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COLLE VELIA


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PALAZZO SILVESTRI SULLA VELIA NEL 2019

La Velia era un'altura di Roma, alta circa 40 metri, posta tra il colle Palatino e il colle Oppio, una delle propaggini dell'Esquilino (58,3 metri su viale di Monte Oppio). Oggi scomparsa, era una propaggine del colle Esquilino, Rione Monti, Roma. Il colle, con il Palatino e il Campidoglio, ed era una delle cime che naturalmente sovrastavano l'area dove sarebbe sorto il Foro Romano.

La Velia era un colle a carattere residenziale, che aveva ai lati la depressione dell'area dei Pantani ove sorgevano i Fori Imperiali e sul lato più interno la depressione della Suburra e dall'altro lato la valle del Colosseo. Essa confinava con il quartiere delle Carinae, il settore occidentale del pendio meridionale dell'Esquilino, da cui era separato dal vicus Cyprius, (quello dove Tullia avrebbe ucciso il padre Servio Tullio, schiacciandolo con il suo carro trainato dai cavalli).

La Velia (talvolta indicata come Veliae = le Velie) era compresa nell'antichissima lista del Septimontium (i sette monti) e insieme al Palatino costituì una delle quattro regioni in cui il re Servio Tullio aveva diviso la città. Era costituita una piccola altura di forma rettangolare che raggiungeva il suo punto più alto dove oggi si trova la Basilica di Massenzio, praticamente la parte rimasta è quella all'altezza del clivo di Acilio, del Belvedere Cederna, il punto dove sorge la villa Rivaldi-Sivestri su via del Colosseo.

POSIZIONE DEL VELIA

Sotto la basilica di Massenzio, è stata ritrovata la pavimentazione di magazzini della prima epoca imperiale (horrea piperitaria, ove si conservava il pepe). Dopo il grande incendio di Roma, Nerone sul suo lato orientale fece costruire l'atrio della sua Domus Aurea, dove poi fu costruito il tempio di Venere e Roma, mentre la sua parte occidentale fu sbancata per la costruzione del tempio della Pace.

Tra i popoli albensi (o albani), che a seguito della distruzione di Alba Longa, furono costretti a trasferirsi a Roma, comunque equiparati nei diritti agli stessi romani, sono citati i Velienses, dal nome del colle che andarono a popolare.

Sulla Velia si trovava la domus del re Tullio Ostilio e quella di Publio Valerio Publicola, politico e militare romano del VI secolo a.c., che egli stesso fece demolire in una sola notte, non appena seppe che tra il popolo girava la voce che avesse intenzione di farsi re. Ricostruita la sua domus alle pendici dello stesso colle, alla morte di lui al posto della sua casa fu eretto il tempio dedicato alla Dea Vica Pota.

MURO DI CONTENIMENTO PALAZZO SILVESTRI-RIVALDI

Accanto alla casa si trovava anche la tomba che gli fu concesso di costruire, in via eccezionale, dentro il pomerium. Il colle rimase comunque appannaggio della famiglia dei Valeri, una delle famiglie romane più illustri ed influenti, che qui ebbero la loro residenza principale.

Ai piedi del colle si trovava poi il tigillum Sororium, l'arco di legno sotto cui venne fatto passare l'Orazio superstite, come sola condanna per aver ucciso la sorella Camilla. Sul colle insisteva un tempio dedicato ai Penati mentre sul lato orientale sono state ritrovate pavimentazioni di epoca repubblicana.

Nel IX secolo, presso le rovine del tempio di Venere e Roma, fu fondata la chiesa di Santa Maria Nova, in seguito ridedicata come basilica di Santa Francesca Romana. Nel '500 sull'altura fu edificato Palazzo Silvestri-Rivaldi, i cui giardini si estendevano su gran parte della Velia, fino alla Basilica di Massenzio: la sommità di questa fu adibita a belvedere panoramico su Foro romano e Palatino.

MURO DI CONTENIMENTO BASILICA DI MASSENXIO

La collina venne in gran parte sbancata negli anni trenta per l'apertura di via dei Fori Imperiali che collega piazza Venezia al Colosseo. Probabilmente Confinava con la Velia la zona delle Carinae, c'è una via sul versante del colle Fagutale, che la ricorda, in realtà il vicus ad Carinas era in un tratto del foro Romano tra il Templum Pacis e gli Horrea Piperataria, poi sostituiti dalla Basilica di Massenzio.

Il taglio della Velia non fu effettuato, come si crede, per rendere la strada rettilinea e adatta alle parate militari e alle celebrazioni del regime fascista, i documenti d'epoca smentiscono quest'idea. Il progetto originario prevedeva una curva a gomito all'altezza della Basilica di Massenzio, per poi riconnettersi alla viabilità alla base del Colle Oppio; il taglio della Velia non sarebbe stato necessario o molto ridotto.

Fu il governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi a proporre di rettificare il tracciato, per risparmiare sugli espropri e per rendere il Colosseo visibile tutta la strada, con grande effetto scenico. Antonio Muňoz propose la cosa a Mussolini, che approvò, previe indagini archeologiche sulla Velia. 

Gli scavi rivelarono presso il Tempio di Venere, un piccolo altare, il compitum Acili descritto da Guglielmo Gatti, costruito per i Lares Compitales, le divinità degli incroci; nonchè i resti fossili di un Elephas antiquus, purtroppo deterioratisi quasi immediatamente, conservati all'Antiquarium comunale del Celio.

I resti dell'altura si trovarono dunque separati in due dall'apertura della nuova strada, e furono perciò delimitati da due muraglioni di sostegno: a sud-ovest nelle vestigia del tempio di Venere e Roma e della Basilica di Massenzio, e a nord-est bel Palazzo Silvestri-Rivaldi e quanto rimane del suo giardino, in origine molto esteso su gran parte della Velia.

ELEPHAS ANTICUUS

ANDREA CARANDINI

La topografia di Roma è grandemente facilitata dal fatto che si articola in monti/colli e in bassure/valli, le quali hanno conservato ancora oggi i loro nomi antichi, per cui la conformazione dei luoghi aiuta a comprendere i limiti degli stessi rilievi e valli. Ciò non si verificherebbe se la città fosse stata in pianura, nella quale i toponimi vagherebbero, rendendo tutto assai incerto. 

Vi è però un’eccezione rappresentata dal monte Velia, il secondo in grado d’importanza dopo il Palatium nel contesto del Septimontium. Si trattava di un monte piccolino, sede degli antichissimi Velienses, uno dei populi Albenses, villaggio che deve aver svolto un ruolo preminente, al tempo dei primi Latini, anteriormente al Septimontium e quindi ai centri/centro proto-urbano, quando probabilmente questo monte è sceso al secondo posto. 

Allora è cominciata la fortuna del Palatium e del Cermalus, cioè del Palatino. Di questo monticello della Velia, interposto tra il Palatium e il Fagutal/Esquiliae (l’Esquilino), pertanto centralissimo, non resta quasi più nulla, salvo il lembo della villa Rivaldi. Gli altri tre lembi sono stati asportati, soprattutto da Nerone e dai Flavi, per dar luogo ai portici racchiudenti edifici pubblici e principeschi disposti lungo la nuova Sacra via tra i quali gli horrea flavi, la basilica di Massenzio, il vestibulum della residenza veliense della domus Aurea e il templum Pacis. 

Per contenere le parti superstiti del monte erano servite, fin d’allora, cospicue opere murarie di contenimento. A completare la distruzione del monte è stato infine Mussolini con la sua pomposa via dell’Impero, la quale ha scassato sia la grande domus che sorgeva sulla sua cima, probabile residenza del praefectus Urbi, sia l’aedes/secretarium Telluris con edifici annessi, che chiudeva a est il complesso della prefettura urbana, aperto a ovest dal templum Pacis. 

Per questa parte importantissima di Roma possediamo solamente disegni del ’500 attribuiti a Francesco da Sangallo e a Pirro Ligorio. Solo essi consentono di ricostruire la topografia di questa zona importantissima della città a partire dalla fine del ii secolo d.C. Dunque, la Velia è stata sbocconcellata dai maggiori demolitori urbani. Un monticello è un inno alla varietà e non all’uniformità, dote noiosissima che i despoti, da Nerone a Mussolini, prediligono. 

Ma i resti sopravvissuti e le testimonianze di rinvenimenti poi scomparsi, ma agganciabili a luoghi certi come il nartece della basilica di Massenzio, consentono di ricucire e ricostruire la deliziosa e provocante irregolarità del rilievo e di resuscitare la storia di un quartiere. 

