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VITELLIO - VITELLIUS


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Nome completo: Aulus Vitellius Germanicus
Nascita: Nuceria Alfaterna, 24 settembre 15 a.c.
Morte: Roma, 22 dicembre 69
Predecessore: Otone
Successore: Vespasiano
Regno: 69 d.c.


DOMANDE

- Chi fu l'imperatore Vitellio?
Vitellius fu un imperatori dell'anno dei 3 Imperatori. 
- Quando e dove nacque l'imperatore Vitellio?
L'imperatore Vitellio nacque il 24 settembre del 15 a.c. a Nuceria Alfaterna
- Quando e dove morì l'imperatore Vitellio?
L'imperatore Vitellio morì a Roma il 22 dicembre 69.
- A chi succedette l'imperatore Vitellio?
L'imperatore Vitellio succedette all'imperatore Otone
- Chi fu il successore dell'Imperatore Vitellio?
Il successore dell'Imperatore Vitellio fu Vespasiano.
- Come morì l'imperatore Vitellio?
L'imperatore Vitellio enne trascinato seminudo per il forum, venne colpito e deriso, e infine ucciso sulle scale Gemoniae. Poi viene appeso ad un gancio e trascinato nel Tevere dove si immerse per sempre.



LE ORIGINI

Non si conosce l'origine della famiglia di Vitellio. Per alcuni i Vitellii discendono da Fauno, rè degli Aborigeni e da Vitellia adorata come una Dea, pertanto a Roma furono ammessi nell'ordine dei patrizi: per altri il capostipite fu un liberto.

Il padre Lucio Vitellio era stato console e governatore in Siria sotto Tiberio. Il figlio fu console nel 48 e poi proconsole in Africa, fattosta che nel 68 Galba, che evidentemente di lui si fidava, lo fece comandante dell'esercito della Germania Inferiore.

Vitellio aveva vissuto la fanciullezza a Capri presso Tiberio, e si era fatto molti amici per il suo carattere gaio e i suoi modi originali e avventati. Fu amico di Caligola con cui gareggiava in spericolate corse di cocchi, di Claudio con cui giocava a dadi e di Nerone per le bravate notturne. Ebbe due mogli: Petronia e poi Galena. Era pigro, smodato nel cibo e nel bere, allegro e sconsideratamente prodigo, al punto di cadere in mano agli strozzini.

Amico di Tito Vinio, ottenne per mezzo di lui il governo della Germania inferiore, e per i debiti dovette affittare la grande casa che possedeva e lasciando moglie e figli in una casa modesta presa in affitto. Con i soldati era prodigo ma privo di polso, per cui non rispettarono nè i suoi ordini nè la disciplina. Però questi lo amavano per questa liberalità, per cui dopo solo un mese lo acclamarono imperatore.

RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL VOLTO (By Haroun Binous)


I BATTAGLIA DI BEDIACRUM

Nella prima le legioni di Vitellio si scontrano con quelle di Otone il 16 aprile 69 nella valle del Po a Bedriacum e Otone si suicidò.

Vitellio si trovava nella Gallie quando gli giunse la notizia della battaglia presso Bedriaco e del suicidio di Otone. Così s'imbarca su una nave parata a festa e, messosi in viaggio sulla Saóne, si diresse alla volta di Lugdunum.

Qui gli vennero incontro Cecina e Valente e i capi dell'esercito di Otone. Proculo e Paulino, per aver salva la vita, gli dissero di aver vinto loro a Bedriaco e Vitellio gli credette. Tre giorni dopo, il 19 aprile, il Senato riconosce Vitellio imperatore.

Mentre le legioni germaniche vittoriose si abbandonano a saccheggi e a devastazioni nella valle del Po, Vitellio, lasciata Lugdunum, scende in Italia. Era famoso per la sua ghiottoneria: il suo viaggio fu una interminabile serie di banchetti costosissimi, tutti a carico delle città.



IL REGNO

Entrò in Roma in veste da battaglia, al suono delle trombe, tra le aquile e le insegne, alla testa delle truppe che tenevano le spade sguainate. Il fratello Lucio Vitellio diede in onore di lui un grandioso banchetto in cui furono, tra gli altri cibi, serviti duemila pesci scelti e settemila uccelli.

Intanto a Roma era in corso la celebrazione dei Ludi Ceriali: i pretoriani e le coorti urbane prestarono giuramento di fedeltà al nuovo imperatore, il popolo gremì il Foro applaudendo e, siccome Vitellio era stato da Galba mandato in Germania e veniva considerato come una sua creatura, si posero fiori sulle immagini di Galba e sul luogo dove era stato ucciso. Vitellio il 18 luglio 1969 dove venne insignito dal Senato del titolo di imperator nel mese di agosto.

Vista la fine di Galba, Vitellio si circondò di truppe fedeli. La legione dei marinai spagnoli venne mandata in Spagna; molti centurioni delle legioni illiriche vennero messi a morte e le legioni stesse rimandate verso il Danubio; la XIV Legione, famosa per la repressione della rivolta britannica, essendo più turbolenta delle altre, fu inviata in Britannia.

