferisce Pompeo Festo, in un vicolo che si trovava circa a metà del Clivus Capitolinus, chiuso dalla Porta Stercoraria, per poi essere forse gettate nel Tevere.

LE VESTALI

Il termine stercus, osserva George Dumézil, in realtà ad altro non può riferirsi che ad “escrementi di animale”, per cui questo uso non sarebbe che “un resto fossilizzato del tempo, anteriore all'esistenza della città, in cui una società pastorale doveva ripulire dallo stercus la sede del suo fuoco sacro”.

Noi tuttavia non pensiamo che la sede del fuoco sacro venisse invasa dagli animali che ci facevano i loro bisogni, perchè gli animali non entravano neppure nelle abitazioni dei pastori. Le pecore e le capre stavano nelle stalle e il cane non faceva i suoi bisogni nè nella casa nè nel recinto sacro.

In genere ci si riferiva o al serpente sacro che stava nel tempio della Grande Madre, o alle pulizie del tempio. Pensiamo che lo sterco fosse il male degli animi e degli eventi umani che venissero allontanati con un rito particolare che comprendeva la dispersione nel Tevere.

L'evento comportava una festa per la liberazione, momentanea, dei mali dal mondo. Pertanto dopo l'evento rituale si faceva festa con musica, danze e banchetti, oltre alla devozione dei fedeli che portavano nel tempio delle vestali ghirlande, nastri, statuine, scialli, fiori e regali vari.


BIBLIO
 
- Carandini - Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea, - Roma-Bari - Laterza - 2015 -
- Giacomo Boni - Le recenti esplorazioni nel sacrario di Vesta - Roma - Accademia dei lincei - 1900 -
- Giacomo Boni - Nuova Antologia - Aedes vestae - 1900 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -


I BACCANALI (16 - 17 Marzo)


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BACCANALI

I baccanali, ovvero la festa di Bacco, si festeggiavano in tutto il territorio italico soprattutto centro-meridionale iniziando dalla Magna Grecia, il 16 e il 17 marzo, quindi con l'avvento della primavera. Il Dio Bacco era un antico Dio Italico del vino che associò a sè i miti del greco Dioniso il cui culto sconvolse la Grecia.



LE VERSIONI DI LIVIO

Tito Livio che scrive in epoca augustea, due secoli dopo la vicenda dei reprimenda Baccanali, e per giunta piuttosto benevolo verso il moralismo un po' austero dell'imperatore. Qualcuno lo dice pure male informato sulle associazioni bacchiche a Roma, la loro struttura e i loro rituali. Livio fornisce due versioni sull’origine dei Baccanali:

«.. che il culto era apparso dapprima in Etruria ad opera di «un greco di umili origini» (Graecus ignobilis in Etruria primum venit…), indovino e pratico di riti sacrificali notturni, «che all’inizio erano riservati a pochi, ma poi erano stati divulgati a masse di uomini e donne». (Initia erant quae primo paucis tradita sunt, dein volgari coepta per viros mulieresque).

« poi che il culto era giunto in Roma dalla Campania, dove all'inizio erano compiute di giorno da sole donne, poi si erano trasformate in riti orgiastici ad opera di Paculla Annia, una sacerdotessa campana che le aveva estese anche agli uomini, iniziandovi per primi i figli Minio ed Erennio Cerrino». (Pacullam Anniam Campanam sacerdotem eam primam omniam tamquam deum monitum immutasse; nam et viros eam primam filios suos initiasse, Minium et Herennios Cerrinus»).


Livio parla per sentito dire, ma il senato è preoccupato di non poter controllare il fenomeno. Era già accaduto in Grecia nel culto dionisiaco del V sec. a.c. «Le donne abbandonano i loro figli e i loro telai per correre sui monti a celebrare i riti dionisiaci». Che fosse questa la paura?

Livio a proposito dell’indovino etrusco parla di «riti segreti e notturni», sempre più diffusi; con banchetti e vino, promiscuità di uomini, donne e fanciulli, depravazioni e crimini di ogni genere, dalle violenze al plagio di individui costretti a falsi testamenti e false testimonianze, avvelenamenti e uccisioni di parenti.