(Andrea Carandini)


BIBLIO

- Tito Livio, Ab Urbe condita libri -
- Dionigi di Alicarnasso -Antichità romane -
- Cicerone -De re publica - II -
- Nicola Terrenato - Velia and Carinae. Some observation on an area of archaic Rome -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma. La città Palatina ed i Sette colli. -
- L. Quilici - Via dei Fori Imperiali prima di Mussolini - Scomparsa di un colle dalla faccia di Roma - Archeologia viva - 1982 -
- A. Cederna - Distruzione e ripristino della Velia - L. Benevolo, F. Scoppola (edd.) - Roma, l'area archeologica centrale e la città moderna - Roma - 1987 -
- A. Carandini - Palatino, Velia e Sacra via. Paesaggi urbani attraverso il tempo, Ghezzano - 2005 -



VALLE MURCIA


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VALLE MURCIA

GIUSEPPE MARCHETTI LONGHI
Ludi e Circhi nell'antica Roma

"Ma, come scarse, eppur solennissime, le prime forme di ludi, così unica la sede di esse. Se si eccettuino le Equine, ο corse di cavalli in onore di Marte nel Campus Martius, che rappresentano le lontanissime origini delle corse dei barbari, che i nostri vecchi ancora ricordano, gli antichissimi Magni Circenses, e poi tutti gli altri: i Romani, i Plebei, gli Apollinari, ecc. si celebravano nella grande valle, interposta tra il Palatino e l'Aventino, la celebre Vallis Murcia, sede delle primitive leggende di Roma e che, per la sua configurazione geografica, era già di per sè stessa l'ippodromo naturale, offerto ai primitivi abitatori del Palatino, dell'Aventino e dei finitimi colli.

La modesta ara ricoperta di zolle, rappresentava già gli altari di marmo, i simulacri di bronzo, gli obelischi e le mete dorate, che orneranno in seguito la spina del circo, che dividerà l'arena in due parti longitudinali, segnanti il percorso delle bighe e delle quadrighe spinte a corsa sfrenata. Tale l'origine del Circo Massimo, il primo, e per lungo tempo l'unico, circo di Roma.

Ma se quei primi abitatori della città Palatina e del Pago aventinense, onoravano in tal guisa il Dio, emblema della generazione delle messi e protettore dei puledri, questi e quelle riassumenti l'attività di pace e di guerra di quei prischi abitatori, ben presto un altro concetto prevalse: quello di onorare cioè le vittorie degli eserciti e le fortune vincitrici della patria. I più antichi ludi, i Romani, ebbero il precipuo carattere di una festa trionfale, onde celebravansi nell'autunno al ritorno degli eserciti dalle campagne di guerra. 


IL CIRCO MASSIMO
E, come la tradizione riporta a Tarquinio Prisco, personificazione leggendaria dell'influsso Etrusco in Roma, la trasformazione in circo stabile di quello naturale, formato dalla Vallis Murcia e dalle pendici del Palatino e dell'Aventino, così, non è forse improbabile, che etrusca fosse l'origine di quei ludi, che compresero essenzialmente ο corse di carri, su cui a lato dell'auriga stavano i corridori, che, poi, saltando in terra durante la corsa, gareggiavano in velocità con i carri, oppure corse di uomini tenenti al morso i destrieri, così come li rimiriamo ancora nei divini Dioscuri sul Quirinale. "

La valle o depressione, è alta 18 metri s.l.m. ma il suo livello  ha subito un rialzo di 9-12 metri sul  suolo antico. Essa separa il Palatino che sorge a 51 metri a nord-est dell'Aventino che sale a 46 metri a sud-est e conduce a nord-ovest sul Foro Boarium Forum e sul Velabro.

Il nome della valle deriva da Murcia, divinità arcaica venerata in un sacellum alle pendici nord dell’Aventino, che avrebbe anche riferimenti con i mirti che avrebbero coperto l’Aventino. Varrone riferisce che l'antico santuario della Dea Murcia, posto manco a dirlo in Valle Murcia, un tempo circondato da un boschetto, si era  ridotto a un solo albero di mirto, ultimo vestigium dell'età augustea (Varrone, loc. Cit.).

Nella tarda antichità la valle veniva chiamata Valle Murcia in onore della Dea, ma forse solo dopo che il suo santuario venne ampliato notevolmente (Humphrey 96-97; Coarelli; s.v. Vallis: Circo Massimo), vale a dire quando venne edificato in pietra il Circo Massimo.

GLI SCAVI DEL CIRCO
Non si sa nulla dell'architettura augustea del santuario, e anche la sua posizione può essere solo approssimativa, però Plinio parla di una Murciae Metae, a Roma, dove era consacrato un altare alla Dea Murcia. E Festo ci informa che c'era un tempio a Roma, il Tempio Murco,  dedicato alla Dea Murcia. Secondo lo studioso Felice Ramorino (1852 – 1929) la Dea Murcia aveva un tempio ai piedi dell'Aventino presso il Circo Massimo, secondo alcune fonti voluto da Anco Marzio.

Fattostà  che la Vallis Murcia, la valle tra Palatino e Aventino, sede di numerosi culti antichi celebrati con feste e gare circensi, è un luogo fortemente legato alle origini di Roma: è qui che avvenne il famoso Ratto delle Sabine da parte di Romolo che segnò in qualche modo origine alla civiltà romana, ovvero latino-sabina.

Poco dopo, il primo dei re etruschi, sistemerà proprio la valle Murcia per ospitare il più grande edificio da spettacoli mai concepito nel mondo Romano: il Circo Massimo.  L’antica Valle Murcia era già nell’antica Roma consacrata alla Dea Flora e fino a tutto il XVI secolo rimase coperta di orti e giardini.

Dunque la prima sistemazione della Vallis Murcia, situata tra il Palatino e l’Aventino, viene riportata all'epoca dei Tarquini, quando venne costruito un sistema di canalizzazioni che permise di drenare tutta l’area, ciò che permise la realizzazione del Circo Massimo.

LA VISTA DEL PALATINO

GLI INTERVENTI SUL CIRCO MASSIMO

In epoche molto antiche nel mezzo della Valle Murcia passava un affluente del Tevere che partiva li dove in epoca romana risiedeva il Foro Boario. Nel corso dei secoli ci furono molteplici interventi nella zona e bonifiche per rendere il luogo salubre. Nel 196 a.c., Lucio Stertinio fece erigere al centro del lato curvo meridionale un monumentale arco trionfale.

LA VALLE IN EPOCHE ARCAICHE EVIDENZIATA IN ROSSO (INGRANDIBILE)
Ingenti lavori di ampliamento furono realizzati da Giulio Cesare nel 46 a.c., e sotto Augusto venne edificato il pulvinar, una zona sacra destinata agli Dei che presiedevano gli spettacoli e alla cui iniziativa si deve l’installazione sulla spina dell'obelisco di Ramsete II, proveniente da Eliopoli (ora a Piazza del Popolo).

Il Circo, devastato più volte dal fuoco e conseguentemente restaurato, fu ricostruito quasi integralmente in epoca traianea, fase cui appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio visibili nel tratto della parte curva ancora esistente, in vicinanza del Palatino e del Celio, attualmente in fase di scavo e di sistemazione.

Ma altri restauri avvennero per opera dei successivi imperatori, tra cui, nel 357 d.c., fu aggiunto da Costanzo II un altro obelisco, quello di Thutmosis III, proveniente da Tebe e ora in Piazza di San Giovanni in Laterano.

Il circo venne utilizzato, magari solo in parte, fino al 549 d.c., quando Totila vi fece svolgere gli ultimi giochi; in seguito l’area venne utilizzata a scopi agricoli. Ma il Circo Massimo era a ben cinque piani ed era tutto di travertini e marmi, che fine hanno fatto?


BIBLIO

- Giuseppe Marchetti Longhi - Ludi e Circhi nell'antica Roma -
- Dionigi Di Alicarnasso - Le antichità romane, a cura di Francesco Donadi e Gabriele Pedullà - Einaudi - Torino - 2010 -
- Adriano La Regina - Circhi e ippodromi. Le corse dei cavalli nel mondo antico - Roma - Cosmopoli - 2007 -
- J. P. Thuillier - Le Sport dans la Rome Antique - Paris - 1997 -
- P. Gros, M. Torelli - Storia dell'urbanistica. Il mondo romano - Bari - 2007 -



MONS CISPIUS - COLLE CISPIO


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CHIESA DI SAN VITO IN MACELLO CON L'ARCO DI GALLIENO
"Il Colle Cispio è una delle tre alture che, con Fagutal e Oppius costituivano il Mons Esquilinus. Si veda, oltre  al dato del saggio  nel settore Nord-Est dell'Ospedale Militare, anche quello menzionato sopra e riguardante la prima fase di massicciata del vicus Capitis Africae post-classico.

