TRIDENTUM - TRENTO (Trentino Alto Adige)



RICOSTRUZIONE DELLA TRIDENTUM ROMANA

Nel territorio trentino, intorno al 500 a.c. si stanzia il popolo dei Reti, che secondo Tito Livio, ma pure secondo Plinio il Vecchio, sono di origine etrusca e che già occupavano vaste zone dell'area alpina centrale e orientale. Strabone così ne descrive il territorio:

« I Reti toccano per poca parte col loro territorio il lago (di Costanza), mentre la maggior parte ricade sotto gli Elvezi, i Vindelici e il gruppo dei Boi. Tutti, fino ai Pannoni, ma in special modo Elvezi e Vindelici, abitano gli altipiani. I Reti ed i Norici si estendono dai passi delle Alpi fino verso l'Italia, confinando i primi con gl'Insubri, i secondi con i Carni e le terre d'Aquileia. »

I Reti costruirono una rete di villaggi dedicandosi alla caccia e all'agricoltura. Furono infatti grandi produttori di vino, celebre a Roma già in età repubblicana, essendo poi estremamente capaci nell'irrigazione, produssero ortaggi e cereali, con allevamento di ovini, caprini, bovini e cavalli.

Sembra che poi nel III sec. a.c. il territorio subì un'invasione gallica che sostituì gli etruschi nei traffici con i Reti, ma che in qualche modo si fuse con il popolo retico e che portò alla fondazione della futura Tridentum (Trento). Successivamente, nel I sec. a.c. Roma, sotto l'imperatore Augusto tra il 15 e il 16 a.c. sottomise i popoli retici, e successivamente li inserì nella provincia di Rezia.

In età romana il territorio del Trentino fece parte della provincia italica con la Regio X Venetia et Histria confinante a Nord con la Retia, anch'essa provincia romana. Alla regione fu aggiunto l'aggettivo venetia, per via dei veneti, la popolazione che viveva nella zona antecedentemente ai romani, mentre Histria deriva dalla tribù illirica degli histri.

Nel I secolo a.c. i romani fondarono la città di Tridentum, ovvero sostituirono il villaggio retico con un accampamento militare romano (castrum), che poi si ingrandì e divenne una città, che venne battezzata Tridentum ("città dei tre denti"), forse perché nei pressi della città sorgono proprio tre colli vagamente assomiglianti a tre denti (il Doss Trento, il Doss Sant'Agata e il Dosso di San Rocco).

Tra il 50 e il 40 a.c. la città divenne municipium e pertanto ristrutturata secondo i canoni urbanistici romani, con un cardo e un decumano da cui si dipartivano le altre vie secondarie, un foro, un anfiteatro, delle terme, e un'imponente cinta di mura.

I confini del municipium andavano dall'attuale Trentino occidentale e meridionale (esclusa la bassa Valsugana) sino all'attuale Alto Adige (Bolzano, bassa Val Venosta, bassa Val d'Isarco).

In età imperiale Claudio (41-54 d.c.) fece completare le due grandi arterie: la via Claudia Augusta Padana, che da Ostiglia (presso Mantova) raggiungeva il passo Resia (tra attuali Tirolo e Alto Adige), e la via Claudia Augusta Altinate che, partendo dall'allora importante porto di Altino, (presso Venezia) si ricongiungeva a Tridentum con la Padana attraverso la Valsugana (una valle del Trentino sud-orientale). 

In periodo augusteo, con l'Impero impegnato in una serie di operazioni militari nell'arco alpino, il ruolo strategico della città crebbe all'interno della Regio X Venetia et Histria. Lo stesso imperatore Claudio definì Tridentum "splendidum municipium".

RESTI ROMANI AD ALTINO

DESCRIZIONE

Tridentum ebbe, come tutte le città romane, una pianta quadrangolare, delimitata da un lato dal fiume Adige, dagli altri tre lati da mura e fossati, con torri quadrangolari e porte per l'accesso di cui la principale, Porta Veronensis, era gemina, con due torri circolari ai lati.

