SOTTO SAN LORENZO IN LUCINA



LA FACCIATA

San Lorenzo in Lucina è una basilica di Roma del Rione Colonna, nei pressi di Palazzo Montecitorio e non venne eretta sulla residenza dell'omonima matrona romana nel IV secolo (la solita matrona cristiana che regala la casa è obsoleta), ma sul tempio demolito della Dea romana Giunone Lucina. Nella mitologia romana, Lucina era la Dea del parto e aiutava le donne nel loro lavoro. 

Lucina è stata poi soppiantata da Giunone divenendo un suo attributo col nome di Giunone Lucina, che non è colei che porta i bambini alla luce, ma colei che porta la luce, ma in seguito venne tradotta come colei che aiuta il parto. Lucina in epoca molto arcaica era in realtà un'antica Dea Madre simile a Leucotea (la Dea Bianca e cioè luminosa), ambedue derivano dal termine "lux", cioè la luce, perchè era colei che faceva luce sulle tenebre della notte e sulle tenebre della mente.

Secondo alcuni studiosi il nome potrebbe derivare dalla parola latina lucus (che significa "bosco sacro"), per un bosco sacro di alberi di loto che si sarebbe trovato sul colle Esquilino, associato alla Dea. Naturalmente non prende nome dal lucus perchè i Romani, razionali come erano, non usavano il contrappasso luce-ombra, e soprattutto non avevano alberi di loto perchè tale albero fu portato dalla Cina in Europa solo nel XIX secolo.

Per tradizione le donne dell’antica Roma attingevano presso il tempio di Lucina un’acqua “miracolosa”, come testimonia il ritrovamento di un pozzo (ancora oggi visibile nel sotterraneo) e di un pavimento musivo con tessere bianche e nere, ancora integro, con gradini di marmo bianco e pareti affrescate.
 
I LEONI ALL'INGRESSO

PAPI E ANTIPAPI

La chiesa venne consacrata a luogo di culto ufficiale nell'anno 440 da papa Sisto III, papa dichiarato santo che approvò gli Atti del Concilio di Efeso, sul tema di Maria che potesse essere chiamata "Madre di Dio" (Mater Dei e, in tal caso, Dea ella stessa) o "Madre di Gesù" (Mater Jesu, e in tal caso solo donna) e che venne risolto chiamando Maria con il titolo greco di Theotókos ("portatrice di Dio").

La chiesa venne poi restaurata da papa Pasquale II (1053 - 1118) fino al completamento nel 1130. I resti di Clemente III, sepolti a Civita Castellana, divennero oggetti di culto a seguito della trasudazione di un misterioso liquido profumato, che faceva miracoli. Allora Pasquale II ne fece disseppellire le spoglie per disperderle nel Tevere.

Ma la nobiltà romana elesse un nuovo antipapa, Teodorico (papa dal 1100 al 1101), già consigliere di Clemente III, riconosciuto da Enrico IV, che entrò a Roma in assenza di Pasquale. Al ritorno del papa, Teodorico fu arrestato e rinchiuso in un monastero. Il suo successore fu Adalberto, catturato dai Normanni ed esiliato in monastero.

Nel 1105 l'aristocrazia romana, durante una nuova assenza di Pasquale, lo depose per simonia (compravendita di cariche ecclesiastiche) ed eresia ed elesse papa Maginulfo con il nome Silvestro IV. Al ritorno di Pasquale, Silvestro finì per sottomettersi a lui. Verso la metà del XVII secolo, l'interno fu completamente trasformato da Cosimo Fanzago, che trasformò la chiesa a navata unica e ridusse le navate laterali a cappelle, divenute poi gentilizie e concesse a varie famiglie, e ospitando vari sepolcri di personaggi cardinalizi, o artisti o benemeriti, ma pure di un capomafia romano.

Un ulteriore restauro fu condotto nella seconda metà del XIX secolo, durante il quale furono rimosse, per ordine di Pio IX, le splendide decorazioni barocche della navata e sostituite dagli affreschi di Roberto Bompiani che si vedono tuttora, venendo risparmiato solo il pulpito.