Festo, secondo notizie dateci da Varrone, racconta che il colle Oppio e il colle Cispio che si trovano sull'Esquilino furono chiamati così perché durante una battaglia per difendere Roma dai ribelli Albani, il colle Oppio fu difeso dal condottiero omonimo, Oppius, che capeggiava i Tuscolani e il colle Cispio fu difeso dal condottiero Levio Cispio che capeggiava gli Anagnini. Qui, sulla sommità del colle si estendeva il Lucus Poetelius, uno dei boschi sacri di Roma, nominato appunto in un passo di Varrone, giusto dove sorge Santa Maria Maggiore.

Il colle è una propaggine del colle Esquilino, e su questa propaggine sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore e sul lato dell'abside a piazza dell'Esquilino, sorge l'obelisco Liberiano o dell'Esquilino. L'obelisco di S. Maria Maggiore, poggia sul terreno spianato che un tempo era il mons Cipsius, portato a quel livello da Sisto V.

Infatti la via Cavour, all'incrocio con la via Urbana, e che si trova a solo 75 metri più a sud rispetto a piazza dell'Esquilino, poggia sopra un avvallamento nascosto dal manto stradale, che va dai 13 ai 17 metri, e infatti le case che si trovano su via Urbana hanno cantine molto profonde, molte delle quali insistono su volte romane di età imperiale, che testimoniano l'altezza della modificata altura del mons Cispius.


Il Cispio è alto 55 metri alla sua sommità, giusto dove si trova la Basilica di Santa Maria MaggioreTale edificio era comunque poco distante da altri luoghi del colle Cispio ricordati in diversi documenti: il Forum Esquilinum, il Macellum Liviae, la basilica di Giunio Basso trasformata nella chiesa di Sant'Andrea Catabarbara, il santuario di Giunone Lucina molto frequentato dalle partorienti.

Sotto la chiesa della basilica vi sono i resti, scoperti negli anni 1966-1971, di un edificio porticato dove fra l'altro si possono vedere parti di un affresco tardo imperiale dedicato ad un calendario con scene agresti. Del porticato invece restano numerose tegole esposte in un ampio ambiente. In uno degli spazi scavati, fra l'altro, sono stati rinvenuti alcuni graffiti fra i quali uno con il quadrato del Sator.

L'edificio con porticato rinvenuto sotto il pavimento di Santa Maria Maggiore è una grande costruzione con cortile a portici, interpretabile, secondo alcuni, come il Macellum Liviae, il mercato inaugurato da Tiberio nel 7 d.c. e dedicato alla madre. La particolarità più interessante di questo edificio è la presenza di calendario dipinto inframmezzato da scene che rappresentano i lavori agricoli connessi con i relativi mesi: si tratta di uno dei migliori esempi della pittura di paesaggio della tarda età imperiale.

L'AUDITORIUM DI MECENATE

IL FORUM ESQUILINUM

Il Forum Esquilinum era il più antico e importante mercato dell'Esquilino, di cui però non resta traccia. Ne parla lo storico Appiano (bell. civ. 1.58), durante l'attacco di Silla nell'88 a.c.: quando gli assedianti avevano occupato le mura e la Porta Esquilina, i partigiani di Mariosi rifugiarono nel Forum Esquilinum. Si pensa che piazza del mercato fosse posta immediatamente all'interno della Porta Esquilina, dove nell'Ottocento sono emerse iscrizioni che lo menzionano.

Alcune epigrafi specificano la presenza del magister vici, un magistrato incaricato della gestione di aree pubbliche, e di due argentarii a foro Esquilino, artigiani orafi, di cui conosciamo una delle botteghe di quest'area commerciale. Il Forum Esquilinum rimase in uso fino al V sec. d.c., come dimostra una iscrizione che ricorda un restauro fatto a metà di quel secolo. da parte del praefectus urbi, il prefetto urbano che tutelava l'ordine pubblico in città.

MACELLUM LIVIAE

MACELLUM LIVIAE

Hic fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae”. Così il Liber Pontificalis si riferisce alla Basilica romana di Santa Maria Maggiore, fondata, si dice, da Papa Liberio (352-366) sul luogo di una miracolosa nevicata, del 5 Agosto del 352.

Ma la costruzione attuale della Basilica patriarcale, è ormai accertato, non è anteriore a Sisto III che la dedicò alla Maternità divina di Maria, definita dal Concilio di Efeso del 431 d.c.. Però effettivamente la Basilica sorse giusto sul Macellum Liviae, il grande mercato dove si vendeva ogni genere di viveri, di cui non si conosce ancora l’esatta posizione.

Si pensa si trovasse presso il Forum Esquilinum, fuori ma parallelo alle Mura Serviane, visto il nome della Chiesa di S.Vito "in Macello" accanto all’Arco di Gallieno. Quando negli anni 1964-71 i Servizi Tecnici Vaticani fecero smantellare, per ragioni di umidità, il pavimento in marmo della basilica onde creare un solaio in cemento armato, scavato per 6 metri di profondità, videro emergere numerosi ambienti romani dal II sec a.c. al IV d.c.

Si evidenziarono un ambiente principale di età augustea, in gran parte ricostruito in epoca Adrianea e Costantiniana, circondato da un muro lungo il quale rimangono tracce di un calendario stagionale, “uno straordinario-menologio, corredato, mese per mese, da una serie di grandiose scene di paesaggio che, per quanto è possibile leggere nelle parti conservate, illustrano i lavori campestri propri per ogni stagione”.

Lungo il percorso sotterraneo si incontrano anche tracce di un piccolo stabilimento termale, con mosaici ed intercapedini per il riscaldamento, tracce di affreschi geometrici, un piccolo ambiente semicircolare con nicchie, resti di un pavimento in opus sectile su suspensurae (probabilmente pertinente all’ambiente termale) e una parete libera con graffiti romani, tra cui il famoso quadrato palindromo del sator, simile a quello di Pompei.

SOTTERRANEI DI SAN VITO

CHIESA DI SAN VITO IN MACELLO


La chiesa dei Santi Vito e Modesto si trova in via Carlo Alberto, addossata all’Arco di Gallieno. Fu edificata nel 1477 da Sisto IV, sopra antichi ruderi romani che si presuppone facessero parte del Macellum Liviae, il Macello di Livia.

L'EPIGRAFE DI ELIO TERZIO
All’interno della chiesa, dietro una grata antica posizionata nella navata destra, si trova un cippo marmoreo, la cosiddetta “pietra scellerata” cui sarebbe legato il ricordo della uccisione di numerosi primi cristiani. 

La tradizione popolare riteneva per questo motivo che la pietra avesse il potere di curare dall’idrofobia, e quindi da essa veniva grattata via la polvere da utilizzare come medicamento in casi di idrofobia.

La stele funeraria romana ricordava semplicemente Elio Terzio Causidico, cittadino di Piacenza che, con le sue benemerenze, si era meritato l’onore di una statua che lo raffigurava sedutoCome fu "grattata" è visibile dalla foto.

Naturalmente su di essa non fu torturato nè ucciso nessuno.

Quello di creare pietre miracolose era un tentativo di sostituire da una lato la mancanza della classe medica che non esisteva più data la chiusura delle scuole, e dall'altro il tentativo di sostituire la miracolistica attribuita agli Dei con la miracolistica attribuita ai santi.

BASILICA DI IUNIUS BASSUS

BASILICA DI GIUNIO BASSO

La basilica di Giunio Basso (basilica Iunii Bassi) era una basilica civile, un'aula rettangolare absidata, situata sul Cispio dove oggi è il seminario pontificio di Studi Orientali, in via Napoleone III 3.

Fu edificata nel 331 dal console Giunio Annio Basso e nella seconda metà del V secolo, all'epoca di papa Simplicio (468-483), venne trasformata nella chiesa di Sant'Andrea Catabarbara.

Nel 1930 furono scoperti i resti dell'edificio e definitivamente demoliti. L'interno era rivestito di incrostazioni marmoree figurate (opus sectile), visibile fino al XVI secolo, quando fu copiato da Giuliano da Sangallo e altri artisti. 

PROCESSUS CONSULARIS
Delle lastre superstiti, la più grande è quella a palazzo Massimo alle Terme, con un "drappo" inferiore ornato da scene egittizzanti, un "vela Alexandrina", e una scena del mito di Ila e le ninfe (il giovane amato da Ercole che recatosi a una fonte viene sedotto e rapito dalle ninfe). 

