Visualizzazione post con etichetta Dicembre. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dicembre. Mostra tutti i post

LARENTALIA (23 dicembre)


0 comment
ACCA LARENTIA ACCOGLIE I GEMELLI

Tutti i romani festeggiavano le ricorrenze religiose con grande devozione, ma pure con grande divertimento, perchè in fondo la religione romana non aveva nulla di cupo, era fantasiosa e divertente.

«Augusto celebrava i giorni di festa e le solennità riccamente e qualche volta con semplici divertimenti. Per i Saturnali e quando gli faceva piacere, distribuiva doni, vestiti, oro e argento, ora monete di ogni conio, anche antiche dell’epoca dei re o straniere, a volte nulla oltre a delle coperte o spugne, mestoli, pinze e altri oggetti di questo genere accompagnati da cartelli oscuri e ambigui. Era solito, durante i banchetti, vendere una serie di oggetti di valore diverso e di pitture su tavole voltati per alimentare o frustrare nell'incertezza del caso la speranza dei compratori; e così presso ogni letto si organizzava un’offerta all'incanto e ciascuno dichiarava i suoi guadagni e le sue perdite.»
(Svetonio, Augustus, 75.)

Larentalia, Larentinalia oppure Accalia erano le festività dedicate ad Acca Larenzia, nutrice di Romolo e Remo festeggiata il 23 dicembre, ultimo giorno dei Saturnali (Macrobio, Saturnalia, I, 10) sul Velabro, dove si vuole sia stata sepolta Acca Larenzia. In seguito la ricorrenza venne festeggiata due volte all'anno per disposizione dell'Imperatore Augusto.

La parola latina "Acca" in sanscrito akka significa "madre". Per cui Acca Larenzia potrebbe essere identificata con la Mater Larum o "Madre dei Lari", ovvero Romolo e Remo che vennero in seguito celebrati come Lari di Roma. Ciò spiegherebbe perché durante la festività dei Larentalia i sacrifici venissero celebrati dal Flaminis Quirinalis, il sacerdote di Quirino, ovvero di Romolo, divenuto Dio Quirino.

L'identificazione come Mater Larum spiega perché durante i Larentalia si offrissero sacrifici ai Lares, gli spiriti benevoli degli antenati che proteggevano i nuclei familiari e le loro abitazioni. Acca Larenzia viene pure identificata con una divinità ctonia, custode del mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era conosciuta tra i Sabini. Larenta, o "Dea Muta", divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba.


Presso gli Etruschi era una Dea Pennuta, passata poi al culto romano come Dea prostituta e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe. Le Dee Pennute erano le Arpie, le sfingi dell'epoca, dal corpo di uccello e testa di donna, immagini triplici della Grande Madre, che poi divennero nefaste nella mitologia greca perchè includevano il lato mortifero della Dea.


ACCA LARENTIA



I MITO

Acca Larentia, o Larenzia, fu una semplice donna che guadagnò il favore degli Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Uscita dal tempio infatti incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo, che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa fortuna.

Dalle fonti non risulta che Ercole fosse deputato a maritare le donne. Comunque alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano. Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio che, in segno di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul Velabro, il mitico luogo del rinvenimento dei gemelli.

Ma perchè mai costruire una tomba sul Velabro, cosa aveva a che vedere Acca con Romolo e Remo? Eppoi le sue donazioni non ne giustificherebbero di certo il culto, e tanto meno il suo protrarsi nei secoli.



II MITO

Secondo Plinio e Gellio invece, Acca, nutrice dei gemelli, ebbe anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea.



III MITO

Secondo un altro mito essa era la dissoluta moglie del pastore Faustolo che si fece però carico dei fatali gemelli.



IV MITO

Per altri una prostituta vera e propria che fece da balia ai due gemelli.



V MITO

In un altro mito fu la lupa che li allattò sulle rive del Tevere.Chiaramente Larentia era la Grande madre, la Natura che si accoppia con tutto e produce di tutto, dalle piante agli animali e agli uomini, e in nome della Dea si effettuava la prostituzione sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare".

Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre dei Lari", Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati protettivi. L'identificazione di Mater Larum spiega perché durante i Laurentalia si offrissero sacrifici ai Lares, gli spiriti benevoli degli antenati, protettori dei nuclei familiari e delle abitazioni.

ACCA LARENTIA


LA FESTA

La festa, detta Larentalia, ma anche Larentinalia o Accalia, e pure Fasti Prenestini, secondo le zone, cadeva il 23 dicembre, come racconta Macrobio, subito al termine dei Saturnali, poi Augusto la fece ripetere due volte l'anno. Come divinità del solstizio d'inverno la Dea aveva un lato ctonio per le brevi giornate quando il sole è al punto più basso dell'orizzonte e illumina meno la terra.

Per l'occasione i sacerdoti offrivano sacrifici ai Lari e ai Mani, gli spiriti degli antenati e gli spiriti dell'oltretomba. Nelle case si accendevano profumi e candele nei larari. I festeggiamenti pubblici invece si tenevano al Velabro dove era la tomba di Acca che per l'occasione veniva ornata di nastri e ghirlande, e a volte le donne vi ponevano stole e scialli ricamati per onorarla.

Ma anche le donne per l'occasione si abbigliavano in modo vistoso, non volgari ma un po' seduttive, indulgendo con gioielli, trucco, nastri, cinture dorate, cavigliere tintinnanti, fiori sui capelli e spille sulle vesti.

Si usava anche un curioso rituale da parte delle donne, forse proprio perchè in quell'occasione erano particolarmente seducenti. Per scampare ai pettegolezzi e alle diffamazioni altrui invocavano la Dea e recitavano un'orazione sopra un pesce morto dalla bocca serrata mediante un filo di lana. Con questo rituale magico si chiudeva la bocca ai detrattori e alle pettegole. Non mancavano i lauti banchetti, le danze e la musica, perchè Larenzia era una Dea vivace che portava allegria, soprattutto alle donne.


BIBLIO

- Plutarco - Vita di Romolo -
- Lattanzio - Divinae institutiones - I -
- Tito Livio - Storia di Roma dalla sua fondazione - Bibliot. Univ. Rizzoli - Milano - 1989 -
- Macrobio - Saturnalia - I -
- Gellio - Noctes Atticae - VII -
- Andrea Carandini - La leggenda di Roma, volume IV - Dalla morte di Tito Tazio alla fine di Romolo - Mondadori – Fondazione Valla - Milano - 2014 -
- Andrea Carandini - Roma. Il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Rodolfo Lanciani - L'antica Roma - Roma - Newton Compton - 2005 -


SIGILLARIA (20 Dicembre)


1 comment


IL PRESEPE

Introdotta da Caligola nei Saturnali, in prossimità del Solstizio d’inverno, il 20 dicembre, si svolgeva la festa detta "Sigillaria", durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla, secondo alcuni le immagini dei familiari defunti durante l’anno. In attesa della celebrazione, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era quello di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.

Ciò sarebbe l'antesignano del presepe che però sappiamo già esistere al tempo della Dea orientale (iranica) Anahita, Dea Vergine (Dea della fertilità, nonchè di tutte le acque sulla terra e fonte dell’oceano cosmico) che partoriva al solstizio di inverno e si ponevano accanto alle statue della Dea e del Bambino le statue dei pastori che andavano ad adorarla portandole dei doni.



LA NATURA CHE NUTRE
 
Secondo diversi autori i Sigillaria si regalavano ai bambini sotto forma di biscotti un po' come a Castel Gandolfo, non lontano da Roma, si usano come biscotti le immagini della donna con tre seni, vale a dire la Diana con infinite mammelle, Dea della natura, degli uomini, degli animali e delle piante. 

Essendo Dea oltre che della nascita anche della nutrizione (e pure della morte) non è strano che i bambini potessero cibarsene. Infondo è la natura che ci nutre, sotto forma di piante e di animali. Il fatto poi che fosse non come pane, ovvero focaccia, ma come dolce, riporta al lato più affettivo, cioè alla madre che allatta il figlio col latte del proprio seno, come la Natura nutre con ciò che ella stessa produce.

DEA ANAHITA, RE COSROE E DIO MITRA


L'ETA' DELL'ORO

Macrobio ci ricorda di come, nell'antica Roma, durante le feste Saturnali ci si scambiavano candele di cera, per rammentale la "aurea aetas”, quando il popolo si era elevato da una vita caotica, inconsapevole e priva di luce, giungendo alla conoscenza delle arti liberali, cioè: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica.

Ma sempre durante i Saturnali ci si scambiavano i "sigilla" le statuine in terracotta, talvolta in bronzo ma insolite perchè costose, e talvolta fatte di pasta, si pensa per i più poveri, ma in realtà di biscotto, cioè di pasta dolce per i bambini. 

