CULTO DI DIA



PREFETTO DEL PRETORIO CHE COMPIE UN SACRIFICIO A DIA (COLONIA)

LA DEA DIA

Risulta che gli Arvali, sacerdoti della Dea Dia, invocassero nei loro riti quattro Dee: Deferunda, Coinquenda, Commolenda e Adolenda, che erano in realtà i quattro aspetti di un'unica divinità.

Deferunda è colei che trasferisce, Coinquenda colei che taglia, Commolenda colei che polverizza, Adolenda colei che fa nascere. Sembra l'avvicendarsi di vita e morte.
Veniva festeggiata in maggio, il 17 del mese, nelle Arvalia, festa dei campi, con processioni e sacrifici.

DEA DIA

GLI ARVALI

I Fratres Arvales erano un antico collegio sacerdotale che si dedicava al culto della dea Dea Dia, poi identificata con Cerere, Dea della Terra, della natura, dei campi e delle messi.

Durante alcuni scavi nel 1778, in territorio vaticano, si è rinvenuta un'iscrizione detta "Carmen Arvalis", l'iscrizione è datata 29 maggio 218, a testimonianza della restaurazione degli antichi riti voluta da Augusto. Il Carmen veniva intonato dai sacerdoti durante le processioni dette Ambarvalia, con cui si propiziava la fertilità della terra. Il testo è quello della redazione in epoca augustea, fine I sec. a.c .- inizio I sec. d.c, ma il Carmen fu probabilmente composto tra il V e il IV sec. a.c.

I primi cinque versi venivano ripetuti tre volte; il 'triumphe' finale, che dava inizio alla danza detta 'tripudium', veniva ripetuto cinque volte. Nel canto si invoca l'aiuto di Marte e dei Lari, affinché non consentano che i campi inaridiscano, ma si adoperino perché rimangano fertili.

Oggi viene riportato così:

enos Lases iuvate (ter)
neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris (ter)
satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber (ter)
semunis alterni advocapit conctos (ter)
enos Marmor iuvato (ter)

triumpe (quinque).

traducibile in:
Lari aiutateci, (tre volte)
non permettere, o Marte, che la rovina cada su molti. (tre volte)
Sii sazio, crudele Marte. Balza oltre la soglia. Rimani lì. (tre volte)
Invocate a turno tutti gli Dei delle sementi. (tre volte)
Aiutaci Marte. (tre volte)
Trionfo. (cinque volte)



MARTE - SILVANO

Gli Atti degli Arvali testimoniano nel territorio portuense il culto del Dio etrusco Selvans (latinizzato in Silvanus o Mars-silvanus, in associazione a Marte).

MARTE SILVANO
La divinità presiedeva alle selve e alle campagne, proteggeva bestiame, orti e confini, infatti il santuario arvalico segnava il confine territoriale tra Roma e Vejo.

È raffigurato come un vecchio vigoroso dalla barba irsuta che vagabonda miseramente vestito, attento al controllo della frontiera e armato di una clava.

Ha carattere retto e bonario, ma insofferente alla vita associata e capace talvolta di manifestazioni grevi o misogine (avversava partorienti e neonati e spaventava i contadini facendo rimbombare nelle grotte la voce fragorosa).

Catone nel De Agricoltura riporta la cerimonia del “votum Martisilvani pro bubus uti valeant”, per la salute del bestiame. L’offerta consisteva in un piatto di granaglie e pancetta rosolati nel vino (“cocere in unum vas farris, lardi, vini”), da ripetersi per ciascun capo posseduto.



IL LUCUS

Il Lucus Deae Diae (o dei Fratres Arvales) è un bosco sacro, dedicato al culto della Dea Madre (Dea Dia, in seguito identificata con Cerere), posto sotto la protezione di Marte. Al suo interno sorgevano gli edifici sacri dei Sacerdoti Arvali.