L'INTERNO

LA FACCIATA

La facciata della chiesa presenta un ampio portico, decorato da sei colonne ioniche in granito grigio, con basi e capitelli bianchi, e da 2 pilastri con capitelli corinzi, sormontati da un architrave realizzata da un'enorme colonna antica scanalata, tutto materiale di spoglio, eccettuato le basi e i capitelli delle colonne.

Nella parte centrale della facciata, sotto il timpano triangolare, vi sono al centro il rosone e, ai suoi lati, due finestre rettangolari barocche. Alla sinistra della basilica ci è una cupoletta a lanternino mentre alla sua destra, in posizione arretrata, s'innalza un campanile romanico a cinque ordini, due piani di monofore e tre di bifore, su colonnine di marmo bianco. 

La struttura in laterizio è decorata con dischi di porfido e scodelle in maiolica verde. La cella campanaria ospita due campane, una del 1606 e l’altra del 1759: la terza cadde, come riferisce un editto del 5 gennaio 1577, “et havendo fracassati tre solari, ammazzò un chierico“.

All'interno dell’elegante portico si leggono in alto una serie di iscrizioni antiche, e in basso si osservano i due leoni marmorei ai lati dell’ingresso e il campanile a cinque ordini, due piani di monofore e tre di bifore. Il livello del pavimento e delle mura più basso rispetto a quello attuale di 2 metri.

 

GUIDO RENI

L' INTERNO

La basilica, che originariamente si presentava nel suo interno a tre navate, oggi è a navata unica con quattro cappelle per lato che conducono all'altare maggiore, su cui vi è la tela del Crocifisso di Guido Reni. Il soffitto è a cassettoni dorati e nella navata una serie di cappelle laterali. Il pavimento venne rialzato per evitare le alluvioni del Tevere e le navate laterali dell’antica basilica furono trasformate in cappelle gentilizie dall’architetto e scultore Cosimo Fanzago (1591 - 1678).

Al suo interno si conservano un prezioso reliquario con la graticola su cui San Lorenzo subì il martirio e opere di grande maestri, come Carlo Rainaldi, artefice dell’altare maggiore e della Cappella del Santissimo Sacramento. In una cappella di sinistra vi si conserva anche un Crocifisso ligneo del Cinquecento, ritenuto miracoloso ed opera di Michelangelo mentre sull’altare maggiore vi è la celebre “Crocifissione” di Guido Reni, posta tra quattro colonne e due semi-colonne in marmo nero antico.

Verso la metà del '600 Gian Lorenzo Bernini realizzò la splendida Cappella Fonseca, detta anche Cupoletta con Angeli suonatori, per conto del portoghese Gabriele Fonseca, medico personale di Innocenzo X, ritratto in un busto marmoreo nell’atto di sporgersi da una finta finestra.

 BUSTO DI GABRIELE FONSECA DI
GIANLORENZO BERNINI
Sull’altare, l’Annunciazione di Ludovico Gimignani, tratta dal più celebre dipinto di Guido Reni del Quirinale, è sorretta da due grandi angeli in bronzo e sormontata da una serie di angeli in stucco più piccoli rivolti verso la lanterna. 

Tra le cappelle laterali si notano il settecentesco battistero,  e nella prima cappella a sinistra, vi si trova il è raffigurato il battesimo del Cristo, a cui segue la crocifissione sulla pala centrale, opera di Guido Reni, posta sopra l'altare disegnato da Carlo Rainaldi nel 1669. C'è poi la cappella Fonseca, disegnata da Gian Lorenzo Bernini, con il busto marmoreo del committente, opera dello stesso Bernini. 

Nella cappella di San Carlo Borromeo, la prima a sinistra dopo il fonte battesimale, la pala d'altare San Carlo porta in processione il chiodo della croce (1618) è di Carlo Saraceni, apprezzato discepolo del Caravaggio.

Infine si ha l'ascensione del Salvatore rappresentata sul tetto tutto lavorato in legno a cassettoni, dove è dipinto Cristo con papa Damaso I, San Lorenzo e la supposta matrona Lucina. Segue poi la nascita della Madonna (narrata solo nei vangeli apocrifi), l'Annunciazione dell'Angelo alla Madonna, la Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria e l'Immacolata Concezione.

