I PORTICI DI ROMA



PORTICO PALLADIANO SUL MODELLO ROMANO - VICENZA

 PRECEDENTI

Il portico architravato venne adoperato nei templi a struttura lignea nell’Estremo Oriente Antico e poi nell’Egitto faraonico. In Mesopotamia (el-Obeid, Ur, Kish, Mari) già dal IV millennio il portico si struttura su più livelli o si piega su se stesso a delimitare spazi interni (santuari di Tello e Uruk) con una funzione ornamentale e religiosa.

A Saqqarah, all’inizio del III millennio, nella mastaba di Djoser, l’accesso al tempio è fiancheggiato da un portico monumentale. In Grecia i cortili porticati fanno spesso da snodo delle diverse ali delle residenze cretesi (ad esempio il palazzo di Festo).

C'è inoltre la tipologia del portico a balcone, studiato per consentire ampie visuali, o il portico-megaron miceneo, con un grande focolare al centro, al centro dell’abitazione dove si svolgevano banchetti e rappresentazioni aedico-rapsodiche per il padrone di casa e i suoi ospiti.

In età classica, il portico (stoà) si trova nei templi greci sotto forma di pronao e di peristilio e viene ampiamente usato nei santuari (tempio di Apollo a Mileto, portico degli Ateniesi addossato al tempio di Delfo, portico di Eco a Olimpia), che serve oltre a tutto da collegamento fra i vari edifici. Qui si passeggia al riparo da sole e pioggia e qui avviene la vendita di oggetti sacri; talvolta, invece, definisce un recinto sacro ove è collocato un altare.

In età ellenistica il portico si innalza su due livelli, come nel portico di Atena a Pergamo e quello di Attalo ad Atene in cui si usa la sovrapposizione degli ordini, con un effetto di progressivo alleggerimento verso l’alto; intorno alle piazze del mercato (vedi Mileto e Priene) si sviluppano portico per la vendita delle merci, per eseguire contrattazioni e consentire il passeggio.

Analogamente nel foro romano, dove Vitruvio ne prescrive dettagliatamente proporzioni e struttura: come le stoai di età classica, connette i vari edifici e consente il passeggio al riparo dagli agenti atmosferici, favorendo incontri, contrattazioni e, in generale, tutte le attività legate al ruolo del foro come centro politico, economico e religioso della città.

La funzione del portico si lega anche ai ginnasi e alle terme, nonchè alle strade porticate, specie nella Roma Imperiale, dove favoriscono funzioni commerciali e attività di incontro e di scambio.

Dunque il sistema del portico, passaggio colonnato e coperto che costeggiava una via, si sviluppò durante l'Impero, soprattutto nel principato di Augusto. Tutti i portici costruiti in questo periodo furono eretti nel Campo di Marte, eccetto il Portico di Livia sull'Esquilino. Naturalmente tutti i fori avevano poi i loro portici.

Durante i lavori per una fognatura lungo l'adiacente vicus Iugarius, tra l'area di S. Omobono e il Campidoglio, sono apparsi resti delle mura repubblicane, e tracce di una porta, certamente la porta Carmentalis, che sappiamo localizzata in questa zona.



IL PORTICUS ROMANO

Il Portico o Porticus era un colonnato coperto formato da un muro e da una o più file parallele di colonne, o meno frequentemente da sole colonne. Prevalgono due tipologie: 
- una che racchiude un'area rettangolare, o aperta e disposta a giardino, o occupata da un tempio, 
- oppure una lunga galleria che si affaccia su una strada. 
In entrambi i casi il porticus potrebbe essere una struttura indipendente, o annessa a edifici adiacenti. Nei giardini dei ricchi romani anche i vialetti sembrano essere stati a volte sotto tali colonnati.

Il primo portico a noi noto fu costruito nel 193 a.c. da due membri della gens Aemilia, ma fu più usato nell'ultimo secolo della repubblica e poi in età augustea. I primi porticus avevano scopi commerciali, ma durante l'impero divennero luoghi per passeggiare e rilassarsi riparati dal sole dal vento e dalla pioggia. Per questo motivo gli spazi intercolonnari venivano talvolta riempiti con vetri o siepi di bosso. 