Secondo Svetonio, Augusto soleva in questa festività fare dei regali finti, un'usanza dell'epoca, provocando così l’ilarità di coloro che assistevano a tali burle, godendone come un ragazzino insieme alle persone che lo circondavano.
  


ERCOLE

Questa tradizione risalirebbe all'epoca in cui Ercole attraversò l’Italia, accompagnando i buoi sottratti a Gerione. Fu lui ad insegnare agli Italici di non offrire a Saturno sacrifici umani, ma statuette d’argilla antropomorfe, i sigilla appunto, venerando inoltre la divinità con lumi accesi.  (ma non insegnò a non rubare i buoi).

Ma Saturno, lo dice anche Esiodo, segnò l'età dell'oro, la più felice di tutte le età, e come poteva essere felice se agli Dei si offrivano vittime umane? Sembra che fu sempre Ercole a far sostituire le vittime argive con finti corpi di vimini intrecciati da gettare nel Tevere al posto dei sacrifici umani, però:

«Epicado riferisce che quando Ercole ebbe ucciso Gerione e portò il suo bestiame vittoriosamente attraverso l'Italia, costruì il Pons Sublicius (come si chiama ora) in modo che potesse gettare nel fiume effigi umane in numero uguale ai compagni che aveva perso per sfortuna lungo il suo cammino: in questo modo, essi poterono essere trasportati dalla corrente del mare ed essere restituiti, in un certo senso, alle loro case ancestrali al posto dei corpi dei morti. Questo sarebbe il motivo per cui la pratica di modellare tali effigi è rimasta parte dei riti
(Macrobio, Saturnalia 1.11.47.)

Ercole giocò sul significato greco di “phota”, che vuol dire "uomo", ma anche “luci”. Da questo episodio deriverebbe l’usanza di scambiarsi candele e di fabbricare, vendere e regalare statuette di argilla, durante i Saturnali. 

Da qui deriverebbe dunque sia l’usanza di scambiarsi candele e di fabbricare, sia di vendere e regalare statuette di argilla. Strano perchè Ercole era un ladro di buoi e uccise chi osò rubarli a lui, questo eroe non appare come un esempio di bontà o di saggezza.

«Queste statuette erano spesso modellate secondo le fattezze di qualche divinità, come Ercole, Minerva, Apollo sauroctono, Vittoria, o di qualche personaggio celebre (Danae o Giacinto); alternativamente, alcuni tipi erano puramente fantastici, come un ermafrodito o un gobbo. Queste sigilla erano talvolta realizzate in creta, nel qual caso il loro valore era praticamente nullo, a meno che l'artigianalità non avesse un merito particolare; quelle realizzate in marmo, bronzo corinzio, argento, od oro, erano invece frequentemente di considerevole valore
(Thomas, Emile (1899) - Roman Life Under the Caesars - G. P. Putnam's sons)

Nei Saturnalia di Ambrogio Teodosio Macrobio, Pretestato afferma che i sigillaria siano dei sostituti per le vittime sacrificali dei riti religiosi primordiali; ma un interlocutore di Pretestato di nome Evangelo, però, sostiene che le figure non siano altro che giocattoli per bambini:

«Oppure prendi i sigillaria che ha appena menzionato: la festività e le sue figurine di creta servono a divertire i bambini che non abbiano ancora imparato a camminare, ma egli cerca di renderli una questione di doveri religiosi
(Macrobio, Saturnalia 1.11.1.)

La festa prendeva nome appunto dalle “statuine” , in latino sigilla, che facevano parte dei doni che si scambiavano durante i Saturnali e che venivano offerte ai Lari; ma per alcuni era anche un'offerta al Dio Saturno, inteso come Dio degli Inferi, per dargli la propria statuina al posto della propria vita. Ma qual'è allora l'autentico significato?

LARARIO


LA PROTEZIONE DEGLI DEI LARI

Si narra che alla vigilia della festa, dinnanzi al recinto bucolico dei Lari, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni. Non ricorda la visita della befana?

Tra i doni scambiati nei giorni precedenti il Solstizio invernale, perchè I SIGILLARIA erano molto vicine al solstizio d'Inverno, più vicine del "Natalis Solis invicti" erano molto presenti le candele, per il loro simbolismo di luce, che oggi ritroviamo sull'albero di Natale.

Dopo l’istituzione delle feste Sigillaria, in Roma, i Saepta Iulia erano diventati la sede di una sorta mercatino dove si esponevano, in stand a forma di piccole capanne, doni da offrire in occasione delle feste: 

«Si innalzavano delle impalcature di legno dinanzi alle pareti dei Saepta e vi si esponevano, nelle piccole capanne, veri e propri presepi, dentro le quali si collocavano le immagini degli dei Lari, protettori della Famiglia, insieme con altre statuette (sigilla) di cera, gesso o argilla, che i Romani si offrivano in dono scambievolmente durante la festività, accompagnandole con libri, vasi di vetro, coppe di argento, gemme incise, perle, monili, scatole di avorio, ecc
(Giuseppe Lugli, Il mercato di piazza Navona e l'antica festa dei «Sigillaria» 1950)

Dal IV secolo, dopo la cristianizzazione del potere imperiale, in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone spesso i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi. Il presepe sopravvisse nella cultura rurale fino al presepio francescano del XIII secolo.

Ne possiamo arguire che la festa riguardasse anzitutto la Dea Lara in epoca antichissima madre dei Lari, dei geni che scorrazzavano un po' ovunque con compiti diversi, tra questi quello di proteggere la familia e principalmente i bambini, che sono il futuro della società. 

Essendo i romani molto attaccati nel culto ai Lari e ai Penati, tanto che se li portavano ovunque quando uscivano dalla città, è ovvio che questi culti un po' si accomunassero fino a fondersi un po'. Pertanto le statuine erano simboli sia dei geni Lari, sia dei defunti protettori, avi compresi.

Nel corso di questa festività, i sigillarii, i venditori delle figurine e di altri doni, erigevano delle bancarelle nel Campo Marzio, nei Septa Iulia e successivamente nella porticus delle Terme di Traiano. Giovenale riferisce che questi negozi temporanei bloccavano la vista dei dipinti di Giasone e degli Argonauti nel Portico degli Argonauti.

Esisteva del resto a Roma una Via Sigillaria così chiamata perchè vi si aprivano diversi negozi di sigillaria, che vendevano statuine od oggetti fittili, cioè in argilla o terracotta che dir si voglia. I Romani vi acquistavano pentole e piatti di coccio, lucerne e lanterne, vasi e vasetti, e statuine di varie divinità per inserirli nei larari o come ex voto da regalare al tempio della divinità a cui si era rivolta la richiesta.

Negli scavi effettuati dagli archeologi in varie zone del suolo italico e non solo, sono venuti alla luce innumerevoli sigilla, soprattutto statuette in terracotta come rappresentazioni dei Lari domestici che molte famiglie romane conservano gelosamente nei loro larari, o nelle favisse dei templi dove venivano gettate negli anni, o nelle stesse domus romane, residui delle feste Sigillaria.


BIBLIO

- Svetonio - Vita di Caligola - XVIII -
- Emile Thomas - Roman Life Under the Caesars - G. P. Putnam's sons - 1899 -
- Claire Holleran - Shopping in Ancient Rome: The Retail Trade in the Late Republic and the Principate - Oxford University Press - 2012 -
- Giorgio Voltattorni - Sigillaria - ed. Colombo - 1992 -
- Robert A. Kaster - Macrobius: Saturnalia - Books 1–2 - Loeb Classical Library - 2011 -
- Renato Del Ponte - I Lari nel sistema spazio-temporale romano - in Arthos - vol. 6 - nº 10 - 2002 -


SEMENTIVE A TELLUS (13 Dicembre)


0 comment
TELLUS NELL'ARA PACIS

Dei documenti greci, il più antico è l'Inno alla Terra, uno degli inni cosiddetti «omerici», anche se databile posteriormente, agli inizi del secolo VI a.c. :

"Mi accingo a cantare alla Terra, Madre universale dalle solide fondamenta,
vecchia venerabile, che nutre quanto si trova sulla superficie di essa.
Da te procede la fecondità e la fertilità, o Sovrana!,
e da te proviene dare e togliere la vita agli uomini mortali.
Beato colui al quale tu, benevola, rendi onori;
questi ha tutto in abbondanza... dea augusta, generosa divinità!
Salve, Madre degli Dei, sposa del Cielo stellato!
Concedimi una vita felice come premio al mio canto!
D'ora in poi mi ricorderò di te nei rimanenti canti."