Il corpo dei pretoriani fu sciolto e ricostituito in sedici coorti di mille uomini ciascuna attingendo alle fidate legioni germaniche; anche le coorti urbane furono sciolte e rifatte con legionari del Reno.
Coi suoi nemici politici Vitellio volle esser clemente, risparmiando la vita al fratello di Otone, e lasciando console Mario Celso, ma fu severissimo con gli astrologhi e coi suoi creditori.

"Non risparmiò  quasi nessuno degli usurai che avevano reclamato da lui cinicamente il loro avere... Ne mandò al supplizio uno nel momento in cui veniva a salutarlo; poi, improvvisamente, ordinò che tornasse indietro e, mentre tutti lodavano la sua generosità, egli comandò che fosse giustiziato sul posto per godere della morte. 

Implorando due figli di un condannato la grazia del loro padre, fece morire anche loro. Un cavaliere romano, che veniva condotto a morte, gli disse: "Ti ho fatto mio erede"; Vitellio volle leggere il testamento e, avendo costatato che il cavaliere lo aveva nominato erede insieme con un liberto, fece uccidere lui e il liberto".

(Svetonio - Via dei Cesari)

Delle faccende dell'impero egli si curò molto poco e lasciò che se ne occupassero Valente e Cecina. Fu per per merito di costoro se due moti di rivolta, uno nella Mauritania, l'altro nella Gallia, furono stroncati sul nascere.

In Mauritania venne ucciso il procuratore imperiale Lucio Albino che col nome di Juba voleva farsi re della provincia; in Gallia un certo Maricco aveva raccolto intorno a sé alcune migliaia di aderenti proponendosi di dare la libertà alla sua patria, ma la ribellione fu prontamente repressa da alcune coorti romane aiutate dagli Edui.

Vitellio invece dedicava tutto il suo tempo alle feste e ai banchetti nei quali, durante il breve spazio di pochi mesi, sciupò circa novecento milioni di sesterzi. Spesso egli si faceva invitare a pranzo, e ogni pranzo non costava meno di quarantamila nummi.

"....tutta l'Italia, dall'uno all'altro mare, fu saccheggiata perché il grande ghiottone avesse squisite vivande; e le più autorevoli persone delle città e le città medesime andarono in rovina a furia di imbandir mense".
(Tacito - Historiae)

Rimase famoso un piatto che Vitellio fece presentare in un banchetto e che per la sua straordinaria grandezza fu chiamato lo scudo di Minerva: era pieno di fegati di certi pesci chiamati scauri, di cervelli di fagiani e di pavoni, di lingue di fenicotteri e di animelle di murene pescate nel Mediterraneo dalla Siria alla Spagna.
Scrisse a ragione uno storico che se Vitellio fosse rimasto più a lungo a capo dell'Impero questo sarebbe stato divorato.

Però il suo impero non poteva durare a lungo. Il popolino, è vero, era contento di lui per le feste che dava ed anche il Senato, la cui autorità era cresciuta; ma il Senato e il popolo contavano pressoché niente come sostegno di un imperatore, le cui sorti riposavano sul favore dell'esercito. Vitellio aveva l'appoggio dei pretoriani e delle legioni della Germania, ma era malvisto dalle milizie che erano state favorevoli ad Otone, specialmente da quelle dislocate nelle regioni danubiane e dalle legioni della Siria.

Queste ultime temevano di essere trasferite dall'Oriente in Germania; era insistente questa voce e loro non potevano tollerare che solo le legioni germaniche si arrogassero sempre il diritto di eleggere l'imperatore. Anch'esse facevano parte dell'esercito e non erano da meno delle legioni del Reno e della Spagna o di quei pretoriani che comodamente vivevano a Roma, anzi avevano reso grandi servigi all' impero con la vittoriosa guerra della Palestina e per ultima cosa avevano alla testa del loro esercito il più rinomato generale del tempo: Vespasiano.

Su Vespasiano corsero gli sguardi delle milizie d'Oriente, indignate dal vedere l'impero sotto la direzione di un ignobile ghiottone. Il primo luglio del 69 Tiberio Alessandro, che comandava le due legioni d'Egitto, proclamò Vespasiano imperatore e a lui fece prestare dalle milizie il giuramento di fedeltà; il 9 dello stesso mese le legioni di Giudèa giurarono pure queste nelle mani del loro generale, poi il loro esempio fu immediatamente seguito da quelle di Siria, il cui governatore, Licinio Muciano, aveva caldeggiato l'elezione di Vespasiano.

A lui giurarono fedeltà anche le legioni della Mesia, della Pannonia e della Dalmazia; Soemo re della Sofene, Erode Agrippa II e Antioco della Commagene si schierarono per il nuovo imperatore e Vologeso, re dei Parti, offrì all'esercito di Vespasiano un aiuto di quarantamila arcieri, che però furono rifiutati.



VESPASIANO

Vespasiano non era di nobile famiglia; il suo avo Tito Flavio Petronio, di Rieti, aveva partecipato col grado di centurione nell'esercito di Pompeo alla battaglia di Farsalo e, tornato in patria, aveva fatto il banchiere: Sabino fìglio di questo, era stato riscuotitore d'imposte in Asia, poi aveva esercitato l'usura in Elvezia, dove era morto lasciando la moglie Vespaia Polla e due figli, Sabino e Vespasiano.