La seconda lastra di Palazzo Massimo, priva del velum, è quella del processus consularis di Giunio Basso, raffigurato frontalmente mentre procede su un cocchio, seguito da 4 aurighi a cavallo, che portano un frustino e i colori delle quattro fazioni dei giochi nel Circo Massimo, probabilmente finanziati dal console. I due pannelli di palazzo Drago raffigurano simmetricamente due tigri che sbranano dei buoi bianchi.


BIBLIO

- Dionigi Di Alicarnasso - Le antichità romane, a cura di Francesco Donadi e Gabriele Pedullà - Einaudi - Torino - 2010 -
- Famiano Nardini - Roma antica - ed. 1666 -
- G. Geraci, A. Marconi - Storia Romana - Firenze - 2004 -
- Giovanni Brizzi - Storia di Roma, I, Dalle origini ad Azio - Bologna - Pàtron - 1997 -
Eutropio - Storia di Roma - Santarcangelo di Romagna - Rusconi Libri - 2014 -


MONS OPPIUS - COLLE OPPIO


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VEDUTA DAL MONS OPPIUS
Il Colle Oppio è una delle tre alture che, con Fagutal e Cispius costituivano il Mons Esquilinus. Festo, secondo notizie dateci da Varrone, racconta che il colle Oppio e il colle Cispio che si trovano sull'Esquilino furono chiamati così perché durante una battaglia per difendere Roma dai ribelli Albani, il colle Oppio fu difeso dal condottiero omonimo, Oppius (o Opius), che capeggiava i Tuscolani e il colle Cispio fu difeso dal condottiero Levio Cispio che capeggiava gli Anagnini.

Il colle fu sede di uno dei villaggi da cui sorse Roma, e la memoria di questa nobile discendenza resta ancora in epoca repubblicana, come dimostra un'iscrizione rinvenuta presso le Sette Sale, alle Terme di Traiano, che cita il restauro del sacellum compitale fatto a spese degli abitanti (de pecunia montanorum).

Nella suddivisione augustea della città il Mons Oppius fu compreso nella Regio III, denominata Isis et Serapis dal grande tempio che sorgeva alle sue pendici sudorientali, tra le odierne via Labicana e via Merulana.

Il parco di Colle Oppio si estende su una buona parte della superficie anticamente occupata dalle Terme di Traiano e di Tito e custodisce i resti della Domus Aurea.

Già sede (in direzione del Vicus Suburanus) del Portico di Livia, l'altura fu occupata in epoca neroniana dalla Domus aurea e dalle successive Terme di Tito e di Traiano. Vi si stabilirono poi, in epoca cristiana, il Titulus Eudoxiae (oggi San Pietro in Vincoli) e il Titulus Equitii (oggi San Martino ai Monti).



TEMPIO DI ISIDE METELLINA

Il santuario era molto esteso e si sviluppava principalmente su due terrazze, con un lunghissimo fronte meridionale di ben 260 m, un po' sullo stile del tempio della Fortuna primigenia a Palestrina, collegate tra loro con rampe e gradinate, con ringhiere, viali, erme, vasi a calice, statue, colonne, piccoli obelischi ed enormi fontane caratteristiche delle divinità salutari. Il fronte del tempio era ampissimo, si pensi che il diametro più lungo del Colosseo è di m 188, e il famoso Iseo Campense era lungo 240 m, meno dell'Iseo metellino.

LA VASCA DESTRA DELLA FONTANA FACEVA PARTE
DEL TEMPIO DI ISIDE
I ruderi di piazza Iside vengono interpretati come una fontana monumentale, visti i vari fori e le condutture per l'acqua, di cui si scorgono ancora le imboccature in argilla cotta, posti a diverse altezze. Sicuramente con una piscina centrale, ma, come usava per le terme, abbellita da vasche di marmi colorati, con colonne di granito, pomici, statue e stucchi, e con strutture che proseguono lungo Via Villari nella proprietà delle Suore del Buono e Perpetuo Soccorso, per l'antica abitudine di edificare luoghi di culto cristiani sopra i templi pagani, affinchè di questi non restassero traccia nè ricordi.

Nel processo di cristianizzazione dell'impero dunque anche questo culto soffrì delle spoliazioni non di Costantino che al contrario di ciò che si crede non fu ostile ai culti pagani, ma di Massenzio, poi degli editti imperiali che ne vietavano il culto, e soprattutto di Teodosio, che abrogarono totalmente i culti pagani, trasformando Roma, da faro di civiltà per le leggi e la tolleranza delle diverse popolazioni e religioni, a sede di una religione intollerante, integralista e persecutoria.

GROTTESCHE DELL DOMUS AUREA

LA DOMUS AUREA

Sul Colle Oppio giacciono i resti della Domus Aurea, la lussuosissima villa di Nerone, che  si estendeva su oltre 80 ettari dalle pendici del Palatino, al Celio, fino agli Orti di Mecenate, e tutto il complesso comprendeva oltre all'edificio residenziale un ampio giardino e sull'area che poi venne occupata dall'Anfiteatro Flavio, il Colosseo, era occupata da un enorme lago artificiale. 

Le ricerche archeologiche hanno evidenziato la presenza sul piano superiore della Domus Aurea di impianti sistemati a giardini, ninfei e peristili. Alla morte di Nerone la Domus Aurea venne fatta distruggere da Vespasiano.

Della domus sono state rinvenute 150 stanze, di cui ancora 15 interrate e 8 non raggiungibili, costruite in opera laterizia, con volte a botte di altezza di 10 metri e oltre.

TERME DI TRAIANO

LE TERME DI TRAIANO

Le Terme di Traiano, edificate sulla sommità del colle Oppio, sorsero sopra la Domus Aurea il cui piano superiore venne abbattuto e rasato, mentre il piano inferiore, spogliato di tutti i materiali preziosi e dei rivestimenti di marmo, venne rinforzato con grandi muri creando una serie di gallerie con le volte a botte. 

Tutte le aperture verso l'esterno della Domus Aurea vennero chiuse e riempite di terra e macerie creando un terrazzamento, su cui vennero edificate le Terme. Alle terme vennero aggiunti gli ambienti di soggiorno e di studio, con una grande esedra. La riserva di acqua era assicurata dalla cisterna delle Sette Sale, in realtà 9 cisterne parallele e comunicanti tra di loro.

Il taglio degli acquedotti di Roma nel 539 da parte del re degli Ostrogoti, Vitige, determinò l'abbandono delle Terme di Traiano e del colle Oppio, che per tutto il medioevo venne occupato da orti e vigne e per secoli si perse anche il ricordo della Domus Aurea. Venne s coperta nel XV secolo, quando gruppi di artisti calandosi dall'alto con delle corde sbalordirono e copiarono quei disegni sulle "grotte" che in seguito vennero definiti "grottesche".

Le grottesche col loro mondo fantastico e allegro vennero copiate dal Ghirlandaio, Pinturicchio, Perugino, Filippino Lippi, Raffaello, Giovanni da Udine, Perin del Vaga e Giulio Romano, finalmente si capì, come riconobbe lo stesso Raffaello, lo splendore del devastato e cancellato impero romano.

RICOSTRUZIONE DELLE TERME DI TRAIANO

IL CRIPTOPORTICO

Il criptoportico delle Terme di Traiano fa parte di un edificio di età Flavia coetaneo della Domus Aurea. Il piano di calpestio alla base insomma risale al 60 dell’era volgare. Sopra il criptoportico e il mosaico ci sono le terme di Traiano inaugurate nel 109.


Dal cd. "Criptoportico" delle Terme di Traiano
da un art. di Simone82

E' stata presentata a Roma la scoperta di un frammento di mosaico del cosiddetto "Criptoportico" delle Terme di Traiano sul Colle Oppio, un'area miracolosamente sopravvissuta alle distruzioni e all'urbanizzazione postclassica, nella quale le testimonianze archeologiche si sono conservate quasi intatte: merito in parte dello stesso imperatore Traiano e poi della trasformazione a vigne e orti perdurata fino alla creazione del Parco durante il Ventennio.

MOSAICO DEL CRIPTOPORTICO
Il frammento di mosaico, inizialmente attribuito ad Apollo ma quasi certamente invece da identificare con Diomede e il ratto del Palladio (o per alternativa Oreste e il ratto della statua di Artemide Taurica), si trova sulla parte destra di una parete lunga 16 m: lo scavo ha raggiunto una quota di 2 m, ma si ritiene che possa proseguire molto in profondità, forse per altri 10 m. 

Di sicuro, i frammenti decorativi sono stati solo parzialmente riportati alla luce, per cui è possibile che altri frammenti della decorazione parietale siano ancora conservati sul muro. 