Tellus è spesso identificata come la figura centrale sul cosiddetto: “pannello del sollievo dell’Italia” nell’ Ara Pacis, che appare qui sopra, e che è incorniciato da bucrani (teste di bue ornamentali) e motivi di vegetazione, di abbondanza e di fertilità animale.

Gli attributi di Tellus erano la cornucopia, o mazzi di fiori o frutta. La parola Tellus, Telluris, in latino indica la terra, il territorio, e lo stesso pianeta Terra. Da questa divinità sembra derivi la formula "tellus tersa", che significa "terra ferma".



ETIMOLOGIA

L' etimologia di Tellus è incerta; è forse legato al sanscrito Talam, "terra pianura". Nel IV secolo d.c. il commentatore Servio distingue tra Tellus e Terra in uso. Terra, dice, è correttamente utilizzato come Elementum, uno dei quattro elementi classici con l'aria (Ventus), acqua (Aqua), e il fuoco (Ignis); Tellus invece è la dea, il cui nome può essere sostituito (ponimus ... pro) per la sua sfera funzionale della terra, proprio come il nome Vulcanus viene utilizzato per il fuoco, Cerere per i prodotti, e Liber per il vino.

Tellus si riferisce quindi alla divinità custode di Terra e, per estensione, il mondo stesso. Tellus può essere un aspetto del nume chiamato "Dea Dia" dai sacerdoti Arvali, o almeno una stretta collaboratrice come "divinità del cielo sereno."

DEA TELLUS

LA CERIMONIA

La festa era inaugurata dal Flamine dei Cereali e dalle Vestali addette al Fuoco Sacro, che offrivano in olocausto una vacca (o una scrofa) gravida, in onore della Madre Terra che aveva accolto i semi. Nell’antica religione romana, la credenza ed il mito di Tellus Mater o Terra Mater ("Madre Terra") dovevano racchiudere diverse divinità della terra. Anche se Tellus, il nome della dea della terra originale nelle pratiche religiose della Repubblica e Terra sono difficilmente distinguibili durante l' epoca imperiale.

Marco Terenzio Varrone (116 – 27 a.c.) letterato, grammatico, militare e agronomo romano, elenca Tellus come una dei Selecti, una delle venti principali divinità di Roma, e una delle dodici divinità agricole. Dell'autore dice Cicerone:

«Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani.»

In seguito la Dea venne associata a Ceres (Cerere), nei rituali relativi alla terra ed alla fertilità agricola. In genere viene raffigurata reclinata su un fianco, come distesa sulla “sua” terra. In questo ricorda un po' la Dea neolitica di Malta, che però sembra sdraiata su un piatto, come a significare non solo la Terra ma anche il cibo, visto che gli umani e gli animali si nutrono del suo corpo.

DEA MALTESE
- Varrone identifica Terra Mater con Ceres:

“Non senza causa era la Terra chiamata Mater e Cerere. Si credeva che chi la coltivava conduceva una vita pia e utile ( piam et utilem vitam), e che i contadini erano gli unici sopravvissuti dalla linea di re Saturno.”

- Ovidio distingue tra Tellus come il "luogo della crescita", e Cerere come "la sua causa agente".

Mater, "la madre", è spesso usato come un titolo onorifico per alcune Dee, tra cui Vesta, pur essendo una vergine. "Madre" esprime quindi il rispetto che si deve a colei che ci ha generato, anche se Tellus e Terra sono entrambi considerate anche come madri in senso genealogico.

Le feste dedicate a Tellus riguardavano soprattutto l'agricoltura ed erano spesso connesse con Ceres, onorate a gennaio come "madri dei prodotti " nella festa mobile (conceptivae Feriae) delle sementivae, la festa della semina. Il suo omologo greco è Gea (GE Mater)

SACRIFICIO BOVINO

IL TEMPIO DI TELLUS

Il 13 dicembre era in realtà l'anniversario del Tempio di Tellus e veniva celebrato con un lectisternio (banchetto) per Ceres, che incarnava il potere riproduttivo della terra. Nel lectisternio una statua della Dea, si presuppone di legno, veniva sdraiata su un triclinio posto nel tempio e le veniva offerto il banchetto a cui partecipavano i sacerdoti e i dignitari invitati.

Alla Dea, la cui statua era vestita e addobbata a festa, con nastri e gioielli offerti dalla pietas popolare, veniva posto il cibo nel piatto e la bevanda nel bicchiere. Alla fine del banchetto il cibo della Dea veniva bruciato e il vino sparso in terra insieme alle ceneri ottenute, giustamente un'offerta alla Dea Terra. In questa occasione si sacrificava una vacca incinta, per favorire la rinascita dei semi di grano già piantati.

Il Tempio di Tellus è stato il punto di riferimento più importante della Carinae, un quartiere alla moda sul Colle Oppio, vicino alle domus appartenenti a Pompeo e alla famiglia di Cicerone. Il tempio era il risultato di un votum realizzato nel 268 a.c. da Publio Sempronio Sophus, quando un terremoto colpì nel corso di una battaglia contro i Piceni. Occupava l'ex sito di una casa di proprietà di Spurio Cassio, demolita quando lui fu giustiziato, nel 485 a.c., (pochi anni dall’inizio della Repubblica, nata nel 509) per aver tentato di farsi re.

Il tempio costruito da Sophus aveva per anniversario (dies natalis) cioè del suo impegno e molto probabilmente dell’apertura, la giornata di oggi: il 13 dicembre. Un oggetto misterioso chiamato "magmentarium" si trovava nel tempio, conosciuto anche per una rappresentazione del suolo italico sul muro, o una mappa o una allegoria. Era il territorio di Roma. Non a caso quel terremoto, (scossa tellurica), aveva fatto nascere il voto del condottiero durante una battaglia di conquista sull’Adriatico.

Una statua di Quinto Cicerone, istituito da suo fratello Marcus, si trovava nel recinto del tempio. E Cicerone stesso scrive che la vicinanza della sua proprietà ha spinto alcuni romani a credere che la sua famiglia avesse la responsabilità di aiutare a mantenere il tempio.

TELLUS NELL'IPOGEO DI VIA DINO COMPAGNI

LE FORDICIDIA

Ma Tellus riceveva il sacrificio di una mucca incinta alla festa del Fordicidia, festa attribuita a Numa Pompilio, il Sabino, secondo re di Roma: una festa di fertilità e zootecnia che si teneva il 15 aprile, a metà del Cerialia (aprile 12-19).

Si narrava che durante un periodo in cui Roma era alle prese con condizioni agricole difficili, Numa fosse stato incaricato dal rustico Dio Fauno, in sogno, di un sacrificio a Tellus. Come spesso accade con gli oracoli, il messaggio richiedeva una certa interpretazione:

"Con la morte del bestiame, Re, Tellus deve essere placata: due mucche, ma una singola giovenca che possieda due vite (animae) per il sacrificio."

Numa risolse l'enigma istituendo il sacrificio di una mucca incinta. Lo scopo del sacrificio, come suggerito da Ovidio, era quello di assicurare la fertilità del grano piantato e già in crescita nel grembo della Madre Terra in veste di Tellus.
Questo sacrificio pubblico si era poi trasformato in olocausto (dal greco holòkaustos, "bruciato interamente") che veniva celebrato per conto dello stato, e per ciascuna delle trenta curie, le più antiche divisioni della città fatta da Romolo dalle tre tribù originarie.

Il sacrificio di stato veniva presieduto dalle Vestali, che useranno la cenere dell'olocausto per preparare il suffimen, una sostanza rituale usata più avanti nel mese di aprile per le Parilia. In realtà solo gli embrioni dei vitelli venivano bruciati dalle vestali, che ne usavano le ceneri per purificare il popolo nei Parilia, il 21 aprile. Il resto, cioè la mucca, veniva bruciata dai sacerdoti.

CERERE - TELLUS

NATALE DI ROMA

Il 21 aprile, il giorno di fondazione (dies natalis) di Roma era anch'essa una festa di Tellus:
celebrazione della terra “posseduta”, propria: e quindi del pomerium, cioè la città.


I GIOCHI SECOLARI

Durante i Giochi secolari tenuti da Augusto nel 17 a.c., la Terra Mater fu tra le divinità onorate nel Tarentum del Campo Marzio, con cerimonie condotte secondo il "rito greco" ( Ritus Graecus ), (la distinzione dal Tellus romana il cui tempio era all'interno del pomerio) e ci fu l'olocausto di una scrofa incinta.

I Giochi secolari di 249 a.c. furono dedicati agli inferi divinità Dis Pater e Proserpina, il cui altare sotterraneo era in Tarentum. Il seme sotto terra, riporta sempre agli dei inferi. Sotto Augusto, i Giochi (ludi) sono stati dedicati ad altre sette divinità, invocate come Moerae , Iuppiter, Ilithyia , Giunone, Terra Mater, Apollo e Diana.