Quest'ultimo era nato a Falacrine, presso Rieti; giovine cadetto in Tracia era poi stato nominato tribuno militare; creato questore, era stato mandato a Cirene e sotto Caligola aveva ricoperto la carica di pretore. Dalla moglie Flavia Domitilla aveva avuto tre figli, Tito, Domiziano e Domitilla.

Sotto Claudio aveva comandato una legione in Germania, poi era passato in Britannia e al comando di Aulo Plazio aveva preso parte a numerose battaglie, ricevendo in premio del suo valore gli ornamenti trionfali e il consolato. Aveva tenuto da proconsole il governo della provincia d'Africa, aveva accompagnato Nerone in Grecia e si trovava qui quando venne mandato a comandare le legioni della Palestina a fare stragi di Ebrei.

Eletto dai suoi soldati imperatore, Vespasiano tenne consiglio di guerra con Muciano a Berito (Beirut). Fu stabilito che Vespasiano sarebbe andato in Egitto e in Africa, che Tito sarebbe rimasto in Giudea a terminare la guerra contro gli ebrei e che Licinio Muciano, attraverso la Cappadocia e la Frigia, avrebbe marciato verso l'Italia. Il re dei Parti promise che non avrebbe molestato i confini della Siria. Poi si diede da fare con alacrità a raccoglier denaro e a preparare armi.

Mentre in Oriente si discutevano i piani e si facevano i preparativi, le legioni della Pannonia e della Dalmazia, che con entusiasmo si erano schierate con Vespasiano, desiderose di vendicare su Vitellio la sconfitta di Bedriacum, accettavano la proposta di Antonio Primo detto Becco di Gallina, comandante della XIII Legione, e stabilirono di non aspettare l'arrivo di Muciano ma di marciare subito verso l'Italia.

Furono sollecitate le legioni della Mesia a mettersi in cammino e perché i confini di questa regione nell'assenza delle truppe non venissero molestati dalle popolazioni sarmatiche si diede posto nelle legioni ai principi dei Sarmati Jazigi. Anche Sidone e Italico, re dei Suebi, vollero partecipare all'impresa.

Il primo a muoversi fu Antonio Primo cui era stato dato il comando della spedizione. Questi desiderava giungere prima di Muciano per ottenere una posizione di privilegio. Antonio partì con due legioni e con la cavalleria, superò  le Alpi, e nel Veneto occupò Aquileja, Padova e Vicenza, guadagnò alla sua causa tre coorti vitelliane che stavano sulle rive del Po e conquistò Verona.

Preoccupato dagli avvenimenti, Vitellio aveva dato ordine alle legioni della Britannia, della Germania, delle Gallie e della Spagna di accorrere in Italia, ma nessuno  si era mosso aspettando che la guerra si delineasse in favore dell'uno o dell'altro imperatore; poi Vitellio comandò di raccogliere truppe in Italia e mandò Cecina con otto legioni a combattere Antonio.



LA FINE DI CREMONA

Cecina presidiò Cremona con due legioni, e con le altre sei pose il campo ad Ostiglia; però non era più convinto di Vitellio. Qui gli giunse la notizia che la flotta di Ravenna, comandata da Lucio Basso, si era ribellata passando ad Antonio Primo. Allora fece segrete trattative con Antonio e spinse anche alcuni centurioni dalla parte di Vespasiano.

Le legioni però si rifiutarono di abbandonare Vitellio, legarono Cecina chiamandolo traditore, cercarono due nuovi capi e, levato il campo da Ostiglia, si diressero alla volta di Cremona per unirsi alle altre due legioni.

Se avessero avuto il tempo di congiungersi, le forze di Vitellio avrebbero forse avuto ragione di Antonio Primo, ma questi con rapidità sorprendente marciò su Cremona, attaccò le due legioni che la difendevano e le costrinse a riparare dentro le mura.

Avuta notizia di quella sconfitta, le sei legioni di Ostiglia affrettarono il passo e giunti a Cremona, attaccarono il nemico. All'alba le legioni di Vitellio, decimate dalle milizie di Antonio, si ritirarono nel campo, sotto le mura della città; ma vennero attaccate e si chiusero dentro le mura Cremona.

Gli ufficiali dell'esercito vinto decisero di trattare con Antonio, liberarono Cecina perché si recasse al campo avversario e ottenesse che la città non venisse saccheggiata. Invece quarantamila uomini, dopo aver distrutto le ville circostanti, entrarono a Cremona e per quattro giorni la saccheggiarono orribilmente. Antonio aveva dato ordine che non si facessero prigionieri i cittadini cremonesi, ma solo i soldati, invece fu una strage, dopodichè la città venne data alle fiamme.



LE ULTIME RESISTENZE

Fabio Valente si trovava a Pisa con le milizie che conduceva verso il Po quando gli giunse la notizia della sconfitta e della distruzione di Cremona. Allora pensò di passare nella Gallia e continuare di là la guerra. Imbarcatosi con le truppe, fece vela verso la Provincia Narbonese, ma il procuratore di questa regione, amico di Vespasiano, lo fece catturare e uccidere. Il suo capo venne mandato ad Arimino (Rimini) e mostrato alle legioni vitelliane che la difendevano.