All'interno del portico o degli appartamenti ad esso collegati si trovavano collezioni di statue, dipinti e opere d'arte, oltre a botteghe e bazar. Un porticus prendeva il nome dal suo costruttore, dal suo scopo, dalla struttura a cui era attaccato o di cui faceva parte, o talvolta da qualche famosa statua o dipinto conservato al suo interno (es. Porticus Argonautarum).

Il Campus Martius sviluppò diversi portici, e nel II secolo se ne contavano più di dodici nella Regione IX, alcuni di grandi dimensioni, per cui si poteva camminare dal foro di Traiano al ponte Elio sotto un continuo riparo dal sole e dalla pioggia (Vitr. I.3.1; V.9.1‑5; Ann. d. Inst. 1883, 5‑22; DS IV.586; LR 447; Lanciani, Anc. Roma, 94).

PORTICI DI PIAZZA VITTORIO A ROMA

I PREZIOSI MOSAICI ROMANI DEI PORTICI DI PIAZZA VITTORIO ASPORTATI

Nella foto sopra si evidenzia il desiderio di riqualificazione del portico di Piazza Vittorio a Roma, ma il portico è stato già precedentemente squalificato e in modo irrimediabile. Su suolo infatti c'erano i marmi spezzettati della precedente villa del marchese di Palombara e oggi non ci sono più.

«I Municipio in rivolta contro Ama e il Comune per la pulizia dei Portici di piazza Vittorio. L'accusa, poi, rischia di chiamare in causa anche la Sovrintendenza: la municipalizzata dei rifiuti infatti non pulisce con prodotti adeguati i marmi della piazza più grande di Roma».

- Per trovare una soluzione, e chiedere alla presidente Sabrina Alfonsi di fare pressioni su Virginia Raggi e su Stefano Zaghis, il consiglio del I ha infatti votato una risoluzione ad hoc, che ha come primo firmatario Stefano Marin. Nel testo oltre a ricordare che «i portici presentano una pavimentazione in marmo e mosaici di interesse storico-artistico-culturale», si denuncia che «il lavaggio dei portici di Piazza Vittorio Emanuele II ad oggi viene effettuato da parte di Ama al pari delle comuni sedi stradali con macchinari muniti di spazzole e con forti getti di acqua». -

Villa Palombara era una residenza situata negli antichi Horti Lamiani di cui rimanevano come uniche vestigia i Trofei di Mario e il lastricato multicromatico che conservava tutti i pezzetti dell'antico porfido rosso e del serpentino verde degli Horti Lamiani, le cui cave sono dismesse da molti secoli. 

Ora però nel restauro dei pavimenti dei portici di alcuni anni fa i precedenti marmi di epoca romana sono spariti. ma non sono spariti solo quelli che erano parzialmente distaccati, sono spariti tutti. Sono stati sostituiti da pezzi poco colorati di cave moderne ed economiche.

Mi raccontava un vecchio negoziante della zona che i turisti americani venivano ad acquistare sotto banco a Roma i pezzetti di porfido e serpentino facendoli tagliare a cabochon (ovali e bombati) per farsene degli anelli, in quanto resti dell'antica Roma.

Quindi a Roma protestavano perchè i mosaici pavimentali non venivano lavati con cura, ma quando sono spariti tutti zitti, come mai? Chi ne ha usufruito? Chi li ha trafugati?



I PORTICI

PORTICUS AGRIPPIANA - o PORTICUS ARGONAUTARUM

costruito da Agrippa nel 25 a.c. (Cass. Dio LIII.27), probabilmente vicino (o, come pensa Hülsen, recintato) al tempio di Adriano. Deriva il suo nome dalle pitture sulle sue pareti delle avventure degli Argonauti, e pare fosse chiamata anche porticus Agrippiana (Schol. Iuv. VI.154). Cassio Dione (loc. cit.) lo chiama στοὰ τοῦ Ποσειδῶνος, e altrove (LXVI.24) parla di un Ποσειδώνιον, che è probabilmente lo stesso edificio. 