La connotazione orgiastica è comune ai riti misterici di Dioniso (l’equivalente di Bacco) in Grecia, ma anche a quelli orientali, in Tracia e in Egitto.

Così iniziarono le persecuzioni e i processi, mosse in genere a tutte le società segrete, anche in contesti storici differenti, vedi i seguaci di Iside, o le persecuzioni ai cristiani, o le persecuzioni ai pagani che ormai erano diventate società segrete, o in seguito i roghi e i processi dei Templari, o i roghi per le streghe e per gli eretici. Livio la descrive come una «congiura» .(XXIX, 9-12).

BACCANALI

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DEI BACCANALI

Tito Livio narra che un Greco dell'Italia meridionale, sacerdote e indovino venuto in Etruria, vi fece conoscere i riti dionisiaci, che degenerarono ben presto nelle orge più immorali, pretesto, talora, di ogni sorta d'azioni delittuose. Dall'Etruria codesti riti passarono a Roma dove però già si praticavano i riti dionisiaci, cioè feste notturne che si tenevano tre volte all'anno nel bosco di Stimula (nome latino di Semele), presso l'Aventino e alle quali partecipavano soltanto onorate matrone romane.

Secondo l'iconografia i Βaccanali si svolgerebbero in aperta campagna, tra alberi e rocce al di fuori dei templi. Le scene sono orgiastiche o iniziatiche e vi prenderebbero parte personaggi divini o mitici: satiri, sileno e Pan, Dioniso e Arianna, nutrici e Ninfe di Nisa. 

Il profilo delle baccanti rappresentate su sarcofagi illustra la iactatio fanatica corporis di cui ci parla Titio Livio. La menade che carezza un animale selvatico personifica una perduta età dell'oro dove animali e umani si riconciliano.

In seguito però una donna campana, sacerdotessa di questo culto, Annia Paculla, ne trasformò del tutto il rituale, riportandolo a quello etrusco: vi furono ammessi gli uomini e le adunanze ammontarono a cinque al mese. Da allora cominciò a diffondersi la voce che in codeste riunioni si commettesse ogni sorta di scelleratezze.

INIZIO DEL BACCANALE

Nel 186 a.c. esplode l’affare dei Baccanali descritto da Livio (Ab urbe condita XXXIX, 8 –18) e testimoniato da un’iscrizione bronzea rinvenuta nel 1640 a Tiriolo (in Calabria), contenente il testo del «senatoconsulto» emanato per reprimere il culto di Dioniso.

Così a Roma si finì per vedere negli affiliati ai riti bacchici una specie di grande setta, pericolosa per l'ordine morale e sociale: un affare privato procurò casualmente a Spirio Postumio Albino, console dell'anno 186, le prime rivelazioni precise da parte della liberta Ispala Fecenia.

Condotta a fondo l'inchiesta e persuaso della gravità della cosa, il magistrato ne informò il senato, il quale ordinò ai consoli che, con procedimento giudiziario straordinario, provvedessero a ricercare e ad arrestare tutti gli associati alla religione bacchica, per poi processarli.

Ma che era successo ai Baccanali? Per capirlo occorre prima conoscere questa festività. La festa apparteneva al culto orfico-dionisiaco, ma designava soprattutto quei misteri dionisiaci che, dalla Magna Grecia, ove erano molto diffusi, penetrarono a Roma all'inizio del sec. II a.c.

BACCANTE
Livio riporta la vicenda all’inizio dell’età augustea, due secoli dopo che accadde, con due versioni contrastanti sull’origine dei Baccanali.

In un passo scrive che il culto era apparso prima in Etruria ad opera di «un greco di umili origini», indovino e pratico di riti sacrificali notturni, all’inizio  riservati a pochi,  poi divulgati a  uomini e donne.

In un altro invece che le cerimonie giungono a Roma dalla Campania, dove in principio erano compiute di giorno da sole donne, poi si erano trasformate in riti orgiastici ad opera di Paculla Annia, sacerdotessa campana che le aveva estese anche agli uomini, mutando così il carattere dei baccanali coll’ammettervi per la prima volta, come iniziatrice dei propri figli, degli uomini, e Minnio Cerrinio Campano, figlio di Annia Paculla. 