IL TEMPIO NEI SOTTERRANEI DELLA CHIESA
Nella prima cappella a destra (denominata cappella Lovatti dalla metà del XIX secolo, prima in concessione alla famiglia Monatana dal primo decennio del XVII secolo al 1855) sono raffigurati su tre tele di Sigismondo Rosa e Giuseppe Creti i momenti importanti della vita san Lorenzo e sotto la mensa dell'altare della stessa cappella sono i resti della graticola del martirio, racchiusi in un prezioso reliquario sotto l’altare. mentre le catene che servirono ad imprigionarlo sono conservate nel museo parrocchiale.

Nella cappella di San Francesco e Santa Giacinta Marescotti, la quarta a sinistra dopo il fonte battesimale, si possono ammirare alcune tele del caravaggesco francese Simon Vouet: a sinistra "La tentazione di San Francesco" e a destra "La vestizione di San Francesco". La pala d'altare di questa cappella è "La morte di Santa Giacinta Marescotti" (1736) di Marco Benefial. Nella navata destra, una pala d'altare con San Francesco Caracciolo che adora il Santissimo Sacramento è opera del pittore tardo barocco Ludovico Stern.

La Cappella di San Giuseppe (dal quadro di San Giuseppe di Alessandro Turchi) era Cappella gentilizia dei principi Ottoboni Duchi di Fiano, famiglia di papa Alessandro VIII, che l'ebbero, con Breve pontificio, in "concessione perpetua" (è ancora visibile, in alto all'ingresso, il loro stemma). Nel 1943 la Cappella è stata trasformata nel sepolcro del cardinale Cremonesi ed è stata completamente ricoperta di marmi verdi, che hanno coperto le lapidi marmoree dei defunti Ottoboni. In un angolo è stato sistemato un busto marmoreo del cardinale.



GLI SCAVI

Diverse campagne di scavo sono state condotte sotto la basilica tra il 1982 e il 2000, riportando alla luce:- sotto un ambiente esterno alla navata, detto oggi "sala dei canonici", i resti della vasca circolare di un battistero paleocristiano, in un ambiente che comprendeva anche una vasca quadrangolare più piccola, la cui destinazione non è decifrata.

Sotto la navata, il cui pavimento fu rialzato nel 1598, i muri di sostegno poggiano sul pavimento di un edificio di II secolo, convertito verso il IV secolo in un'insula di cui si riconosce una scala che sale al piano superiore; qui sorgeva il tempio di Giunone Lucina (da cui il titulus Lucinae). Ne restano, oltre alle murature, un pavimento in mosaico bianco e nero e tracce di intonaco dipinto. L’edificio più antico, di cui rimangono pochi resti, se si fa eccezione per un pavimento a mosaico bianco e nero, risale al II secolo d.c., poi sostituito nel secolo successivo da un’insula di maggiori dimensioni, datata, grazie ai bolli laterizi rinvenuti, al periodo di Caracalla. 

La Dea Giunone Lucina, da cui deriverebbe il toponimo della piazza e della basilica, che fu poi adibito a culto cristiano e trasformato successivamente nella prima basilica, era invocata al momento del parto  e per questo motivo le donne dell’antica Roma attingevano, presso il tempio, l’acqua “miracolosa” per curarsi o per avere figli: questa tradizione è confermata dal ritrovamento, durante gli scavi sotto la Sala Capitolare, di un pozzo e di un meraviglioso mosaico intatto, con gradini di marmo bianco e pareti affrescate, che avvalora l’ipotesi del tempio dedicato alla Dea Giunone Lucina. 

L’area fu scavata successivamente in più fasi dal 1993 al 1998 dalla Soprintendenza Archeologica insieme all’Istituto Svedese di Studi Classici e furono rinvenute strutture relative alla primitiva basilica paleocristiana ed al rifacimento del XII secolo (un pavimento cosmatesco): vennero alla luce una parte di una vasca battesimale circolare di 4 metri, rivestita con lastre di marmo, forse il fonte battesimale, e una vasca rettangolare di minori dimensioni, che ha su uno dei lati corti una nicchia con copertura a timpano; fra le ipotesi la possibilità che fosse utilizzata per la lavanda dei piedi.