Talvolta viene identificata con la Basilica Neptuni (q.v.), sebbene entrambi i nomi ricorrano nel Curiosum in Reg. IX. È possibile che il portico appartenesse a un tempio di Nettuno, sebbene Ποσειδώνιον non si riferisca necessariamente a un tempio, e non ci sono altre prove dell'esistenza di uno in questa regione. Questa porticus era una delle più frequentate a Roma (Mart. II.14.6; III.20.11; XI.1.12; HJ 574; Lucas, Zur Geschichte der Neptunsbasilica in Rom, Berlino 1904; GU 1912, 132 ss.).



PORTICUS ABSIDATUS

citata solo nella Notitia (Reg. IV) e nell'Ordo Benedicti del XII secolo​ (Urlichs 81; Jord. II.664). Il nome indica che fu costruito attorno alla curva interna di un'abside o esedra, forse quella adiacente all'estremità orientale del foro di Augusto, parte della quale è ancora esistente. 

La sua individuazione non è certa, ma si è supposto che fosse la grande esedra a ferro di cavallo alle spalle del muro perimetrale del Foro Transitorio, collocata in posizione concava rispetto al foro stesso, dotata di un lungo e ombroso colonnato.



RESTI DEL PORTICUS AEMILIA

PORTICUS AEMILIA - o Porticus in Aventino - o Porticus Gai et Luci - o Porticus Iulia - o Porticus extra Portam Trigeminam -

(a) extra portam Trigeminam, costruita dagli edili L. Emilio Lepido e L. Emilio Paolo nel 193 a.c. (Liv. XXXV.10.12), e restaurata nel 174 dai censori Q. Fulvius Flaccus e A. Postumius Albinus (Liv. XLI.27.8). Tito Livio dice anche di questi censori — et extra eandem portam in Aventinum porticum silice straverunt et eo publico ab aede Veneris fecerunt, il che sembra significare che pavimentarono un altro porticus che andava dalla porta Trigemina al tempio di Venere Obsequens, sul pendio dell'Aventino, vicino all'estremità inferiore del Circo Massimo. 

Cinque anni prima, nel 179 a.c., il censore M. Fulvius Flaccus avrebbe stipulato un contratto per un porticus extra portam Trigeminam (Liv. XL.51.6). Non si sa quale connessione avessero tra loro, o con l'Aemilia (HJ 173, 174; Merlin 251). Per i resti attribuiti a questo edificio, vedi Emporium.

(b) Una porta Fontinali ad Martis aram (Liv. XXXV.10.12) costruita contemporaneamente a (a). La sua esatta ubicazione dipende da quella della Porta Fontinalis (q.v.) e dell'Ara Martis (q.v.), e comunque non sarebbe molto a nord del Campidoglio, né lontano dal tracciato della Via Lata (CP 1908, 66 -73).

Secondo alcuni l'edificio in opus incertum a Testaccio, comunemente identificato con la porticus Aemilia, era destinato ad accogliere persone e merci, ma non per un tempo prolungato: la porticus, in accordo con la sua radice etimologica porta/portus, sarebbe stata un luogo di transito. Tuttavia, la parete posteriore dell'edificio, priva di ingressi, smentisce questa ricostruzione e avvalora l'identificazione come rimessa repubblicana.

Le lettere mancanti dell'iscrizione preliminare sul frammento 24 b della Forma Urbis sono di scarsa rilevanza e non giustificano la confutazione dell'identificazione come navalia. È probabile che l'attuale porticus Aemilia, uno dei numerosi portici costruiti nella prima metà del II secolo a.c., fosse semplicemente una strada porticata, situata tra il Forum Boarium e il Tevere.


Il Portico Commerciale

La Porticus Aemilia era un portico commerciale di Roma antica utilizzato come magazzino e situato all'Emporium, il porto fluviale cittadino a sud dell'Aventino, un vasto complesso di magazzini demaniali che dà l'idea dell'imponenza dei commerci che Roma gestiva nel Mediterraneo.
I suoi resti si trovano oggi tra via Beniamino Franklin e via Marmorata. Alcuni muri superstiti, in opera incerta di tufo, sono tutt'ora visibili in via Branca, in via Rubattino e in via Florio.

Edificata dai consoli Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo della Gens Aemilia, già costruttrice della bellissima Basilica Aemilia, e venne completata nel 174 a.c. L'edificio era molto grande, lungo ben 487 m, largo 60 e suddiviso in più ambienti da 294 pilastri, che creavano sette file (nel senso della profondità) e 50 navate, ciascuna coperta da un serie di volticelle sovrapposte e larghe 8,30 m, per una superficie coperta di 25000 mq.