Nelle numerose stanze che compongono quest'area sotterranea del colle, sono già emersi altri famosi frammenti di mosaici e dipinti: il notissimo affresco della "Città Dipinta" nel febbraio 1998, il mosaico con Musa e Filosofo nel maggio 1998, l'esplorazione del mosaico con scena di vendemmia nel gennaio 2005. 

Dopo l'abbandono della Domus Aurea voluta dal defunto imperatore Nerone, oltre alle monumentali opere dei Flavi (Anfiteatro Flavio con relativi Ludi e Terme di Tito su tutte), si impiantano una serie di edifici che proseguono l'orientamento N-S della precedente Domus, per lo meno fino al 104 d.c.. 

Allora un secondo grande incendio che colpì l'area distrusse quel poco che rimaneva del sogno neroniano e diede la possibilità all'imperatore ispanico di progettare, insieme ad Apollodoro di Damasco, quell'incredibile rivoluzione architettonica che furono per l'epoca le Terme di Traiano, rimaste in uso fino al V-VI sec. d.c.

Il quartiere era così organizzato: l'edificio con affresco, di tipo rappresentativo e non decorativo, aveva una tipologia pubblica, databile in base all'analisi della cortina laterizia ad epoca vespasianea, forse parte degli edifici della Prefettura Urbana, forse la stessa "Biblioteca" delle Terme. 

Nei muri interni di questo edificio è stato ritrovato il frammento di mosaico con scene di vendemmia, decorante parte della sua volta: nei riempimenti dell'ambiente si trovano certamente parti del mosaico, crollate con il tempo, molte delle quali già recuperate ed ora in fase di restauro. 

A metà galleria, antistante detto edificio, si trova un vasto ambiente, su cui affacciava un ninfeo sotterraneo (la cui nicchia centrale, lungo la parete di fondo, presenta un rivestimento in mosaico azzurro con girali), sulla faccia del quale si trova il mosaico parietale con Musa e Filosofo su un prospetto architettonico di sfondo.


Appare evidente la somiglianza del soggetto con Diomede, l'eroe greco figlio di Tideo, invincibile guerriero della tradizione omerica, legato a numerose tradizioni delle terre italiche (Spina, Arpi, Canosa, Venosa e Brindisi si dice fossero state fondate da lui). 

Nell'immagine seguente è visibile il tema del "ratto del Palladio" in una statua di Kresilas, nella copia romana di un originale greco di V sec. a.c. dalla collezione Albani alla Glyptothek di Monaco, messo a confronto proprio con il mosaico del criptoportico:

La somiglianza pare molto più diretta in questo caso rispetto ad un Apollo Kitharoidos, che ha tutt'altra raffigurazione (si veda ad es. la statua della collezione Ludovisi a Palazzo Altemps, la copia di Timarchides ai Musei Capitolini o l'aureo di Augusto). Il dubbio è generato dalla posizione della mano sinistra, che regge qualcosa: la cetra (come da prima identificazione), che collega il mosaico con Apollo, oppure una faretra o simile, che l'avvicina di più a Diomede? In tal modo risulterebbe errata l'identificazione di questo edificio con un Musaeum e forse anche la sua identificazione con un ambito residenziale.


BIBLIO

- Lucos Cozza - Zona archeologica del Colle Oppio. Idee per il progetto di un parco (con K. de Fine Licht) - Roma archeologia e progetto - Roma - Multigrafica - 1983 -
- Lucos Cozza - Colle Oppio (con K. de Fine Licht, C. Panella e R. Motta) - in Roma archeologia nel centro 2 - La “città murata” - Roma - De Luca - 1985 -
- Rodolfo Lanciani - Rovine e scavi di Roma antica - Roma - 1985 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore - Verona - 1984 -
- L. Quilici, S. Quilici Gigli -  "Opere di assetto territoriale ed urbano" - L'Erma di Bretschneider - 1995 -


MONS IANICULUM - GIANICOLO


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PANORAMA DI ROMA DAL GIANICOLO
Colle Gianicolo, o mons Janiculum o mons Janiculensis, il più alto fra i colli di Roma (circa 90 m), fu uno dei primi insediamenti prima del Palatino da cui partì la fondazione di Roma, e segnava il confine della città dall'ager Etruscus, il territorio dominato da Veio, occupato dagli etruschi già dal V secolo a.c.

Il colle è collegato al culto di Giano, Ianus, il Dio degli inizi, sia di attività, sia temporali, ed è una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. E' una divinità esclusivamente romano-italica, la più antica degli Dei nazionali, senza riferimenti greci, cioè degli Di indigetes, invocato spesso insieme a Iuppiter.

Il suo culto è antichissimo e risale ad un'epoca arcaica in cui i culti dei popoli italici erano in gran parte ancora legati ai cicli naturali della raccolta e della semina.

È stato sottolineato da più autori, fin dal secolo scorso (Vedi "Il ramo d'oro") come Giano fosse probabilmente la divinità principale del pantheon  romano in epoca arcaica.

In particolare rimarrebbe traccia di questo fatto nell'appellativo Ianus Pater che permase anche in epoca classica. Nei frammenti superstiti del Carmen Saliare Giano è salutato con particolare enfasi come padre e Dio degli Dei.

Giano avrebbe regnato insieme alla alla ninfa Camese o Camesene per accogliervi Saturno fuggiasco e assegnargli poi il Capitolium.



IL COLLE

Roma considerò agli inizi il Gianicolo come estraneo alla città, solo intorno al I secolo a.c., in età tardo repubblicana, vi sorsero alcune ville suburbane e tra queste gli Horti di Cesare e la villa di Marziale, che era sulla dorsale di Monte Mario, ma che all'epoca faceva parte del Janiculum, come tutta la dorsale occidentale dei colli di Roma compresa da Monteverde a Monte Mario.

L'occupazione del colle da parte dei romani risale ai tempi del Re Anco Marzio (675 – 616 a.c.), il IV re di Roma, che consideravano già allora il colle come testa di controllo della riva destra del Tevere e di Ponte Sublicio, infatti ebbe un ruolo fondamentale per la difesa della città di Roma.
"E l'Autore dell' opera Cesaris Illustribus nel riferire l'accrescimento di Anco aggiunge che cinse di nuove mura la città: Aventinum, et Janiculum monteìs urbi addìdit: nova moenia oppido circumdedit."

In epoca imperiale il colle Gianicolo fu attraversato dagli acquedotti Alsietino e Traiano. Già in età Traianea, dall'alto colle vi era la discesa dell'acqua attraverso un lungo percorso prossimo alla attuale via Garibaldi che alimentava numerosi molini.

Monteverde è una propaggine del colle Gianicolo, in età romana vi si estraeva tufo da costruzione, la zona era ricca di catacombe e vi furono sepolti anche il Re Numa Pompilio e i poeti Ennio e Cecilio Stazio. Il toponimo "Monteverde", probabilmente deriva dalla presenza nella zona di tufo di colore verde giallognolo che vi si estraeva. In età arcaica il Gianicolo fu detto anche Montorio, ovvero monte d'oro, per il colore giallo del tufo sabbioso di cui è costituito.

GIANO DI VULCI

LE ACQUE

Sembra che sul colle sotto villa Sciarra vi fosse una sorgente naturale di acqua ed un'altra fosse nei pressi della chiesa di Sant'Onofrio che secondo il Lanciani medico di Papa Clemente XI aveva un potere terapeutico. Era attribuita a Giano la potestà di far zampillare dal terreno sorgenti e polle d'acqua.

Acqua damasiana -
Abbondantissimo di salubri acque è il Gianicolo. Esse emergono dagli strati pliocenici, a differenza di tutte le altre urbane che nascono dai tufi vulcanici. L'acqua damasiana, ritrovata col seguire il corso delle vene apparse nel taglio della intercapedine, sorge a circa 1120 metri a sud ovest della basilica, fuori porta Cavalleggieri, nel sito detto s. Antonino.

Vi sono due vene: la prima apparisce in fondo al pozzo o trombino, dal quale attingono l'acqua gli inquilini della casa di S. Antonino: la seconda sorge pochi metri più a valle. Discendono, unite, nel volume complessivo di oncie quattro entro lo speco damasiano, alto m. 1,34 largo m. 0,99, di buona e salda opera laterizia, a profondità varie sotto il piano del suolo; la massima essendo di metri 29,60, come può verificarsi per mezzo degli spiracoli disposti a giusti intervalli.

S. Damaso la condusse all'atrio della basilica, secondo il Cassio, (1, 48); nell'oratorio di s. Giovanni Battista, secondo il Ciampini; nel battisterio, secondo Ermodio di Pavia, ap. Sirmond. Opp. 1, 1647. Cf. de Bossi, lì. A, C. 1867, 33 sg. L'acqua damasiana ha sapore leggermente terroso, temperatura variabile, e grado idrotimetrico 15. Contiene in un litro 27 centigrammi di residui fissi, e centim. cubi 3,62 di ossigeno.