BASE DI CANDELABRO ROMANO
Le vie cittadine si svilupparono in maniera ordinata, parallele al cardo e al decumano secondo i principi urbanistici romani. Pertanto possedeva tutte le infrastrutture tipiche di un centro romano:
- un foro (sotto l'attuale Chiesa di Santa Maria Maggiore),
- un anfiteatro (sorgeva dove si trova ora Piazzetta Anfiteatro),
- delle terme,
- un porto fluviale,
- un acquedotto proveniente dalle colline orientali per l'approvvigionamento idrico,
- un sistema idrico e fognario cittadino
- abitazioni con insule e domus
- un cimitero all'esterno delle mura,
- ville all'esterno della cinta muraria.

Tridentum era inoltre un importante snodo viario:
- la Via Claudia Augusta (principale via militare verso il nord che congiungeva l'Adriatico con Augusta attraverso la Val Venosta e il Passo Resia),
- le sue diramazioni della Claudia Augusta Padana e della via Claudia Augusta Altinate, che collegava la città con il Veneto passando per la Valsugana.

Alla decadenza dell'Impero, Tridentum rimase anche nel IV e nel V sec. come centro economico, commerciale e militare della regione della Val d'Adige. Oggi è possibile visitare numerosi siti archeologici come:
- la basilica paleocristiana di San Vigilio sotto alla cattedrale,
- quello sotto piazza Cesare Battisti (Piazza Italia),
- quello in piazza Pasi,
- quello in Piazza Santa Maria Maggiore
- quello nel museo diocesano (con la porta Veronensis)

Recenti scavi stanno portando alla luce quello che deve essere stato il foro della città sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore.



GLI SCAVI

"ArcheoLogos" è un invito a conoscere e a scoprire la storia più antica e meno nota del Trentino, quella degli archeologi della Soprintendenza per i Beni librari archivistici e archeologici della Provincia autonoma di Trento.


Sono più di 10.000 gli oggetti di interesse archeologico conservati presso il Castello del Buonconsiglio dei quali oltre seicento, esposti in forma permanente, offrono la più ricca visione di insieme sull’antico popolamento del Trentino fra preistoria, epoca romana ed alto medioevo.


La ricca sezione archeologica annovera anche una collezione egizia, raccolti da collezionisti fra Ottocento e inizi del Novecento. Al Conte Benedetto Giovanelli (1775-1846) podestà di Trento, si deve il primo nucleo collezionistico del Museo che comprende la “situla di Cembra”.

L’integrazione delle popolazioni alpine nel mondo romano è testimoniata da una celebre iscrizione su lastra in bronzo trovata a Cles in Valle di Non: un editto emanato nel 46 d.c. dall’imperatore Claudio che stabilisce un “condono” per gli abitanti di alcune vallate alpine – tra cui gli Anauni, della Val di Non – che si comportavano da cittadini romani senza averne il diritto. Con la concessione della cittadinanza romana queste popolazioni vengono annesse allo “splendido municipio di Trento”.

VIA CLAUDIA AUGUSTA

TRIDENTUM LA CITTÀ SOTTERRANEA
Nel sottosuolo del centro storico di Trento vive l'antica Tridentum,  inglobata nella Trento medievale e moderna. Oggi, in seguito a ricerche e scavi archeologici, è stato possibile riportare alla luce e rendere visitabili alcune aree dell'antico centro abitato. 
È nato così il progetto " Tridentum . La città sotterranea”, una rete di siti che offre ai visitatori un avvincente percorso alla scoperta dell'antica realtà urbana e della vita quotidiana della Trento romana. Sono attualmente visitabili il S.A.S.S. (Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas), l'area archeologica di Palazzo Lodron, la Porta Veronensis e la Basilica Paleocristiana del Duomo.