L'edificio era in strettissima relazione col porto dell'Urbe, distante circa 90 m dal fiume e qui venivano immagazzinate le merci scaricate dalle imbarcazioni che rifornivano tutta la città. A livello architettonico la tipologia di edifici utilitari rientrava in un campo molto ambito dagli architetti romani poiché potevano largamente sperimentare i materiali da costruzione scoprendone nuove applicazioni. In epoca traianea o più tarda altri edifici si interposero tra il fiume e la porticus.

L'edificio si estendeva tra l'odierna via Marmorata e via B. Franklin, digradando verso il fiume in quattro "navate" longitudinali, così che ognuna di esse potesse prendere luce da aperture poste al di sopra del corpo antistante. 

Nulla resta dei moli e delle scale verso il fiume di età repubblicana, imputabili, secondo Livio, agli stessi censori impegnati nei restauri del 174 e radicalmente trasformati in età traianea.

Gli ambienti visibili sull'argine del fiume, alte circa 4 m, costituivano l'argine e il corpo più avanzato della città annonaria, l' Emporium vero e proprio. In seguito tutta la pianura del Testaccio, man mano che crescevano i bisogni della città, si andò riempiendo di magazzini annonari.

Quando, a partire dai Gracchi, ebbero inizio le distribuzioni gratuite di grano ed altri generi alimentari alla popolazione, fu necessario costruire altri magazzini: sorsero così gli Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, Aniciana, dai nomi dei consoli in carica al momento della costruzione o dal nome dei proprietari o del costruttore.

Tra questi si ricordano gli Horrea Galbana (o Sulpicia), sorti sulla proprietà della famiglia dei Sulpici. L'edificio, costruito interamente in reticolato di tufo, era organizzato intorno a tre grandi cortili rettangolari e porticati alle spalle della Porticus Aemilia, allungandosi fino a via Galvani. L'edificio fu restaurato dall'imperatore Galba ma la fase originaria può essere datata intorno al 100 a.c., come testimonia il sepolcro del console Sergio Sulpicio Galba.


PORTICUS APOLLINIS

Apollo, Palatinus, aedes (templum, Mon. Anc. IV.1; Prop. II.31.9; Festus, Velleius, Suet. Aug. 29 bis, Hist. Aug. Claud., Ammianus, Schol. Persius, Serv. Aen VI.72; delubrum, Plin. NH XXXVI.24, 32; Actia monumenta, Prop. IV.6.17), il secondo e di gran lunga il più famoso tempio di Apollo a Roma (Asc. in Cic. orat. in tog. cand. 90; his temporibus nobilissima), sul Palatino entro il pomerium, su un terreno colpito da un fulmine e quindi reso demanio pubblico (Cass. Dio XLIX.15.5). 

Fu promesso da Augusto nel 36 a.c. durante la sua campagna contro Sesto Pompeo, iniziata nello stesso anno, e dedicata il 9 ottobre a.c. 28 (Hor. Carm. I.31, scritto in occasione della sua dedicazione; e per riferimento al suo sito Ov. Fast. IV.951; Fest. 258; Suet. Nero 25); probabilmente rappresentata su una moneta di Caligola.

Questo tempio era il più magnifico degli edifici di Augusto, costruito con solidi blocchi di marmo bianco di Luni (Prop. II.31.9; Verg. Aen. VI .69; VIII.720, e Servius ad loc.; Ov. Trist. III.1.60), probabilmente prostilo esastilo o periptero e ottastilo. Lo spazio intercolonnare era pari a tre volte il diametro delle colonne (Vitr. III.3.4); sul tetto c'era un carro del sole (Prop. II.31.11) e statue di Bupalos e Atenis (Plin. NH XXXVI. 13); e le porte erano decorate con rilievi in avorio, uno raffigurante la liberazione di Delfi dai Celti, e l'altro la sorte dei Niobidi (Prop. II.31.12‑16). 