Questi sarebbe poi diventato uno dei capi della segreta associazione che contava più di 7000 associati fra uomini e donne.

Un culto derivato dalla Magna Grecia, che ad un certo punto viene considerato «pericoloso», a causa di "riti segreti e notturni», piaceri del vino e banchetti, promiscuità di uomini, donne e fanciulli, depravazioni e crimini di ogni genere, dalle violenze al plagio di individui costretti a falsi testamenti e false testimonianze, avvelenamenti e uccisioni di parenti" Tali sono le accuse.

Gli accusati furono ben 7000, fra uomini e donne; capi della setta risultarono due plebei romani, Marco e Gaio Atinio, un Lucio Opiterio di Falerii e il campano Minio Cerrinio; coloro che furono riconosciuti soltanto iniziati ai misteri, ma innocenti di qualunque altra turpitudine o delitto, furono lasciati in prigione. Quelli invece - e furono i più - che si erano macchiati di stupri, di omicidi, o di frodi, furono puniti di pena capitale, non escluse le donne.

Furono sciolte, con ordine dei consoli e con poco riguardo ai trattati, tutte le associazioni bacchiche ancora esistenti a Roma e in Italia, anche nelle città degli alleati; indi fu emanato un senatoconsulto che ne proibiva la costituzione per l'avvenire.

Il fatto è che, analogamente al culto di Dioniso in Grecia, da cui deriva, si trattava di un culto misterico, ossia riservato ai soli iniziati, originariamente solo donne, le baccanti,  poi esteso ai maschi altrimenti sarebbe stato proibito. In seguito i baccanali sopravvissero come feste occasionali e propiziatorie senza più componente misterica.

Livio insiste sulla natura clandestina e orgiastica di questi riti:  una connotazione comune a tutti i riti misterici di Dioniso, di Bacco, ma pure a tanti altri in Grecia,  in Tracia e in Egitto. Le  imputazioni che vengono fatte durante le persecuzioni o i processi alle associazioni  religiose o parareligiose clandestine, cui non sfuggirono neppure le prime comunità cristiane. Eppure i Sacri Misteri durarono ben 1500 anni. Ce ne volle per spegnerli tutti.



LA STORIELLA

La storia, evidentemente inventata, (sembra una commedia di Plauto ma senza il lieto fine) narra di due giovani amanti, Publio Ebuzio e la liberta, «cortigiana» Ispala Fecennia; il patrigno di Ebuzio, avido dell’eredità del figlioccio che cerca di plagiare iniziandolo ai riti dei Baccanali, con la complicità della madre Deuronia; e l’anziana e saggia zia di Ebuzio che avvisa il console Postumio sulla malvagità dei baccanali.

Insomma l’amore della cortigiana Ispala per il cittadino romano Ebuzio la spinge alla denuncia dei baccanali e da qui parte l’inchiesta del console. E' stato il cattivo patrigno a spingere il cives romano romano ad accogliere i riti stranieri. I romani accolsero sempre i riti e gli Dei stranieri, vedi Cibele, Epona, Elios, Mitra e del resto gli Dei romani provenivano dagli Dei Greci.

BACCANTE
Effettivamente sui baccanali si fece una seduta senatoria e si scoprirono che a Roma esistevano associazioni che praticavano il culto in onore di Bacco, solo che lo sapevano tutti, ciononostante per la delazione Ebuzio e Fecennia ricevettero dal senato un compenso di centomila assi di bronzo ciascuno e a Fecennia furono concessi diritti civili non pertinenti a una liberta.
 
Pacullia può anche non essere esistita, ma i nomi a lei legati sono invece rintracciabili:
«Marco Atinio della plebe romana, il falisco Lucio Opicernio e il campano Mino Cerrino: i sommi sacerdoti e gli iniziatori del culto»,
insomma gli osco-campani.

Dunque a Roma molti commercianti erano di origine magno-greca, plebei e abitanti dell’Aventino, dove avevano trovato ostello molte divinità importate come la triade di Cerere, Libero e Libera.