S.A.S.S. SPAZIO ARCHEOLOGICO SOTTERRANEO DEL SAS

Il sito simbolo della Tridentum romana è il S.A.S.S. - Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas, situato nel cuore del centro storico cittadino, nel sottosuolo di piazza Cesare Battisti.

Il S.A.S.S. custodisce oltre duemila anni di storia e 1.700 mq di città romana in un allestimento affascinante e suggestivo, esito degli scavi archeologici effettuati in occasione del restauro e dell'ampliamento del Teatro Sociale. L'ampia area è costituita da spazi ed edifici pubblici e privati: un lungo tratto del muro di cinta orientale, resti di una torre, parte di una strada lastricata in pietra rossa locale, fiancheggiata da marciapiedi e dotata di rete fognaria.

Sono visibili anche alcune parti di abitazioni che si affacciavano sulla strada con ambienti domestici, mosaici, impianti di riscaldamento a pavimento, cortili, un pozzo perfettamente conservato e la bottega di un vetraio.
"Trento, spazio archeologico sotterraneo del sas"
ArcheoLogos, un invito a visitare le aree archeologiche di TrentoTridentum, la città sotterranea.

BASILICA PALEOCRISTIANA DI SAN VIGILIO


IL TRIDENTE

Il Doss Trento è una piccola collina che sorge sulla riva idrografica destra del fiume Adige nei pressi di Trento, ed è uno sperone che nel suo punto più elevato raggiunge i 309 m s.l.m., elevandosi di oltre 100 m sul piano del fondovalle, ricoperto da ben 8 ettari di foresta.

Assieme al Dosso di San Rocco e al Dosso Sant'Agata formano i "tre denti" dell'antica Tridentum romana. Il Doss di San Rocco raggiunge i 460 m circa ed Il Doss S. Agata si trova ad est di Trento, tra Povo e Oltrecastello.

EPIGRAFE TRIDENTUM

Le origini di S. Apollinare

S. Apollinare con l’antico borgo di Piedicastello sorge ai piedi di un monticciolo dalla forma rotondeggiante, oggi chiamato Doss Trento (Colle o Dosso di Trento) ma denominato in epoca romana Verruca. Tracce di antiche culture umane rintracciabili sia sulla sommità che ai suoi piedi attestano che il luogo fu abitato fin dall’epoca preistorica.

La conquista romana favorì il confluire della popolazione e il conseguente insediamento urbano sulla riva sinistra dell'Adige, là dove il fiume, con una larga ansa (oggi scomparsa per interventi di rettifica dell’alveo), limitava e proteggeva una piana, attraversata dalla Via Claudia Augusta Padana.

E’ nel periodo delle invasioni barbariche che il Verruca e l’abitato circostante riappaiono nella storia della città: sottomessa dai Goti di Teodorico (che regnava da Ravenna), ma anche minacciata da sempre possibili invasioni provenienti da Nord, non è strano che in quei frangenti la popolazione cittadina potesse cercare saltuariamente rifugio nei pressi del Verruca o sulla sua sommità fortificata (castrum, da cui più tardi castello). 

Il che è storicamente attestato da una famosa lettera di Cassiodoro (uomo politico e letterato, al servizio di Teodorico) inviata alla cittadinanza a nome del re:
“…Abbiamo dato disposizione a Leodefrido, il nostro funzionario locale, affinchè sotto il suo controllo costruiate delle abitazioni nella fortezza Verruca, la quale trae appropriatamente il nome dalla sua posizione. … E' un bastione che non richiede difesa e non teme assedio, dove né chi attacca può osare nè chi vi è rinchiuso deve temere alcunchè. Lo lambisce l'Adige, nobile tra i fiumi, con la piacevole purezza dei suoi flutti, che gli offre sicurezza e decoro. Si tratta di una fortezza quasi unica al mondo, che tiene le chiavi della provincia, e che a ragione è considerata importantissima, giacchè è evidentemente posta a contrastare le genti barbare. Chi non desidererebbe abitare questo invidiabile bastione, che offre una sicurezza straordinaria, e che perfino ai forestieri piace visitare?