LA ROCCA

"Anco Marzio pose una guarnigione sul Gianicolo quasi rimpetto all'Aventino dove fondò una rocca, la quale anche a' giorni nostri è ammirabile"

A tutto ciò si aggiunga il perimetro dato da Dionisio a questo monte di 18 stadi, il che fa circa due miglia, ed un quarto, incompatibile colla estensione, che oggi si dà a questo colle e che è per lo meno tripla; mentre presso a poco il perimetro della parte dell'Aventino, che è parallela al Palatino ha circa due miglia, ed un quarto. che con molto lavoro rese quasi isolato un promontorio del monte suddetto, tagliandolo a picco da tre lati, e fortificandolo con muro, e lasciando sopra di esso una parte più alta, ove formò l'acropoli di dietro, verso ponente la elevazione del Gianicolo non fa alcun ostacolo alla rocca stessa imperciocché è troppo distante, e dalla sua sommità non si può scoprire né il Tevere, che traversa Roma, né i campi adiacenti, come dalla rocca.

Ed è questa una delle opere più portentose de' Romani, se si voglia riflettere alla epoca, in cui venne eseguita, ed è l'opera che fino ad ora venne negletta da coloro che illustrarono la topografia di Roma, e solo Piranesi ne diede qualche cenno.

E per potere bene esaminare questa rocca, ed averne una idea giusta, fa di bisogno entrare nella villa Spada posta sulla vetta del Gianicolo, dalla porta verso S. Cosimato, dove seguendo dirimpetto alla porta la via, la quale è tagliata nel monte, ed è in parte l'antica via Aurelia, si vede spiccare a destra la rocca che anticamente molto più alta si ergeva, se si considera quanto di terra, e di sabbia nel corso de' secoli deve avere riempito la valle.

Uscendo dalla stessa porta, e salendo alla spianata sulla quale è la chiesa di S. Pietro in Montorio, potrà aversi una idea della elevazione della rocca, la quale domina interamente la città antica, e moderna; la parte più alta della rocca è occupata dalla fontana Paolina, e dal giardino dietro di essa.

Che se si vuole discendere dalla fontana stessa verso Roma per la porta S. Pancrazio, si vede, che il Gianicolo a sinistra, dove è il giardino degli Arcadi, e pili oltre dove è il bosco della villa Corsini, è stato perpendicolarmente tagliato, onde rendere la rocca affatto isolata; e forse i muri del corridore, che servono ora di sostruzione al monte dietro le odierne cartiere, furono edificati sopra le antiche sostruzioni della rocca stessa, almeno ne seguono la linea, onde non abbia a credersi tal congettura troppo avanzata."



LUCUS FURRINAE

Proprio sul Gianicolo sorgeva il bosco sacro alla ninfa Furrina, divinità romana arcaica legata alle acque, chiamato lucus Furrinae, in corrispondenza di villa Sciarra, dove si trovava anche una fonte a lei dedicata, e dove nel 121 a.c. Gaio Gracco si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate, dopo la sua fuga dall'Aventino, per non cadere nelle mani degli inferociti optimates.



SANTUARIO SIRIACO

IDOLO SIRIACO
Sempre sul Gianicolo, in questa area ora occupata dalla villa (Sciarra) sorgeva il piccolo santuario delle divinità siriache, con un’aula ottagonale con abside sul fondo e due nicchie laterali, preceduta da un vestibolo e affiancata da due ambienti stretti e lunghi.

Al centro dell'aula ottagonale, entro una cavità ricavata in un altare triangolare, furono rinvenute alcune uova di pietra oltre ad una statuetta di bronzo di cm 50 di altezza, rappresentante un personaggio maschile, composto e immobile, con le braccia poste lungo i fianchi, il cui corpo è avvolto nelle spire di un serpente.

Sembra trattarsi del rito del seppellimento del Dio Adone che moriva ogni anno per tornare in vita attraverso le sette sfere celesti simboleggiate dalle sette spire del serpente.

Ogni anno si celebravano le Adonie, dove Venere piange il suo amore perduto, ovvero Adone ucciso da un cinghiale, e in primavera il suo amore resuscita e torna con lei rinnovando la festa.


Il terzo settore, a sinistra del cortile, è costituito da un edificio basilicale preceduto da un atrio sul quale si aprono due celle laterali.

In quest’aula è stata rinvenuta una statua in marmo raffigurante Giove seduto in trono, ovvero il Dio principale della triade di Heliopolis, Hadad,  mentre le due nicchie laterali ospitavano Atargatis (la dea Syria dei Romani) e Simios (Mercurio).

Qui furono rinvenute anche una statua egizia in basalto nero, cioè Osiride raffigurato come un faraone, una statua di Bacco con il volto e le mani dorate ed altre sculture frammentate.



LA VILLA DI AGRIPPINA

 La vicenda di questa incredibile scoperta inizia nel 1999 quando, scavando il suolo di Roma in occasione dei lavori giubilari, sono stati trovati preziosi reperti provenienti da un complesso edilizio di età imperiale databile fra l’età traianea e il II – III secolo d.c., che da alcuni è stato identificato come la villa suburbana di Agrippina Maggiore, la madre di Caligola.

- Un lusso “sfrenato”, paragonabile forse solo alla ricchezza di un sultano o di uno sceicco della nostra epoca, caratterizzava gli arredi di questa domus romana, sconosciuta anche ai grandi nomi dell’archeologia contemporanea.

- Come possiamo rimanere indifferenti davanti alla varietà di almeno quindici pregiati marmi antichi, dai nomi così altisonanti ed evocativi da far girare la testa, come il rosso antico, il cipollino, il bigio, il pavonazzetto, il giallo antico, il serpentino e tanti altri che costituiscono un caleidoscopio cromatico di luci e colori, di cui anche i pochi frammenti superstiti riescono a suggerire la magnificenza del luogo.

- Marmi e non solo, perché gli scavi hanno riportato alla luce anche degli affreschi parietali, contraddistinti da esili e delicate architetture, dipinte nei teneri colori pastello del verde o nella vivacità, mai violenta, del giallo, del rosso e del blu.

- Fragili uccellini, che fanno invidia ai moderni trompe l’oeil, si alternano alle ghirlande e ai tralci floreali, quasi cantando la poesia della stagione primaverile.
- I motivi floreali tornano anche in due splendidi, nonché rari, capitelli di parasta, formati da una lastra di rosso antico su cui sono applicate deliziose foglie di acanto in marmo bianco e giallo antico e delicatissimi fiori di calcare verde, di una raffinatezza che sembra ricordare l’eleganza delle porcellane settecentesche.

- Un’opera che, anche dai pochi frammenti rimasti, ci suggerisce la dimensione di un capolavoro, degno di essere ammirato con i dovuti onori.
- L’ambiente, in cui sono stati trovati questi preziosi marmi, era anche ricoperto da un rivestimento di alabastro, di cui sono esposte in mostra alcune lastre, venate di sfumature policrome che variano dal tono caldo del giallo miele, listato di bianco, a quelle più accese e variopinte di un rosa più intenso.

Queste e tante altre sono le sorprese che riserva la mostra di Palazzo Altemps, in un percorso avvincente capace di riunire tanti reperti preziosi, allestiti secondo un criterio che riesce a calibrare in un perfetto equilibrio contenuto e contenitore - in questo caso d’eccezione perché si tratta dello scenografico teatro del Museo in appena due stanze del Museo.


BIBLIO

- Passeggiata del Gianicolo - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali - Roma -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore - Verona - 1984 -
- L. Richardson - A New Topographical Dictionary of Ancient Rome - Baltimore-Londres - 1992 - 
- Angelo Brelich - Tre variazioni romane sul tema delle origini - Prefazione di Enrico Montanari - 2016 -


MONS VIMILALIS - COLLE VIMINALE


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SOPRA DI SCORGE IL MONS VIMINALI, IL PIU' PICCOLO DEI MONS DI ROMA

Il Colle Viminale, ovvero il Collis Viminalis, forma, come il Quirinale e l'Esquilino, un contrafforte dell'altipiano proteso tra l'Aniene e il Tevere, ed è uno dei sette colli su cui venne fondata Roma, esattamente il più piccolo dei colli. Il colle si trova tra l'Esquilino a sud-est e il Quirinale a nord e nord-ovest. In epoca romana era delimitato dal Vicus Longus (attuale Via Nazionale), dalla Suburra, e dal Vicus Patricius (attuale Via Urbana).

