LUCIO MARCIO SETTIMO - MARCIUS SEPTIMUS





Nome: Lucius Marcius Septimus
Nascita: intorno al 235 a.c.
Morte: -
Professione: Militare (Eroe)


Lucio Marcio Settimo, ovvero Lucius Marcius Septimus, fu un ottimo ed eroico militare romano.
Egli riuscì a mettere insperatamente in salvo le rimanenti forze romane, sconfitte nelle battaglie del Baetis superiore dove erano periti i due generali, Publio Cornelio Scipione e Gneo Scipione Calvo.

« Cum deletis exercitus amissaeque Hispaniae viderentur, vir unus res perditas retituit. Erat in exercitu L. Marcius Septimi filius, eques romanus, impiger iuvenis, animique et ingenii aliquanto quam pro fortuna in qua erat natus maioris. »
« Quando parevano perduti gli eserciti e perdute le Spagne, un uomo solo risollevò la disperata situazione. Era nell'esercito Lucio Marcio figlio di Settimo, cavaliere romano, giovane animoso e di spirito e di ingegno assai maggiori della condizione in cui era nato. »
(Livio, XXV, 37.1-2.)


LE ORIGINI

Come ci narra Appiano, Lucio Marcio apparteneva alla gens Marcia, una gens romana di antichissima origine sabina, tra le cento gentes originarie ricordate da Tito Livio, e quindi patrizia. Il suo nome derivava dalla divinità sabina Mavors o Mamers, poi latinizzato in quello del Dio romano Marte (in latino Mars). Di Lucio tuttavia non si conosce nè la data nè i luoghi di nascita e di morte, si sa però che era un cavaliere. Dunque di buona estrazione ma probabilmente di un ramo plebeo.

Fu un personaggio molto particolare, tanto che Tito Livio ne ricorda delle frasi dense di significato, come: Se nel breve momento utile a cogliere un'occasione, la cui opportunità passa e poi vola via, si esita, inutilmente si va poi alla ricerca della circostanza perduta. "
(Lucio Marcio Settimo - citato in Tito Livio, XXV)

Lucio era infatti un militare che sapeva osare: audere semper, perchè le occasioni potevano non ripetersi. E dimostrò fortemente di saper cogliere  le occasioni più infauste per trasformarle a vantaggio di Roma.

Nelle situazioni ardue e con pochissima speranza fortissimi e certissimi appaiono i consigli. "
(Lucio Marcio Settimo - citato in Tito Livio XXV)

Qui i consigli sono intesi come soluzioni della situazione impervia, come dire che nelle situazioni disperate emerge da qualche parte un'idea che può attuandosi, capovolgere la situazione.




BATTAGLIA DEL BAETIS SUPERIORE

« Secondo alcuni, Gneo Scipione restò ucciso sull'altura al primo assalto, secondo altri riparò con pochi in una torre vicina all'accampamento; questa fu circondata con fuochi e così fu presa dopo che ne furono arse le porte contro le quali nessun assalto era valso. E tutti quelli che vi erano furono uccisi col comandante. Così nell'ottavo anno della sua permanenza in Spagna, ventinove giorni dopo il fratello, Gneo Scipione morì »

I due Scipioni, comandanti dell'esercito romano erano stati uccisi, nelle guerra spagnola, come molti dei legionari romani, a causa del tradimento dei Celtiberi assoldati dai romani, che avevano cambiato bandiera e si erano venduti ai cartaginesi. Essendo una grossa fetta dell'esercito assoldato dagli Scipioni, non c'era niente da fare, era la fine.

Lucio Marcio aveva un grande ascendente sui soldati, grazie all'esperienza raccolta sotto Gneo Scipione, ma pure grazie al suo valore e soprattutto al suo ingegno e alla sua capacità persuasiva, nonostante la giovane età. Così parlò ai soldati ormai disperati e li incitò a seguirlo in fretta, che li avrebbe portati alla salvezza. 

Presi dalla sua sicurezza e la sua calma, i militari romani allo sbando che si erano rifugiati dove potevano, vennero a lui, che li portò nascostamente fuori dell'area per ricongiungersi al presidio di Tiberio Fonteio, dove Scipione aveva fatto attendere un piccolo gruppo di militari.

Lucio Marcio parlò anche a loro per far comprendere la gravità della situazione ma pure la possibilità di salvezza che offriva. Se quegli uomini fossero rimasti là, presto i cartaginesi sarebbero arrivati per annientarli.

Così si offrì di guidarli verso gli accampamenti romani posti oltre l'Ebro, insieme agli uomini che già lo seguivano.  Anche qui i legionari gli credettero facendosi guidare da lui, e ivi giunti si unirono agli altri legionari e fortificarono gli accampamenti che dovevano trovarsi  a sud di Tarraco. Poi, sempre agli ordini di Lucio trasferirono qui tutti i rifornimenti che erano riusciti a salvare. 