IL CERIALE SACRO

Il Ceriale sacro ("il rito dei cereali ") era celebrato in onore di Tellus e Cerere, da un flamen, sicuramente il Flamen Ceriale, che procedeva all'invocazione assieme a dodici aiutanti. Secondo Varrone, le due dee ricevevano congiuntamente il "praecidanea porca", un maiale sacrificato in anticipo del raccolto. Alcuni riti originariamente di pertinenza Tellus potrebbero essere stati trasferiti a Ceres, o condivisi con lei, come risultato della sua identificazione con greca Demetra.


I RITI DI PASSAGGIO

Tellus è ritenuta essere comunque presente durante tutti i riti di passaggio, in modo implicito, o invocata. Era coinvolta nelle cerimonie alla nascita di un bambino, quando il neonato era posato a terra, immediatamente dopo la nascita e veniva invocata anche in occasione dei matrimoni romani.

TELLUS- CERERE
Iscrizioni dedicatorie però a Tellus o Terra sono relativamente poche. Si trovano epitaffi durante il periodo imperiale, che a volte contengono espressioni formulari, come: "Terra Mater, mi ricevi."
Nella zona mineraria della Pannonia, si trovano iscrizioni votive e dediche a Terra Mater da villici, sorveglianti di schiavi imperiali che gestivano le operazioni negli stabilimenti del minerale di fusione (Ferrariae).

E qui bisogna pensare al materiale che viene fuori dalle viscere della terra.
L'imperatore Settimio Severo restaurerà un tempio della Terra Mater a Rudnik, una zona mineraria d'argento della Mesia Superiore: un tempio di 30 per 20 metri, che si trovava situato apposta, all'ingresso della zona di lavoro.



IL PAREDRO DI TELLUS

Il suo complemento maschile era un Dio del cielo, come Caelus ( Urano ), o una forma di Giove e tra gli Etruschi, ma è anche menzionato un certo Tellumo o Tellurus, menzionato però raramente e del quale sappiamo troppo poco.


BIBLIO

- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Marija Gimbutas - Il linguaggio della dea - Roma - Venexia - 2008 -
- Andrea Romanazzi - Guida alla Dea Madre in Italia. Itinerari fra culti e tradizioni popolari - Roma - Venexia - 2005 -
- Publio Ovidio Nasone, - Fasti - I, 671 -



TEMPLUM SOLIS INDIGETIS (9 Dicembre)


0 comment
SOL INDIGES

IL TEMPIO DEL SOLE

Il tempio del Sole venne dedicato a Roma dall'imperatore Aureliano (214 - 275) al Dio Sol Invictus nel 275, per sciogliere il voto fatto per la sua conquista di Palmira del 272. Per questo culto venne istituito un collegio di pontifices (Dei) Solis e pur dei Ludi o giochi annuali con corse nel circo, oltre ai giochi quadriennali (Agon Solis) da tenersi al termine dei Saturnalia, feste per l'insediamento nel tempio di Saturno e alla mitica età dell'oro. In epoca imperiale si svolgevano dal 17 al 23 dicembre, come fissato da Domiziano (51 - 96).
Dalle fonti sappiamo che il tempio si trovava nella regio VII "Via Lata", nel Campus Agrippae, e che venne ornato con il bottino di guerra preso a Palmira. L'edificio era circondato da portici, dove aveva sede il deposito dei vina fiscalia, il vino venduto a prezzo ridotto alla plebe di Roma a partire dall'epoca di Aureliano. La localizzazione coincide con l'attuale piazza di San Silvestro, presso la chiesa di San Silvestro in Capite.



DESCRIZIONE

Non si conosce esattamente l'orientamento del Tempio rispetto alla via Lata, oggi via del Corso. Sappiamo però che aveva due ingressi, uno dei quali era l'Arco di Portogallo, demolito nel 1662. Aveva due cortili, di cui il primo di 55 m x 75 m con sui lati brevi due emicicli con le le pareti ornate da due ordini di colonne che inquadravano nicchie; mentre gli ingressi ad arco erano inquadrati da colonne giganti per l'intera altezza.

Un piccolo ambiente quadrato di 15 m x 15 lo immetteva in un secondo cortile più ampio di 130 m x 90 , posto sullo stesso asse, con tre nicchie rettangolari sui lati lunghi. Di queste le due laterali, più ampie, avevano due colonne e una piccola abside, mentre c'erano altre tre nicchie sul lato breve di fondo, quella centrale semicircolare e quelle laterali anch'esse rettangolari, tutte con ingresso a due colonne. 

Al centro del secondo portico il Palladio disegnò un tempio circolare, privo tuttavia di misure a differenza delle altre strutture e probabile invenzione dell'architetto sul modello del tempio di Ercole a Tivoli.

SANTUARIO DI TORVAIANICA
«Nel giorno detto del Sole si radunano in uno stesso luogo tutti coloro che abitano nelle città o in campagna, si leggono le memorie degli apostoli o le scritture dei profeti, per quanto il tempo lo consenta; poi, quando il lettore ha terminato, il presidente istruisce a parole ed esorta all'imitazione di quei buoni esempi. Poi ci alziamo tutti e preghiamo e, come detto poco prima, quando le preghiere hanno termine, viene portato pane, vino e acqua, e il presidente offre preghiere e ringraziamenti, secondo la sua capacità, e il popolo dà il suo assenso, dicendo Amen. 
Poi viene la distribuzione e la partecipazione a ciò che è stato dato con azioni di grazie, e a coloro che sono assenti viene portata una parte dai diaconi. Coloro che possono, e vogliono, danno quanto ritengono possa servire: la colletta è depositata al presidente, che la usa per gli orfani e le vedove e per quelli che, per malattia o altre cause, sono in necessità, e per quelli che sono in catene e per gli stranieri che abitano presso di noi, in breve per tutti quelli che ne hanno bisogno
(Giustino, II secolo d.c.)


TEMPLUM SOLIS INDIGETIS

Era una festa che si svolgeva il 9 dicembre, la seconda festa dell'anno in onore del Dio Sol Indiges, ossia il Sole Progenitore di tutte le cose.


Il Tempio di Torvaianica

Sono stati scoperti a Torvaianica, presso Roma, i resti del santuario del Sol Indiges e quelli di due altari dove Enea fece il primo sacrificio per ringraziare gli Dei dell'approdo su una terra ricca d'acqua e cibo. L’area compresa tra l’aeroporto militare di Pratica di Mare ed il litorale di Torvaianica in età antica era occupata da un’ampia laguna che fu bonificata solo nel XVI sec. 

Qui le indagini archeologiche dell’Università di Roma “La Sapienza”, hanno portato alla luce i resti di un santuario che sorgeva presso lo scalo portuale della città e dove gli autori antichi ambientavano il leggendario sbarco di Enea. Sono visibili le fondazioni in blocchi di tufo pertinenti ad un tempio rettangolare su basso podio. 

La cella era addossata al fondo ed è possibile ricostruire l’alzato del tempio, che era circondato da colonne su tutti i lati eccetto quello di fondo. L’edificio era delimitato da un ampio recinto murario quadrangolare composto da blocchi di tufo di diverse varietà e completato da una porta d’accesso e due torri difensive (non troppo strane vista l'esistenza del porto e della pirateria).

RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO SOL INDIGES SUL QUIRINALE

Il Tempio sul Quirinale

In quel giorno cadeva l'anniversario della dedicatio del tempio del Dio Sole Indigete, dove in realtà si festeggiarono poi il Deus Sol Invictus, Helios, El-Gabal e Mitra che finirono per essere assimilati nel periodo della dinastia dei Severi.

Al contrario del precedente culto agreste di Sol Indiges ("Sole nativo" o "Sole invocato" o Sole Progenitore" l'etimologia e il significato del termine indiges sono dubbie), il titolo Deus Sol Invictus fu formato per analogia con la titolatura imperiale Pius, Felix, Invictus (Devoto, Fortunato, Invitto).
In realtà il Sol Indiges era un equivalente di Sol Pater, ovvero una specie di monoteismo che ammetteva però tanti altri Dei ma di rango inferiore, un po' come la Fortuna Primigenia o più in generale la Grande Madre Mediterranea.

Qui sotto l'imperatore Marco Aurelio Probo (ca. 280), con la corona radiata del Sol e nel retro il Sol Invictus alla guida di una quadriga.

Fu l'imperatore Eliogabalo a introdurre il culto a Roma facendo erigere un tempio dedicato alla nuova divinità sul colle Palatino. Con la morte violenta dell’imperatore nel 222 d.c., il culto cessò a Roma, anche se molti imperatori continuarono ad essere ritratti sulle monete con l’iconografia della corona radiata solare per quasi un secolo; ma non cessò nelle province e neppure in zone italiche, solo che il culto da pubblico divenne privato.