Ormai Vitellio non poteva fare assegnamento che sulle coorti dei pretoriani, sulla flotta di Miseno e su poche altre truppe, ma sarebbe stato difficile alle legioni germaniche forzare i valichi delle Alpi guardate dalle soldatesche pannoniche. L'imperatore ordinò che quattordici coorti pretorie andassero  in Umbria per ostacolare la discesa di Antonio. Il campo fu posto a Mevania (Bevagna) dove anche Vitellio si recò; ma vi rimase poco.

Saputo che la flotta di Miseno si era ribellata e i marinai avevano occupato Terracina e Puteoli, fece levare il campo e si mise in marcia verso Roma. A Narni lasciò i due prefetti del pretorio con parte delle truppe, e col resto andò a Roma. Appena giunto, mandò il fratello in Campania per domare la ribellione e fece arruolare soldati tra la popolazione di Roma. Nel frattempo Antonio Primo giungeva a Corsule (Rio Chiaro), a dieci miglia da Narni. I Pretoriani lasciati da Vitellio, non vedendo possibilità di vittoria passarono al nemico; i prefetti fuggirono a Roma.



LA SECONDA BEDIACRUM

Nella seconda battaglia di Bediacrum sono in lotta l'esercito di Vespasiano con quello di Vitellio che però era rimasto a Roma, lasciando il comando ai generali. Il 24-25 ottobre 69 si svolge la seconda battaglia di Bedriacum, dove l'esercito di Vitellio, che manca di disciplina e di formazione, è sconfitto e fugge a Cremona.

Vitellio decise di dimettersi ma i pretoriani non si arresero per tema di essere sostituiti o uccisi da Vespasiano per cui continuarono a combattere. Vitellio allora si vide perduto e per mezzo del Prefetto della città, Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, concluse con Antonio un accordo col quale, rinunziava all'' impero, gli veniva concesso di vivere da ricco privato in una villa della Campania, con l'incredibile somma di cento milioni di sesterzi.

Era il 18 dicembre del 69 e per festeggiare l'accordo, Antonio si fermò ad Otricoli per i Saturnali.
Quel giorno stesso Vitellio abbandonò la casa dei Cesari sul Palatino per andare al Senato a deporre le insegne e il potere e recarsi all'abitazione del fratello. Già tutta la città sapeva dell'abdicazione, il console Quinzio Attico aveva pubblicato un editto in lode di Vespasiano e pieno di insulti contro Vitellio mentre la casa di Flavio Sabino (fratello di Vespasiano) era piena di senatori e cavalieri e custodita dalle coorti urbane e dai vigili.



LA FINE DEI PRETORIANI

Ma i pretoriani a Roma, e il popolino che amava Vitellio per la prodigalità e le feste, avevano protestato alla rinunzia di Vitellio chiedendo di fare annullare l'accordo. Vitellio fu costretto a tornare alla casa dei Cesari. Flavio Sabino volle fare rispettare i patti e uscì con le scarse truppe di cui disponeva, ma ebbe la peggio e a stento col nipote Domiziano, il console Attico e un drappello dei suoi riuscì a salvarsi rifugiandosi nella rocca capitolina dalla quale spedì messi ad Antonio Primo per informarlo del tradimento.

I pretoriani posero l'assedio alla rocca, malmenarono un messo che Sabino inviava a Vitellio per ricordargli i patti, poi diedero l'assalto alla fortezza e per la rupe Tarpea giunsero al tempio di Giove e lo incendiarono.

Atterriti dalle fiamme, alcuni tra i difensori della rocca, fra cui Domiziano, riuscirono a fuggire, gli altri invano si opposero con accanimento alla furia dei nemici che, penetrati nelle mura, fecero strage dei seguaci di Vespasiano.

Flavio Sabino e Quinzio Attico, ricoperti di catene, furono trascinati davanti al palazzo dei Cesari, e al cospetto di Vitellio, impotente a frenare l'ira popolare, il fratello di Vespasiano fu trucidato e il suo cadavere gettato nei rifiuti. Intanto Antonio Primo accorse in aiuto di Sabino, ma appresa l'orribile fine decise di vendicarlo. Vitellio impaurito cercò un nuovo accordo ma inutilmente.

Mille cavalieri al comando di Petilio Ceriale furono mandati a Roma, ma a Porta Salaria furono ricacciati dai pretoriani. Avanzava intanto il grosso dell'esercito di Antonio diviso in tre corpi: uno lungo il Tevere, l'altro per la via Flaminia, il terzo per la via Salaria.

Quest'ultima colonna incontrò la maggiore resistenza: i pretoriani, protetti dai giardini, si difendevano accanitamente, ma quando videro che la cavalleria di Antonio, entrata da porta Collina, minacciava di prenderli alle spalle, si ritirarono, sempre combattendo verso il Campo Marzio, dove la lotta continuò sanguinosa. I pretoriani  si ridussero al loro campo di porta Nomentana, dove tutti poi perirono con le armi nel pugno il 20 dicembre del 69.