(Cassiodoro. Variae III, 48.1-4).

Reale o meno che fosse l’esigenza di cercare rifugio, è in quest’epoca che sulla sommità del Verruca viene edificata una chiesa di discrete proporzioni, non sappiamo se a titolo di “santuario” o per quale altra ragione.

I resti di tale costruzione (una delle più rappresentative per quanto concerne la forma delle chiese paleocristiane dell’area alpina), furono posti in luce nel secolo passato e attestano la sua esistenza già a metà del VI° secolo, grazie a un'iscrizione in mosaico che nomina il vescovo del tempo, Eugipio, e informa contemporaneamente sulla dedicazione di una parte annessa ai santi martiri siriani Cosma e Damiano (titolo, questo, che la cultura dell’impero bizantino contribuì a diffondere soprattutto nell’Italia meridionale).

Più o meno nella stessa epoca, tra il Verruca e il fiume, fu innalzata un’alta recinzione in pietra, una specie di un antemurale, che permetteva alla popolazione stanziata al suo interno di soggiornare con una certa sicurezza e comodità, sia per lo spazio, sia per la vicinanza della campagna coltivabile e la presenza di acqua potabile.

Quel muro di protezione, impropriamente detto “muro romano”, fu realizzato con materiale di reimpiego sottratto ad altri edifici o costruzioni più antiche e comprendeva lapidi con iscrizioni, pietre decorate a rilievo (non poche delle quali certamente di epoca romana).

Resti di tale opera sono emersi ormai in svariate occasioni (sia nella zona di via Doss Trento in prossimità della chiesa, sia sotto l’attuale livello dell’attiguo campo sportivo, come pure nelle fondamenta della parte absidale della chiesa stessa). A ridosso di tale muro, nella sua parte interna, vide la luce quel primitivo luogo di culto che è all’origine dell’attuale chiesa di S.Apollinare.

(http://www.santapollinare.tn.it/le-origini.html)

RESTI A PIE DI CASTELLO

Le lapidi romane a Sant’Apollinare

Il testo è la trascrizione della relazione tenuta nel 1996 da Gianni Ciurletti, dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Trento, organizzata dal precedente Comitato di Piedicastello. 
Prime testimonianze di Roma nella nostra regione sono databili alla fine del III sec. a.c.. Tra queste un tesoretto o deposito votivo proveniente dal Dos Trento e risalente circa al 210 a.c.

Questo non significa che ci fosse già un insediamento romano sul colle, si trattava semplicemente di monete che provenivano dai contatti fra i reti e i romani, derivate o da prestazioni militari di genti locali che aiutavano i romani nelle guerre contro i galli, o come donativo, oppure come merce di scambio, non si trattava comunque di valore monetario vero e proprio. Le monete romane erano talmente rare in quel primo periodo, che non circolavano come mezzo di pagamento, ma erano usate come oggetto di prestigio.

In età romana il Trentino, insieme all’Istria, ambedue territori di confine, costituiva la X Regio.
Centro principale del territorio trentino era la romana Tridentum. Una tradizione vuole che quest’ultima nasca a Piedicastello e sul Dos Trento.

Alla luce delle testimonianze archeologiche, invece, tutto indica che la città romana sia stata fondata a sud dell’ansa che allora formava l’Adige, tagliando la valle di traverso. Il sito della città fu sempre il medesimo, fino alla città odierna, che si trova 4 m sopra il livello di quella antica.

Per quanto riguarda la data di fondazione di Tridentum, le ipotesi sono diverse e si riconducono alla lapide di Marco Apuleio, la cui iscrizione dice: 
IMP. CAESAR. DIVI. F / AVGVSTVS. COS. XI. TRIB / POTESTATE DEDIT / M. APPVLEIVS. SEX. F. LEG. / IVSSV EIVS. FAC. CVRAVIT.