La repressione dei Baccanali viene a fagiolo, i commercianti vengono allontanati dal potere politico. Tra il 218 e il 179 a.c. tutti quelli che non avevano ascendenza nobile non potevano più accedere alle magistrature.

Furono sciolte, con ordine dei consoli e con poco riguardo ai trattati, tutte le associazioni bacchiche ancora esistenti a Roma e in Italia, anche nelle città degli alleati; indi fu emanato un senatoconsulto che ne proibiva la costituzione per l'avvenire.

E' una storia palesemente inventata, sembra una commedia di Plauto, cui segue l’indagine preliminare del console Postumio, che appare del tutto ignaro della congiura bacchica. Serviva una «cortigiana» (prostituta),  per far sapere che a Roma si erano diffuse le associazioni del culto di Bacco. I rimandi continui di Plauto ai Baccanali nelle commedie scritte prima del 186 a.c. dimostrano che l’opinione pubblica ne era al corrente. Ma c'è di più.

BACCANTI ESAUSTE

LA FEROCISSIMA PUNIZIONE

Il Senato estese l'inchiesta a tutta la penisola, in ogni città e in ogni paese, quindi, ascoltato il console Postumio, fece impedire dai magistrati ulteriori riunioni dei Baccanali, di ricercare i partecipanti e di giudicarli con molta severità; solo dopo aver ristabilito l’ordine, in una seconda seduta, il senato prese decisioni a lungo termine, ordinando di distruggere i luoghi del culto.

I reati contestati vanno dai reati comuni quali il falso e l’omicidio fino alla cospirazione contro la repubblica. La partecipazione maschile (oltre che femminile), lo svolgimento notturno, la «follia» della possessione erano tradizionali in questo movimento, sia in Grecia che in Italia, e non avevano in sé niente di criminoso.

Che tali elementi del rito favorissero ogni tipo di comportamento sessuale anche deviante per la morale pubblica, compresa l’omosessualità maschile, ma di che si lamentavano? A Roma come in Grecia, anche se in misura molto minore, la pederastia è diffusa, la praticano pure gli imperatori, è solo condannato (ma solo virtualmente) il sesso tra due maschi adulti, ma non quello verso gli adolescenti.

Vennero tuttavia, nonostante ciò perseguitati, arrestati e uccisi tutti i partecipanti, circa 7000 persone, uomini e donne. Lo stesso Livio afferma che ci furono più sentenze di morte che carcerazioni. Terrorizzati dalla ritorsione, i Baccanali di matrice misterica non vennero mai più riproposti a Roma e sopravvissero solo come festa propiziatoria e celebrati il 15 e il 16 marzo, perdendo la loro connotazione misterica.



L'INIZIAZIONE

Ispala narra che nei Baccanali chi si rifiutava di fare o subire violenza veniva ucciso, come vittima sacrificale alla divinità: sostenendo che le vittime sarebbero state sacrificate in maniera molto teatrale, legandole a macchine che le trascinavano in oscure caverne, in modo da far credere alla folla dei partecipanti che gli uccisi erano stati «rapiti dal Dio».

Ma questa era una pratica molto frequente nell'iniziazione di molti riti misterici. La discesa dell’iniziando in una caverna simboleggiava la discesa nel mondo degli inferi, e quindi la morte rituale e simbolica, dell’individuo, che rinasceva come iniziato. Nel processo non fu trovato nulla che confermasse queste accuse di omicidio reale a scopi rituali. L’accusa di «cospirazione» contro la repubblica era inesistente.

BACCANTE
IL GIURAMENTO

Coniurare e coniuratio sono le parole usate ripetutamente da Livio nel riportare l’accusa di cospirazione, desunta da un’associazione tenuta al giuramento comune dei soci. Ma si giurava in tutti i riti misterici, perchè si era tenuti al segreto, lo fanno ancora oggi i massoni, ma non per questo sono un'associazione segreta, semmai, come i Baccanali, hanno rituali segreti.

Il segreto da mantenere era ovviamente quello «comunicato» dal Dio ai suoi seguaci, e non il segreto di una congiura politica diretta a sovvertire la repubblica, ma’implicazione del testo è che la coniuratio dei Baccanali fosse rivolta contro la repubblica.