AURELIO PROBO E SOL INVICTUS


CULTO PAGANO - CRISTIANO

Questo culto ha origine in oriente. Ad esempio le celebrazioni del rito della nascita del Sole in Siria ed Egitto erano di grande solennità e prevedevano che i celebranti ritiratisi in appositi santuari ne uscissero a mezzanotte, annunciando che la Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato come un infante.

Con tutta probabilità la data venne fissata (nel 440 d.c.) al 25 dicembre per sostituire la festa del Natalis Solis Invicti con la celebrazione della nascita di Cristo, indicato nel Libro di Malachia come nuovo “sole di Giustizia” (cfr. Malachia III,20). Per cui il Natale costituirebbe la cristianizzazione di una preesistente festa pagana.

RESTI DELLE COLONNE DEL TEMPIO NEL CORTILE DELLA
CHIESA DI SAN SILVESTRO
La data coincide infatti con le antiche celebrazioni per il solstizio d’inverno e alle feste dei saturnali romani (dal 17 al 23 dicembre). Senza notare che il termine Natalis veniva impiegato già per il Natalis Romae (21 aprile), che commemorava la nascita dell’Urbe e il Dies Natalis Solis Invicti, la festa dedicata alla nascita del Sole (Mitra), introdotta a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la prima volta da Aureliano nel 274 d.c. con la data del 25 dicembre.

Il greco Dioniso veniva considerato come il divino bambino nato miracolosamente da una vergine celeste. Dioniso era stato latinizzato col nome di Mithra di cui in oriente si celebrava la festa la sera del 24 dicembre. Era il Dio iraniano dei misteri, dell’amicizia e dell’ordine cosmico, nato dalla pietra e portatore della nuova luce “Genitor luminis”.

L’imperatore Costantino (280-337) risolse così la riunificazione del culto del sole, di cui egli era grande seguace, con il culto del dio Mithra e con il cristianesimo, ed è proprio sotto il suo regno che compare la festa del Natale. Da Roma il Natale si diffonde in Africa, in Spagna e nel Nord Italia, ma è solo sotto l’imperatore Giustiniano (527- 565 d.c.) che il Natale viene riconosciuto come festa legale per l’Occidente.

Il Sol Invictus nasceva in una grotta come il bambino Gesù, ma Mitra nasceva si in una grotta ma da una pietra che era molto simile all'omphalos, cioè una pietra un conica e bombata percorsa da linee trasversale a imitare la pelle del serpente, rimando alla Madre Terra, al pitone a lei sacro e alle Pitie o Pizie divinatrici sui tripodi sacri.

Siamo di fronte infatti ad una festa antichissima, quando si festeggiava il 25 dicembre la rinascita del Padre Solare, il Grande Dio che dopo il solstizio (Sol stat) d'inverno vince le tenebre, perchè il sole sorge più alto dall'orizzonte e le giornate tornano ad allungarsi, e la luce vince le tenebre. Secondo le notizie che ci fornisce Marco Terenzio Varrone e poi supportato da Dionigi di Alicarnasso, il culto di Sol Indiges fu introdotto a Roma già dal Re Tito Tazio, quindi un culto anche sabino.

LA TRINITA' PERSIANA

LA FESTA

«…molti ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che noi preghiamo rivolti verso il Sole sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia »
(Tertulliano, Ad nationes, apologeticum, de testimonio animae)

Durante i Saturnali che andavano dal 17 al 21 di dicembre e la festa del Sol Invictus del 25, ma pure per la festa del Templum Sol Indigetis si usavano gli stessi simboli dell’eterna giovinezza di Dioniso: mirto, lauro, edera. Pertanto i templi e le processioni abbondavano di rami di mirto, di corone di
alloro e di tirsi avvolti di edera.

Secondo alcuni la festa del Sol Indiges avveniva l'11 Dicembre con l'inizio degli agonalia che in realtà però iniziavano il 10 Dicembre. Al Sol Indiges, che ebbe un santuario sul Quirinale, si offrivano sacrifici in occasione del 9 di agosto, sembra gli si immolasse una capra che rimandava ai sacrifici sia di Dioniso-Bacco che della Madre Terra.

La processione partiva dal Quirinale dove era il tempio e si snodava per il foro seguendo la Via Sacra fino al Campidoglio, ripercorrendo la Via dei Trionfi seguita dai generali romani vittoriosi, perchè il
Sol era a sua volta Invictus, cioè Vittorioso sulle tenebre.

Durante la festa i sacerdoti offrivano al popolo i "Vini fiscalia", cioè coppe di vino per libare agli Dei. Sembra che dapprima il vino venisse offerto a basso costo, ma poichè il popolo era restio a spendere, seppure in modica quantità, le libagioni non avvenivano e il Dio poteva offendersene. Pertanto per rallegrare il Sole Invitto si offrì il vino gratuitamente e così il popolo romano libava generosamente, forse anche troppo.

Per l'occasione il popolo banchettava nelle case o attraverso le bancarelle numerose che offrivano pizze con le olive e il formaggio, lupini, carni secche e pesce salato, il tutto accompagnato dai "Vini fiscalia" offerti dallo stato. Non mancavano musici e danze, ma soprattutto le corse dei cavalli al circo massimo.


BIBLIO

- Jacqueline Calzini Gysens e Filippo Coarelli  - "Sol, templum" - in Eva Margareta Steinby (a cura di) - Lexicon Topographicum Urbis Romae - IV - Roma - 1999 -
- George Dumezil - La religione romana arcaica (La religion romaine archaïque, avec un'appendice sur la religion des Étrusques - Parigi - Payot - 1964) - Milano - Rizzoli - 1977 -
- George Dumezil - Mithra -Varuna, essai sur deux représentations indo-européennes de la Souveraineté - Paris - Presses Universitaires de France - 1940 -
- Nino Burrascano - I misteri di Mithra - Genova - Il Basilisco - 1979 -- George Dumezil - Mithra-Varuna, essai sur deux représentations indo-européennes de la Souveraineté - Paris - Presses Universitaires de France - 1940 -



TIBERINALIA (8 Dicembre)


0 comment

ISOLA TIBERINA

TIBER PATER

Tito Livio, nel Libro II, riporta la preghiera rivolta da Orazio Coclite prima che si getti nel fiume nella battaglia contro gli etruschi sul ponte Sublicio: "Tiberine pater te sante precor", O Tiberino, a te indirizzo le mie preghiere, padre santo. Nell’Eneide compare una formula simile: "Tuque, o Tybri, tuo genitor cum flumine sancto", "O padre Tevere, con il tuo santo corso". E' l’invocazione per Enea in guerra con Latino per la conquista del Lazio.

Dunque il Tevere è padre e il termine Pater è molto arcaico riservato agli Dii Indigetes, ovvero "divinità indigene", non importate da altri culti o religioni, delle quali, in quanto proprie, non è consentito divulgare il nome, tanto che la formula invocativa completa non viene scritta ma solo tramandata oralmente tra i sacerdoti. Il Pater era di solito un Dio Padre che si univa con una Dea Madre, che in questo caso sembra fosse Gea, almeno secondo alcune tradizioni.

Egli appare nell'iconografia come un uomo adulto, barbuto, robusto, incoronato dall’intreccio di foglie acquatiche mentre, mollemente adagiato, porta con sé una cornucopia e spesso un remo. A volte accanto a lui stanno la lupa e i gemelli o la prua di una nave. In suo onore il Dio Tevere aveva un antico santuario sull'isola Tiberina. Orazio, ricordando uno straripamento del fiume dopo la morte di Cesare, chiama Tiberino sposo di Ilia o Rea Silvia, che egli avrebbe accolto nelle sue acque, cacciata da Amulio.

TIBER PATER
Secondo i vari autori poi il Dio era fratello di Fonto, Dio delle sorgenti, e figlio di Giano e di Giuturna, signora delle acque, ma questo quando non fu più Pater. Nel libro VIII dell'Eneide il Dio Tiberino, in forma di vecchio avvolto da un velo verde grigio e coronato di canne, appare in sogno ad Enea e gli suggerisce di risalire la corrente del fiume fino al Palatino, ove sorge il Pallanteo di Evandro. Successivamente diventa un Dio a sè stante con la sua festa e i suoi riti, tanto è vero che aveva un flamine addetto esclusivamente al suo culto.

In tempi arcaici c'era la festa delle Portunalia, la festa del porto dedicata al Dio Portunus o Portunnus, che secondo alcuni era solo Dio delle porte esteso poi a Dio dei porti, un po' opinabile visto che gli Dei delle porte furono Ianua e successivamente Giano (da Ianuus). E' vero che ogni pagus aveva i suoi Dei ma Ianua (poi Giunone) e Giano (da cui Gianicolo) furono divinità importanti per i romani.