Il Lucus era compreso in una più ampia distesa boschiva, la Silva Moesia, un tempo sotto il dominio degli Etruschi di Vejo.

 Macrobio colloca il passaggio sotto l’influenza latina già in epoca arcaica, identificando il Pastore Faustolo, marito di Acca Larentia nutrice di Romolo, con il personaggio etrusco di Tarunzio, leggendario possessore di quelle terre (Saturnalia, I-10).

Tito Livio invece riporta l’incontro etrusco-romano al tempo di Anco Marzio, quando gli Etruschi dovettero abbandonare la Selva ai Romani (“Silva Moesia Vejentibus adempta”, Historiae, I-33).

Il Bosco sacro si sviluppava in pendìo (clivus), dall’ansa fluviale della Magliana Vecchia risalendo la collina di Monte delle Piche. La parte rivierasca, chiamata Antelucum, ospitava gli edifici sacri minori e di servizio (Caesareum, Tetrastylum, Balneum, Papiliones e forse il Circo). La parte centrale, intersecata dalla Via Campana, ospitava il grandioso Tempio rotondo di Dia (Aedes deae Diae) e quello più antico di Fors-Fortuna. Infine, vi era un settore d’altura, che si arrampicava con un’organizzazione a terrazze, fino alla sommità della collina, dove si trovava l’Ara sacra dei Lari. La sua conformazione è nota attraverso gli Acta Fratrum Arvalium, di epoca imperiale.


Ligorio X Lucus Arvalis

Molti sono i frammenti degli atti arvalici tornati in luce da vari luoghi della città e del suburbio prima del tempo di Gregorio XIII. Ma il primo regolare scavo del sacro luogo della dea Dia ebbe luogo soltanto nel 1570, il quale fruttò la scoperta di sette (dieci!) piedistalli di statue d'imperatori ascritti al collegio « in agro Fabricii Galletti, illustre tabollioue in Curia di Roma. Vedi Manuzio, Cod. vat. 5237, e. 198 e il coti. Mus Fioreat. nel quale è anche schizzata una edicola di strana forma in via Portuensi ad quartum milliarium ». 

Nella stessa contrada e nella stessa occasione furono ritrovati XIX frammenti degli atti, editi dall'Orsino nelle sue note Varrouiane, e trasferiti nella raccolta Farnesiana. Dei quali scrive il Gudio «extra portam Portuensem loco nunc dicto "affoga l'asino" ubi fratres Arvales collegium habuerunt vidit Ligorius ». 

ARVALI
La vigna di Fabrizio Galletti corrisponde al sito della notissima vigna Ceccarelli. Queste notizie sommarie si trovano ampiamente svolte dal de Rossi in Ana. Istit. 1858, e dall'Henzen nella prefazione allo Acta Fratriim Arvalium del 1874. 

Vedi anche Vacca, Mem. 98: « fuori della suddetta porta (Portese) due (quattro) buone miglia lontano nel luogo che si chiama "affoga l'asino", verso il Tevere in certi canneti al tempo di Gregorio XIII furono trovati molti consoli di marmo, e ciascuno aveva il suo piedistallo con le lettere, come anche colonne di marmo gentile lunghe trenta palmi (m. 6,69): queste furono segate e servirono per la Cappella Gregorìana in s. Pietro: li consoli furono sparsi per Roma: ma erano da mediocre mano lavorati ». 

Le basi degli imperatori portano nel CIL. i numeri 968 (Adriano), 1000 (Antonino Pio), 1112 (Marco), 1026 (Severo), 1053 (Caracalla), 1093 (Gordiano). Tre sono perdute. È probabile che il busto velato di M. Aurelio, con corona di spighe, oggi conservato nel museo Britannico, provenga dagli scavi sopra descritti. 