Coloro che stavano per essere iniziati al dionisismo, sia in Grecia che a Roma, «pronunciavano le formule di preghiera ripetendo le parole del sacerdote» (Liv, 18, 3), onde fare un giuramento sacro del non divulgare i segreti della società misterica. Il giuramento riguardava soprattutto la segretezza sul contenuto dei riti, che creava a lato una certa solidarietà tra i membri del gruppo.

All'inizio dell’inchiesta i magistrati cercano ossessivamente tutti i sacerdoti del culto e di tutti coloro che si fossero impegnati col famoso giuramento; i consoli dal loro canto dovevano evitare le ulteriori riunioni e cerimonie, anche fuori le mura. Un vero accanimento.

Dopo aver annunciato i premi per i delatori ed un giorno per la comparizione volontaria in giudizio, i consoli ottennero molte confessioni: poi si recarono anche fuori città per processare sul posto molti congiurati fuggiaschi. Ma di che delitti si parla? Del delitto di "coniura".

La condanna a morte dei colpevoli non si trova, nel racconto di Livio, mai comminata dal senato né dai consoli: era tuttavia implicita nell’accusa di coniuratio. Ma quali potevano essere i delitti sessuali dell'epoca, tenendo conto che le ragazzine potevano sposarsi a 12 anni e che gli adolescenti erano legalmente oggetto di concupiscenza dai maschi adulti? Non si sa.
DIONISO BACCO (ANCHE SE HA IL SENO)

LA PROVOCATIO

«Esiste a Roma un principio più volte ribadito mediante lex publica, che taluni fanno risalire addirittura all’età regia e che viene definito dallo stesso Livio «l’unica garanzia della libertà» (Liv, III, 55, 4). In base a questo principio, il cittadino romano maschio condannato a morte o alla fustigazione poteva «provocare ad populum», poteva cioè pretendere che il magistrato convocasse il comizio centuriato che, con regolare votazione, confermasse la condanna o assolvesse. 
Ne seppe qualcosa Cicerone, che, avendo violato questa legge, venne bandito da Roma (grazie a Giulio Cesare) e i suoi beni vennero confiscati, per aver fatto uccidere i congiurati di Catilina senza aver eseguito la «provocatio».

BACCANTE
Nel processo dei Baccanali non esiste "provocatio", perchè fu una vera e propria «caccia alle streghe», perseguita tanto dai patrizi che dai plebei. Cosa li univa?

Sant’Agostino riporta Varrone, nel De civitate Dei (6, 9): 
«I Baccanali vengono celebrati con tale follia, che lo stesso Varrone ammette non potersi compiere cose simili se non da menti turbate. Ma esse in un secondo tempo dispiacquero ad un senato più sano di mente (sanior) che comandò di abolirle».

Livio ci ha descritto i Baccanali come una congiura segreta rivolta a cospirare contro la repubblica, ma le parole di Postumio sono:
« Son certo che voi sapete non solo per sentito dire, ma per lo strepito e per gli ululati notturni che risuonano per tutta la città, che ci sono i Baccanali: da un pezzo in tutta l’Italia e ora anche a Roma in molti luoghi; peraltro non sapete di cosa si tratti: e alcuni credono che sia una religione, altri un gioco o uno scherzo permesso».

Qualcuno vi vede una contrapposizione tra i gruppi del severo e moralista Catone contro i gruppi dei disinvolti e liberali Scipioni, seguaci della libera cultura greca. Eppure questi ultimi non si mossero. 
E' vero che i baccanali, festa di culto greco vennero repressi nel 186 a.c. ma Catone divenne censore due anni dopo, nel 184 a.c.

E il famoso "senatus consultus de Bacchanalibus", scoperto a Tiriolo in Calabria, proibiva tutti i riti bacchici, permettendone la celebrazione in qualche caso speciale, previa autorizzazione del senato e a condizione che al rito non partecipassero più di cinque persone alla volta, due uomini e tre donne.

La misura del senato non piacque alla popolazione, soprattutto nelle città della Magna Grecia, specialmente a Taranto, dove occorsero alcuni anni perché il senatoconsulto avesse piena applicazione, dopodiché i Baccanali non riapparvero mai più in Roma.