Ma le antichissime mura che, prima della più ampia duplice cinta di mura (quella serviana e quella del sec. IV, d'epoca regia) recinsero il Quirinale, non recinsero invece il Viminale che, secondo alcuni, entrò a far parte dell'Urbe al tempo della "Città di Tazio" precedente alla "Città delle IV Regioni" di Servio Tullio.

Il Viminale dovette effettivamente far parte del nucleo sabino del Quirinale, infatti è anch'esso denominato "collis" e insieme ad esso fu incluso nella IV regione serviana e, nel riordinamento augusteo, nella VI regio.

Ma questo colle, secondo i più, fu annesso alla città proprio dal VI re di Roma, Servio Tullio.
"Servio rimediò alla mancanza imperciocché lo compiè (cioè il muro), aggiungendo il colle Esquilino ed il Viminale, i quali sono pure di accesso facile a chi di fuori, per la qual cosa scavando una fossa profonda riceverono la terra di dentro (cioè sulla sponda interna del fosso), ed estesero lungo il margine interno del fosso un terrapieno di sei stadj e sopra questo fabbricarono il muro, e le torri dalla porta Collina fino alla porta Esquiiina: verso la metà però dell'aggere havvi una terza porta che ha lo stesso nome, che il monte Viminale."
(Antonio Nibby - 1821)

LE TERME DI DIOCLEZIANO  OGGI

Il Viminale si estende per 25 ettari con una altezza tra i 50 e i 57 metri, questi ultimi nei pressi di p.zza San Bernardo, e deve il suo nome alle piante di vimini, il Salix Viminalis, il salice viminale, che formava i vincheti, i cespugli e i boschetti di salice che, seppur naturalizzato, al tempo della monarchia romana già ne ricopriva le pendici. Si tratta dei vimini con cui si facevano panieri, stuoie e altri oggetti.

Nel periodo tra gli ultimi anni della Repubblica ed i primi anni dell'Impero, il colle divenne un quartiere residenziale, con ville e giardini, e al tempo di Augusto fece parte della VI regione: la Alta Semita, che era un quartiere residenziale di livello medio alto, privo di edifici pubblici, come il vicino Cispius.


TERME DI DIOCLEZIANO

Venne pian piano accumunata al Quirinale per i vasti "horti", dove non vi erano edifici pubblici ma solo residenze e fastose abitazioni. Infatti in via Balbo, in via Panisperna e in via Santa Pudenziana (antico Vicus Patricius) sono stati scavati i resti di ricche case del II e I secolo a.c. Il carattere prevalentemente signorile delle abitazioni è riflesso d'altronde dal nome stesso di Vicus Patricius. 

Nel sec. I d.c. vennero costruiti Bagni e Terme e nell'età repubblicana e imperiale nella sua parte alta vennero costruite residenze patrizie mentre nella parte bassa si svilupparono abitazioni per la plebe.

RESTI DELLE TERME NOVATIANE SOTTO
SANTA PUDENZIANA
Durante il regno di Diocleziano, tra il 298 e il 305 dc., vi furono erette le Terme dette appunto di Diocleziano, un monumento enorme e splendido, nella zona che si trovava alla fine del Vicus Longus, fra il Viminale e il Quirinale. Il Viminale rimase così separato dall'attiguo colle Quirinale dal Vicus Longus, che dal Foro di Augusto seguiva la valle fino alle Terme di Diocleziano.

Successivamente, qui vennero edificati i "Castra Pretoria" delle fortificazioni militari che ne allontanarono però i residenti più facoltosi. Qui si trovavano pure la caserma della III corte dei Vigiles, un corpo istituito nel 6 d.c. da Augusto a Roma per assicurare la vigilanza notturna delle strade e proteggere la città dagli incendi,.situata probabilmente presso la "porta Viminalis".

Vi sorsero anche le terme dette Lavacrum Agippinae, locate dove ora sorge la chiesa di San Lorenzo in Panisperna. L'unica architettura religiosa della zona era il santuario di Nenia, una Dea minore che proteggeva i moribondi ed era nume tutelare dei canti funebri. 

Ma si ha notizia anche di un Tempio di Giove Viminale, Deus Viminus o Iupiter Viminus, antichissima divinità del colle, e forse anche di un Dio Verminus, attestato dall'iscrizione di un'ara del sec. II a.c. trovata a Via Volturno.

Inoltre vi fu edificato un Palatium Decii, le Thermae Olympiadis e le Termae Novati in Vico Patricio. Di questi edifici sono certi solo le Terme di Novato e il Lavacrum Agrippinae, questo ultimo riconosciuto per il rinvenimento di fistule acquarie, recanti quel nome, in una vigna contigua al monastero di S. Lorenzo in Panisperna.

Il Palatium Decii corrisponde a un gruppo di rovine di un vasto edificio, ricordate da P. Sante Bartoli e da Flaminio Vacca presso S. Lorenzo in Panisperna e battezzato col nome di Decio in base a un passo dei Mirabilia, che ricollegano la leggenda del martirio di S. Lorenzo a quel luogo e alle  Thermae Olympiadis, del tutto immaginarie. Sulle Terme di Novato venne poi edificata la chiesa di Santa Pudenziana.

PALATIUM DECII, SOTTO LA CHIESA DI SAN LORENZO
Solo in epoca imperiale, sappiamo che fiorirono sul Viminale sacelli e lararî privati, tra i quali, notevolissimo, quello sacro a Luperco nella casa di Crepereio Rogato scoperto nei pressi della chiesa di S. Eufemia in Via Urbana. Viceversa un tempio di Silvano, riferito dal Marliano al colle Viminale nella regione di S. Agata, corrisponde a un sacello realmente riconosciuto nei lavori di fondazione della Banca d'Italia, come scritto da Rodolfo Lanciani, ma non già sul Viminale, bensì sulle pendici del Quirinale.

L'assetto militare del Viminale venne poi smantellato da Costantino che distrusse le caserme dei pretoriani, ed il colle rimase in parte abbandonato, restando attiva solo la zona delle Terme di Diocleziano. Con le invasioni barbariche poi, vennero distrutti anche gli acquedotti e le condutture, e quindi anche le Terme di Diocleziano, caddero in disuso, la parte del colle che rimase abitata fu quella sottostante al colle Viminale, ove un tempo era la Suburra.


BIBLIO

- Teodoro Mommsen - Storia di Roma - Milano - Dall'Oglio - 1961 -
- Tito Livio - Storia di Roma - VII - Mondadori - Milano -
- Antonio Nibby - Roma antica di Fabiano Nardini - Stamperia De Romanis - Roma - 1818 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore - Verona - 1984 -


MONS PINCIUS - PINCIO


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LA SALITA DEL PINCIO

Il Pincio è un colle di Roma, non è compreso fra i famosi sette colli su cui Roma è stata fondata. In antico, era chiamato Collis Hortulorum, per i giardini che circondavano le importanti tombe romane ivi esistenti, come quella gentilizia dei Domitii. Il colle si trova a nord del Quirinale, e guarda sul Campo Marzio.

Il nome Pincio deriva da una delle famiglie che l'occupò nel IV secolo, i Pincii la cui villa, con quella degli Anicii e degli Acilii, occupava la parte settentrionale della collina. Il Mons Pincius, che rientrò nelle mura aureliane, non venne considerato all'epoca il centro di Roma, nè la zona più lussuosa, che era senz'altro il Palatino, dove c'era la reggia e la corte, per cui i terreni erano carissimi.

I terreni del Pincio costavano molto meno e avevano una bella posizione in qualità di collina, quindi panoramica e ventilata. In effetti, le pendici del colle cominciarono a popolarsi di ville patrizie verso la fine dell’età repubblicana: ad esempio qui sorgeva la villa di Lucullo, costruita intorno al 63 a.c. e circondata di terrazze.

Il Pincio aveva infatti rare abitazioni, perlopiù domus, che lontane dal chiasso dell'Urbe, suggerirono non solo a Lucullo ma pure a Sallustio una soluzione urbanistica che riuniva in sè tanto la casa di città che quella di campagna.


Qui le domus albergavano nel vastissimo verde, fatto di boschi, di orti, di campi coltivati, ma pure di splendidi giardini con viali ombrosi, balaustre lavorate, statue preziose, fontane zampillanti, scalinate marmoree, terrazze sovrastate da teli ondeggianti, alberi e siepi odorose.