La celebre lapide è murata sul lato sud dell’abside della chiesa di S. Apollinare, verso il lungadige a cui ha dato il nome.


Fino a poco tempo fa si affermava che le lapidi provenienti dal paramento murario di Sant’Apollinare venivano da Dos Trento, a suffragare l’ipotesi delle fortificazioni di un castellum. Secondo quest’interpretazione Marco Apuleio, legato imperiale, ossia inviato militare di Augusto, aveva fatto erigere le mura di una fortificazione sul Dos Trento.

La lapide indica una data inoppugnabile: la tribunicia potestas di Augusto, cioè il 23 a.c.. Un’altra ipotesi è che la targa sia stata posta sulle mura di Tridentum, che sarebbe stata quindi fondata nel 23 a.c.

Un dubbio sulla fondazione di Trento tuttavia sussiste e sembra che la città sia stata fondata da Giulio Cesare, vent’anni prima quindi del 23 a.c. anche se l’impostazione urbanistica della Tridentum romana messa in luce dagli scavi risale all’epoca di Augusto.

La data 23 a.c. dimostra comunque che la città esisteva già, anche se la provenienza dell’iscrizione posta su Sant’Apollinare è ignota e non si sa quindi a quale costruzione monumentale faccia riferimento. È possibile che non si trattasse di mura, perché queste solitamente erano erette non dallo stato, tanto meno dagli imperatori, ma erano finanziate dai maggiorenti della città. Sia le mura che le porte venivano curate ad opera delle autorità locali. 

Trento, denominata nei documenti “splendidum municipium” è stata sufficientemente indagata dagli scavi archeologici per affermare che era una città piuttosto piccola, ma che si era estesa oltre la cinta murata che passava per piazza Cesare Battisti, piazza Duomo e via Rosmini.

Tracce di insediamenti sono stati rinvenuti anche a nord dell’ansa dell’Adige, come alla Centa, zona un tempo paludosa, in piazza Dante e, recentemente, anche sotto la chiesa di San Lorenzo, dove sono stati rinvenuti elementi sparsi, anche se modesti, come strutture murarie e ceramiche tardo romane.

Che ruolo hanno avuto Piedicastello e il Dos Trento in età romana? Rasmo, con il suo bellissimo libro S. Apollinare e le origini romane di Trento, ha dimostrato che la tradizione secondo la quale le lapidi conservate nei muri di Sant’Apollinare provengono dal Dos Trento è sbagliata. Lo ha dimostrato facendo notare come alcune grandi lettere, probabilmente appartenenti a una scritta monumentale, abbiano dei riscontri nei frammenti ritrovati a S. Maria maggiore.

E' molto probabile che i frammenti di iscrizioni della chiesa di S. Apollinare non provengano dal Dos Trento, ma che siano stati portati fuori nel momento in cui la città romana era ormai in decadenza.

C’era bisogno di un muro di difesa per il Dos Trento, in età gotica o teodoriciana, allora si portò fuori dalla città il materiale edilizio necessario derivandolo non solo dalle case, ma anche dai monumenti, ormai quasi in rovina. E’ pur vero che dal dosso provengono materiali che stanno a indicare che lassù, se non ci fu la città vera e propria, ci fu comunque qualcos’altro.

Una lapide dedicata a Diana, conservata al Buonconsiglio, una a Mercurio, una a Saturno provengono dal Dos Trento e furono ritrovate durante gli scavi effettuati nell’Ottocento, così come tamburi di colonna e un paio di capitelli e ancora una serie di bronzetti raffiguranti Mercurio e Minerva, ornamento quest’ultimo di una corazza. 

Altri oggetti ritrovati sono un peso da bilancia in forma di maialino, un pezzo eccezionale, quasi certamente fabbricato a Pompei o in uno dei centri manifatturieri della Campania, un pezzo di cui esistono al mondo pochissimi esemplari, anch’esso conservato al Buonconsiglio. 