Per Portunus c'era la festa delle Portunalia, che vennero poi assimilate alle Tiberinalia (o Tibernalia), ma non perchè si trattasse della stessa divinità anche se lo suppone Theodor Momsen.

Semplicemente il Tevere era la base di tutti i traffici di Roma, quindi fiume navigatissimo e invocatissimo dai marinai e dai commercianti, ma pure dai soldati seppur avessero porti più attrezzati per loro, come quello di Miseno. Il Tevere ebbe tra i suoi appellativi quello di "colubrum", serpente, per la tortuosità delle sue anse viste dall’auguraculum, il punto di osservazione degli auguri sulla rocca capitolina.



LE FESTE

Al Dio Tevere vennero dedicate da sempre delle feste importanti romane:
- i Ludi Saeculares (Ludi Tarentini) ad Tiberim, presso il Tevere, ovvero sacrifici devoluti a Dite e Proserpina,
- i Ludi Piscatorii dove la prima pesca veniva sacrificata al dio Vulcano,
- La Tiberina Descensio, la Discesa al Tevere, che vedeva il popolo in festa sulle barche in onore alla Diva Fortuna.
- La festa degli "Argei" consisteva nel gettare fantocci di vimini nel fiume si dice forse per scongiurare le inondazioni provocate dal Dio Tiberino.
- infine c'erano le Tiberinalia che sembra si svolgessero anticamente in primavera, per l'inizio della navigazione, ma furono invece più seguite quelle di dicembre, esattamente dell'8 dicembre, nell'anniversario della fondazione del tempio dedicato al Dio sull’Isola Tiberina, feste che si vogliono istituite dallo stesso Romolo, il fondatore di Roma.




TIBERINALIA

Nel giorno della festa la gente doveva nutrirsi solo del cibo fornito dal padre fiume, per cui all'alba i pescatori erano usciti con le barche per pescare il pesce che sarebbe servito per il banchetto da consumare nella festa delle Taberinalia.

In questo giorno di festa, a cui sembra partecipassero pure le Vestali, si allestivano barche ornate di stoffe, nastri e fiori che scorrevano nel fiume rilasciando ghirlande sui cippi posti ai lati del Tevere. Si versavano in acqua anche offerte di vino recitando apposite formule.

Fatto il giro dei 12 cippi si cucinava il pesce e si allestivano banchetti i cui resti venivano gettati nel fiume come offerta alla divinità. La sera si accendevano torce sulle rive e i sacerdoti aspergevano le imbarcazioni e le reti per la purificazione, infine le torce venivano gettate nel Tevere.


BIBLIO


- Maria Margarita Segarra Lagunes - Il Tevere e Roma. Storia di una simbiosi - Gangemi Editore - Roma - 2004 -
- Joël Le Gall - Il Tevere, fiume di Roma nell'antichità - Edizioni Quasar - Roma - 2005 -
(Joël Le Gall - Le Tibre - fleuve de Rome dans l'antiquité - Presses universitaires de France - Paris - 1953) -
- Mary Beard, John North e Simon Price - Religions of Rome: A History - Cambridge University Press - 1998 -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -



FAUNALIA RUSTICA (5-8 Dicembre)


0 comment
TESTA DI FAUNO


IL DIO FAUNO

Fauno è raffigurato in forma umana e ferina insieme, con riferimento pertanto all'origine naturale dell'uomo, come figlio cioè della Dea natura. Amato ma pure temuto perchè amante dei folti della foresta e dei lupi che vi vagano. Marco Terenzio Varrone, tramandato da S. Agostino, racconta di un rituale notturno che i Romani svolgevano per impedire al demone Fauno, in occasione della nascita di un bimbo, di insidiare la puerpera.

Tre uomini impersonavano i guardiani della soglia, costoro percorrevano i limiti della casa, si recavano alla porta principale; il primo, rappresentante di Picumno, demone del mortaio e della scure, colpiva la soglia con una scure, il secondo, in veste di Pilumno, demone della lancia e del pestello, colpiva la soglia con un’arma da lancio, e il terzo, che impersonava Stercutius, demone dell’immondizia e per contrasto della purificazione, ripuliva la soglia dalle schegge con una scopa (nelle antiche culture certi utensili quotidiani avevano valenze magiche) invocando Deverra, divinità inserita nell’elenco degli “Indigitamenta” (invocazioni alle divinità).

Con questi atti rituali si sarebbe esorcizzata l’intromissione di Fauno o più tradizionalmente di Silvano. Varrone infatti afferma che vengono assegnati tre Dei come custodi alla donna che ha partorito, affinché il dio Silvano non entri di notte e le usi violenza. E per simboleggiare i tre custodi, tre uomini debbono girare attorno alla casa di notte, colpirne il limitare prima con la scure, poi con il mortaio e infine ripulirlo con la scopa: con questi segni di culto il Dio Silvano non potrà entrare.

Il Dio Fauno viene successivamente identificato con Pan e in età classica i Fauni diventano tanti, creature campestri equivalenti dei satiri greci. Come questi, hanno il corpo metà d’uomo e metà di capra, corna e zoccoli. Secondo la tradizione il culto di Fauno fu introdotto a Roma da Numa Pompilio (754 - 674 a.c.) che era di origine sabina, per cui si presuppone che questo Dio fosse anch'esso sabino: "E (Numa) divise l'anno in dodici mesi seguendo prima di tutto il ciclo della Luna; … Distinse poi i giorni in fasti e nefasti, perché in certi giorni non si dovessero prendere decisioni pubbliche."



LA FAUNALIA RUSTICA

Nel calendario romano il 5 dicembre era il primo giorno di festa delle Faunalia Rustica, era indicato come dies faustus, giorno di buon auspicio, ed era particolarmente adatto allo svolgimento di attività commerciali.

In realtà le Faunalia venivano celebrate in onore del Dio Fauno, divinità italica di origine pastorale, protettore del bestiame e della fecondità, per lo scopo di incentivare la prolificità e la salute del bestiame. In questo senso Fauno era contrapposto al Dio dei boschi Silvano protettore dei luoghi selvaggi. 

DEI FAUNA E FAUNO
Nelle Faunalia Rustica, le cui celebrazioni avevano luogo all’aperto e nei campi, si innalzavano dalle are fuochi e profumi propiziatori, e la festa si protraeva durante le ore notturne, in cui si tenevano danze, utilizzate anche dai sacerdoti di Salii per invocare la protezione di Fauno sul raccolto e sul bestiame. In suo onore si sacrificava un capretto o una pecora, le cui carni erano distribuite ai presenti, insieme a grandi boccali di vino.

Caratteristica soprattutto delle zone rurali, la celebrazione aveva luogo in inverno e in primavera: le Faunalia invernali, conosciute anche come Faunalia Rustica, si svolgevano dal 5 all’8 dicembre (none di dicembre) e chiudevano l’anno dei lavori nelle campagne, mentre le Faunalia Primaverili, meglio conosciute come Lupercalia, precedevano il risveglio primaverile della natura invocando la protezione sulle greggi, e ricorrevano il 15 febbraio.

In definitiva erano le Faunalia Invernali, conosciute anche come Faunalia Rustica e le Faunalia Primaverili, per celebrare l’inizio della primavera e della natura e invocarne la protezione sui greggi, che avevano luogo il 15 febbraio, dapprima a se stanti, in seguito spesso associate ai Lupercali. Di notte si usava dar luogo a una danza particolare, che veniva compiuta anche dai sacerdoti Salii, attraverso la quale veniva invocata la protezione di Fauno sul raccolto e sul bestiame.

Erano giorni in cui i buoi non erano sottoposti al giogo, perché anche gli animali avevano diritto di riposarsi e partecipare all'allegria, anzi per l'occasione venivano incoronati di ghirlande e di nastri avvolti sulle corna. Si festeggiavano pertanto gli animali e il lato animale dell'uomo, infatti in epoche remote i Lupercali era l'accoppiamento delle sacerdotesse Lupe con i pastori, trasformato poi nella fustigazione delle donne ad opera dei sacerdoti e nel timore che un Dio misterioso violentasse la moglie partoriente. Insomma una riedizione molto elaborata del libero sesso preromano.

TEMPIO DI FAUNO CAPRIPEDE - ALOISIO GIOVANNOLI


I TEMPLI

A Roma, che noi sappiamo, l’unico tempio dedicato al Dio Fauno si trovava sull’Isola Tiberina e un altro fuori dalle mura, presso un bosco situato nelle vicinanze della fontana Albunea, dove esisteva un celebre oracolo dedicato al Dio, ma la fontana prendeva nome dalla Sibilla detta Albunea o TIiburtina, antica divinatrice  poi divinizzata, protettrice della città di Tivoli e artefice dei leggendari Libri Sibillini.