Davanti all'ingresso del tempio c'era una statua marmorea del Dio e un altare circondato da quattro buoi di Mirone. Nella cella c'erano una statua di Apollo di Scopa (Plin. NH XXXVI.25), una di Diana di Timoteo (ib. 32) e di Latona di Cefisodoto. 



PORTICUS BONI EVENTUS

costruito o restaurato da un certo Claudio, prefetto della città nel 374 d.c (Amm. Marcell. XXIX.6.19), intorno al tempio di Bonus Eventus. Cinque grandi capitelli di marmo bianco, alti m. 1,70, rinvenuti tra l'attuale chiesa di S. Maria in Monterone e il Teatro Valle, potrebbero appartenere a questo portico e segnarne così la posizione. Questo sito faceva probabilmente parte dell'area occupata in precedenza dallo stagnum e dagli horti di Agrippa (HJ 581; Hülsen, Thermen des Agrippa 33, 43; BC 1891).



PORTICO di CAIO E LUCIO CESARI

I resti dell'Arco di Gaio e Lucio Cesari si trovano nel Foro Romano, a Roma. Si trattava di un piccolo portico che metteva in comunicazione il tempio del Divo Giulio con la basilica Emilia.

L'arco venne eretto da Augusto per necessità propagandistiche e dinastiche, in quanto era dedicato ai due nipoti del principe Gaio e Lucio Cesare, che avrebbero dovuto succedergli, ma entrambi morirono prematuramente. L'arco, che è andato perduto in epoca imprecisata, si trovava posto simmetricamente all'Arco di Augusto.



PORTICUS in CAPITOLIO 

Publio Scipione era stato ritenuto un ottimo uomo dal senato e come censore aveva costruito un portico sul Campidoglio.



PORTICUS CATULI

costruito da Quinto Lutazio Catulo accanto alla sua casa sul Palatino, dopo la sua vittoria sui Cimbri nel 101 a.C. Clodio ampliò l'area di questo porticus durante l'esilio di Cicerone,2 ma fu poi riportato alle originarie dimensioni con decreto del senato (Cic. de domo 62, 102, 114, 116, 137; de har. resp. 58; ad Att. IV.2.5; 3.2; Val. Max. VI.3.1; HJ 57, 58).



PORTICUS CLAUDIA - DIVUS CLAUDIUS, TEMPLUM

Tempio del divinizzato Claudio sul Celio, iniziato da Agrippina, quasi interamente distrutto da Nerone e ricostruito da Vespasiano (Suet. Vesp. 9: fecit et nova opera. . . templum divi Claudi in Caelio monte, coeptum quidem ab Agrippina sed a Nerone prope funditus destructum). Questa distruzione fu probabilmente dovuta, almeno in parte, alla costruzione della stazione di distribuzione dell'aqua Claudia, che Nerone estese al Celio (Frontin. de aquis I.20; II.76).

Una parte di essa potrebbe essere stata sacrificata alla domus Aurea, che si estendeva nell'angolo nord-occidentale del Celio di fronte al Colosseo, dove sorgeva questo tempio, oggi occupato dai giardini dei Padri Passionisti. 

Esisteva anche un porticus Claudia (Mart. de spect. 2.9-10: Claudia diffusas ubi porticus explicat umbras/Ultima pars aulae deficientis erat), che si trovava chiaramente appena dentro i limiti della domus Aurea, e che sarebbe stata più naturalmente collocata sul Celio in connessione con il tempio di Claudio (FUR p33; cfr. Mnemosyne, cit. 

Tre frammenti della pianta di marmo appartengono probabilmente insieme e rappresentano parti di questo tempio e degli edifici dell'acquedotto, ma non contengono alcuna indicazione di una porticus (Mitt. 1903, 20). Tuttavia, è probabile che la porticus Claudia circondasse il tempio.

L'ultima menzione del tempio risale al IV secolo (Not. Reg. II), anche se una bolla di Onorio III del 1217 parla di formae et alia aedificia positae intra clausuram Clodei. Nulla si sa della storia della sua distruzione. Era esastilo prostilo, rivolto a nord, su un alto ed esteso podio, di cui sono state scavate e sono ora visibili alcune sostruzioni, diverse sui vari lati del podio: quelle a ovest sono doppie file di archi in travertino con colonne e trabeazione innestate; quelle a nord contengono serbatoi per l'acqua; e quelle a est sono costituite da recessi alternativamente quadrati e semicircolari separati dal podio da stretti passaggi (probabilmente intercapedini). 