Sulla statuetta in questione è inciso il numero XXX, che indica il peso di trenta libbre, ossia nove chili e otto etti. Il bronzetto serviva proprio come peso di bilancia e oggi pesa quattro chili in meno a causa della fuoriuscita del piombo di zavorra. Il manico è a forma di doppio pollice..

Questi ritrovamenti indicano che sarebbe opportuno fare una serie ulteriore di indagini per poter capire che cosa è rimasto sul Dos Trento e appurare quello che Rasmo negava, il fatto che fosse un’acropoli trentina, una zona sacra. Può essere quindi che anche sul Dos Trento ci fossero edifici a carattere sacro o cultuale, come starebbero a dimostrare bronzetti ed epigrafi votive.

Rasmo faceva anche una considerazione interessante: come si presenta oggi, la chiesa di Sant’Apollinare è frutto di un rifacimento molto sostanzioso, se non totale, all’inizio del XIV secolo, occasione in cui la vecchia chiesa viene abbattuta. Questo significa che se il materiale romano fosse stato impiegato nella costruzione della prima chiesa non sarebbe stato impiegato nella seconda.

Rasmo suppone dunque che quando fu costruita la prima chiesa, nel XII secolo, quel materiale non era a disposizione ed è probabile facesse parte di qualche struttura muraria in loco dalla quale non era possibile estrarlo.

Ciò fu possibile solo nella seconda ricostruzione, quando fu riutilizzata parte del muro teodoriciano.

Lo studioso faceva riferimento a questo muro, ancora oggi visibile in casa ex Zadra, dove Ranzi lo aveva già individuato nella II metà dell’Ottocento, ipotizzandolo come un grande perimetro che racchiudeva il Dos Trento formando una poderosa cinta muraria.   

È da questa muraglia che i ricostruttori della chiesa di Sant’Apollinare nel XIV secolo si rifornirono di materiale e utilizzarono i reperti romani inseriti nel muro per ornare la chiesa stessa. 

Se il muro tardo romano fosse stato utilizzato come riserva di materiale edile anche per la chiesa più antica, noi troveremmo delle lapidi romane anche nel campanile, che è ancora quello della chiesa duecentesca. Elementi lapidei romani sono presenti invece solo nelle murature della chiesa attuale, che risale al Trecento, nonché nella canonica (ex casa abbaziale) anch’essa trecentesca.

Alcuni pezzi di reimpiego di età romana sono anche molto antichi, probabilmente del I sec. a.c. e provengono da costruzioni monumentali, come templi e non certamente da case private: cornici modanate, un rilievo raffigurante un cervo, cornici a rosette, elementi di trabeazione, elementi di una tomba a dado (un bucranio, triglifi, metope, rosette…) tutti visibili nelle lesene del lato nord della chiesa. Quindi, verso l’abside, un grifone, una lapide dedicata a Faustina, moglie o figlia dell’imperatore Antonino Pio, della metà del II secolo dopo Cristo.

Si tratta di lapidi dedicatorie, ciò significa che normalmente sopra la scritta, posta su uno zoccolo, c’era un’immagine. Anche questo fa pensare – sottolinea Rasmo – che tutti questi elementi dovevano essere nel foro di Tridentum (zona dell’attuale Santa Maria Maggiore), dove si trovava anche l’edificio monumentale con la scritta a caratteri cubitali, in parte murata a Sant’Apollinare, in parte al Buonconsiglio.

Nella chiesa di Sant’Apollinare c’è anche la lastra di Marco Apuleio. Non ha molto spessore e quindi doveva essere solo appoggiata e non costituiva un monumento a se stante. Da ricordare infine le lapidi murate sulla parete sud, quella di Cassidia e un’altra dedicata all’imperatore Gallieno, lo stesso che fece ampliare le mura di Verona. La chiesa di Sant’Apollinare è quindi un vero e proprio museo, che innesca un discorso di tutela e di valorizzazione di questo materiale, esposto per secoli alle intemperie e ora ai danni dell’inquinamento. 