La pianta di uno degli edifici Arvalici presa da B. Peruzzi « presso alla villa Malliana circa mezzo miglio » porta il u. 414 nella raccolta degli Uffìzi. Suo figlio Sallustio ha, alla sua volta, tolto il rilievo di pianta e di alzato dell' Augusteo, composto di una sala il cui tetto era sostenuto da quattro colonne di trenta palmi d'altezza, e la cui parete di fondo s'incurvava a modo di abside. 

L'intercolunnio di fronte misurava 10 palmi, quelli laterali ne misuravano 28. Il Peruzzi osserva che essi eran chiusi da cancellata di legno, rimanendovi nelle soglie i segni dei piedritti. La postilla dice:

« statue numero 9 di imperatori incoronati di spiche di grano in via portese ad quarti milliarum. hoc sacellum ordinati fuit a Romulo ad bendicèdii grami e agio restaurati! ab antonio cacallo (Segue l' iscrizione di Adriano n. 968). Ciascheduna statua ha uno suo epitaphio e i nel fine detto epitaphio vi era fratri arvali e erano nove epitaphii correspodenti alle nove statue insino a Gordiano, i quali Imperatori furono tutti di essa copagia da capaga » 
Uffizi 664. 1591, 19 giugno. 

Scavi circa il secondo miglio della via. « Licentia prò Magg. Dno Carlo de Belhominibus. Mag. D. Carolo de Belhominibus familiari et continuo commensali nò S. De raand. 
Tibi extra Portam Portuensem per spatium duorum milliarium in quatuor locis pubblicis tibi benevisis quoscunq. lapides marmoreos tiburtinos fìguratos et non ac statuas marmoreas aenas cum Interventu D. H. Boarij Commissari. Henricus Caetani Camer. » (Provv. del Camer. tomo 1590-91, e. 149').

Gli scavi per i quali è concessa patente al Belluomini dovevano presentare grande probabilità di successo: tanto che si venne a formare una Società per condurli a buon fine. Ciò risulta dal seguente atto che ho trovato a e. 295 del protocollo 867 del notaio Alessandro de' Grassi.

« Die 22, Linij 1591. In mei I'IUitio Sig. Carlo de belhominj quale ha ottenuto patente et libera licentia di far quattro cave fora porta portese et a quelle pigliar compagni et operarij come più ampiamente in d.^ patente sottoscritta dall'Ill.mo et R.mo Cardinal Camerlengo per li atti di ms. Andrea martino notare del 19 de Giugno 1591. 

A dette Cave riceve et admette per liberi veri et assoluti compagni M. Lorenzo de radicchi et M. Nicola gramiccia da mognano secondo la forma di d. patente, con li infrascritti capitoli, videlicet. Che de tutte le cose che si trovaranno in d. Cave eccettuato solamente l'oro, l'argento, et le gioie se ne li abbiano a fare doi parte eguale, una delle quale sia del Sig. Carlo et l'altra sia libera di essi compagni. 

Trovandosi oro, argento e gioie esso Sig. Carlo insiemi coi doi compagni siano obbligati a satisfar la Rev: Cara. Apca di quello che li perviene che è un terzo, et del restante si habbia dividere tra loro tre egualmente tanto per uno. Trovandosi statue di metallo o marmoro o Colonne o altre cose che non riceve divisione si debbiano far stimare da communi amici, eleggendo da adesso il molto Magnifico Sig. Cav: Giovan Batta della Porta, et tra loro si habbia a partir il prezzo. 

Actum Rome in Regione Pontis in domo solite habitationis d. Ill.rhi dni Caroli, presentibus Jacopo tìlio marzocchi de lesio marchiano, et Joseph q. laurentij cocco de Sancto laurentio in campo Urbinaten: eiusdem Ill.mi dfii Caroli familiaribus ».



IL TEMPIO ROTONDO

Chiamato in origine Tempio della Dea Arva (un altro nome di Dia, arva erano i campi coltivati), fu poi detto Caesareum (o Aedes Divum, cioè Tempio dei Divi Cesari) è uno dei templi minori del Santuario degli Arvali, dedicato al culto degli imperatori divinizzati.