Le nicchie sono divise l'una dall'altra da strette nicchie semicircolari a gruppi di tre. Questa differenza di stile e costruzione è dovuta alla combinazione di tempio e ninfeo che fu il risultato del restauro di Vespasiano.



PORTICUS in CLIVO CAPITOLINO

il principale accesso all'Arx e al Capitolium. In origine si trattava di un sentiero, in pratica una continuazione della Sacra via, che saliva ripidamente dall'angolo occidentale del foro fino alla depressione, Inter duos Lucos, dove si divideva. Alla fine dell'epoca regia il sentiero che portava alla depressione, con la diramazione per il Capitolium, fu trasformato in una strada adatta ai veicoli, e da allora fu chiamato clivus Capitolinus (Liv. III.18.7, 19.7; Serv. Aen. II.116; VIII.319; Plin. NH XIX.23; Vell. II.3.2). 

Nel 174 a.c. fu pavimentata dai censori Q. Fulvius Flaccus e A. Postumius Albinus e fu costruito un porticus sul lato destro della strada che dal tempio di Saturno portava al Capitolium (Liv. XLI.27.7; Tac. Hist. III.71). È probabile, tuttavia, che questa porticus non si estendesse al di sotto dell'avvallamento in tempi successivi. Nel 190 a.c. Scipione eresse un arco decorativo sulla sommità del clivus (Liv. XXXVII.3).

Questo era l'unico mezzo di accesso al mons Capitolinus, a parte le rampe di scale - Centum Gradus, Gradus Monetae (?) - e offriva un luogo comodo per comandare il foro con le truppe (Cic. pro Sest. 28; post red. 12; Phil. ii.16, 19; ad Att. II.1.7). Lungo una parte di esso, probabilmente Inter duos lucos, vi erano case private (Cic. pro Mil. 64: domus in clivo Capitolino scutis referta).

Il clivus inizia vicino all'arco di Tiberio, all'angolo della basilica Iulia. Qui si conservano alcuni archi dell'epoca di Silla, che lo sostenevano e una strada che si diramava da esso (da alcuni sono stati erroneamente spiegati come i Rostra (q.v.; cfr. Mitt. 1902, 13-16; HC 71). Quindi costeggia la facciata nord e il lato ovest del tempio di Saturno, compiendo una brusca svolta all'angolo della porticus deorum Consentium, e sale verso l'Asilo con una pendenza media di 1:8. 

Parte della parete posteriore della porticus funge da fondamenta per il clivus, ma il suo andamento superiore è stato modificato da strutture più recenti. Porzioni della pavimentazione lavica del clivus sono ancora presenti in vari punti vicino al fondo della salita, tra cui un piccolo pezzo attribuibile al 174 a.c. e un altro attribuibile a Silla.

Mentre quella davanti al tempio è uno dei migliori esempi di pavimentazione augustea a Roma, essendo stata conservata dall'erezione su di essa della chiesa dei SS. Sergio e Bacco p123 (vedi Sacra Via). Un altro pezzo della sua pavimentazione è visibile a sud della porticus Deorum Consentium (buona parte è nascosta dalla strada moderna) e un altro a sud-ovest del Tabularium (KH IV.).

Non rimane traccia della parte superiore del clivus o del ramo che conduceva all'arx, che inizialmente era il più importante dei due. È probabile che il clivus raggiungesse le sostruzioni dell'area capitolina sul suo lato nord-est, poi girasse ad angolo retto e con un'ascesa piuttosto ripida, forse di 1:15, aggirasse l'angolo sud dell'area e vi entrasse dal lato sud-est. La Porta Stercoraria (q.v.) si trovava probabilmente non molto al di sopra del tempio di Saturno.



PORTICUS COSTANTINI

Menzionato solo in Not. (Reg. VII), ma senza dubbio costruito da Costantino in connessione con le sue Thermae. La sua esatta ubicazione è incerta (LF 15; HJ 460; Mon. L. I.474; BC 1914, 91) ma l'ultima delle grandi terme di Roma, costruita da Costantino sul Quirinale, probabilmente prima del 315 (Aur. Vict. Caes. 40: a quo ad lavandum institutum opus ceteris haud multo dispar; Not. Reg. VI). 