La Sibilla Tiburtina era anche prediletta dalla Dea Venere, si sospetta anche che in epoche più arcaiche le Faunalia Rustica oltre ai banchetti e al vino prevedessero anche gli accoppiamenti sessuali. Orazio non considera il Dio molto tenero e nella sua ode invoca Fauno chiedendogli di mostrare il suo aspetto più tenero, mitigando soprattutto le creature che vagano nella foresta, in particolare i lupi, il pericolo maggiore per i greggi.


BIBLIO

- Marco Terenzio Varrone - De lingua Latina -
- Ovidio - Fasti - IV -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Robert Maxwell Ogilvie - The Romans and their gods in the age of Augustus - 1970 -
- William Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic - London - 1908 -
- Massimo Izzi - "Faunus/fauni" - in "Dizionario dei mostri" - Roma - L'Airone - 1997 -


SATURNALIA (17-23 Dicembre)


7 comment
I SATURNALIA

SATURNALIA ET OPALIA

Furono un ciclo di feste celebrate dal 17 al 23 dicembre, periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano, in onore di Saturno (Crono) e della Dea dell’abbondanza dei frutti della terra, Ops, sua sposa. Dalla religione cattolica sono state sostituite dal ciclo di feste che vanno da Natale a Capodanno. Anche in queste feste pagane erano previsti addobbi nelle città, di ghirlande, di fiaccole, di bracieri accesi davanti ai templi, di nastri, di rami e di fiori invernali.

I Saturnalia erano dedicati all'insediamento nel tempio del Dio Saturno e alla mitica Età dell'Oro. Secondo il mito, Saturno fu da Giove cacciato dal cielo e accolto da Giano nel terreno italico, che prese il nome di Saturnia, dove regnò durante la suddetta Età dell’Oro, insegnando agli uomini la coltivazione della terra e stabilendo le prime leggi.

Secondo Esiodo si tratta della prima età mitica, quando « un'aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come Dei passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro... » (Esiodo - Le opere e i giorni).

Che siano gli uomini a creare gli Dei e non viceversa lo sostiene anche Plutarco nei suoi "Dialoghi Delfici", come a dire che le religioni sono inventate dagli uomini, il che non nega le potenze superiori del cosmo, ma dimostra che l'uomo le ha sentite, rappresentate e infine inquinate dai suoi desideri e proiezioni deformandole totalmente.

In onore di Saturno per sette giorni si commemoravano i tempi del suo regno felice con divertimenti, scambio di doni e banchetti, cui si convitavano gli schiavi perchè non c’erano differenze di ceto sotto il governo del Dio. Infatti, durante l'età dell'oro gli uomini vivevano senza bisogno di leggi, senza odio nè guerre tra di loro, e non coltivavano la terra poiché vi crescevano le piante spontaneamente.  Era sempre primavera, perciò non c'era bisogno di costruire case o di ripararsi in grotte. Con l'avvento di Giove che pone termine all'età dell'oro dando inizio inizio all'età dell'argento.

Esiodo dice che l'Età dell'Argento aveva diverse colpe, perchè i figli restavano a lungo presso le loro madri (invece di andare in palestra a imparare la guerra) e gli adulti erano litigiosi (ma non c'erano guerre). Giove li punì di questo sterminandoli. L'età dell'Oro doveva essere il periodo primitivo ed istintivo, dove l'uomo non aveva consapevolezza della propria morte.

L'età dell'Argento è il Matriarcato (argento, luna e acqua sono tutti elementi del femminino), dove non si facevano le guerre, Giove (il nuovo patriarcato) li stermina ponendo fine all'Età dell'Argento e dando inizio all'Età del Ferro (sempre secondo Esiodo) dove si fanno le guerre.

La fine dell'Età dell'Oro avviene per colpa di una donna, (dimenticando che il buon Saturno sbranava i suoi figli e per questo venne detronizzato), perchè Prometeo impietosito dagli uomini che non hanno il fuoco per cucinare, lo ruba agli Dei per donarlo agli umani. Giove, che evidentemente non ama gli umani, punisce Prometeo e giacchè  c'è punisce pure gli uomini inviando Pandora, la donna curiosa. E' lei ad aprire il vaso proibito, e pertanto funesto per gli uomini. Strano, perchè il presupposto di ogni scienza e progresso è la curiosità.

DIO SATURNO
I saturnali avevano inizio con grandi processioni, sacrifici, ricchi banchetti con copiosità di cibo e di vino per cui, non essendoci la condanna del sesso, si sconfinava anche i rapporti piuttosto licenziosi. Le orge però ce le infilò la chiesa cattolica, perchè i romani non le vedevano di buon occhio. Catullo definisce la festa "Optimo dierum" (il migliore tra i giorni).

I convitati della festa usavano poi scambiarsi l'augurio "ego Saturnalia" (io Saturnalia), che secondo gli autori era l'abbreviazione dell'augurio di trascorrere lieti Saturnalia (ego tibi optimis Saturnalia auspico), oppure significava "Io sono i Saturnalia" che però non sembra avere gran senso, tanto più che si trattava di una festa molto conviviale.

Quindi la prima interpretazione sembra la più valida, tanto più che l'augurio era accompagnato da piccoli doni simbolici, detti strenne (dalla Dea Strenua, la Dea del solstizio d'inverno), a base di candele, noci, datteri e miele. 
Infatti gli schiavi durante la festa diventavano uomini liberi, non dovevano servire i padroni ma a volte erano gli stessi padroni a servirli, o almeno organizzavano un banchetto per loro; in memoria del fatto che durante il regno di Saturno non c'erano servi nè schiavi. Inoltre veniva eletto, tramite estrazione a sorte, un "princeps", una caricatura della classe nobile, a cui veniva assegnato ogni potere sulla festa stessa, vestito con una buffa maschera e colori sgargianti tra cui predominava il rosso, colore degli Dei e degli imperatori (Seneca, Apocol., 8).

Il princeps, che seguiva e organizzava la festa, assicurandone il buon andamento, rappresentava una divinità infera, Saturno o Plutone, guardiano dei defunti, ma anche protettore delle campagne e dei raccolti. Nei Saturnalia veniva permesso anche il gioco d'azzardo, proibito per tutto il resto dell'anno, giochi ai dadi compreso.

I Saturnali si celebravano anche nell'esercito; la festa era detta "Saturnalicium castrense", dove i soldati semplici sedevano accanto ai generali da pari a pari e si brindava insieme alla festa che rilassava dalla fatica e dalla tensione del combattimento.

In epoca romana si credeva che tali divinità (Saturno, Plutone, Proserpina), uscite dal sottosuolo, vagassero in corteo per tutto il periodo invernale, quando la terra riposava incolta a causa del gelo invernale. Dovevano quindi essere placate con l'offerta di doni e di feste in loro onore per renderli benevoli e farli poi tornare nell'aldilà, dove, come divinità del sottosuolo, avrebbero protetto i semi, li avrebbero fatti germogliare in primavera e avrebbero favorito i raccolti della stagione estiva.

Durante i Saturnali non esistevano giorni infausti e si abolirono i lutti. Infatti Svetonio per far comprendere quanto Germanico fosse amato dai romani e quanto si addolorarono per la sua morte, riporta il fatto eccezionale che il lutto della popolazione proseguì eccezionalmente anche durante queste feste. "Così nel tempo dei saturnali Svetonio dice che il lutto di Germanico fu tale che durò anche in quei giorni"



IL MITO DI SATURNO

Il Dio Saturno, ovvero il suo corrispondente greco Kronos, Crono, che era anche la divinità del tempo, venne esiliato da Zeus e dagli Olimpi suoi figli al termine della Titanomachia, ed aveva secondo alcuni spostato il suo regno in un luogo che, Greci prima e Romani poi, chiamavano le "Isole Beate" che. da Claudio Tolomeo (100 - 175 d.c.) in poi si è sempre sostenuto che coincidessero con le isole Canarie.

Un'altro mito invece, prettamente italico, narrava che Saturno fosse stato legato e sepolto da Giove in un posto segreto del Lazio. Il nome di questa regione veniva fatto risalire a "latere" (nascondere) e Latium alludeva al luogo nascosto della tomba del Dio. Chi avesse potuto scoprire il sepolcro avrebbe potuto ottenere il "seme d'oro" che Saturno custodiva nel suo sepolcro, seme che avrebbe reso felice e immortale chiunque l'avesse posseduto.