Sarebbe opportuno portare al coperto questi preziosi reperti e di sostituirli con copie, soprattutto gli elementi che si trovano a lato del campo sportivo. Un primo intervento di tutela sarebbe quello di trasformare il campo in area verde e magari mettere in luce le fondazioni del muro tardo romano proveniente da casa ex Zadra.

(A cura di William Belli)



ANFITEATRO ROMANO A TRENTO

Non poteva certamente capitarci occasione migliore, nel corso delle ricerche sull'anfiteatro romano esistente a Trento, che quella di ritrovare, ancora intatta e perfettamente conservata, una colonna, o meglio un pilastro che, con tutta probabilità, era parte integrante della porta che dava accesso all'anfiteatro.

Questo importante reperto si può rilevare a circa 4 m dal livello stradale, nelle cantine della casa - torre Negri di San Pietro, nell' omonima via, nei pressi di quella nuova struttura ricavata dalla demolizione del rione medioevale del Sas per la costruzione di una nuova piazza che porta oggi il nome di Cesare Battisti.

Bruno Bortolameotti indicava in una dettagliata pianta dell'antica Tridentum romana una porta, chiamata appunto porta dell' Anfiteatro, situata nel punto preciso dove oggi si trova la colonna nella casa torre Negri di San Pietro.

Queste erano infatti le sette porte della città romana:
« Porta Augusto, porta dell' Anfiteatro, porta Aquileia, una porta secondaria a sud, porta Brixia e porta di Augusta ».
Su indicazione del dottor Rodolfo de Negri di San Pietro, che aveva individuato il punto esatto dove sorgeva la colonna, queste sono le fotografie di uno dei due pilastri che, probabilmente, era parte integrante della porta, e la porta dell' Anfiteatro.

Il pilastro nelle cantine della casa - torre Negri di San Pietro, poggia su uno zoccolo in parte interrato allo stesso livello del pavimento della cantina. La parte che possiamo scorgere dovrebbe corrispondere alla cornice di coronamento, mentre la parte ancora interrata potrebbe essere riferita a una superficie e a un rilievo di notevoli dimensioni.

Nel disegno del Ranzi potremmo ritrovare così un facile riferimento con la porta dell' Anfiteatro che era, certamente, di proporzioni e strutture molto più ampie e imponenti. La cornice d'imposta del pilastro, rilevato nel corso di questo studio, presenta una modanatura terminale architettonica e decorativa, composta da due curve distinte che sono raccordate a concavità contraria.

La stessa cornice risulta poco sporgente rispetto ad altri elementi architettonici della stessa epoca, mettendo così in luce un capitello che è stato molto probabilmente danneggiato in seguito a interventi e ristrutturazioni nelle epoche successive.

Oltre al capitello della colonna si possono individuare quattro distinti rocchi relativi alle pietre che formano il fusto della colonna stessa e che costituiscono la parte superiore della porta e la cornice d'imposta di un arco, costruito con conci di pietra. Parallelo al pilastro da noi messo in luce in questa occasione, doveva esistere un secondo pilastro che, nel corso di lavori di ricostruzione del nuovo stabile, è stato incorporato in un manufatto compatto e resistente, valido a sostenere la nuova moderna costruzione nella galleria dei Legionari.

(http://buonconsiglio.tripod.com/SPietro/anfiteatro.html)


BIBLIO

- Strabone - Geografia -
- Cassiodoro - Variae - III -
- Plinio il Vecchio - Naturalis historia -
- J.J. Wilkes - Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire - Londra - Routledge & K. Paul - 1969 -







3 comment:

Vicente on 13 maggio 2020 alle ore 03:48 ha detto...

Interesantisimo! Cumplimenti!

peppe bresicia ha detto...

entro a gamba tesa

Anonimo ha detto...

molto utile, 🛩️🛩️🏙️🏙️

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