Subirono un grave incendio e un terremoto e furono restaurate nel 443 dal prefetto della città Petronius Perpenna Magnus Quadratianus (CIL VI.1750); in quell'occasione è probabile che le statue colossali dei Dioscuri e dei cavalli, oggi nella piazza del Quirinale, fossero collocate all'interno delle terme (Mitt. 1898, 273-274; 1900, 309-310). L'unico altro riferimento a queste terme nella letteratura antica è in Ammiano Marcellino (XXVII.3.8: cum collecta plebs infima domum prope Constantinianum lavacrum iniectis facibus incenderat), ma sono menzionate in Eins. (1.10; 3.6; 7.11).

Furono costruite nello spazio irregolare tra il vicus Longus, l'Alta Semita, il clivus Salutis e il vicus laci Fundani, e poiché questo si trovava su una collina laterale, fu necessario creare un livello artificiale, al di sotto del quale sono state trovate le rovine di case del II, III e IV secolo (BC 1876, 102-106; cfr. anche Domus T. Avidii Quieti (b), Muciani). A causa di queste condizioni particolari, queste terme si differenziavano in pianta da tutte le altre della città. 

All'inizio del Cinquecento la struttura era in piedi a sufficienza per consentire l'elaborazione di progetti e disegni da parte degli architetti dell'epoca, che sono le fonti principali della nostra conoscenza dell'edificio (Serlio, Architettura III.92;1 Palladio, Le Terme, pl. XIV; Dupérac, Vestigii, pl. 32; LS III.196-197; Ant. van den Wyngaerde, BC 1895, pls. VI-XIII; HJ 439, n131). I resti furono quasi interamente distrutti nel 1605-1621, quando fu costruito il Palazzo Rospigliosi, ma alcune tracce furono ritrovate un secolo dopo  e dal 1870.

Le terme erano orientate a nord e a sud (cfr. LF 16) con un ingresso principale al centro del lato nord. Poiché la struttura principale occupava tutto lo spazio tra le strade a est e a ovest, il peribolo ordinario fu sostituito da un recinto che si estendeva su tutta la facciata ed era delimitato a nord da una linea curva, area oggi occupata dal Palazzo della Consulta. L'altro ingresso principale si trovava sul lato ovest, dove una magnifica scalinata scendeva dalla cima della collina fino al Campo Marzio. 

Il frigidarium sembra avere avuto il suo asse maggiore a nord e a sud anziché a est e a ovest, e dietro di esso si trovavano il tepidarium e il caldarium, entrambi di forma circolare. A causa della relativa ristrettezza dell'edificio, la disposizione ordinaria delle anticamere su ciascun lato del caldarium non fu realizzata.

Sul sito di queste terme sono state rinvenute alcune opere d'arte degne di nota, tra cui le statue bronzee di pugile e atleta oggi conservate al Museo delle Terme2 (HF 1347, 1350; PT 195-197; Lanciani, Roma antica, frontespizio e pp. 302-307); due statue di Costantino, una nel pronao del Laterano e l'altra nella piazza del Campidoglio con una statua del figlio Costanzo (CIL VI.1148 -1150; MD 1346; HF I. p411); e alcuni affreschi, fino a poco tempo fa nel Palazzo Rospigliosi (Matz-Duhn 4110; PBS VII.40-44) e ora nel Museo delle Terme (BA 1925, 147-163), che appartengono a un edificio precedente, forse la Domus Claudiorum.



PORTICUS CREPEREIA

sembra menzionata in un'iscrizione (CIL VI.675 = 30810), ma con molti dubbi.



PORTICUS CURVAE o Domus Palmata, Forum Traiani, ad Palmam - o Porticus Purpuretica -

Forum Traiani l'ultimo, il più grande e il più grandioso dei fori imperiali, costruito da Traiano con l'assistenza dell'architetto greco Apollodoro e dedicato, almeno in parte, al 113  circa (Cass. Dio LXVIII.16.3; LXIX.4.1; Vict. Caes. 13.5: adhuc Romae a Domitiano coepta forum atque alia multa plusquam magnifice coluit ornavitque, che può forse significare che l'opera fu progettata e forse iniziata da Domiziano; cfr. S. Sculpt. 149; SScRº 135; NS 1907, 415; CQ 1908, 144). 