 « Nel monte Pincio vi era una conserva di acqua.... la quale da alcuni frati fu fatta disfare per ridurla in grotta di vino.... ma perchè erano di poca profondità riuscirono più calde ».
Le gallerie rivestite di candido stucco, con cordoni agli angoli rientranti, hanno la larghezza costante di m. 2,00 : l'altezza varia dai m. 2,00 ai m. 2,50. Frequenti vi sono gli spiraceli foggiati a cono, per attingere l'acqua in servigio della villa: e nel piano della galleria, che loro corrisponde di sotto a piombo, è scavato un pezzuole, profondo mezzo metro. Dalla parte di ponente si estendono alcune gallerie trasversali, per lunghezze che eccedono gli 80 m:, mancando le longitudinali. Tutto questo labirinto è scavato nel tufo: ma nel punto ove ora sorge il casino del Valadier eravi, e conservasi ancora in parte, una piscina manufatta, di opera reticolata con restauri di laterizio. Il Cassio, che la vide integra il 25 gennaio 1749, la descrive composta di due vani. Il maggiore era lungo m. 30,10, largo m. 10,00, alto fino al pelo d'acqua m. 4,01, rivestito di signino. Il minore era lungo m. 11,15, largo m. 4,46. Ambedue comunicavano col labirinto de' ricettacoli, mediante asole nella volta." -

(RODOLFO LANCIANI)

Questa ricchissima quantità di acque con meravigliose opere idrauliche, dai canali ai pozzi, ai tubi, alle cisterne, erano in modo efficacissimo al servizio dell'irrigazione degli Horti Pinciani, anzi, ai molti Horti che sorsero sul Pincio nell'ultimo periodo repubblicano. Il colle era infatti noto nell'antichità come il Collis Hortulorum (il colle dei giardini).

VASCA ROMANA DEL PINCIO

LA VASCA DEL PINCIO

La vasca della immagine di cui sopra è una grande e antica vasca in marmo africano che era stata portata nel giardino della villa dal Cardinale Alessandro de' Medici (poi Papa Leone X) quando era titolare di San Pietro in Vincoli. La vasca era stata ritrovata durante dei lavori di scavo nel piazzale e quindi proveniva dalla Terme di Traiano su cui la suddetta basilica era stata costruita.
Raffaello di Pagno nella Fontana voluta dal Cardinale, secondo gli esperti d'arte antica e gli storici, riuscì a realizzare “una ricomposizione corretta di una fontana romana” in quanto corrisponde alla descrizione fatta da Rucellai della grande fontana, che raccoglieva l'acqua dell'antica Fons Euripi, che si trovava davanti al Colosseo (prima che il Bramante la smontasse per riutilizzare il labra nella fontana del Belvedere in Vaticano) e che doveva somigliare alla grande fontana pubblica posta nel Comitium.

La Fontana sembra sia stata completata quando Ferdinando era già tornato a Firenze e divenuto Granduca di Toscana, il grande progetto di allineamento armonico tra il fuori ed il dentro fu abbandonato.

Toccò ad Annibale Lippi completare la fontana che alla fine risultò composta da una vasca di marmo africano montata su uno zoccolo di granito poggiante su un bacino ottagonale di granito grigio proveniente dalle cave del Mons Claudianus in Egitto. 

Al centro della vasca fu posto un giglio, fiore dello stemma della città di Firenze, ma ben presto sostituito da una sfera di marmo pavonazzetto da cui usciva un alto zampillo d'acqua, più in armonia col modello romano antico.

La fontana è anche conosciuta come Fontana di Corot per via del dipinto ad olio su tela che il pittore francese realizzò presumibilmente nel 1825; la fontana, proprio per la posizione in cui si trova è stata dipinta da molti artisti tra i quali molti pittori francesi vincitori del Grand Prix de Rome che soggiornarono all'Accademia come Fragonard, Hubert Robert, Vernet oltre Corot che della Fontana realizzò ben tre dipinti diversi, ma anche tedeschi, olandesi come Van Wittel, conosciuto come Vanvitelli, inglesi, svizzeri, danesi e moltissimi italiani.

Secondo il Brizzi il cardinale Ferdinando de' Medici acquistò la vasca antica nel 1587 per farla sistemare da Annibale Lippi. La vasca, allineata con l'obelisco e le due fontane del giardino della villa, avrebbe dovuto far parte di un complesso molto più grandioso di quello effettivamente realizzato.

Un particolare della veduta della villa, realizzata dallo Zucchi (1541- 1596) in uno stanzino, rivela che in origine era stata progettata una prospettiva spettacolare, mai realizzata a causa della partenza per Firenze di Ferdinando, divenuto nell'ottobre del 1587 granduca di Toscana. 

L'incisione dello Specchi del 1699 dimostra che in quell'anno la fontana era già in funzione, con un alto zampillo. Fu l'architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), su incarico dello Stato Pontificio, che, tra il 1816 e il 1819 (prima dell'arrivo di Corot), realizzò la passeggiata del Pincio, attinente la villa e collegata a piazza del Popolo mediante rampe carrozzabili.

(Labra di età romana in marmi bianchi e colorati - Annarena Ambrogi - 2005)

HORTI PINCIANI

LA VILLA PINCIANA

Della villa pinciana vi sono ancora visibili pochi resti, che si trovano nel convento del Sacro Cuore. La parte settentrionale del colle era occupata dalle ville degli Acilii, e da quelle più tarde degli Anicii e dei Pincii, che diedero il nome al colle: un resto delle loro costruzioni è il cosiddetto Muro Torto, eretto in età repubblicana e poi incluso nella cinta delle Mura Aureliane.

Fu chiamato anche Muro Malo perché vi venivano sepolti i defunti impenitenti e le prostitute di basso rango: era indicato anche come sepolcro di Nerone.

La sistemazione radicale del Pincio si deve all’intervento di Pio VII (1811), su progetto del Valadier. Assai interessante è l'obelisco egizio, noto come obelisco Pinciano ma che in realtà dovrebbe dirsi di Antinoo: esso fu dedicato dall'imperatore Adriano al suo giovane amico annegato nel Nilo nel 130 d.c.



RODOLFO LANCIANI

"II Monte Pincio, detto collis hortorum dalle numerose ville di famiglie nobili romane,  p. es. gli horti Domitiorum, horti Lucullani e nell'epoca bassa quelli di Petronio Probo ed Anicia Faltonia, ultima discendente forse della gente Pincia, il cui nome è rimasto alla collina fino ai giorni nostri, è ricco di avanzi di costruzioni antiche. Dopo avere annoverato quegli ancora esistenti, il riferente ragionò di due monumenti distrutti nell'epoca del risorgimento: del cosi detto templum Solis, sotto il Belvedere della villa Medici, edifizio forse destinato ad uso di ninfeo o castello dell'acqua Vergine; e di un grandioso emiciclo con terrazze e scalinate discendenti all'antico Campo Marzio; esso stava quasi sul posto della moderna gradinata della Trinità dei Monti, ma fu distrutto circa il 1550, quando si costruì il monastero della Trinità e la Villa Medici.

Oltre al piccolo schizzo dato dal Bufalini se ne hanno soltanto due piante nelle opere dl Pirro Ligorio: una più piccola nel codice Bodleiano testo pubblicato dal Middleton (Archaeologia LI p. 497), ed un'altra molto dettagliata, scoperta dal dott. Hülsen nell'archivio di Torino. II riferente presentò una copia di quest'ultima (Bull, comun. 1. c. 1891 tav. V. VI), ed accennò agli avanzi tuttora esistenti sotto il monastero della Trinità del Monti, che confermano in parte le Indicazioni del Ligorio. Pare che questi edifizi abbiano appartenuto, nel primi secoli dell'era nostra, alla nobile famiglia degli Acilii Glabriones, la quale possedette inoltre, fuori delle mura, grandi terreni ridotti a ville e giardini, corrispondenti in parte alla moderna villa Borghese ed estesi fino alla via Salarla
."


LA VILLA DI AGRIPPINA

Indagini archeologiche hanno rilevato la villa di Agrippina nel sottosuolo del Pincio ove volevasi nel 2008 eseguire un parcheggio sotterraneo di ben sette piani. Ora i Romani sanno che ovunque si scavi a Roma, sia al centro che in periferia, si scoprono nuovi reperti, purtroppo mai sufficientemente apprezzati da chi dovrebbe portarli alla luce, difenderli e farli fruttare in turismo.

Il piano criminale del parcheggio è stato fortunatamente sventato ma la bella villa romana è stata risepolta coi suoi marmi, le sue colonne e le sue statue. Sempre che qualcuno non si sia già portato via qualcosa...


BIBLIO

- AAVV - "Cibele" - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -- AAVV - Statua di Esculapio - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -
- AAVV - Fontana dell'Anfora - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -
- AAVV - "Abbondanza" e "Polimnia" - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -
- AAVV - Mostra dell'Acqua Vergine - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -
- AAVV - Vasca di granito rosso - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -



 

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