I CULTI STRANIERI

E poi, cosa poteva rimostrare Roma contro i culti greci, i culti romani ufficiali erano assolutamente greci: quasi tutti gli Dei romani erano stati importati dalla Grecia, da Giove a Giunone, da Minerva a Marte, da Mercurio a Vesta, da Apollo a Diana ecc. ecc. 

Perfino Cibele era straniera e pure orientale, per non parlare di Mitra. Furono gli Dei stranieri a soppiantarsi a Roma più che gli Dei italici. Naturalmente il senato non poteva eliminare il culto del Dio Bacco, pena la sua collera divina. Il suo culto era ammesso, ma sotto il controllo delle autorità religiose ufficiali. 

Le celebrazioni del culto di Bacco proseguirono a Roma e in Italia anche dopo il processo del 186 a.c.: l’iconografia e le fonti testimoniano la presenza di Bacco sia in età repubblicana, presenza che il liberale Giulio Cesare contribuì a rinverdire, che in età imperiale. 

Una lista dei membri di un collegio di iniziati, del II sec. d.c., rinvenuta a Tuscolo, nel Lazio, e di cinquecento nomi, tra schiavi e liberti, attesta la prosecuzione del culto misterico. Del resto i sarcofagi romani e gli affreschi (famosi quelli della «Villa dei misteri» di Pompei), erano pieni di simboli dionisiaci e relative immagini. 

Ma venne ritrovata a Firenze un'altra lista, anche questa di quasi cinquecento persone coinvolte nel culto segreto di Iside, Dea egizia più volte bandita anch'essa da Roma. Naturalmente era stata bandita per cui la gente si riuniva segretamente sfidando le ire dello stato.

CULTO DIONISIACO

LA SENTENTIA

Nel 1640, nella cittadina calabrese di Tiriolo, mentre si scavavano le fondamenta per la costruzione del palazzo del principe Cigala, fu rinvenuta una tavola di bronzo che riportava un’iscrizione. Si trattava nientemeno del testo del senatoconsulto del 186 a.c., che proibiva i Baccanali:

«Nessuno, uomo o donna che sia, potrà essere capo o sacerdote dei Baccanali, nessuno dovrà essere seguace dell’associazione; è proibito unirsi e legarsi con giuramento, raccogliere denaro, promettersi aiuto reciproco. E’ vietato altresì celebrare i riti sacri in pubblico, in privato e in segreto; soltanto il pretore urbano, dopo essersi consultato e avere ottenuto l’assenso del Senato, potrà concedere a non più di cinque persone il permesso di celebrare un Baccanale. Per coloro che contravverranno a tali disposizioni è comminata la pena di morte» (!).
Si ordina quindi di scolpire su tavole di bronzo la decisione del Senato e di diffonderla il più possibile nei forum. «Entro dieci giorni dalla consegna della tavola, tutti i luoghi dove si tenevano i Baccanali, a meno che non contengano altari o statue sacre, dovranno essere demoliti



IL MISTERO SACRO

A Cuma un’iscrizione del V secolo a.c. allude ad un sepolcreto esclusivamente riservato ad associati dionisiaci, a Puteoli due iscrizioni romane rivelano l’esistenza di un "thiasus Placidianus" del quale facevano parte "sacerdotes orgiophantae". Ma il documento più espressivo di quanto fosse profondamente amata la religione dionisiaca in Campania è offerto dall’affresco misterico della famosa Villa. Testimone di un culto che, fiorito altrove, si era tuttavia intimamente radicato sino ad assumere un sua propria ed indipendente fisionomia.

BACCANTE
L'avvento del mito dionisiaco risvegliò un’appassionata adesione, come una liberazione e un'esigenza dell’animo umano di esprimersi in relazione all’Infinito.

In Dioniso ci si poteva lasciare andare, fino a sperimentare un’indicibile e gioiosa totalità. Per di più la gioia che il Dio annunciava era accessibile a tutti, anche agli schiavi e a coloro cui erano interdetti i culti gentilizi.