SOTTO LA CHIESA

Sotto la sagrestia della basilica (e sotto un palazzo in via di Campo Marzio) furono ritrovati i resti del grande orologio solare costruito da Augusto nel 10 a.c. con l’aiuto di Mecenate e di astronomi e matematici egiziani. L’Horologium Solarium (o Augusti) era costituito da una vastissima platea circolare del diametro di quasi 180 metri in lastre di travertino, sulla quale erano incastrate linee e lettere bronzee a fare da quadrante. 

Come gnomone fu utilizzato un obelisco egiziano, attualmente eretto nella piazza di Montecitorio e qui rinvenuto, che in pratica con la sua ombra funzionava da lancetta indicatrice delle ore. Plinio narra che l’orologio funzionasse male, forse a causa dello spostamento dell’obelisco causato da un sisma, tanto che fu necessaria la riparazione sotto Domiziano.

L'ANTICO TEMPIO DI LUCINA

IL TEMPIO ANTICO

Il tempio venne dedicato a Giunone Lucina il I marzo del 375 a.c. La festività cadeva alle calende di marzo, anche dette "femineae kalendae", l'inizio dell'antico calendario romano: le donne romane recavano fiori e incenso al tempio di Giunone Lucina sull'Esquilino, e facevano dei voti perchè i loro mariti fossero valorosi nelle battaglie.

Poichè il pregio maggiore di un marito, almeno socialmente, era che acquisisse gloria in battaglia, le mogli pregavano e facevano voti per questo, diventandone anche i giudici. Se un marito, ovvero la sua legione, avesse perduto una battaglia, specialmente se non si fossero battuti con un esercito di molto superiore, la moglie sicuramente ignorava la festa del tempio di Lucina non potendo elogiare il marito, e addirittura poteva vestirsi a lutto vergognandosi del comportamento poco patriottico del marito.

Se costui invece aveva con la sua legione vinto una battaglia, la moglie avrebbe dinanzi al tempio di Lucina fatto un pubblico elogio al marito e nel caso sfoggiato i simboli degli onori riconosciuti al consorte (falere o altro).

Qui si festeggiavano le Matronalia, dedicate appunto alle matrone romane. Il termine Matrona non equivale al termine Padrone, ma al termine Patrono, quindi colei che protegge, anzitutto i figli e pure la casa. Era costume che in questa occasione gli uomini facessero dei doni alle mogli e alle madri.

Era una riedizione della cerimonia privata del matrimonio, in cui lo sposo faceva dei doni alla sposa, la quale, a sua volta, lodava il marito; tale celebrazione veniva quindi ritualmente ripetuta all'inizio dell'anno nuovo. Il fatto che la moglie potesse lodare o meno il marito toglieva, almeno in epoca imp
eriale, un certo potere al consorte.

La moglie stabiliva in pubblico il suo valore e, per parenti e conoscenti, questo avrebbe determinato in gran parte il valore del marito della donna. Il collegamento col culto di Giunone Lucina, protettrice delle nascite, trasformò la festività nella celebrazione delle nascite da un lato, e del giudizio sul consorte dall'altro.

Per un approfondimento: TEMPIO DI GIUNONE LUCINA


BIBLIO

- Fabrizio Vistoli - Papi e martiri, traslazioni e reliquie. Contributo alla storia medievale di S. Lorenzo in Lucina alla luce di una “nuova” lettura delle epigrafi del portico - F. Vistoli - Roma - 2005 -
- Fabrizio Vistoli - Pratica ed impiego della «scrittura epigrafica esposta» da parte della Chiesa di Roma nel basso Medioevo: S. Lorenzo in Lucina, in Temporis Signa - 2006 -
- Samuel Ball Platner - Aedes Junonis Lucinae - A Topographical Dictionary of Ancient Rome - Londra - Oxford University Press - 1929 -
- Maria Elena Bertoldi - San Lorenzo in Lucina. Tracce di una storia - Tip. Marconi - Genova - 2008 -
- Olof Brandt - Scavi e ricerche dell'Istituto Svedese a San Lorenzo in Lucina - Roma -



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