LA MORTE DI VITELLIO

Mentre furiosa ferveva la lotta alle porte della città, Vitellio si teneva nascosto nel palazzo imperiale. All'annunzio che il nemico si avvicinava andò all'Aventino dove sorgeva la casa del fratello; due soli uomini lo accompagnavano, il cuoco e il fornaio. Per via gli giunse la notizia che una tregua era stata conclusa ed egli si lasciò ricondurre alla reggia, che trovò deserta.

Ma falsa era la notizia e si facevano sempre più vicini il rumore delle armi e le grida dei vincitori. Allora Vitellio, abbandonato da tutti, sì cinse una fascia piena di monete d'oro, si rifugiò nella cella del portinaio, legò un cane davanti alla porta e dietro questa mise il letto.

I suoi nemici lo trovano, gli legano le mani dietro la schiena e gli pongono un cappio intorno al collo, trascinandolo seminudo per il Forum. Narra Svetonio che al Foro gli annodarono i capelli dietro la nuca come si soleva fare ai delinquenti.

Alcuni gli alzarono il mento con la punta della spada perché la sua faccia si vedesse meglio; altri gli gettarono addosso dello sterco chiamandolo ghiottone; altri gli rinfacciarono i suoi difetti fisici, poiché era di altissima statura, il viso paonazzo dal troppo bere, il ventre buzzo e un fianco debole per una ferita riportata guidando un cocchio con Cajo Caligola.

Venne colpito e deriso, e infine ucciso sulle scale Gemoniae. Poi viene appeso ad un gancio e trascinato nel Tevere, il 20 dicembre del 69. Si narra che le sue ultime parole rivolte a un soldato che lo picchiava fossero: "Eppure ero il tuo imperatore." Vitellio aveva cinquantasei anni.


BIBLIO

- Charles Leslie Murison - Tiberius, Vitellius and spintriae - in Ancient History Bulletin - n. 1 - 1987-
- Svetonio - Vita di Vitellio - XIII -
- B. W. Henderson - Civil War and Rebellion in the Roman Empire - Londra - 1908 -
- Svetonio - Vita di Vespasiano - VI -
- Pietro Nelli - L'imperatore dalle umili origini. Titus Flavius Vespasianus - Roma - Lulu - 2010 -



OTONE - OTHO


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Nome completo: Marcus Salvius Otho Caesar Augustus
Nascita: Ferentium, 25 aprile 32
Morte: Brescello, 16 aprile 69
Predecessore: Galba
Successore: Vitellio
Regno: 69 d.c.

Otone, di antica e nobile famiglia etrusca di Ferentium, era stato amico di Nerone al punto che gli aveva promesso di divorziare da sua moglie Poppea, la donna di cui Nerone si era invaghito. Però, quando Nerone la reclamò, Otone, ancora innamorato, si era tirato indietro. Avendo disubbidito a Nerone ne perse i favori e il suo matrimonio fu annullato, venendo relegato a governatore della remota provincia di Lusitania.

Quando Galba, governatore della Spagna Tarraconese, si ribellò a Nerone, Otone lo accompagnò con le sue truppe, un po' per vendetta e un po' sperando nella successione di Galba che non aveva figli. Ma dovette ricredersi quando Galba, vistosi alle strette, nominò suo erede Pisone.

Morto Galba, Otone fu acclamato dal popolo, che lo soprannominò "Nerone" perchè gli somigliava nell'aspetto un po' femmineo. Si riposero le statue di Nerone, la sua ex servitù fu richiamata a corte, e fu annunciato che il nuovo imperatore avrebbe completato la Domus Aurea. Otone intendeva così sfruttare il buon ricordo di Nerone che aveva tanto fatto divertire i Romani coi suoi spettacoli circensi.

RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL VOLTO (By Haroun Binous)
Ma Salvio Otone era stato da poco eletto, quando giunse a Roma la notizia che Vitellio era stato acclamato anche lui imperatore dalle legioni della Germania Inferiore. Dapprima Otone tentò di persuadere Vitellio a rinunciare, poi gli chiese in moglie la figlia e gli promise onori e ricchezze, ma poiché Vitellio gli faceva promesse a sua volta perchè fosse lui a rinunciare, non rimase che la guerra.

Otone aveva dalla sua le legioni d'Africa, dell'Egitto, della Giudea, della Siria, del Danubio, della Spagna e dell'Aquitania, e se fin da principio ne avesse richiamata una parte avrebbe senza dubbio impedito all'esercito avversario l'ingresso in Italia.

Ma indugiò parecchio e soltanto quando si accorse che la guerra non poteva essere evitata chiamò le legioni danubiane e ne costituì due nuove con gladiatori e schiavi gente forte ma inadatta a combattere.

Si erano schierate con Vitellio oltre che le truppe germaniche, della Britannia, della Gallia Belgica, della Gallia Lugdunense e della Rezia; un potente esercito di settantaduemila uomini marciava verso Roma.

Era diviso in due corpi: uno di trentaduemila soldati, al comando di Fabio Valente, che entrava attraverso il valico del Cenisio; l'altro di quarantamila, guidato da Cecina Alveno, attraverso il paese ostile degli Elvezi prima, e poi passava le Alpi attraverso il valico del Gran San Bernardo. Dietro venivano le riserve sotto il diretto comando di Aulo Vitellio.