Finalmente la parte razionale si faceva da parte, aprendo le porta a quell'Anima Mundi che la filosofia greca aveva in ogni modo tentato di contattare, o meglio tentato di capire come se ne potesse ottenere il contatto.

In Dioniso non c'erano distinzioni tra uomini e donne, patrizi e plebei, schiavi e liberi. L'uomo torna ad essere totale ed integro, nella sua animalità e nella sua sensibilità, tanto più sensibile quanto più conosce la sua istintualità, contrariamente a quanto si pensa nella società di oggi e pure di ieri.

I sacri misteri avevano compreso che l'istinto è bruto quando non conosce se stesso, quando si abbandona senza coscienza, e aveva scoperto peraltro che era possibile abbandonarsi pur rimanendo perfettamente consapevoli (che è pure il fine di tante discipline dello yoga).

La consacrazione dionisiaca si adempie nel “furore bacchico”, bakcheía che trasforma l'iniziando in bákchos. Tale furore è beatitudine, come illustra appassionatamente il canto introduttivo delle Baccanti euripidee. La terra si tramuta in un paradiso, latte, vino e miele sgorgano dal suolo, le menadi porgono il seno a un piccolo capriolo; ma accanto all'atmosfera paradisiaca si affianca la ferocia assassina, i “furiosi” diventano irrefrenabili cacciatori di bestie e di uomini, fino a tagliarli a pezzi, fino al “piacere dell'omofagia”.

La presenza sulla parete centrale di Dioniso che, lasciato il tirso ed ebbro d’amore, si abbandona fra le braccia di Arianna, imponentemente seduta in trono, offre la chiave d’interpretazione del sacro divenire. La donna è la tenutaria dei segreti divini della natura, lei è l'Anima Mundi, natura selvaggia e cosmo, senza di lei non ci sono Dei.

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VILLA DEI MISTERI - POMPEI

LA DOMINA DELLA VILLA DEI MISTERI

Così lo sguardo del visitatore scorre fino al centro della scena dove la coppia divina si manifesta in scena compiuta, di madre con figlio, di amante con amante. Solo un’altra figura possiede la stessa prerogativa.

Sulla sinistra è ritratta la Domina, la Signora della villa, con lo sguardo assorto e serenamente rivolto ad una giovane donna,  sulla parete meridionale, una sposa che si prepara alla sua notte coniugale.

La Signora della casa è una matrona campana,  sacerdotessa del culto bacchico, e committente dell’affresco, viene da Kerènyi associata per la sua posizione alla regina di Atene durante la celebrazione del culto dionisiaco statale. A Pompei si trovano spesso immagini di sacerdotesse, il cui esercizio era prerogativa del patriziato e si tramandava di madre in figlia, come privilegio di nobiltà.

Le donne sono le uniche celebranti, come nel mito furono le inseparabili compagne del femmineo dio, modelli archetipali delle comunità femminili che ne officiavano il culto misterico, a parte un giovanetto e alcune figure mitiche, sileni e satiri, parte consueta della cerchia dionisiaca.

Dioniso infatti, figlio e amante della Madre natura, in essa muore e risorge come figlio-vegetazione-annuale, col suo mistero di morte e rinascita. Nistero copiato senza intenderlo affatto dalla chiesa cattolica che ne ha fatto un incidente drammatico sull'accoglienza della divinità che incautamente si presenta in veste di uomo ai mortali.

L’erotismo estatico e l’aspetto frenetico della possessione dionisiaca erano connaturati a una dimensione sovrasensibile della vita percepita dalla natura femminile. La Natura era considerata la grande Prostituta, quella che si accoppia ovunque e sempre, tenendo conto che nelle società primitive la prostituzione era sacerdotale e sacra.

La follia del culto e dei riti è la necessaria uscita dagli schemi, come prima e ultima lama dei Tarocchi essa è l'inizio e la fine, pur non essendo la stessa follia al termine dell'opera, in quanto presenza consapevole dell'istinto universale, ricongiunzione all'Anima Mundi, ricongiunzione del maschile col femminile, come nell’androgino Dioniso. Il Mistero dionisiaco è il mistero dell'universo e dell'uomo, del macrocosmo e del miscrocosmo, della vita e della morte cui segue una novella vita.