Il tempio era tondo, come descrive Ligorio, con le statue degli imperatori in toga, col capo coperto e cinto da una corona di spighe, e le loro mogli se erano state sacerdotesse, tutte statue alte ben 20 palmi. Erano raffigurati non solo gli imperatori ma anche gli uomini illustri, a cominciare da Romolo.

Il tempio fu sicuramente in uso fino al tempo di Gordiano III a metà del III sec. d.c. Gli Acta Fratrum Arvalium riferiscono che in onore dell’imperatore si svolgeva “ante Caesareum” l’immolazione rituale di un “taurum aureatum” (un toro dorato).

L’umanista Peruzzi fu il primo ad individuarlo in epoca moderna e a fornirne una descrizione. Il sacello misurava m 6,20 x 4,40, con quattro colonne alle estremità, pareti ricoperte di travertino ed il lato posteriore absidato.

All’interno del Caesareum si trovavano nove busti di imperatori arvali, che il Peruzzi descrive in questo modo: “Statue numero nove, di imperatori incoronati di spiche di grano. Ciascuna havea uno epitaphio e in nel fine dello epitaphio vi era ‘Frati Arvali’ e erano nove epitaphi correspondenti alle nove statue insino a Gordiano”. Le statue sono oggi conservate ai Musei Vaticani, nel British Museum, il Louvre e il Castello di Ecouen (Parigi).



IL BALNEUM

Il Balneum è un piccolo impianto termale di m 35 di larghezza, con superficie complessiva di 600 mq, ad uso esclusivo degli Arvali. Sorgeva 150 m a sud del Tempio di Dia lungo la via Campana e si componeva di 15 vani e 6 piscine.

Dal vestibolo diviso in tre aulette e affiancato dalle latrine collettive si accedeva a una grande sala conviviale, con nicchie vezzose sulle pareti absidate e colonne marmoree a sorreggere la volta dagli ampi lucernari. Di lì una porta immetteva nel frigidarium, sul cui pavimento si aprivano due piscine dai mosaici policromi.

Il piccolo tepidarium era seguito dallo spogliatoio-destrictarium e dalla sauna-laconicum. I due ambienti del calidarium erano dotati di vasche di diversa temperatura, alimentate dalle fornaci. Il circuito si completava con un tepidarium per il ritorno a temperatura ambiente.

Costruito nel 222 d.c., il Balneum ha funzionato fino al 340; poi fu adibito a fornace e quindi a casale rustico, fino all’alto Medioevo. I ruderi sono stati scavati negli anni 1975-81 dall’École Française e si trovano (interamente coperti e non visitabili) sotto il Casale Agolini in via della Magliana, 585.




LASTRA SUMMANUS


La chiesa di Santa Bibiana all’Esquilino, dove nel VII sec. vennero reimpiegati i materiali di recupero del sito degli Arvali, ha restituito una lastra di marmo sacra al Dio infernale Summanus, che fece gridare alla scoperta del malefico diavolo, visto che aveva le fattezze di un caprone.
Summano è una divinità minore da cui dipendono i fulmini notturni, che i Romani ritenevano generati dagli Inferi, mentre Giove presiedeva alle saette diurne.

Durante i Summanalia (20 giugno) si sacrificava un montone nero, poi si procedeva con l'unzione della statua del Dio che riproduceva un capro, e quindi si consumavano focacce di farina. Il culto si mantenne associato a Giove, in qualità di Giove Summano fino al 278 a.c., quando se ne staccò ricevendo un tempio autonomo al Circo massimo.

La lastra era posta all’interno del Lucus, nel punto in cui era caduto un fulmine notturno. Si riteneva che il fulmine notturno aprisse un varco tra il mono dei vivi e il mondo dei morti, per cui la lastra di pietra rabboniva la divinità, chiudeva il varco ed ammoniva i profani a tenersi lontani dal "mundus", o inferi.