Durante i Saturnali i tribunali e le scuole erano chiusi: era proibito iniziare o partecipare a guerre, stabilire pene capitali, portare lutti e, comunque, e qualsiasi altra attività che non fosse il festeggiamento. I Saturnali si svolgevano nel periodo precedente il solstizio d'inverno, alla vigilia del Natale del Sole: il nuovo Sole che rinasce dopo la sua morte simbolica.

Era la festa più cara ai romani perchè partecipata da tutto il popolo, una festa che si svolgeva in tutto l'impero soprattutto per strada, con fiere, spettacoli e mercatini, da cui i nostri mercatini natalizi. Per questa ragione non era ben vista da certi moralizzatori un po' razzisti che non vedevano di buon occhio le commistioni tra i diversi ceti sociali e soprattutto tra uomini e donne.

La parte ufficiale della festa consisteva in un solenne sacrificio nel tempio cui si assisteva a capo scoperto e durante il quale si scioglievano le bende di lana che avvolgevano i piedi del simulacro di Saturno. Seguiva un banchetto pubblico dove tutti i convenuti si scambiavano brindisi e auguri.

Saturno rimaneva slegato ad adempiere le sue funzioni di fondatore di una nuova era fino alla fine dell'anno. Saturno moriva al solstizio d'inverno per rinascere come Dio-bambino all'inizio dell'anno.



I SATURNALIA CASTRENSIS

I Saturnali si celebravano anche nell'esercito; la festa era detta "Saturnalicium castrense"; nei castri si addobbavano le sale dove si organizzavano banchetti e brindisi vari, e i gradi inferiori sedevano per una volta accanto ai gradi superiori dell'esercito romano. Era anche una possibilità per i superiori di conoscere qualcuno dei propri legionari e magari, se ne rimaneva ben impressionato, di dargli mansioni più importanti per mettersi in luce e magari salire di grado.



I GIORNI DELLA FESTA

- 17 dicembre - ante diem sextum decimum Kalendas Ianuarias - Saturnalia -

- I Saturnali iniziavano con il rito del “lectisternium”: le statue di Giove e dei 12 Dei venivano stese sui letti in atteggiamento commensale, ovviamente avevano statue apposite per questo; gli si parlava, e con grande rispetto si chiedeva loro la protezione di Roma e dei cittadini, spiegando i problemi attuali; poi gli si offriva il cibo che veniva in seguito consumato pubblicamente dai partecipanti, in alcuni casi, quando c'era un pericolo incombente, il cibo veniva invece bruciato come offerta agli Dei.
- C'era poi la celebrazione religiosa con processione fino al tempio di Saturno posto alle falde del Campidoglio e si facevano sacrifici di animali.
- Si accendevano le candele e vi era un grande banchetto di quartiere, con focacce, formaggi, olive e vino annacquato al quale tutti erano invitati; si facevano anche i brindisi e gli auguri. Il tutto a spese dello stato.
- Dal 17 iniziavano le feste in cui non si lavorava, si scambiavano doni e biglietti di auguri, spesso epigrammi, nonchè si regalavano i tre simboli dei saturnalia: il mirto, il lauro e l’edera (sacri a Venere, Apollo e Bacco).
- Si facevano grandi banchetti e veniva eletto il "Princeps Saturnalicius" che governava la festa. Anche le vesti cambiavano: si abbandonava la toga e s’indossava la synthesis (una veste da casa molto disinvolta), e come copricapo si usava il pileus (un berretto a forma di cappuccio).

"Nel culto della persona e nel vestire fu così sciatto che aveva i capelli sempre tagliati a scaletta e, dopo il viaggio in Grecia, anche cadenti giù sulla nuca; inoltre usciva in pubblico quasi sempre senza cintura e scalzo, in veste da camera (synthesis) e con un fazzoletto al collo."
(Svetonio, Vita di Nerone)

Secondo un'altra tradizione i Saturnalia erano stati istituiti dai compagni di Ercole rimasti in Italia.
Varrone invece faceva risalire i Saturnalia ai Pelasgi insediatisi in Italia dopo averne scacciato i Siculi. In ogni caso le feste di Saturno risultavano molto antecedenti alla fondazione di Roma.
La festa, la cui regolamentazione ebbe luogo nel 217 a.c., durava due giorni ai tempi di Cesare, quattro ai tempi di Caligola e sette ai tempi di Domiziano, perchè i romani amavano fare vacanza.

Gli schiavi giravano per la città mascherati e con in testa il berretto frigio (quello della liberazione, quando cessavano di essere schiavi e diventavano cittadini romani) abbandonandosi alla più sfrenata baldoria, ma i cittadini non erano da meno. E' evidente che nella settimana dei Saturnalia Roma era in preda al caos, ai rumori e alla confusione, come riportano Seneca e Plinio il Giovane: quest'ultimo ci narra che durante i festeggiamenti si rifugiava in una casa di periferia, lontana dai rumori e gli schiamazzi della festa.

I SATURNALIA (by Severino Baraldi)

- 18 dicembre - ante diem quintum decimum Kalendas Ianuarias - Saturnalia -
Secondo giorno delle feste in onore di Saturno. Ancora banchetti pubblici e privati, tutti invitavano tutti, Roma si riempiva di bancarelle, giocolieri, danzatori e musici, le edicole degli Dei venivano adornate con nastri e fiori. Vi si univa la festa dell’Eponalia, dedicata ad Epona e particolarmente cara agli equites, Dea celtica dei cavalli, preservatrice e dispensatrice di abbondanza e fertilità. Per giunta il 18, 19 e 20 erano i giorni di Mercatus, praticamente le fiere di oggi.

- 19 dicembre - ante diem quartum decimum Kalendas Ianuarias - Opalia -
Terzo giorno dei Saturnalia, in onore della Dea Ops o Opis, antica Dea dell'Abbondanza, protettrice di un ricco raccolto, considerata la moglie di Saturno. Anniversario della dedicazione del tempio di Ops sul Campidoglio. La Dea era di origine sabina, il culto venne introdotto a Roma al tempo di Tito Tazio. A lei si chiedevano le grazie e si facevano voti.

- 20 dicembre - ante diem  tertium decimum Kalendas Ianuarias - Sigillaria -
Nell'ambito dei Saturnali si svolgeva anche la festa delle statuette di terracotta, dette sigillaria, di cera, di pasta, o di terracotta, come ex-voto e doni augurali. che si scambiavano durante i Saturnali e che venivano offerte ai Lari; ma se ne offrivano pure al Dio Saturno, essendo Dio del tempo e quindi anche della morte, come a scongiurare la propria: l'offerente dava al Dio il sigillum in sostituzione della propria persona.

- 21 dicembre - ante diem duodecimum Kalendas Ianuarias - Saturnalia -
- Quinto giorno delle feste in onore di Saturno. Roma si riempiva di gente dell'impero e di oltre impero, giunta a vedere la meraviglia della festa romana, dove l'Urbe dava il meglio di sè negli spettacoli sulle piazze. Per strada si vendeva cibo, souvenir, sigillaria, vesti, ornamenti e gioielli. Artigiani di ogni dove offriva merce realizzata in cuoio, in legno, in terracotta, in bronzo, in ottone e in argento e in elettro. 

- 22 dicembre - ante diem undecimum Kalendas Ianuarias - Saturnalia -
Sesto giorno delle feste in onore di Saturno. Poichè la festa coinvolgeva tutto l'impero, da altre città si recavano a Roma le compagnie di danzatori di attori e di mimi che si esibivano nelle piazze. Nell’84 Marziale pubblicò gli Xenia (doni per gli ospiti), dei suoi scritti riguardanti i doni che i Romani usavano scambiarsi in occasione dei Saturnali.

- 23 dicembre - ante diem decimum Kalendas Ianuarias - Saturnalia -
Settimo ed ultimo giorno delle feste in onore di Saturno. Si ringraziavano gli Dei con una nuova processione, le strade pullulavano di fiaccole e bracieri, e la giornata passava tra i banchetti e le terme addobbate a nastri e ghirlande per l'occasione. La chiusura avveniva al tramonto.


BIBLIO

- Aulo Gellio - Noctes Atticae - libro II -
- Macrobio - I Saturnali - a cura di Nino Marinone - Unione Tipografico-Editrice Torinese - Torino - 1967 -
- Ambrogio Teodosio Macrobio - I Saturnali - a cura di Nino Marinone - classici latini - UTET - 1987 -
- G. Frazer - The golden bough - Il ramo d'oro - III - Londra - 1911 -
- G. Dumézil - La religione romana arcaica - Milano - 2001 -
- John F. Donahue - "Towards a Typology of Roman Public Feasting" in Roman Dining: A Special Issue of American Journal of Philology  - University Press - 2005 -


 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies