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ORIGINI ROMANE DELL'ITALIA


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LE PIU' ANTICHE CIVILTA' SUL SUOLO ITALICO

- I Camuni in val Camonica, (dal VIII-VI millennio a.c. al I millennio a.c.) con incisioni rupestri che vanno dal Neolitico all'età del Ferro, in oltre 180 località comprese in 24 comuni, il primo Patrimonio dell'umanità riconosciuto dell'UNESCO in Italia, che ha riconosciuto oltre 140 000 figure, anche se nuove scoperte ne hanno progressivamente aumentato il numero a quasi 300.000.
- In Sardegna si sviluppò dal IV millennio a.c. il Megalitismo delle culture prenuragiche e la successiva civiltà nuragica, vengono considerate fra le più importanti culture megalitiche mai esistite, con monoliti isolati, in allineamenti rettilinei o in circolo. Nel III millennio a.c. la Cultura di Ozieri unificò i Sardi e durante il II millennio a.c. la civiltà nuragica si estese su tutta l'isola e influenzò la Corsica del Sud (dove si sviluppò la civiltà torreana) entrando in contatto, per via marittima, con i principali popoli del bacino del Mediterraneo.
- Tra il III millennio e il 1500/1200 a.c. si ha la comparsa della cultura di Polada, una civiltà palafitticola diffusa nell’Italia settentrionale dell’epoca e particolarmente radicata in Veneto nelle zone del Lago di Garda, dei Colli Euganei e nella Valle dell’Adige.
- I Liguri (daII millennio a.c. fino al II sec. a.c.) svilupparono sin dai tempi più remoti una cultura marinara per gli scambi commerciali.
VASI VILLANOVIANI

- I Reti (II millennio - I millennionelle Alpi Centro-orientali, tra Italia e Austria.
- I Latini si stabilirono nel Lazio centro-meridionale, ma dal II millennio a.c. avevano varie comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) con il centro principale di Alba Longa.
Castellieri nel nord-est italico, dal XV al III secolo a.c. dall'Istria si espanse nel resto della Venezia Giulia, in Friuli, Dalmazia e Veneto.
- Gli Euganei occuparono le valli e il piano tra le Alpi Orientali e l'Adriatico nel X-IX a.c.
- In Toscana fiorì la cultura Villanoviana (X - VIII secolo a.c.
- La civiltà di Golasecca, (IX - IV secolo a.c.) collegata alle culture proto-celtiche dell'Europa centrale, si estese tra Lombardia, Canton Ticino, Piemonte, ed Emilia-Romagna.
- Gli Etruschi nel IX fino al I secolo a.c. emergono in epoca protostorica nella Toscana meridionale, nel Lazio settentrionale, e in alcune aree della nord Italia e Campania, nella parte a ovest del fiume Tevere.
Tra VIII e VII secolo compare la civiltà dei Veneti (vincitori), proveniente dall’Europa orientale che parla una lingua indoeuropea vicina al latino e un alto livello artistico e tecnologico.
- Nel corso del VII sec. a.c. gli Interamnates Nahartium precorsero le altre popolazioni umbre, fondando la città di Interamna Nahars nel 672 a.c.. Si trattava della cultura degli Umbro-Naharti nella valle di Terni, con la necropoli delle Acciaierie di circa tremila tombe, scoperte a fine Ottocento piene di corpi umani, cavalli, armi e fibule.


- Dauni (dell'età del bronzo e del ferro), L'antica Daunia corrispondeva a buona parte dell'ex-Capitanata e dell'attuale provincia di Foggia, nonché alla parte occidentale della nuova provincia di Barletta-Andria-Trani e all'estremo margine settentrionale della moderna provincia di Potenza in Basilicata.
- Sanniti, stanziati in AbruzzoMolise, Campania nonché a talune aree marginali di Lazio, Puglia e Basilicata. 
- Volsci (si inserirono nel V secolo a.c.)  sui monti Lepini ed Ausoni del Lazio.
- Ernici, Equi e Aurunci si stanziarono nell'Italia Centrale, sia nelle pianure che nelle montagne, tutte popolazioni Osche che hanno lasciato varie fortificazioni.
- Osco-umbri e gruppi di Illiri (Puglia) erano stanziate nel meridione della penisola.
- I Sicani abitavano nell'età del Ferro la parte centrale della Sicilia, gli Elimi abitavano la parte occidentale e i Siculi la parte orientale.

Questa è solo una parte degli abitanti più antichi della penisola italica e come in tutti i paesi del mondo questi antichi abitanti o sono scomparsi o si sono amalgamati tra loro fornendo una nuova etnia, nuovi costumi e nuovi sistemi di vita. 

Dunque questi popoli sono i progenitori del popolo romano, e non si potrebbe dire che i romani non siano i loro discendenti solo perchè sono culture diverse e magari etnie diverse, perchè questi popoli assunsero col tempo caratteri simili, divennero molto razionali, molto combattivi, molto organizzati, molto democratici e con grade senso dell'arte.

ROMA ALLE ORIGINI

ROMA ALLE ORIGINI

Roma ebbe come primi abitanti contadini e pastori che conducevano una vita semplice e modesta, ma pure contrastata, perchè le tribù vicine tendevano a invadere i loro territori. In epoca protostorica si trovavano nella penisola italiana e nelle isole maggiori varie popolazioni, sia di lingua indoeuropea che pre-indoeuropea, che avevano raggiunto l'Italia in varie ondate migratorie prodottesi nel corso del III e del II millennio a.c..

Nell'Età del Ferro Roma conobbe l'arrivo dei Latini di stirpe indoeuropea, dunque non autoctoni, prima un gruppo latino-falisco e poi uno umbro-sabello. Dovette trattarsi dei Latini che incontrarono Enea in fuga da Troia quando sbarcò nel Lazio. Gli Italiani hanno raccolto molte culture locali confluite poi in quella latina, fra cui quella etrusca e quella degli italioti e dei sicelioti, di matrice ellenica. 

Roma si formò con la fusione di genti diverse, perchè là dove confluiscono culture differenti c'è uno scambio che amplifica la conoscenza. Con il passaggio dalla civiltà neolitica a quella dei metalli, nella penisola sorsero le culture padane delle palafitte e quelle mediterranee sviluppate delle isole e del Mezzogiorno. 

(WORK BY: Fulvio314 RomanItaly)


ITALIA ROMANA

Infatti i Romani del periodo monarchico erano i cittadini di Roma, ma nel suolo italico più stirpi si lamentavano di difendere Roma con le armi, sin dalle guerre puniche, senza vedersi riconoscere i diritti della cittadinanza.

Infatti mentre i primi territori conquistati, quelli confinanti con Roma, vennero annessi alla città, le città italiche conquistate in seguito furono ordinate in:
• municipi, comunità cittadine dipendenti da Roma, che si distinguevano in municipi con suffragio, quando ai loro cittadini erano riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini romani, compreso quello di
voto (suffragio) nei comizi romani; e in municipi senza suffragio se i loro cittadini continuavano a votare a casa propria magistrature locali;
• colonie, abitate da cittadini romani trasferiti nei territori conquistati, che avevano il diritto di votare a Roma;
• città alleate, che conservavano la loro autonomia, ma erano unite a Roma da vincoli federali di natura diversa.

Dunque se i Romani del periodo repubblicano furono essenzialmente gli abitanti della città di Roma, gli abitanti delle colonie dedotte e quelli dei "municipia optimo iure", dopo la Guerra sociale con la Lex Iulia del 90 a.c., la Lex Plautia Papiria dell'89 a.c., e la Lex Roscia del 49 a.c., divennero cittadini romani non solo quelli di Roma ma tutti gli abitanti della penisola italica. E' dunque dal I secolo a.c. che consideriamo gli antenati romani, come ha senso che sia, altrimenti dovremmo risalire agli indoeuropei e ai pre-indoeuropei.

Quindi già in età tardo repubblicana il termine "Romano" non riguardava più solo gli abitanti dell'Urbe, bensì quelli dell'Italia, una specie di "consanguineitas", che creava un confine tra i Romani delle province (Gallia, Hispania, Illiria, etc.) ed i Romani d'Italia che però non era una provincia, ma il territorio metropolitano di Roma, con un suo status privilegiato. L'integrazione romana dell'Italia, è alla base delle eredità storiche degli italiani ed è il momento in cui l'Italia ha un suo connotato territoriale preciso. Prima conteneva in sè diversi popoli, dal I secolo a.c. diviene la culla della romanità.

CARTINA ETNOLINGUISTICA DELL'ITALIA (work by: Homo lupus - Iron Age italy)

GLI ITALICI ROMANIZZATI

La storia dell'Italia romana ebbe inizio con la graduale unificazione delle popolazioni italiche centro-meridionali, che iniziò durante l'età regia di Roma (VIII secolo a.c.), completandosi con la conquista della Gallia Cisalpina, corrispondente alla Pianura Padana, che avvenne tra il III e il II secolo a.c.

La Roma del II secolo a.c. infatti, dominante l'Italia intera e forte delle sue capacità di assimilazione culturale, si inventò diversi metodi di integrazione etnica e culturale, dalle scuole pubbliche ai maestri privati per l'insegnamento della lingua, dalle vesti ai divertimenti, alle terme e agli spettacoli, ai beni di importazione, diffondendo cultura, lingua e valori comuni, insomma il processo di romanizzazione.

La romanizzazione degli abitanti dell'Italia, si articolò in numerose colonie romane e latine in tutta Italia, diffondendo usi e costumi, e lo spostamento volontario o coatto di popolazioni nella Penisola: solo nel I secolo a.c., il 10% della popolazione libera fu spostata dai luoghi d'origine e ricollocata in altre zone d'Italia. C'era poi la colonizzazione veterana, con la distribuzione di terra in varie zone ai legionari pensionati.

Col procedere dell'espansione territoriale, la cittadinanza fu concessa anche ad una piccola parte di abitanti delle province romane, pertanto non italici, per esempio come ricompensa dopo un lungo servizio militare, si che circa il 20% della popolazione dell'Impero nel I secolo d.c. ottenne la cittadinanza romana. In molte colonie ed in molte città interagivano popolazioni diverse che per comunicare tra loro usavano il latino e gli stessi luoghi di commercio e intrattenimento adottando la vigente romanitas.

Poi nel 212 d.c., quando con la Constitutio Antoniniana fu estesa la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'Impero, venne meno effettivamente la coincidenza etnica con quella giuridica di "romano", considerando giuridicamente "romani" anche gli abitanti della parte orientale sino al 1453, e questi effettivamente non furono romani.


L'EREDITA' DEI ROMANI AGLI ITALICI

Dei 60 milioni di italiani attuali, a parte gli immigrati degli ultimi decenni che hanno acquisito la cittadinanza, la netta maggioranza degli italiani ha origini genetiche negli antichi Romani (intesi come gli italici romanizzati) e le ha in misura maggiore degli abitanti di qualsiasi altro Stato al mondo.

Gli Italiani hanno ereditato dai Romani la capacità artistica tanto è vero che l'Italia è il paese con maggiori titoli di Patrimonio Unesco al mondo. E' dagli antichi romani che hanno appreso la pittura, la scultura e l'architettura, un patrimonio culturale che ha portato all'Umanesimo, al Rinascimento, al Manierismo e al Barocco, tutti stili prettamente italiani poi diffusi nel mondo.

La civiltà romana ha lasciato innumerevoli meraviglie architettoniche e artistiche in tutto il territorio imperiale, che fu molto più vasto rispetto all'Italia, ma la sua culla geografica fu la penisola italiana, a sua volta culla di Roma. In Italia è quasi impossibile trovare un comune o una provincia priva di monumenti o almeno tracce dell'epoca romana.

Sempre tramite il processo di romanizzazione, in Italia si diffuse la lingua latina, che in Età imperiale sostituì definitivamente ogni linguaggio preromano, cosicché il latino rimase indelebile nella popolazione romana d'Italia e del resto dell'Europa romanza, trasformandosi nei diversi secoli, nei vari volgari neolatini fra cui il futuro volgare toscano e quindi italiano, nonché i suoi vari dialetti.

Prova ne sia che né i Longobardi né i Franchi (germanofoni), né i Romano-orientali (ellenofoni) riuscirono mai ad imporre le proprie lingue alle popolazioni italiane: i Longobardi finirono con l'adottare il latino (che oltretutto era sempre stata l'unica lingua scritta del proprio regno).

Nella stessa Italia medioevale, si conservò l'eredità culturale giuridica romana, che ricordavano anche nei termini la Repubblica romana (repubblica, consoli, magistrati, senato, questore, candidati, magistrati etc).



ALCUNI SOSTENGONO CHE GLI ITALIANI NON SIANO I DISCENDENTI DEI ROMANI

Secondo loro gli Italiani deriverebbero da un miscuglio di:

- gli Etruschi dall'VIII secolo al I secolo a.c. da cui i Romani appresero la costruzione degli archi, il modello militare, come base di reclutamento e come tattiche (falange), a loro volta, appresa dagli antichi Greci.
- dagli antichi Greci della Magna Grecia dall'VIII secolo a.c. al 280 a.c., La civiltà greca classica e ancor più quella ellenistica ebbero profonda influenza sulla cultura romana rafforzata ulteriormente dalla successiva conquista romana della Grecia.
- dai Sanniti, un ceppo umbro influenzato dalla cultura etrusca e greca, una bellicosa popolazione dotata di forti strutture politiche e militari relativamente complesse per l'epoca.
dai Celti tra il V e il IV secolo a.c. nella Gallia cisalpina, venendo a contatto con i Liguri della Liguria, parte del Piemonte, dell'Emilia, della Lombardia occidentale fino all'Umbria meridionale, con i cosiddetti Umbro-Naharti.
- dai vari mercanti fenici e punici (di stirpe semita), in fuga dal Libano occupato dagli Assiri, giungevano invece in Sardegna integrandosi, nei villaggi costieri, con la civiltà nuragica.
- dai Romani, dal I secolo a.c. fino alla caduta dell’impero d’Occidente 476 d.c.
- dai Longobardi, nel Nord Italia nel VI-VII Secolo d.c.
- dai Bizantini, nel Sud Italia e a Ravenna nel VI-VII secolo d.c.
- dagli Arabi, in Sicilia, dall’827 fino alla caduta di Noto nel 1091,
- dai Franchi, nell’Italia centrale e settentrionale (VIII – IX secolo),
- dai Normanni, dall’anno 1000 al 1194 in Sicilia e nell'Italia meridionale,
- dagli Svevi (Germania) nel XII secolo e dagli Angioini (Francia), in Sicilia e Italia meridionale,
- dagli Spagnoli dalla II metà del XVI secolo alla fine del XVII secolo in quasi tutta l’Italia,
- dalla dominazione asburgica (austriaca), nel XVIII e nel XIX secolo, in buona parte del Nord Italia,
- dalla dominazione napoleonica, in quasi tutta Italia, dal 1796 al 1814.


CIVES ROMANI ITALICI SUNT

Però per la questione del DNA, la maggioranza degli storici ritengono che durante le invasioni barbariche, non più di 500.000 barbari, tra Eruli, Vandali, Ostrogoti e Longobardi, discesero nella penisola a fronte di una popolazione italica di circa 7 milioni di abitanti.

Nel 489 entrarono nella penisola gli Ostrogoti, stimati da cento a trecentomila persone che formarono un regno romano-barbarico che verrà poi distrutto dai Bizantini, ridotto poi a 30.000 soldati presenti nel 537 nell'esercito goto. Le stime sulla migrazione longobarda vanno dai cento e trecentocinquantamila fra guerrieri, donne, bambini e non combattenti, quindi da 2 all'8% dei Romani.

La seconda ondata di elementi stranieri si trova nella conquista degli Arabi della Sicilia e la calata dei Normanni, ma si parla sempre di decine di migliaia. Tutte le conquiste successive: Spagnoli, Francesi, Austriaci, non furono migrazioni di massa di intere popolazioni, in grado di stravolgere gli equilibri etnici della popolazione, ma occupazioni militari con stanziamenti di eserciti stranieri e delle rispettive élite politico-militari, un numero troppo esiguo per cambiare la composizione etnica.

Nel meridione d'Italia, il Regno di Sicilia ebbe il re Federico II di Svevia, sovrano tedesco-normanno ma italiano per nascita, lingua, e sentimenti che, a capo del Regno di Sicilia, costruì uno stato con una politica tutta "italiana", in conflitto con l'autorità papale e con la Lega Lombarda.

A partire dal XV secolo, l'Italia ebbe il fenomeno dell'Umanesimo che, grazie al recupero di antichi capolavori romani e greci, aveva riscoperto l'arte e la bellezza attraverso la ricerca e la letteratura dei classici. Ciò costituì la premessa culturale del Rinascimento, che si irradiò nell'Europa intera e segnò di fatto, sul piano culturale, artistico e sociale la chiusura dell'oscuro Medioevo e la nascita dell'età moderna.

Attorno alla metà del XVI secolo, il Rinascimento lasciò il posto al Manierismo, con artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello. Mezzo secolo più tardi, seguì il barocco, che, nato anch'esso in Italia, ebbe un riflesso internazionale (in Europa e nelle Americhe) non inferiore all'influenza rinascimentale.


BIBLIO

- L. Quilici, S. Quilici Gigli - Architettura e pianificazione urbana nell'Italia antica - L'Erma di Bretschneider - 1997 -
- Filippo Coarelli - Storia dell'arte romana. Le origini di Roma - Milano - ed. Jaca Book -
- Andrea Giardini - con F. Pesando - Roma caput mundi. Una città tra dominio e integrazione - Milano - Electa - 2013 -
- Antonietta Dosi - Spazio e tempo - (coautore Francois Schnell) - Vita e Costumi dei Romani Antichi - Quasar - Roma - 1992 -
- Biondo Biondi - Istituzioni di diritto romano - Ed. Giuffré - Milano - 1972 -
- Aldo Schiavone - Ius: l'invenzione del diritto in Occidente - Torino - Einaudi - 2005 -
- Giacomo Devoto - Gli antichi Italici - Firenze - Vallecchi - 1952 -
- G. Gazzetti - Le province romane - ed. Quasar - 2013 -


GLI HORTI ROMANI


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Cosa si intende per orto romano?

- Si intende prima l'orto della villa rustica per le verdure dei bisogni familiari, 
- poi gli Horti edificati nella cinta muraria di Roma con padiglioni e portici di splendida fattura.
- infine le piccole domus che sorsero ovunque, come si evince da Pompei, con giardini più o meno grandi ma ben ornati che introducevano alla domus di stile romano.



GLI HORTI ROMANI

I romani chiamavano "horti" le ville dotate di un grande giardino costruite entro le mura urbane, ma in aree suburbane. Erano un luogo ideale per vivere isolati e nella tranquillità, senza però allontanarsi da Roma. Il nome latino hortus indicava il corrispondente del nostro orto, dove i contadini coltivavano nelle ville rurali, le piante per il fabbisogno dei padroni e degli schiavi.

Poi il generale Lucullo si fece costruire una splendida dimora sul colle del Pincio, i famosi Horti Luculliani, con padiglioni e giardini meravigliosi che Lucrezio definì "Le tranquille dimore degli Dei". Subito dopo ne seguì l'esempio Sallustio, con i suoi Horti Sallustiani vicini al Quirinale e in seguito molti altri.

La parte più importante degli horti era la vegetazione, con boschetti, cespugli, pergolati e piante da siepe spesso con forme geometriche o di animali, secondo l'ars topiaria inventata proprio dai romani. i Romani piantavano soprattutto l’olmo, il cipresso, l’olivo, il pino, l’olivo e la palma. 

Tra il verde si trovavano spesso padiglioni, porticati di colonne con oscilla per passeggiare al riparo dal sole e dalla pioggia, fontane, ringhiere di marmo, terme, terrazze, scalinate, tempietti e statue, spesso repliche di originali greche. La ricostruzione odierna degli antichi giardini romani è stata resa possibile dai resti delle radici delle piante e soprattutto dalle pitture dei giardini con le quali i Romani raffiguravano la visione di giardini nelle case.

DOMUS POMPEIANA

Da queste decorazioni parietali si può osservare come lo schema del giardino di solito avesse al centro una piazzola con una fontana da dove si diramavano dei viali in linea retta con ai lati filari di rosmarino e mirto potati però in modo da poter scorgere la natura circostante. Agli incroci dei viali venivano collocate erme o statue in marmo e sedili con intorno grandi vasi di piante odorose.

Il giardino romano era quella dello xystus (in greco "passaggio coperto") collocato generalmente nel peristilio, nelle terme o nei teatri e consisteva in una serie di viali (ambulationes) con portici o di rami d'alberi cresciuti a formare una galleria ombrosa, che consentivano un piacevole passeggio al fresco in estate e all'asciutto in autunno.



ARS TOPIARIA

I giardinieri romani però nei loro progetti di giardini privati o pubblici non si limitavano a curare la crescita delle piante ma cercavano di trasformare il loro aspetto naturale potandole e dando loro lorme geometriche o addirittura la forma di particolari o strani oggetti e animali. 

Sembra che il loro ideatore fosse stato Gaius Matius dell'ordine equestre, vissuto verso la fine del I secolo a.c.. Ce ne informa Plinio il Vecchio definendola un'arte, che dai romani venne denominata "opus topiarium" o "ars topiaria" e ben presto si diffuse in tutti i giardini.



L'EURIPO

Nell'età imperiale la passione per i giardini e le ville si diffuse a Roma e i cittadini più abbienti costruirono una serie di edifici affogati nel verde con portici, criptoportici, esedre, fontane, piccoli templi ed anche hippodromi per le esercitazioni dei cavalli.

Non mancavano rivoli d'acqua (euripi) che scorrendo da serbatoi posti in alto scorrevano in un ruscello saltellante a cascatelle affiancato da viali con vasi di piante e piccole statue sui bordi elevati, con scalini di marmo o di pietra, che con una serie di canaletti rifornivano le case e le terme e irrigavano i giardini.

Talvolta invece scorrevano più in basso del terreno spingendosi fino a rinfrescare la sala all'aperto dei triclini estivi in giardino. In tal caso il percorso era abbellito da graziosi ponticelli.



GLI ALBERI

Le piante utilizzate dai Romani si dividevano ini arbores silvestres, cioè quelli a crescita spontanea nei boschi, come l'abete, il faggio, il castagno, il pino silvestre, il leccio, il pioppo, la quercia, il rovere, e gli arbores urbanae il platano, l'olmo, il pino, la palma, l'olivo, il tiglio e il cipresso che venivano definiti mites perché si adattavano alla condizione urbana, fornendo ombra ai cittadini.

Gli alberi da frutto venivano piantati in una parte del terreno della villa chiamato "pomerium" di solito vicino al vigneto e all'uliveto. Non si coltivavano invece molti fiori, a parte rose per onorare gli dei e le viole per i culti funebri del dies violae, il giorno di ogni anno dedicato alle onoranze dei defunti.



GLI HORTI DELLE PICCOLE DOMUS

I giardini delle piccole domus cittadine erano piccoli Horti, in genere rettangolari, con tre comparti, uno centrale con fontana e due laterali con piante, siepi e qualche albero. In genere vi si piantavano erbe odorose come rosmarino e alloro ma pure mirto. Il rosmarino era sacro ai morti, l'alloro era sacro ad Apollo e il mirto era sacro a Venere. 



GLI HORTI PUBBLICI

A Roma vi erano anche giardini pubblici che sorgevano in alcune zone della città per offrire possibilità di passeggiate e di svago ai cittadini, in epoca repubblicana erano formati da semplici prati solcati da sentieri senza alcun ornamento: tra questi possiamo ricordare i Prata Flaminia, all’epoca situati sul Palatino e quelli dell’Aventino, che scomparvero in epoca imperiale, perché vennero inclusi nelle aree destinate a zone edificabili e sui quali sorsero delle magnifiche ville patrizie.

Fecero però eccezione gli Horti di Giulio Cesare, lasciati in eredità alla sua morte al popolo romano, splendidi orti che si affacciavano sul Tevere, ricchi di ornamenti e di statue, tanto che quando l'imperatore Tiberio vi fece togliere la superba statua di Niobe, non poteva più comparire in pubblico nei teatri perchè i romani gli richiedevano a gran voce la restituzione della statua finchè "asb torto collo" dovette farla rimettere al suo posto.

Nel III secolo d.c. gli horti occupavano circa un decimo di Roma e formavano una corona di verde intorno al centro, soprattutto di sempreverdi: bosso, cipresso e leccio, ma pure ligustro, quercia, tasso, carpino e faggio, con siepi e cespugli di mirto, alloro, rosmarino, pruno, cioè la classica macchia mediterranea.

Gradualmente, buona parte dei grandi parchi, in particolare quelli della cintura verde attorno al centro della città, divenne proprietà degli imperatori. Durante l’Alto Impero i giardini del demanio imperiale vennero addirittura chiusi al pubblico e le uniche passeggiate possibili rimasero i pochi e ridotti parchi di proprietà pubblica.

GIARDINO DELLA VILLA DI LIVIA - AFFRESCO


LA VILLA DI LIVIA

Un ottimo esempio di giardino, è il dipinto del secondo stile dal I secolo a.c., che si ha negli affreschi del ninfeo sotterraneo della villa di Livia, un ambiente sotterraneo databile tra il 40 e il 20 a.c., oggi al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, dove venne dipinto un giardino ideale, con una recinzione di canne e rami di salice in primo piano.

Segue una seconda balaustra marmorea che delimita un giardino con 23 specie di piante e 69 varietà di uccelli, tutto dipinto in dettaglio, ma sempre più sfumato nello sfondo.

Il giardino è simmetrico e tra le specie vegetali predomina l'alloro, in relazione alla leggenda citata da Plinio, Svetonio e Cassio Dione secondo cui Livia il giorno delle nozze ricevette sul grembo lasciata da un'aquila una gallina bianca con un rametto di alloro nel becco. Da quell'alloro, piantato nella villa, nacque un bosco dove gli imperatori coglievano i rametti usati anche nel trionfo dei Cesari.

Questo giardino dipinto rappresentava ottimamente l'architettura reale, come tramanda una lettera di Cicerone a Attico a proposito di una questione col suo architetto Ciro, che suggeriva di non creare finestre ampie in corrispondenza dei giardini perché le vedute che ne risulterebbero non sarebbero abbastanza piacevoli, in quanto più difficili da costruire secondo uno schema aggraziato.


BIBLIO

- Marcus Terentius Varro - Opere di M. Terenzio Varrone con tr. e note - tip. G. Antonelli - 1846 -
- L. Guerrini, Enciclopedia dell'Arte Antica (1960) ed. Treccani, alla parola "Giardino"
- Maria Luigia Ronco Valenti - L'arte dei giardini nell'antica Roma - su gruppocarige.it. - 2016 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis. historia -
- Plinio il Giovane - Epistole -
- Patrick Bowe - Gardens of the Roman World - Los Angeles -
- Ellen Semple  Ancient Mediterranean Pleasure Gardens - Geographical Review - 1929 -


IL MATTONE CRUDO ROMANO


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DOMANDE

- Con quali materiali si costruì nella Roma antica?
Con il tufo, con il mattone crudo, con il mattone cotto e poi col marmo.

- Come si facevano i mattoni crudi?
I mattoni crudi si facevano con argilla, sabbia e materiale organico in appositi stampi, in autunno o in inverno in modo da asciugare lentamente fino all'estate successiva. 

- Quando iniziarono i mattoni cotti nelle fornaci?
I mattoni cotti nelle fornaci iniziarono tra II e I secolo a.c., insieme alla cottura del vasellame ma si svilupparono ampiamente tra il I sec a.c e il I secolo d.c. svolgendo un ruolo cruciale per superare i problemi di una lunga tempistica di essicazione dei mattoni crudi e, allo stesso tempo, aumentava la loro resistenza.



COSTRUZIONI DI TERRA

Un "mattone di terra" è un termine che indica un mattone che non è stato cotto nella fornace, ma che è stato fatto asciugare al sole per almeno 25 giorni. In realtà non è fatto di terra ma di una miscela di argilla, terra, sabbia e acqua, mescolato con un materiale legante come paglia, fibre di riso, canne o canapa. Il composto viene poi versato in forme  rettangolari che vengono lasciate asciugare al sole per 25 giorni.

Mescolando l'erba secca con il fango crea la giusta consistenza, la grande resistenza alle intemperie ed evita che i blocchi si spacchino solidificandosi. Per non farli seccare troppo, i mattoni vengono avvolti in un involucro di crine di cavallo. Le giuste dimensioni sono quelle che il bracciante riesce maneggiare con una sola mano.

Poi i blocchi vengono fatti aderire tra loro con del fango per innalzare muri, talvolta combinati col cemento. Oggi si usa un rapporto del 15% di argilla, 10-30% di limo e 55-75% di sabbia, senza aggiunta di paglia o altro.



DAVIDE FRASCA

"Generalmente in una casa vissuta si identificano subito i problemi dovuti all’acqua e si può intervenire prima di arrivare a manutenzioni di una certa rilevanza. Detto ciò ci tengo a precisare che una casa di terra ben protetta dall'acqua può dimostrare di essere estremamente longeva perché la terra, al contrario di un pilastro in cemento armato, non dovrebbe subire alcun degrado chimico-fisico nel tempo, la stessa cosa invece non la si può dire per i ferri di armatura e il legante cemento. 

Ad Auroville ho potuto toccare con mano la possibilità di costruire archi, cupole e volte utilizzando mattoni in terra compressa, buona parte dell’istituto è proprio costruito con questa modalità. La cosa che mi ha impressionato di più è la semplicità con cui riescono a costruire le loro volte senza alcuna centina o supporto grazie alle proprietà adesive dell’argilla.

( Auroville è una città "sperimentale", basata sulla visione di Sri Aurobindo, sorta in India presso la città di Puducherry, e disegnata dall'architetto Roger Anger, intesa per essere una città universale, dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace ed in armonia)

Per la normativa italiana la terra non esiste come materiale da costruzione, cioè non è menzionata tra i vari materiali, quindi non è normata."

MATTONE IN TERRA CRUDA

IL MATTONE CRUDO

Il mattone crudo, cioè di fango, detto anche adobe, fu il passo successivo alla parete di frasche raccolte nel bosco su cui si gettava e si batteva la terra bagnata, il tutto con una base di sassi o pietre, come ad esempio fecero gli Etruschi sul suolo italico (vedi Populonia). 

Il mattone è maneggevole e rapido per costruire, ma venne usato soprattutto nelle regioni calde e secche dei deserti e delle steppe, dove esiste poco legname sia per le costruzioni che per alimentare il fuoco di una fornace per mattoni, pertanto i mattoni vengono cotti al sole. 

In queste terre pioveva raramente ma vennero usati anche in zone temperate dove in inverno la pioggia è frequente, così la vita di questi edifici è di circa 30 anni, dopo di che cominciano a sbriciolarsi ed è allora necessario coprirli con nuovi mattoni cotti in fornace oppure con un intonaco ricco di calce, dalle proprietà idrorepellenti. 

Così la calce divenne preziosa, perchè era sufficiente coprire la superficie superiore di un edificio con la calce perchè non si sgretolasse con la pioggia. Questo tipo di abitazione tende a rimanere fresca in estate e tiepida in inverno.

ADOBE CHE SI ASCIUGA AL SOLE

ADOBE

L'adobe o adobo (in arabo = cotto) è l'impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata al sole utilizzata da molte popolazioni in ogni epoca per costruire mattoni di terra utilizzati anche oggi per il risparmio di energia e sono un modo ambientalmente sicuro per isolare una casa. Sulle testimonianze di Plinio (Nat. hist. L. XXXV, 14, 48) e di Vitruvio {Architect. II, e. VIII) sembra che le costruzioni di terra vennero usate presso tutte le più antiche civiltà. 

La città più antica ad oggi conosciuta, Çatalhöyük, in Anatolia, del VII millennio a.c., aveva case costruite in adobe, come nelle regioni semidesertiche dell'Africa e dell'America Centrale. La Mesopotamia utilizzava mattoni formati in uno stampo quadrato e arrotondato in modo che il centro fosse più spesso rispetto alle estremità, così una volta seccati al sole erano molto stabili sui piano-convessi e dunque ottimi per edificare città.

In Spagna è caratteristica delle zone secche sud-orientali e In Italia è stato usato in Sardegna e in Sicilia, portato dai Cartaginesi e poi dagli Arabi. Annibale fece innalzare torri di terra in Spagna per le segnalazioni di guerra, ancora ammirate ai giorni di Plinio. 

Nella civiltà minoica a Cnosso sull'isola di Creta, gli archeologi hanno appurato che i mattoni seccati al sole vennero utilizzati fin dal Neolitico. Ma si usarono pure nell'Antico Egitto, nell'epoca tolemaica ma pure durante la colonizzazione romana. 

Anche i Romani fecero grandi costruzioni di terra, come dimostrano alcuni tumuli lungo l'antica Via Appia, e la descrizione del mausoleo di Augusto lasciataci da Strabone e pure il ricordo di un contrafforte o aggere alle falde dell'Esquilino verso le carine, "murus teneus carinarum" (Varrone L LV, 48).

La casa di Re Attalo in Traili, in Turchia,  e quella di Creso in Sardi, capitale del regno di Lidia nel VII secolo a.c. (oggi Turchia) furono di terra. In Grecia a fianco degli splendidi monumenti marmorei innalzati da Ictino e da Fidia e decorati da Zeusi e da Apelle, sorgevano solitamente delle semplici costruzioni di terra. Re Mausolo in Alicarnasso edificò la sua dimora con la terra, e di terra fece ricoprire il suo sepolcro. 



GLI ETRUSCHI

I mattoni crudi nei muri di fortificazioni e in edifici sacri si usavano in Etruria già dal VII a.c., come si vede nei resti di muri di terrazzamento nell’area della collina Nord a Roselle. L'opus isodomum, derivata da modelli greci e seguita da etruschi e romani, presenta ogni fila di mattoni sfalsata rispetto a quella su cui si appoggia, in modo da non avere linee di frattura continue, pericolose soprattutto per i terremoti.

I templi tuscanici, del III - VI secolo a.c., sono descritti da Vitruvio  con alzati in pietra per quelli maggiori, ma in mattoni crudi per quelli più antichi. A Roselle, nell’area del foro di età romana, si trova la “Casa con Recinto” con funzione pubblica e sacrale, con strutture interne in mattoni crudi.
 
A Gravisca, il primo edificio sacro del santuario, del 580 a.c., era costruito con fondazioni a ciottoli ed alzato in mattoni crudi e tetto a doppio spiovente. A Tarquinia, sulla Civita, un edificio di VI secolo a.c., con valenze sacrali ma non monumentali, aveva fondazioni in pietrame ed alzato in mattoni crudi intonacati (Bonghi, Chiaramonte Trerè 1997, 199). 

A Bologna in Viale Aldini si è scoperto un muro etrusco del V secolo a.c. in mattoni crudi di notevoli dimensioni e a Gonfienti a nord dell’Arno, è documentato il mattone crudo (Poggesi et. al 2010, 129). Nell'insediamento del Lago dell’Accesa (Massa Marittima, GR) alcuni edifici arcaici del quartiere A (Complessi VIII e X) hanno murature in mattoni crudi (Giuntoli 1997, 28). 

Ad Acquarossa, tra la fine del VII e la seconda metà del VI secolo a.c., è documentato l’utilizzo del mattone crudo. Nell’abitato costiero di Pyrgi le case del VI secolo a.c. hanno uno zoccolo a ciottoli ed elevato in mattoni crudi, disposti di testa nei muri portanti e di taglio in quelli divisori e sono rivestiti da intonaco (Bellelli Marchesini 2001, 402). 

OSTIA ANTICA

I ROMANI

A partire dal III secolo a.c. aumenta in Italia centrale l’utilizzo del mattone crudo come materiale da costruzione su fondazioni in pietra, soprattutto nell'edilizia privata. Nel II secolo a.c., Catone ne raccomandava l’uso nelle ville per gli alzati dei muri con fondamenta alte un piede, probabilmente in opus caementicium (Cato, agr. 14,4-5). 

In epoca romana i mattoni crudi (lateres) erano composti di argilla, sabbia e materiale organico e, secondo i dettami di Vitruvio, dovevano essere fabbricati in appositi stampi, in autunno o in inverno in modo da asciugare lentamente fino all'estate successiva. 

La fase di essiccazione era cruciale per eliminare in modo uniforme l’acqua ed acquisire la resistenza alla compressione, al punto che Vitruvio consiglia di aspettare due anni per utilizzarli (2,3,1). Le strutture in mattoni crudi, sempre secondo Vitruvio (2,8,9), hanno grande stabilità e durata.

A Roma, il mattone crudo, come documentato da Vitruvio (2, 8, 17-18), veniva sicuramente impiegato ma fu presto abbandonato perché l'Urbe era sottoposta a frequenti inondazioni, come quella del 54 a.c., che causò diversi crolli di edifici realizzati in questa tecnica (Cassio Dione 39,61). 



OPUS FORMACEUM (PISE')

Invece, Vitruvio ne raccomanda la protezione dalle infiltrazioni di acqua piovana, ottenute anche con spioventi del tetto aggettanti (2,8,18). Tra il II e il I secolo a.c., si diffonde la tecnica della muratura in terra cruda pressata entro casseforme, identificata nell’opus formaceum o formatum, che corrisponde al pisé. 

La terra cruda pressata nel III secolo a.c. la troviamo a Cosa, Fregellae, sull’acropoli di Populonia e a Pompei. Anche nella villa di Settefinestre, il cui impianto è del III quarto del I secolo a.c., i muri interni sono realizzati in argilla cruda e mattoni crudi (Carandini 1985, 64- 66). 
 
FORNACE ROMANA DI LONATO DEL GARDA

LE FORNACI

Naturalmente, tra II e I secolo a.c., l’impianto di fornaci andò diffondendosi per i mattoni e per il vasellame materiale da costruzione, ma anche per quelle di vasellame. Ma il mattone crudo con funzioni strutturali sopravvive come elemento costruttivo di fornaci, perché le temperature di cottura avrebbero danneggiato i mattoni già cotti, ma soprattutto perché il mattone crudo ha una capacità di isolamento termico migliore di quello cotto. 

Le strutture in terra cruda, una volta messe in opera, venivano cotte a temperature più basse rispetto a quelle necessarie per la cottura dei manufatti, che avveniva intorno agli 800°-900°, in modo da renderle stabili. Queste fornaci in mattoni crudi, sono tutte a tiraggio verticale con doppia camera, di combustione e di cottura, separate da un piano forato sostenuto da archi, con una cottura a fiamma indiretta. 

In Toscana, due fornaci circolari a Massa, datate tra la metà e la fine del II secolo a.c., sono costruite interamente in mattoni crudi e pietre. (Volpi et. al. 2016, 35- 48).  La seconda fornace, parzialmente scavata e forse di datazione più recente, era a pianta circolare, e come la prima, con muri perimetrali in mattoni crudi così come i setti degli archi di sostegno (Volpi et. al. 2016, 45 fig. 17). 

L’utilizzo di tecniche murarie miste ovvero del laterizio per la camera di combustione ed elevato in mattoni crudi, si trova nella fornace di Fiesole (FI) datata 200-150 a.c. (Fabbri et. al, 2008, 304). Nella fornace del Vingone, presso Scandicci (FI), datata tra 20 a.c. - 20 d.c., a pianta rettangolare, sono stati impiegati mattoni crudi per le pareti interne della camera di combustione e per i pilastri che formavano le basi degli archi, con base in blocchetti di arenaria. 

Nello scavo sono emersi numerosi mattoni crudi rettangolari di impasto grossolano mescolato a vegetali di cui sono conservati i resti carboniosi (Shepherd 2008, 185). Anche nel grande impianto produttivo di anfore ad Albinia (GR - II sec. a.c. I sec. d.c.), che era composto da quattro fornaci affiancate a pianta rettangolare, sia nei muri divisori delle fornaci che nelle camere di combustione delle stesse si sono impiegati mattoni crudi. 

I mattoni crudi continuano ad essere impiegati fino almeno al IV secolo d.c. inoltrato, fatto di cui il grande complesso di fornaci di Montelabate risulta un esempio emblematico e piuttosto unico nel suo genere sia per la persistenza dell’impiego strutturale della terra cruda, che per la continuità produttiva.



ALESSANDRO CAPANNARI

"In Italia come esempio di un tal genere di costruzione si ricordano da Vitruvio le mura di Arezzo e quelle di Mevania. In tali opere però debbonsi riconoscere piuttosto costruzioni di mattoni crudi, che lavori di terra propriamente detta. Vitruvio infatti a designarle si serve dell'appellativo di laterizie, il che include l'idea del "later" o mattone di forma regolare.

Plinio (op. cit. XXXV, 14, 48) descrive graficamente il procedimento che si teneva in Àfrica ed in Ispagna per la costruzione delle pareti di terra che quei due popoli, i quali a preferenza ne usarono, designavano col nome di "parietes formacei" perchè la terra veniva posta e pigiata fra due tavole siccome in una forma.
« Quid? » scrive Plinio « Non in Africa Hispaniaque ex terra parietes quos appellànt formaceos, quoniam'in forma circumdatis utrinque duabus tabulis inferciuntur verius quam instruuntur, aevis durant, incorrupti imbribus, ventis, ignibus, omnique caemento firmiores?.... »

Il passo di Plinio testé riferito, troppo chiaramente si conviene alla parete da noi rinvenuta nel 1881 perchè vi debba spendere altre parole in dimostrarlo. Aggiungerò solo che io, presente alla fortunata scoperta, ebbi la cura di trasportare diligentemente sopra una lastra di lavagna, il prezioso frammento; e questo, per gentile concessione del sig. marchese De la Penne colonnello direttore del Genio Militare, conservo adesso gelosamente presso di me, siccome l'unico esempio fino ad ora apparso fra le rovine romane di una di quelle pareti formacee menzionate da Plinio.

Credo assai malagevole il rendere ragione del perchè una tal parete sia stata impiegata in una casa romana costruita interamente di opera laterizia. 

Economia di tempo o di danaro non poterono al certo consigliarla; che l'apparecchiare la forma di tavole, il riempirla di terra a piccoli strati per facilitarne la coesione, l'attendere il prosciugamento prima di togliere la forma, e finalmente l'applicazione dell'intonaco, doveva senza alcun dubbio richiedere tempo lunghissimo.

Torna inutile il dimostrare che neppure per inferiorità di peso la parete formacea poteva prevalere sulla laterizia. 

Si potrebbe forse pensare che i Romani, riconosciuta nella terra la proprietà di essere cattiva conduttrice del calorico, si fossero serviti di questo muro, come di parete isolatrice in un qualche ambiente dove la temperatura poteva essere artificialmente ad alto grado elevata.

Un'altra ipotesi vorrei però permettermi su tal proposito e questa varrebbe insieme, come dissi più sopra, a confermare che la casa dove avvenne il trovamento del muro formaceo avesse appartenuto a Q. Valerio Vegeto. Ecco senz'altro gli argomenti che a mio avviso potrebbero consolidare la nostra congettura.

Iliberris (Municium Plorentinum: cf. C. /. L II p. 285 e Bull, di C. A. ISl p. 173 e segg.) è il posto più avanzato de' popoli montani celtiberi e risponde all'attuale Oranada. Nel 1755 alcuni falsificatori di oggetti antichi, praticarono diverse escavazioni sul colle Albaizin di rimpetto all'Alhambra, ove sorgeva un castello arabo, allo scopo di riporvi e poi estrarne le anticaglie da loro stessi fabbricate.

Per tale occasione si fecero invece delle scoperte di grande interesse archeologico, essendo tornate alla luce le vestigia di un edificio romano di cui l'architetto Sanchez rilevò accuratissima pianta. Tra le rovine della fabbrica si scopersero a varie riprese molte iscrizioni delle quali torna al caso nostro il ricordare soltanto quelle della madre e della moglie di Q. Valerio Vegeto e quella di un Caio Vegeto nota però fino dal 1588.

La prima epigrafe è dedicata a Cornelia Severina, figlia di Publio, Flaminica, madre di Valerio Vegeto console, per decreto dei decurioni dei Fiorentini Iliberritani. La seconda per decreto dei decurioni stessi fu dedicata ad Etrilia Afra moglie di Valerio Vegeto (cf. C. I. L II 2074, 77).

Da tali scoperte avvenute a Granada mi sembra potersi trarre argomento che Quinto Valerio Vegeto avesse avuto rapporti strettissimi con la Spagna dove indubbiamente aveva esercitato una qualche magistratura e dove aveva saputo accattivarsi per modo l'animo degli Iliberritani da meritare per la madre, per la moglie, e certo anche per sé, il perenne ricordo decretato da quei decurioni.

Si è appunto in questi stretti rapporti che legarono Q. Vegeto alla Spagna che io crederei ritrovare la ragione dell'esistenza di una parete formacea nella casa urbana di quel console. Questa costruzione spagnola ricordava forse a Valerio Vegeto nella sua casa di Roma una delle caratteristiche di quei luoghi che a lui dovettero rimanere sempre carissimi."

(Alessandro Capannari)



IL MATTONE COTTO

La cottura del mattone fu comunque un grande traguardo raggiunto tra il I sec a.c e il I secolo d.c. che svolse un ruolo cruciale per superare i problemi inerenti alla lunga tempistica in termini di essicazione dei mattoni crudi e, allo stesso tempo, aumentava la loro resistenza.

La scomparsa del mattone crudo in epoca romana fu anche dovuta ad una piena del Tevere che portò ad un’alluvione nel 54 a.c. provocando un’azione erosiva sulle strutture. Il mattone crudo fu proibito proprio per questa fragilità.


BIBLIO

- L. Crema - L’architettura romana - Torino - 1959 -
- Procopius - De Aedificiis - 3.5.8.11. -
- James C. Anderson - Architettura e società romana - Baltimore - Johns Hopkins Univ. Stampa - a cura di Martin Henig - Oxford - Oxford Univ. - Comitato per l'archeologia - 1997 -
- L. Quilici, S. Quilici Gigli - Architettura e pianificazione urbana nell'Italia antica - L'Erma di Bretschneider - 1997 -
- Tecniche di stabilizzazione dei leganti in terra cruda: reattività pozzolanica e forze di coesione capillare - M. Bellotto, S. Goidanich, D. Gulotta, R. Fiore, A. Losini, F. Ongaro.
- F.M. Butera - Dalla Caverna alla casa ecologia - Edizioni Ambiente - Milano - 2007 -
- L. Ceccarelli 2008 - La terra cruda in Italia come materiale da costruzione in ambito architettonico e produttivo di epoca antica. - In Sabbadini S. (ed) Terra Magazine. Milano, Di Baio Editore 2018 -


CANALI ROMANI


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CANALE DI ALBANO

DOMANDE

- A quale scopo i romani progettarono e scavarono canali nel suolo italico e fuori di esso?
I Romani progettarono e scavarono canali canali per portare o regolare il flusso delle acque come irrigazione, o per drenaggio, o per bonifica delle terre, o per il controllo delle inondazioni e pure per facilitare la navigazione. 

- Dove costruirono i Romani i loro canali?
Nel suolo italico, nelle Gallie, in Germania, Gran Bretagna, Egitto e Mesia (Serbia e Bulgaria).

La tecnologia romana fu dovuta all'ingegneria non teorica ma pratica che ebbe un grande sviluppo permettendo l'espansione del commercio e della forza militare romana per oltre un millennio. Tra queste capacità tecnologiche brillò quella di scavare con estrema precisione dei canali per portare o regolare il flusso delle acque. I canali romani vennero destinati a varie funzioni, come irrigazione, drenaggio, bonifica delle terre, controllo delle inondazioni e non ultima, per navigazione. 

Gli ingegneri greci sono stati i primi ad utilizzare delle chiuse per canali, per regolare il flusso d'acqua nell'antico Canale di Suez già nel III secolo a.c.. I Romani sotto Traiano assicurarono l'ingresso al Mar Rosso con paratoie (pareti di legno o metallo, posta attraverso un canale per sbarrarne o regolarne il deflusso), mentre estesero il canale sud all'altezza della moderna Cairo per migliorare l'afflusso di acqua. Ecco l'elenco dei canali maggiori, ma se ne scavarono moltissimi in tutto l'impero di minori proporzioni.



SUOLO ITALICO

La gestione dei laghi e delle zone umide può essere ottenuta utilizzando superfici artificiali o canali sotterranei (emissari) ed è noto che, in Italia, ci sono non meno di ventuno antichi tunnel realizzati per questo scopo, che risalgono ai tempi dei romani o prima; è probabile che ve ne siano ancora molti da scoprire. 

- Canale Modena-Parma - Costruito da Marco Emilio Scauro per drenare la zona inferiore del Po. - II sec. a.c. - I canali navigabili che, stando a Strabone, sarebbero stati aperti da Scauro interessavano si il territorio parmense, ma, avendo la funzione di impedire le alluvioni provocate dalla confluenza del Trebbia in Po, dovevano essere dei canali scolmatori e quindi correre nella bassa pianura a ridosso della fascia direttamente interessata dal Po e parallelamente al fiume.

Canale aree Bologna, Piacenza e Cremona - Costruito da Marco Emilio Lepido, sempre per drenare la zona inferiore del Po - II sec. a.c.. Lepido fondò le colonie romane di Parma e Modena e diede il nome al castrum romano del Regium Lepidi (oggi Reggio Emilia ).

COLLETTORE DI SERRAVALLE DEL CHIENTI
- Canale "Tunnel di Albano" - nell’area vulcanica dei Colli Albani - lungo 1450 metri, scavato tra il nel IV secolo a.c. per regolare il livello del lego di Albano che, privo di sbocchi naturali, era soggetto a forti variazioni di livello. 
Non fu prosciugato completamente, sia per la profondità (170 m) sia per mantenere un’ampia conserva d’acqua con possibilità di sfruttamento del rivo per l’irrigazione. 
La tradizione storica pone l’Emissario del Lago Albano tra le più antiche imprese romane sotterranee documentate, secondo solo alla Cloaca Massima. 
Narra Tito Livio che  il tunnel fu scavato all’inizio del IV secolo a.c. dai romani durante la guerra contro Veio, città etrusca situata pochi chilometri a nord di Roma. 
La leggenda vuole che l’opera sia stata realizzata come conseguenza di un responso dell’oracolo di Delfi: “Veio non sarà conquistata (dai Romani) finché il lago Albano uscirà dalle sue rive”.

- Canale "Tunnell di Nemi" - nell’area vulcanica dei Colli Albani - lungo 1600 metri, scavato tra il VI e il IV secolo a.c. per regolare il livello del lego di Nemi che, privo di sbocchi naturali, era soggetto a forti variazioni di livello.  Non fu prosciugato completamente, sia per la profondità (33 m) sia per mantenere un’ampia conserva d’acqua con possibilità di sfruttamento del rivo per l’irrigazione. 

- Canale Forum Appii - Terracina - Drenaggio Pomptine Paludi quando la Via Appia era inutilizzabile a dorso di mulo-traino I sec. a.c. - Il Forum Appii è un'antica stazione di posta sulla Via Appia , 69 km (43 miglia) a sud-est di Roma, fondata dallo stesso costruttore della strada. Orazio la menziona come la solita sosta alla fine del primo giorno di viaggio da Roma, e la descrive come piena di barcaioli poichè era il punto di partenza di un canale che correva parallelo alla strada attraverso le paludi pontine appunto per bonificarle.

- Canale di Ferrara-Padova - un canale di drenaggio che collegava le due città - I sec. a.c. -

- Canale "Fossa Augusta" - entroterra della costa - Costruito da Augusto per collegare Ravenna e Po estuario - Fine I sec. a.c. - per mezzo di un ramo minore del Po (la Padusa) e per ostacolare il graduale alluvionamento della foce della laguna ravennate a N di Classe. È rimasto in funzione fino al Medioevo e in diversi tratti fino al 18° secolo.

Canale "Fossa Flavia" - Secondo Plinio il Vecchio per il drenaggio Po estuario; erosione e insabbiamento rende impossibile l'identificazione moderna - fine I sec. d.c. - Nel I secolo d.c. esistevano le fosse che permettevano di navigare da Ravenna ad Aquileia rimanendo sempre all'interno di lagune e percorrendo canali artificiali e tratti di fiumi.

- Canale "Fossa Carbonaria" - Secondo Plinio il Vecchio costruita per il drenaggio Po estuario; erosione e insabbiamento rende impossibile l'identificazione moderna - fine I sec. d.c. - Il suo nome deriva dal centro di Carbonara che in latino significava acqua scura.

- Canale "Fossa Philistina" - Secondo Plinio il Vecchio per il drenaggio Po estuario; erosione e insabbiamento rende impossibile l'identificazione moderna - fine I sec. d.c. - Secondo Braccesi, la fossa Philistina collegava già in epoca pre-siracusana la città di Adria a Chioggia e alla laguna di Venezia fino al porto di Malamocco (oggi Pellestrina). Tale canale permetteva la navigazione endo-lagunare fino alle risorgive del Timavo (caput Adriae), dove arrivava la via carovaniera dal Mar Nero attraverso Danubio e Drava. Tale canale, in seguito chiamata fossa Clodia fece di Adria il principale terminale commerciale dell'Alto Adriatico, e portò in seguito i greci a denominare come "golfo di Adria" (Adrias Kolpos) il futuro mare Adriatico.

- Canale "Fossa Clodia" - Altro nome della Fossa Philistina -

- Canale "Fossa Messanicia" - Altro nome della Fossa Augusta -

- Canale "Fossa Neronis" - Ambizioasissimo progetto di scavare in canale artificiale tra Puteoli e Roma per un rapido trasporto del grano riservato a Roma. Gli scavi iniziarono nel 64 d.c. ma finirono per le rivolte in Gallia prima e la morte di Nerone poi.



GALLIA

FOSSA MARIANA
Canale "Fossa Mariana" - Rhone - entroterra della costa - Costruito da Mario attraverso pianura Crau per le fornitura intorno a Arles nella campagna contro Teutoni - 101 a.c. - Esso andava dal Rodano al Golfo di Stomalimne, vicino alla moderna città di Fos-sur-Mer, per aiutare la navigazione presso la foce del fiume, per accumulazione di sabbia e detriti. Era lungo 16 miglia, e venne poi dato agli abitanti di Massilia (Marseilles).

- Canale Narbonne - sul fiume Aude con una lunga storia di traboccamento delle sue sponde - entroterra della costa - Realizzato per rendere la città di Narbonne accessibile dal Mediterraneo - lungo 13 Km -



GERMANIA

- Fossa Drusiana - canale navigabile tra lo Zuidersee e l'Issel - entroterra della costa - costruita nel 12 a.c. per il passaggio delle truppe alla costa Frisone, evitando il passaggio pericoloso sul Mare del Nord al largo della foce del Reno. Lunga 14 km - Nella I campagna la flotta romana scese la Lupia, passò nello Zuidersee, costeggiò la Frisia e giunse al fiume Ems. I Romani sottomisero Frisi e dei Batavi, ma non riuscirono a risalire il fiume. Druso respinse una nuova invasione di Usipeti, Tencteri e Sigambri, concludendosi poi con una spedizione navale nelle terra di Frisi e Cauci in cui fece anche costruire un canale (fossa Drusi) per trasportare le flotta dal Reno allo Zuiderzee.« .. dove si trovò in pericolo quando le sue imbarcazioni si incagliarono a causa di un riflusso della marea dell'Oceano. In questa circostanza venne salvato dai Frisi, che avevano seguito la sua spedizione con un esercito terrestre, e dopo di ciò si ritirò, dal momento che ormai l'inverno era cominciato.. »
(Cassio Dione, Storia romana, LIV.32) 

- Fossa Corbulonis - Reno- Mosa - entroterra - navigazione entrambi i fiumi senza vela nel Mare del Nord; lunga 35 km - 47 d.c. - 

RICOSTRUZIONE DELLA FOSSA CORBULONIS

GRAN BRETAGNA

- Canale tra il Fiume Cam e il fiume Ouse (Car Dyke) - canale di drenaggio per le bonifiche nella Fenland, la pianura costiera paludosa dell'Inghilterra orientale, ma pure per la navigazione e il trasporto di carbone e di ceramiche. - L'immagine mostra un ingegnere romano alle prese con la groma.

Canale fiume Ouse-fiume Nene - con lo scopo di drenaggio - con insediamento romano presso Irchester, con un cimitero, una strada attraverso la pianura alluvionale del Nene, un tempio romano-celtico tempio con portico esterno di 11,5 mq e cella di 5 mq. Nella città è stata trovata anche la lapide di uno Strator Consularis - "un ufficiale dei trasporti del governatore consolare". Sono stati identificati una strada che corre da nord a sud nel sito e tre edifici rettangolari. Poiché è stata trovata solo una strada romana che si allontana dal sito, a sud, è "molto probabile" che il fiume fosse utilizzato come mezzo di trasporto e di comunicazione con altri insediamenti romani a Duston, Thrapston e Irchester, grazie anche al canale suddetto -

- Canale Fiume Nene-fiume Witham - nella contea del Lincolnshire nella parte orientale dell'Inghilterra - Fin dall'epoca dei romani era navigabile a Lincoln, da dove il Fossdyke è stato costruito per collegarlo al fiume Trent.

- Canale Fossa Dyke - ancora in uso per la navigazione - Fiume Witham- fiume Trent - collega il fiume Trent a Torksey a Lincoln, della contea di Lincolnshire, il più antico canale in Inghilterra, costruito intorno all'anno 120 dai Romani.

- Canale Bourne-Morton - per la navigazione - un corso d'acqua artificiale di 6,5 km che collega la terra a Bourne sul mare vicino Pinchbeck, o forse per un estuario navigabile nella zona. Ormai ce n'è poca traccia visibile. -



EGITTO

Antico Canale di Suez - Nilo-Mar Rosso - entroterra della costa - Mentre il canale egizio, però, si diramava dal braccio Pelusiac, sotto Traiano il canale venne restaurato e ampliato per circa altri 60 km a sud. Si unì alla diga tolemaica a Belbeis, scaricando nel Golfo di Suez a Arsinoe - Costruito entro il 112 d.c. -


MESIA 

- Canale di transito sul Danubio - nell'entroterra - del 101 d.c. - Per passare in modo sicuro le cateratte del Cancello di Ferro; una volta rintracciabile sulla riva serba (SIP) su una lunghezza di 3220 m -
II-VI secolo d.c. -

- Canale di transito del Danubio - nell'entroterra - Secondo Procopio per consentire il passaggio sicuro oltre i resti del ponte di Traiano che ostacolavano la navigazione fluviale; scavato sulla parte serba (Kladovo)



CANALI NON FINITI

- Canale Roma-Ostia - presso la costa - progettato da Nerone - 54-68 d.c. -

- Canale Puteoli-Ostia - presso la costa - A partire dal Lago d'Averno nei pressi di Puteoli, destinato da Nerone a correre parallelamente al Mediterraneo; sarebbe stato lungo 160 miglia romane - 54-68 d.c. -

 - Istmo di Corinto (moderno Canale di Corinto) - costa a costa - Per evitare di lunga e pericolosa circumnavigazione del Peloponneso; iniziato da Nerone, ma interrotto dopo la sua morte 54-68 d.c.

- Canale Saône-Moselle (moderno Canal de l'Est ) - nell'entroterra - avrebbe collegato il Mar Mediterraneo al Mare del Nord, via Rodano, Saona, Mosella e Reno; ma vi sono dei dubbi; 55 d.c. -

- Canale Lago Sapanca-Mar di Marmara - presso la costa - Per facilitare il trasferimento di prodotti verso l'interno per mare; oggetto di corrispondenza tra Plinio il giovane e Traiano; avrebbe richiesto il superamento di un dislivello di 32 m - 111 d.c. -


BIBLIO

- Vitruvio - De architectura - Eucharius Silber - Roma - 1486-87 -
- Ammiano Marcellino - Historiae - Les Belles Lettres - Paris - 2002 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia -
- Apollodoro di Damasco - Poliorcetica -
- Cesare - Commentarii de bello Gallico -
- Cesare - Commentarii de bello civili -
- Frontino - Strategemata -
- Strabone - Geografia -
- Tacito - Annales -
- Michael Reddé, Jean Claude Golvin - I Romani e il Mediterraneo - Roma - Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato - 2008 -


LE TRIBU' DI ROMA


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ASSEMBLEE ROMANE

DOMANDE

- Quali furono a Roma le prime tribù istituite da Romolo?
A Roma le prime tribù istituite da Romolo furono i Ramnes (latini), i Tities (sabini) e i Luceres (etruschi).

- Quante furono le tribù a Roma durante la repubblica?
Le tribù a Roma durante la repubblica furono ventuno, formate dalle 4 urbane serviane (Collina, Esquilina, Palatina e Suburana) e dalle 17 rustiche (Camilla, ecc.), con le due nuove tribù della Claudia e della Clustumina o Crustumina.

Le antiche tribù romane furono dei raggruppamenti sociali in cui si suddivisero i romani su base gentilizia (gens), che derivavano dai rapporti di parentela tra diverse familiae che costituivano una gens, e dal rapporto delle gens con lo stesso territorio, e che in epoca regia si trasformarono in suddivisioni territoriali.



LE TRIBU' ORIGINARIE

Secondo la tradizione, vennero istituite da Romolo ed erano tre:
- i Ramnes (da Romulus di origine latina), cioè le famiglie romane autoctone, guidate dai Latini e stanziate nelle zone pianeggianti;
- i Tities (o Titienses da Titus Tatius il re sabino), cioè le famiglie sabine venute al seguito di Tito Tazio;
- i Luceres (da Lucumon o Lygmon di origine etrusca), che secondo Tito Livio erano di origine incerta; secondo altri erano gli abitanti delle zone boscose nei dintorni di Roma (dal latino lucus, "bosco"), prevalentemente autoctoni; ma secondo altri, e sembra la versione più attendibile, sarebbero di origine etrusca condotti da un Lucumone ("re"), dal quale avrebbero preso il nome (oppure dal re di Ardea, Lucero). 



I COMIZI CURIATI

I romani sarebbero dunque nati dall'integrazione di tre popoli: Latini, Sabini ed Etruschi, costituiti da un centinaio di gentes originarie. A capo di ogni tribù c'era un tribunus, e ogni tribù era suddivisa in dieci curie, per cui in tutto trenta curiae. Da qui si formarono le Assemblee del popolo per curie (Comitia Populi Curiata), detti Comizi curiati che furono la prima assemblea romana.

Tito Livio aggiunge che vennero nominati auguri appartenenti alle tribù dei Ramnes, Titienses, Luceres, in modo che fossero dispari (per una maggioranza in caso di interpretazioni non univoche) e che ne avessero in egual numero ciascuna. Anche qui essendo tre si poteva decidere in maggioranza in caso di verdetti divergenti.


ETA' REGIA

Dopo Romolo che divise la popolazione della Roma quadrata nelle tre tribù, il re Servio Tullio nel VI secolo a.c. divise il popolo in cinque classi, secondo il censo (insieme di beni e redditi), ed in centurie (di un centinaio di componenti). Così vennero istituite quattro tribù urbane, di chi aveva possedimenti terrieri nella zona, il che escludeva la plebe. 

Dalle iniziali tre tribù di Romolo si passò, secondo la tradizione, ai pagi di Numa Pompilio, e alle 20 tribù di Servio Tullio. Sotto i Tarquini il territorio romano venne diviso in ventisei regiones o pagi (da pagus, villaggio). Con la fine della monarchia, sette regiones vennero abbandonate dagli Etruschi, tanto che all'inizio della nuova fase repubblicana le regiones erano diciannove, comprese le quattro urbane.


ETA' REPUBBLICANA

Dal 495 a.c. l'organizzazione tribale conta ventuno tribù, formate dalle 4 urbane serviane (Collina, Esquilina, Palatina e Suburana) e dalle 17 rustiche (Camilla, ecc.), con le due nuove tribù della Claudia e della Clustumina o Crustumina.

I maschi romani liberi e maggiori di età erano iscritti nelle circoscrizioni elettorali (tribus) per il luogo in cui possedevano la maggior estensione di proprietà terriere. I maschi nullatenenti (cioè la maggior parte dei residenti a Roma) maggiori di età, di condizione libera e di sesso maschile, erano iscritti in una delle tribù urbane.

Le tribù portano tutte nomi di casate patrizie, e indicando i territori nei quali quelle gentes avevano avuto possessi successivamente distribuiti fra i plebei, oppure i territorî confinanti coi possessi di ciascuna.   Dal 513 a.c. al 241 a.c., cioè dall'ultimo anno della I guerra punica si passa alle 35 tribù.

LE VICENDE

- Intorno al 450 a.c. alle sedici tribù venne aggiunta la XVII tribù rustica, la Clustumina, derivata da assegnazioni viritane di campi nel territorio della vinta città di Clustumerium. A partire da questo momento tutte le tribù ebbero nomi locali, e tutte derivarono da assegnazioni di fondi in territorî tolti ai nemici.
- Nel IV secolo a.c. si stabilì che indipendentemente dalla posizione del territorio, tutte le nuove conquiste venissero attribuite ed iscritte ad una tribù già esistente (vedi Tuscolo assegnata alla tribù Papiria o a Aricia assegnata a quella Orazia).

- Tito Livio narra che nel 387 a.c., le tribù furono portate da 21 a 25. 

- Secondo lo storico Giovanni Brizzi, nel 314 a.c., le tribù rustiche furono portate a 29.  

- Nel 312 a.c., il censore Appio Claudio Cieco, per necessità militari, iscrisse e distribuì tutti i nullatenenti tra tutte le tribù allora esistenti, senza tener conto del possesso fondiario. 

- Tuttavia questa riforma venne abolita da Quinto Fabio Massimo Rulliano, censore del 304 a.c., che per rimediare a questo provvedimento, che faceva prevalere nelle assemblee elementi infidi, tolse i nullatenenti dalle tribù rustiche riunendo i proletari in quattro tribù che chiamò "urbane". Livio (IX, 46, 14: in quattuor tribus coniecit, urbanasque eas appellavit).

- Nel 241 a.c. le tribù rustiche furono aumentate fino a 31 (35 con quelle urbane), visto che era aumentata la popolazione, ma pure l'estensione della cittadinanza e la fondazione di nuove colonie, e 31 rimasero  fino all'età imperiale.

LE TRIBU' (INGRANDIBILE)
Dopo la guerra sociale dell'88 a.c., visto che l'iscrizione alle tribù venne estesa a tutti gli italici, vennero assunti nuovi funzionari addetti alle tribù, detti "Tribuni aerarii" perché si occupavano soprattutto di pagare i legionari, cioè di dare il soldo (aes) ai "soldati". Inoltre assunsero aiutanti per il censore per compilare le liste dei cittadini, e vennero chiamati "Centuriones".

Il lavoro dei Centuriones, aumentando però sempre di più la popolazione, divenne sempre più complicato, si che nel I secolo a.c. le loro funzioni furono trasferite al nuovo istituto del municipium, anche se la tribù non fu abolita, continuando ad avere un ruolo nelle elezioni ad esempio dei concilia plebis tributa e dei comitia tributa.

Poichè per appartenere alla civitas romana era essenziale l'iscrizione in una tribù, anche gli abitanti delle provincie che per provvedimento speciale, individuale o collettivo, venivano ammessi alla cittadinanza, dovettero immediatamente essere iscritti: molte volte, nelle concessioni individuali, si lasciava la scelta al naturalizzato, ma più spesso l'iscrizione era fatta d'ufficio, secondo il criterio di riunire in una stessa tribù i provenienti di ciascuna provincia (per es., quelli provenienti dalla Gallia Narbonese nella Voltinia, gli Asiatici e Siriani nella Collina e nella Quirina).

IL VOTO DELLE TRIBU'

LE TRIBU'


TRIBU' URBANE

Istituite da Servio Tullio. Da non confondere con le gentilizie di Romolo (Ramnes, Tities e Luceres)
- Collina (comprendeva il colle Quirinale)
- Esquilina (comprendeva il colle Esquilino)
- Palatina (comprendeva il colle Palatino)
- Suburana (comprendeva il colle Celio)



TRIBU' RURALI

Anche queste 31 tribù territoriali e non gentilizie.

- Aniense 299-298 a.c. -
l'area, costituita dopo la sottomissione degli Equi, e traversata dal fiume Anio (Aniene) da cui prende il nome la tribù, nel 304 a.c., posta attorno alle località di: Affile, Ficulea, Trebula Suffenas e Trevi nel Lazio, e a località della Gallia Cisalpina: Ariminum, Cremona e Vercelli.
In contrada S. Angelo, sulla sinistra della strada Statale Sublacense, venendo verso Subiaco, si nota un arco tutto sesto su cui è collocato un piccolo sarcofago di epoca repubblicana, che reca incise le porole:
"L. Maenius Q. F. Ani sepultus = Lucius Quinti filius Aniensi (tribu) sepultus", è il sepolcro di un certo Lucio Menio che apparteneva alla Tribù Aniensi, gruppo etnico latino insediato stabilmente dai consoli nella Valle dell'Aniene, dopo che i Romani nel 299 a.c. avevano sottomesso gli Equi.


- Arniensis nel 387 a.c. -
creata nel territorio della città etrusca di Veioattorno alle città di: Cluviae, Blera, Caere, Chiusi, Forum Clodii, Histonium, Juvanum nel Sannio, Ocriculum, Teate Marrucinorum,


- Camilia almeno dal 495 a.c. -
non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.


- Claudia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.

- Clustumina o Crustumina 495 a.c. oppure 449 a.c. -
fu creata in seguito alla conquista di Crustumerio. Si conserva un'iscrizione del  pontifex C. Caesidius C.f. Cru. Dexter (C.I.L. XI 6033), della tribù Clustumina.


- Cornelia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.


- Emilia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.


- Fabia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.


- Falerna o Falerina 318 a.c. -
con centro a Capua e nell'area a destra del fiume Volturno. Questi territori dell'agro Falerno, sottratto ai Volsci, passarono a Roma e dove in seguito sorse la colonia latina di Cales.


- Horatia almeno dal 495 a.c. -
antichissima famiglia patrizia romana, di origine autoctona. Va certamente ricompresa tra le cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio.


TITULUS SEPOLCRALE DI C. ARRIUS  DELLA TRIBU' PUPINIA
- Lemonia VI o inizi del V secolo a.c. -
denominata dal pagus Lemonius, non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.


- Maecia 332 a.c. -
creata nella pianura Pontina, dal territorio sottratto ai Volsci, comprendente anche città come Lanuvio, Napoli, Hatria e Libarna.


- Menenia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.


- Papiria almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c..


- Oufentina o Ufentina 318 a.c. -
creata lungo la via Appia tra Terracina e Priverno, dal territorio sottratto ai Volsci. Si conserva un'iscrizione Oufentina per il quattuorviro C. Planius C.f. Of. Priscus (Ann. épigr. 1959, 94).


- Popillia o Poblilia 357 a.c. -
creata con i territori sottratti ai Volsci.


- Pollia almeno dal 495 a.c. -
non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.. P. Plotius L.f. Cam. veterano della II legione Augusta fu sepolto a Fanum Fortunae (della tribù Pollia) in un bel monumento ‘a tamburo’ di prima età imperiale (C.I.L. XI 6223) con la liberta Urbana.


- Pomptina 358-357 a.c. -
creata nella pianura Pontina, con i territori dei Volsci e comprendente le città di Norba, Circeii, Ulubrae e Bovillae.


- Pupinia almeno dal 495 a.c. -
non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.; sembra però che durante l'incursione di Annibale verso Roma, il condottiero cartaginese da Gabii passò per la regione Pupinia e pose il campo ad 8 miglia da Roma.


- Quirina 241 a.c. -
creata sul territorio dei Pretuziani e nel Piceno, lungo la via Salaria con centro principale in Rieti.


TRIBU' QUIRINA
- Romilia almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c.


- Sabatina 387 a.c. -
creata attorno a Veio fino ai monti Cimini, estesa più tardi alla città di Mantua (Mantova).


- Scaptia 332 a.c. -
creata nella pianura Pontina, dal territorio sottratto ai Volsci, comprendente la città di Velletri.


- Sergia almeno dal 495 a.c. -
vi furono inserite le popolazioni ribelli dei Marsi e dei peligni, sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c..


- Stellatina 387 a.c. -
fu creata nel territorio della città etrusca di Veiosulla destra del Tevere nella zona di Capena, estesa più tardi alla città di Forum Livii (oggi Forlì), patria di Cornelio Gallo, ed alle circostanti Mevaniola (Galeata) e Forum Popilii (Forlimpopoli).


ISCRIZIONE DI G. OCTACILIO OPPIANO ALLA TRIBU' VOLTINIA
- Teretina 299 a.c. -
creata lungo la via Appia, a nord del Volturno, sul territorio preso ai Sabini intorno all'odierna Frosinone.


- Tromentina 387 a.c. -
creata nel territorio della città etrusca di Veio, a nord della tribù Fabia.


- Valeria o Galeria -
almeno dal 495 a.c. non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.


- Velina 241 a.c. -
fu creata sul territorio dei Pretuziani e nel Piceno, con centro nelle colonie di Interamna e Castrum novum, lungo la costa adriatica a nord del fiume Aterno, e dall'89 a.c. con Aquileia.


- Voltina o Voltinia almeno dal 495 a.c. -
non sopravvisse la corrispondente gens originaria dopo il IV secolo a.c.


- Veturia o Voturia  costituita almeno dal 495 a.c. -
sopravvisse fino ad oltre il IV secolo a.c. Ne faceva parte la città di Bergamo.


BIBLIO

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V. Costanzi, Le tribù genetiche nel mondo classico, in Annali Univ. toscane, n. s., V (1920).
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica.
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. 
Domenico Magnino in Appiano, La storia romana, libri XIII-XVII: Le guerre civili, Torino, Utet, 2001.
Emilio Gabba, Appiano e la storia delle guerre civili, Firenze, La nuova Italia, 1956.
Ilenia Achilli, Il proemio libro 20 della «Biblioteca storica» di Diodoro Siculo, Lanciano, Carabba, 2012.
P. Fraccaro, L'organizzazione politica dell'Italia romana, in Atti Congr. intern. dir. rom., I, Pavia 1934.
Plutarco, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010
Storia romana, 9 voll., Milano, BUR, 1995-2018.


 

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