I romani non amavano pensare all'aldilà, anche se affrontavano la morte con discreto coraggio. La lastra, datata II-III sec. a.c. è serbata oggi nei Musei capitolini, con la sua scritta: ‘Summanium fulgur conditum’, ‘qui il fulmine di Summano ha generato un solco’.



CHIESA SANTA MARIA SCALA COELI

Nella chiesa, che sta ai lati dell'altare vi sono due finestrelle: quella di sinistra lascia vedere un altare pagano dedicato alla Dea Dia, divinità agricola romana cui tributavano culto gli Arvali. 

Da quella di destra si vedono le tracce di un antico cimitero cristiano, considerato l'ultima prigione di san Paolo prima della sua morte.



IL TETRASTYLUM

Il Tetrastylum è uno dei templi minori del Lucus Diæ, nominati negli atti degli Arvali. Lo studioso Peruzzi ne colloca la fondazione in epoca arcaica (“hoc sacellum ordinatum fuit a Romolo”), attribuendolo alla figura leggendaria del primo re di Roma e arvale.
Il tempio si sviluppava su quattro colonne, poste agli angoli di un podio quadrato, a sostegno delle travi angolari e del tetto. Il Tetrastylon compare effigiato nella monetazione di Tiberio.

CATACOMBE DI GENEROSA
Lo spazio sacro era aperto alla vista, non protetto da muri. All’interno dovevano trovarsi un idolo e i “triclinia”  per il pasto sacro, Convivium,  dei fratelli arvali. Peruzzi ipotizza fosse dedicato ai riti tradizionali della benedizione del grano e del suolo (“ad benedicendum granum et agrum”).

Il parto sacro era il cibarsi del corpo e del sangue della Dea, che in effetti era la Dea terra, per cui mangiare focacce e bere vino era nutrirsi del corpo e sangue della Madre Terra.

Lo stesso rito è passato nel cristianesimo, con l'ostia di frumento e il vino, solo che è difficile da giustificare col Cristo perchè non è Madre Terra.

Così, non sapendo come spiegare la cosa, la Chiesa ha chiuso il discorso dichiarando la faccenda un mistero, il cosiddetto mistero della transustanziazione, per cui il corpo di Cristo diventerebbe farina e una volta ingerito ritornerebbe corpo.

Cogli antichi riti non c'era trasformazione, perchè la focaccia "era" il corpo della madre, senza trasformazione e senza misteri. Ma per averlo ben chiaro i suoi sacerdoti ne facevano un rito che prevedeva la distribuzione del pane e del vino, rito che richiama la santa Messa.

Peruzzi riferisce inoltre il ritrovamento di un basamento rettangolare, tra il Tempio di Dia e le Terme, ritenendola una riedificazione del Tetrastylon in epoca antoniniana (“sic restauratum ab Antonino”). Sembra però che appartenesse al Cæsareum.



CATACOMBE DI GENEROSA

Gli Arvali incidevano la loro vita religiosa e cultuale (gli Acta fratrium Arvalium) in tavole marmoree, molte delle quali sono giunte fino ai nostri tempi, grazie al loro riutilizzo come lastre di pavimentazione della basilica di Generosa. La catacomba è collocata all’interno di una collina, posta in via delle Catacombe di Generosa, nei pressi di una importante ansa del fiume Tevere sulla riva destra, nel suburbio Portuense.

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- Il Santuario della Dea - sito di Roma Capitale -
- Antonello Anappo - Le Catacombe di Generosa - Fondo Riva Portuense - Roma - 2008 -
- Jacqueline Champeaux - La religione dei romani - A cura di N. Salomon - Editore Il Mulino - Traduzione G. Zattoni Nesi - 2002 -
- Andrea Romanazzi - Guida alla Dea Madre in Italia. Itinerari fra culti e tradizioni popolari - Roma - Venexia - 2005 -
- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -


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