All'avanzare delle truppe avversarie, Otone lasciò al governo di Roma suo fratello Salvio Tiziano, convocò in assemblea il Senato e il popolo, sacrificò alle divinità, prese con sé Lucio Vitellio, fratello del suo nemico e parecchi magistrati ed uomini consolari che dovevano servigli da ostaggi, e partì dalla città.

Anche il suo esercito era diviso in due parti, una delle quali era la flotta che doveva assalire le coste della Gallia. Otone aveva eccellenti comandanti, ma gli mancava un capace generale. Ma anche Vitellio non se la passava meglio, perchè tra i suoi comandanti non correva buon sangue.

La guerra sembrò favorevole a Vitellio: Spagna e Aquitania l'avevano riconosciuto imperatore e così i presidi della regione transpadana. Saccheggiata la Liguria, vinse Valente tra Antipoli ed Albigauno; il presidio di Piacenza, comandato da Spurinna, si difese valorosamente e costrinse il nemico, guidato da Cecina e sua moglie Solonina, a ripassare il Po e dirigersi verso Cremona; presso questa città Marcio Macione, traversato il fiume, assalì le milizie di Cecina e le sconfisse.

Cecina cercò allora di far cadere il nemico in una trappola, ma Svetonio Paulino la sventò e procurò loro una sconfitta che poteva essere irreparabile se avesse anche inseguito i vinti, cosa che non fece. A questo punto Valente e Cecina si resero conto del pericolo, misero da parte i disaccordi e riunirono gli eserciti.

I comandanti di Otone invece non erano concordi su come condurre la guerra: Svetonio Paulino, Annio Gallo e Spurinna volevano aspettare le legioni di Dalmazia e Pannonia che avrebbero attaccato le spalle e il fianco del nemico, invece Tiziano, Proculo e lo stesso Otone, incoraggiati dai successi, volevano dar battaglia subito. Otone, con parte delle truppe, dietro consiglio di alcuni generali, si ritirò a Brixellum (Brescello), mentre il grosso dell'esercito marciò verso il nemico.

Tra il Po e l'Adige ci fu una feroce battaglia, tra gli uomini affaticati dalla lunga marcia di Otone e le truppe fresche di Vitellio, molto maggiori di numero. Dapprima gli otoniani si batterono con bravura e la legione della marina sbaragliò la XXI Legione di Cecina.
Ma successivamente i marinai furono respinti e il loro comandante ucciso. Infine l'esercito di Otone ripiegò su Bedriacum con 40000 morti sul campo di battaglia. Il giorno dopo i resti dell'esercito otoniano si allearono a Vitellio.



LA MORTE

A Otone rimanevano la guarnigione di Piacenza e le milizie condotte con sé a Brescello, inoltre le legioni del Danubio erano arrivate ad Aquileja. Ma Otone ebbe paura, si considerò perduto e pensò al suicidio.

Bruciò generosamente le lettere compromettenti per i suoi amici e consigliò i soldati di sottomettersi a Vitellio.
Alcuni generali insistevano di resistere perchè la battaglia poteva ancora essere vinta, ma non ascoltò.

Scrisse una lettera alla sorella ed un'altra a Messalina, vedova di Nerone, che avrebbe dovuto sposare, distribuì ai servi il suo denaro e si ritirò nella sua camera. All'alba si vibrò una pugnalata al petto e spirò.

Aveva trentasette anni. Aveva governato per 95 giorni.
Non gli vennero fatte esequie solenni, ma i soldati che l'avevano amato lo piansero, baciandogli le mani ed i piedi. Alcuni per il dolore si uccisero tra le fiamme del suo rogo.
A Brescello fu innalzata una modesta tomba con la semplice iscrizione: Diis manibus Marci Otonis.


BIBLIO

- Cora Beth Fraser - Otho's funny walk: Tacitus, Histories - The Classical Quarterly, vol. LVII n. 2 - 2007 -
- B.F. Harris - Tacitus on the death of Otho, - The Classical Journal - vol. LVIII n. 2 - 1962 -
- Elizabeth Keitel - Otho's exhortations in Tacitus' Histories - Greece & Rome, vol. XXXIV - 1987-
- Charles L. Murison - Galba, Otho and Vitellius: Careers and Controversies - Olms - 1993-
- Yanir Shochat - Tacitus' attitude to Otho - in Latomus - vol. XL - n. 2 - 1981 -
- Plutarco - Vitae Parallelae - Vita Othonis -



GALBA


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Nome completo: Servius Sulpicius Galba Caesar Augustus
Nascita: Terracina, 24 dicembre 3 a.c.
Morte: Roma, 15 gennaio 69
Predecessore: Nerone
Successore: Otone
Regno: 68-69 d.c.


LE ORIGINI

"Galba era nato da una nobile famiglia ed era molto ricco, ma non legato né per nascita né per adozione ai primi sei imperatori. Fin dalla fanciullezza fu visto come un giovane di notevoli doti, e si dice che sia Augusto che Tiberio profetizzassero la sua futura ascesa"
(Tacito, Annali).