Le truppe romane, rinfrancate dalla guida sicura di Lucio, visto come era riuscito a guidarli in salvo fino a lì, nonostante i cartaginesi cercassero i fuggiaschi, radunatisi nei comitiis militaribus, lo elessero comandante supremo all'unanimità.

Intanto i cartaginesi, guidati da Asdrubale Giscone (... – 202 a.c), erano sulle loro tracce per finire gli ultimi scampati al massacro. Non trovandoli nè al primi nè al secondo accampamento, traversarono l'Ebro per piombare su di loro.

I Romani, che avevano riassettato e fortificato a tempo record l'accampamento, lo scorsero attraverso le vedette sempre all'erta, e Lucio Marcio li pose accanto alle porte che presto fece spalancare per una sortita contro il nemico.

I cartaginesi, che si aspettavano un gruppo misero e disorganizzato, mentre prima correvano all'impazzata per finire i superstiti, si arrestarono vedendo i romani che uscivano dalle porte in numero nutrito, in assetto da combattimento ed equipaggiati di tutto punto per attaccarli.

All'avvicinarsi di Asdrubale Giscone (... – 202 a.c.), i Romani, in preda all'ira ed al furore, ricordandosi quali comandanti poco prima avevano avuto, afferrarono le armi e si precipitarono alle porte ad assalire il nemico incauto che avanzava in schiere disordinate. L'imprevista situazione gettò nel panico i punici che non si aspettavano di trovare forze romane tanto numerose e organizzate, dal momento che l'esercito romano era quasi distrutto. Davanti a tante circostanze così inattese, si ritirarono inizialmente stupefatti, poi respinti da un assalto violento dei Romani, si diedero alla fuga.

« Et, aut fugientium caedes foeda fuisset, aut temerarius periculosusque sequentium impetus, ni Marcius propere receptui dedisset signu [...] Inde in castra avidos adhuc caedisque et sanguinis reduxit. »
« E orrenda sarebbe stata la strage dei fuggenti oppure sarebbe diventato temerario e pericoloso l'impeto degli inseguitori se Marcio non avesse dato ben presto l'ordine di ritirata [...] Così li fece rientrare nel campo ch'erano ancora tutti avidi di strage e di sangue. »

(Livio, XXV, 37.14.)

I romani volevano vendicare gli Scipioni, i loro generali uccisi e pure i loro compagni ed emisero forti grida battendo le spade sugli scudi, come Lucio aveva suggerito di fare. Nel vederli avanzare così agguerriti i cartaginesi si spaventarono e si dettero alla fuga. I romani li inseguirono colpendone più che potevano, ma Lucio Marcio seguiva il suo piano e dette loro l'ordine di fare dietrofront e tornare al campo

« E orrenda sarebbe stata la strage dei fuggenti oppure sarebbe diventato temerario e pericoloso l'impeto degli inseguitori se Marcio non avesse dato ben presto l'ordine di ritirata [...] Così li fece rientrare nel campo ch'erano ancora tutti avidi di strage e di sangue. »
(Livio, XXV, 37.14.)

Lucio Marcio, fece rientrare tutti nel campo ma sguinzagliò i suoi esploratori perchè studiassero la situazione nell'accampamento nemico. Comprese che presto i tre generali si sarebbero riuniti con i loro eserciti e li avrebbero attaccati sovrastandoli e distruggendoli.

Come riferirono gli esploratori, il campo non era ben guardato, perchè i Cartaginesi non ritenevano di correre rischi e pure perchè non possedevano l'accuratezza dell'organizzazione romana, così Lucio concepì di assalire gli accampamenti del solo Asdrubale, prima che arrivassero gli altri eserciti.

Così deciso, Lucio raccolse i suoi e gli fece una lunga "adlocutio", insomma li arringò. Ricordò il tradimento dei Celtiberi, il dolore della morte dei capi e dei compagni, il dovere di salvare la patria e il piacere di tornare a Roma carichi di gloria e di bottino. Quindi avvisò i legionari che li avrebbe condotti in un assalto notturno al campo di Asdrubale. Potevano accadere due cose, disse loro Lucio, o i cartaginesi fuggivano o ci sarebbe stata una battaglia lunga e dura da vincere. Era l'unica salvezza, e gli uomini ne convennero e lo seguirono.



Divise gli uomini lasciando solo una piccola guarnigione al suo campo, e nascose una coorte di fanti e la cavalleria nel bosco di una vallata che si trovava fra il campo di Asdrubale e quello di altre forze cartaginesi, 6 miglia più lontano (9 km). Il resto delle truppe romane fu condotto, con una marcia silenziosa, verso il campo nemico più vicino. Qui le sentinelle erano poche per cui riuscirono ad eluderle irrompendo nell'accampamento nemico.

« Squillarono allora le trombe, si levò il grido di guerra. Alcuni Romani fecero strage dei nemici semi-addormentati, altri appiccarono il fuoco a delle baracche coperte di paglia secca, altri occupano le porte per impedire fughe. (I cartaginesi) Cadono inermi tra le schiere degli armati. Chi si precipita alle porte, chi, visti preclusi i passaggi, salta al di là del vallo. Così chi riesce a fuggire, corre subito verso l'altro accampamento; e tutti sono accerchiati e uccisi dalla coorte e dalla cavalleria balzata fuori dal nascondiglio. »

Uccisi i combattenti e presi prigionieri gli arresi, i romani corsero all'altro campo, dove molti dei Cartaginesi erano usciti per cercare foraggio, legna e cibo. Così eliminati i soldati che erano fuori dal campo, i Romani irruppero all'interno senza che i cartaginesi quasi se ne accorgessero. Colti quasi nel sonno i nemici poterono combattere poco e male.

Cercarono di organizzare una resistenza improvvisata, ma alla vista degli scudi insanguinati dei Romani, i Cartaginesi compresero che questi avevano già combattuto la battaglia e avevano vinto l'altro accampamento. Si spaventarono molto ma compresero che se non si difendevano era la fine.

Si batterono per tutta la notte e per il giorno che seguì. Tutti i cartaginesi sopravvissuti furono cacciati fuori dal campo. Gli accampamenti nemici vennero occupati, saccheggiati e i loro occupanti cartaginesi scacciati o uccisi. Marcio in una notte e un giorno fu padrone di entrambi gli accampamenti. Non solo aveva salvato i romani ma gli aveva donato la vittoria.

Ora gli Scipioni e i compagni legionari erano stati vendicati, l'onore era salvo e il bottino era ricco. I legionari onorarono con grandi acclamazioni il loro comandante e lo nominarono Dux. Gli altri due generali cartaginesi non si mossero dalle loro postazioni temendo di fare la stessa fine di Asdrubale, insomma era tregua.

Tito Livio riporta l'annalista Claudio Quadrigario, che tradusse dal greco Acilio, secondo cui furono uccisi circa 7.000 nemici, ne furono catturati 1.830 e fu conquistato un enorme bottino. Fra gli oggetti predati vi era anche lo scudo d'argento del peso di 137 libbre (quasi 45 Kg) con l'effigie di Asdrubale Barca. Questo trofeo, denominato scudo Marzio, rimase sul Campidoglio fino all'incendio del tempio.

Secondo invece lo storico Valerio Anziate già con il solo campo di Magone vennero uccisi 7.000 nemici, e con una seconda battaglia fu preso il campo di Asdrubale con 10.000 nemici uccisi e 4.330 prigionieri. Riferisce infine che, secondo Lucio Calpurnio Pisone Frugi (Historia augusta), furono uccisi in un agguato 5.000 nemici, mentre Magone inseguiva i Romani in ritirata. Dopo questo successo, messo però in dubbio da De Sanctis, che però mise in dubbio anche la sortita di Tuditano dopo la battaglia di Canne, la situazione in Spagna si placò e si ebbe una lunga tregua.

All'inizio del 211 a.c., quando il senato romano ricevette da Lucio Marcio una missiva sugli eventi della guerra, furono tutti molto colpiti dalle sue miracolose vittorie sui cartaginesi, vittorie ormai insperate dopo la morte tragica dei due Scipioni e la disfatta dell'esercito che avevano messo in cordoglio tutta Roma. Nella lettera però c'era un particolare inquietante: notarono che egli si firmava «Lucio Marcio propretore al senato», titolo che non gli era stato conferito né per decreto del popolo, né dall'autorità del senato.

Ora il propretore, durante la Repubblica, era un pretore che, esercitata per un anno questa carica, era destinato al comando di un esercito o di una provincia. Ma nulla fa pensare che egli fosse stato pretore a Roma, il dux era sia il supremo magistrato civile sia il comandante in capo delle legioni nelle province. Sicuramente il titolo di Dux, conferitogli dal suo esercito, lo voleva comandante in capo dei legionari romani in Spagna. Pertanto Lucio era stato nominato dai suoi uomini loro generale supremo e a lui avrebbero obbedito e non ad altri.

Poteva essere un pericoloso precedente che i comandanti potessero essere eletti dagli eserciti e che si indicessero comizi negli accampamenti militari, senza il supporto di leggi e magistrati. Allora il senato deliberò che le richieste spagnole sui rifornimenti di grano e vestiario fossero accolte e che, d'accordo con i tribuni della plebe, fosse chiesto al popolo quale nuovo comandante si dovesse inviare in Spagna a guida delle armate romane, in sostituzione dei due Scipioni appena scomparsi.
E il popolo acclamò Lucio Marcio Settimo.


BIBLIO

- Appiano di Alessandria - Historia Romana - Illyrica -
- Polibio - Storie - III,
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - XXII, 35 e XXIII, 24 -
- Tito Livio - Periochae - vol. 21-30 -
- Cassio Dione - Storia romana - LX -
- Lucio Calpurnio Pisone Frugi - Historia augusta -


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