MENADI ESAUSTE (QUADRO INCOMPIUTO)

LE MENADI OVVERO LE BACCANTI

Le menadi, dette anche Baccanti, Tiadi o Mimallonidi, furono donne reali anche se in parte mitizzate (negativamente) che vestite con pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, presero le strade dei monti abbandonando case e talami per celebrare il Dio Dioniso, il liberatore. 

Tutto questo accadde all'incirca nel VI - V sec. a.c., quando le donne greche vennero coperte dai pepli dai capelli ai piedi e rinchiuse  nelle galere dei ginecei. Perchè di galera si trattava in quanto non potevano uscire neppure per fare la spesa.

Però uno spirito libero ancora era stato conservato se al richiamo del Dio le greche ebbero il coraggio di abbandonare mariti e figli per fuggire sui monti. Perchè le antiche greche un tempo gareggiavano nude nelle palestre, vestivano con la veste corta e un'unica spallina come Diana e un tempo avevano diritto al voto, tanto è vero che furono le donne a decretare col loro voto che il Partenone dovesse essere dedicato ad Athena anzichè a Nettuno, come gli uomini invece desideravano.

Dunque le donne greche con l'avvento di Dioniso hanno un risveglio: "abbandonarono le case e andarono sui monti a fare riti orgiastici dove danzavano e si scatenavano fino a tornare a notte tarda a casa stanche morte"

Dice Dioniso“Io ho impugnato la sferza della follia e ho spinto queste donne fuori dalle loro case in preda alla pazzia verso la montagna”.

Allora le donne che se ne vanno dalle loro case, che abbandonano i telai e i figli ancora da allattare e vanno in montagna in preda a questa follia sono pazze.
In realtà non erano pazze ma rivendicavano la loro libertà, perchè in Grecia avvenne una cosa simile, le donne si ripresero la libertà, allora gli ateniesi prima negarono il culto di Dioniso, poi lo accolsero ma ne fecero un culto ben controllato e senza riti orgiastici.

Cosa c'era di così scandaloso nei Baccanali, in una Roma dove la suburra pullulava di lupanari, dove oltre alle donne si prostituivano anche i maschi, dove Cesare va a letto, oltre che con le donne, con i propri generali, dove Traiano e Adriano vanno coi maschi e i padroni vanno con le schiave e, ma non si dice, le donne vanno con gli schiavi? 

Appunto, non si dice e si può fare solo se non si dice. La paura è quella della licenziosità delle donne, se le donne sono libere di abbandonarsi al sesso, tutti i maschi, nell'immaginario maschile verranno traditi. 

I romani sono abbastanza maschilisti, poi accordarono diritti alle donne grazie ad Augusto (che saggiamente ascoltava Livia), infatti accordò alle donne il divorzio e la scelta (dopo aver partorito tre volte) di sganciarsi dall'autorità maritale. Dovranno passare ben duemila anni affinchè le donne possano ottenere di nuovo questi diritti.

I Baccanali fecero paura perchè liberavano, almeno durante le feste, tutte le donne, questa fu l'autentica paura, e i romani non potevano permetterselo, altrimenti addio "mos maiorum", addio al moralismo di Catone, addio al dominio dell'uomo sulla donna. Settemila morti non li faceva nemmeno una guerra, ma lo fece la paura della liberazione sessuale della donna romana. .


BIBLIO

- Tenney Frank - The Bacchanalian Cult of 186 b.c. - in Class. Quarterly - XXI - 1927 -
- P. G. Walsh - Making a Drama out of a Crisis: Livy on the Bacchanalia, in Greece & Rome - vol. 43 - - 1996 -
- Basilio Perri - L’affare dei Baccanali, uno spregiudicato strumento di lotta politica - Città di Castello - 2013 -
- Sarolta A. Takács - Politics and Religion in the Bacchanalian Affair of 186 B.C.E. - Harvard Studies in Classical Philology - vol. 100 - 2000 -
- M. Riedl - The Containment of Dionysos: Religion and Politics in the Bacchanalia Affair of 186 BCE - - International Political Anthropology - vol. 5 - 2012 -

 

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