Degli antenati di Galba ci parla Svetonio nella “Vita dei Cesari”:
Da quest’ultimo Sulpicio discendono il nonno e il padre dell’imperatore Galba. Il nonno, segnalatosi più come studioso che per le cariche ricoperte (non andò infatti più in là della pretura), pubblicò un’opera storica ben congegnata e diligente. Il padre, dopo aver avuto il consolato, pur essendo di piccola statura, gobbo e dotato di modeste facoltà oratorie, esercitò attivamente l’avvocatura. Ebbe due mogli: prima Mummia Acaica, nipote di Catulo e pronipote di Lucio Mummio, il distruttore di Corinto; poi Livia Ocellina, bella oltre che ricchissima. Da Mummia Acaia gli erano nati due figli, Gaio e Servio. Gaio, il maggiore, lasciò Roma dopo aver sperperato i suoi averi e, poiché Tiberio gli aveva proibito di concorrere al proconsolato nell’anno che pure gli spettava di diritto, si suicidò”.

L’imperatore Servio Galba nacque il 24 dicembre dell’anno 3 a.c., come racconta Svetonio “adottato dalla matrigna Livia Ocellina ne assunse il nome e il soprannome di Ocellare; cambiò pure il prenome, giacché prima di giungere al principato si faceva chiamare Lucio al posto di Servio”. Godette della protezione di Augusto, Tiberio, Livia, Gaio e Claudio.



CURSUS HONORUM

Pretore nel 20, e console nel 33, acquistò buona reputazione nelle province di Gallia, Africa e Spagna per le sue capacità militari.

Tra i comandi delle varie province che gli vennero affidati i più importanti furono quello della Germania Superiore, dove fu inviato da Gaio per ristabilire la disciplina dopo la rivolta di Lentulo Getulico, e quello della Spagna Tarragonese nel 61, dove trascorse otto anni durante il regno di Nerone.

Sembra che sia stato onesto ma severo fino alla crudeltà. Alla morte di Caligola, rifiutò l'invito dei suoi amici di farsi avanti per l'impero, e servì lealmente Claudio.

Nel 68, Galba seppe dell'intenzione di Nerone di metterlo a morte, e dell'insurrezione di Giulio Vindice in Gallia. Pensò di imitare Vindice, ma la sconfitta ed il suicidio di costui lo trattennero.

La notizia poi che Sabino, prefetto dei pretoriani, si era dichiarato in suo favore lo incoraggiò di nuovo. Così, anche se fino ad allora si era dichiarato emissario del Senato e del popolo romano, dopo la morte di Nerone, assunse il titolo di "Cesare" e marciò su Roma.

Le legioni delle province lo riconobbero quasi tutte imperatore, soprattutto in Gallia, mentre le legioni sul Reno proclamarono il loro comandante Vitellio, che, forte di un esercito, marciava verso Roma. Vespasiano invece dalla Galilea inviò presso Galba il figlio Tito per ricevere istruzioni.

RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL VOLTO (By Haroun Binous)

L'IMPERATORE

Nel 68 dunque sedette del trono con l’aiuto della guardia del pretorio al comando di Ninfidio Sabino. Egli fu il primo imperatore ad essere portato al potere dai propri legionari. Però Galba mancava del tatto e la lungimiranza dei Cesari.

Infatti premiò le popolazioni che avevano risposto all'appello di Vindice, alle quali condonò un quarto dei tributi e concesse la cittadinanza romana, ma punì Lugdunum e le città che non avevano preso parte alla rivolta, confiscandogli beni e provocando il malcontento delle legioni di Rufo.

Si fece molti nemici, come con Sabino che l'aveva appoggiato e gli chiedeva il comando dei pretoriani, concedendolo invece ad altri. Sabino cercò di ribellare le sue ex coorti all'imperatore, ma venne ucciso. Anche due capi militari che non avevano voluto riconoscere il nuovo imperatore, Fontejo Capitone e Clodio Macro governatore d'Africa, perdettero la vita.

Allo scopo di dare una rassicurante impressione di continuità dinastica adottò Lucio Calpurnio Pisone Liciniano, giovane di carattere e di lignaggio impeccabili (anche la Clapurnia era una famiglia originaria della Sabina).

Galba, di nobili origini, scegliendo un uomo fuori della sua famiglia per farne l’erede designato, aveva sostenuto un principio nuovo e giusto: che il trono, cioè, dovesse andare al più meritevole, esattamente come la sua stessa elevazione per la prima volta aveva veduto il conferimento del principato ad un individuo che non apparteneva alla casa dei Giulii e dei Claudii. Ma tale decisione contrariò fortemente Otone, che in precedenza aveva sostenuto Galba e che aveva sperato nell’adozione.


IL DECLINO E LA MORTE

Lasciò l'amministrazione della cosa pubblica a uomini avidi ed arroganti che vendettero favori, privilegi e impunità contro il desiderio del popolo che aspettava si punissero i sicarii neroniani.


Ai pretoriani, che lo avevano appoggiato con la promessa di 30000 sesterzi, da parte di Sabino a lui favorevole, Galba, notoriamente avaro, rispose che era sua abitudine arruolare i soldati e non comprarli.

A Roma si trovava una legione di marinai che Nerone aveva tolti alla flotta di Miseno: Galba ordinò che tornassero alle navi, lasciando le aquile e le insegne a Roma, e al loro rifiuto ne ordinò la strage con la cavalleria.

Questo gli alienò la I Legione Adiutrix, anch'essa di marinai, che l'imperatore aveva condotto dalla Spagna.

Così Galba licenziò senza premio la guardia germanica con la scusa che erano fedeli a Gneo Dolabella, e rimandò in Spagna proprio quei legionari che lo avevano acclamato imperatore.

Inoltre, salito sul trono, anziché dare autorità al Senato, accentrò nelle sue mani tutti i poteri, alienandogli le simpatie dei senatori.
Gli fu fatale il trattamento a Virginio Rufo. Poichè lo vedeva come un rivale, lo richiamò dalla Germania superiore mandando al suo posto il vecchio Flacco. Ormai Galba, avendo perso energia a causa dell'età avanzata, rimase completamente nelle mani dei suoi favoriti.

Le legioni di Rufo, rifiutarono pertanto di prestare giuramento a Galba e chiedendo un principe eletto dal Senato e dal Popolo. Qualche giorno dopo, le legioni delle Germania inferiore, acclamarono imperatore il loro generale Aulo Vitellio che venne riconosciuto anche dall'esercito dell'Alto Reno.
Aveva così adottato Cajo Pisone Liciniano come successore, un giovane di trentadue anni, di severi costumi e discendente da Pompeo e da Crasso, sperando di calmare gli animi e di scoraggiare i contendenti.

Del malcontento delle soldatesche e del popolo approfittò invece Salvio Otone, marito di Poppea, che per vendicarsi di Nerone aveva aderito al movimento di Galba e sperava di esserne il successore. Era un uomo ambizioso e carico di debiti per cui vedendo con l'adozione di Pisone fallire le sue speranze di successione, ed essendo premuto dai debitori, organizzò una congiura, servendosi di alcuni pretoriani che comprò con forti somme.

Il 16 gennaio del 69, mentre Galba faceva un sacrificio nel tempio di Apollo, nel Foro, presso la pietra miliare dorata, un piccolo numero di pretoriani acclamò Otone imperatore e lo portò in lettiga al campo di porta Nomentana, dove le coorti si dichiararono pronte a seguirlo.

Galba mandò allora alcuni tribuni militari perché riportassero all'obbedienza le coorti pretorie e diede incarico a Pisone di bloccare la rivolta che non si propagasse alla guardia del palazzo. Il popolo, inaspettatamente, fu dalla parte di Galba e volle accompagnarlo al Foro.

Ai ribelli si erano intanto uniti i marinai e le legioni, e, tutti al comando di Salvio Otone, entrarono in Roma. Galba non aveva nessun corpo di soldati da poter opporre, aveva il popolo dalla sua, ma il popolo che lo accompagnava acclamante verso il Foro quando vide le soldatesche ribelli si dileguò e la lettiga imperiale venne circondata dai soldati. Galba, tratto fuori a forza, ricevette un colpo di spada alla gola. E fecero scempio del suo corpo.

Morto Galba, sui suoi consiglieri ed amici si sfogò la furia dei rivoltosi. Tito Vinio fu trovato davanti il tempio di Cesare e, nonostante gridasse di aver preso parte alla congiura, fu trucidato. Pisone ferito, rifugiato nel tempio di Vesta con un suo fedele centurione, fu raggiunto, trascinato fuori e ucciso.

Il popolo prese poi le parti del vincitore e cominciò a gridare: "Otone Cesare Augusto» e il Senato, stupito e intimorito dalla rapidità dei cambiamenti, si affrettò a radunarsi nel Campidoglio per ratificare l'elezione del nuovo imperatore.

Le teste di Galba, Pisone e Vinio infisse su picche vennero dai soldati portate in trionfo per la città; il giorno dopo quella di Galba fu trovata presso la tomba di Patrobio, che l'imperatore aveva fatto uccidere, e fu sepolta con le ceneri del corpo. Degli altri amici di Galba, Aulo Lacone fu mandato in esilio e poi messo a morte, Icelo venne giustiziato, Marco Celso invece fu salvo e ricevette molti onori. Tigellino non ebbe scampo e si uccise.
Otone, salito sul trono per opera dei pretoriani, lasciò ad essi la nomina dei loro comandanti e del prefetto di città.


BIBLIO

- Plutarco -Vita di Galba -
- Svetonio Tranquillo - De vita Caesarum, Galba Stavros Frangoulidis, Tacitus, Plutarch and Suetonius on the Death of Galba - in Favonius - vol. III - 1991 -
- Hans Jucker - Der Ring des Kaisers Galba - München - C.H. Beck - 1975 -
- Charles L. Murison - Galba, Otho and Vitellius: Careers and Controversies - Hildesheim - New York - G. Olms Verlag - 1993 -
- Krzysztof Nawotka - Imperial Virtues of Galba in the Histories of Tacitus - in Philologus - vol. 137 - 1993 -
- Jacques Sancery - Galba ou l'armée face au pouvoir - Parigi - Belles lettres - 1983 -
- Ronald Syme - Partisans of Galba - in Historia - vol. 31 - 1982 -


 

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