Quando fu completato da Traiano era composto dal foro vero e proprio, dalla basilica Ulpia, dalla colonna di Traiano e dalla biblioteca, e si estendeva dal foro Augustum verso nord-ovest, tra il Campidoglio e il Quirinale, con lo stesso orientamento degli altri fori imperiali. A differenza di questi ultimi, non conteneva un tempio centrale di cui costituiva una porticus virtuale (per il possibile significato del sacello Libertatis, si veda più avanti). 

Dopo la morte di Traiano, tuttavia, Adriano eresse il grande tempio di Traiano sul lato nord-occidentale della biblioteca (Hist. Aug. Hadr. 19.9; CIL VI.966, 31215), che d'ora in poi costituiva parte integrante dell'insieme del foro, rendendolo in qualche modo conforme al tipo imperiale.

Sebbene le mura del foro di Traiano e del foro di Augusto sembrino essere state separate da una breve distanza, dovevano essere collegate almeno da un ampio viale, e così il progetto di Cesare di collegare il forum Romanum e il campus Martius (Cic. ad Att. IV.16.8) fu finalmente realizzato.

La costruzione del foro di Traiano richiese molti scavi e livellamenti. Lo spazio aveva una larghezza di 185 m e la lunghezza estrema di circa 310 m. L'iscrizione sul piedistallo della colonna Comparetti, RL 1906, 570-588; Cfr. la sintesi di Nazari (loc. cit. 595) "In realtà, questo studio dovrebbe piuttosto intitolarsi Le vicende di un monte che si credeva esistesse fino a tempi recenti, fu negato da Boni che lo sostituì al vicino Quirinale, fu idealmente ricostituito da Comparetti con marmi portati dall'Egitto, dalla Libia e da altri paesi lontani e vicini, divenne da Ramorino un monte di capolavori artistici, fu elevato da Sogliano scaricando rifiuti e detriti poi portati via da Traiano, e infine fu ridotto a bastione da Mau")..

Il foro vero e proprio era una corte rettangolare (Gell. XIII.25.2: in area fori) larga 116 m e lunga 95 (secondo LF 22, che colloca il muro sud-est del foro 25 m più lontano dal forum Augustum rispetto ad altri topografi), racchiusa da un muro di peperino rivestito di marmo, tranne che sui lati, dove grandi emicicli, profondi 45 m, sporgevano verso l'esterno. Intorno a tre lati si trovava un colonnato di diversi tipi di marmo, singolo a sud-est e doppio a nord-est e sud-ovest. 

L'ingresso dell'area si trovava al centro del lato sud-est, di fronte al foro di Augusto, dove nel 116, anno della morte di Traiano, il senato eresse un magnifico arco per commemorare le sue vittorie in Dacia (Cass. Dio LXVIII.29). Questo arco è rappresentato sulle monete (Cohen, Traj. 167, 169) come singolo, ma con tre colonne su ogni lato del passaggio e nicchie tra le colonne. Era sormontato da un carro a sei cavalli, sul quale si trovava l'imperatore incoronato dalla Vittoria (Baumeister, Denkmaler, fig. 1974). 

Sul tetto del colonnato c'erano statue dorate di cavalli e stendardi militari, ricavati dal bottino di guerra (Gell. XIII.25), e al centro dell'area c'era una statua equestre in bronzo dello stesso Traiano (Amm. Marcell. XVI.10.15: in atrio medio; Cohen, Traj. 1, 2) Su ogni lato c'era un arco più piccolo; e i tre ingressi corrispondevano a quelli della basilica Ulpia. 

Uno dei colonnati di questo foro era chiamato porticus Purpuretica, probabilmente perché le colonne erano di porfido (Hist. Aug. Prob. 2; (ma cfr. SHA 1916, 7.A, 9; 1918, 13.A, 46, dove questa affermazione è definita una pura invenzione); CIL XV.7191; BCr 1874, 50).

Negli spazi intercolonnari dei portici, e forse qua e là nell'area, Traiano e i suoi successori collocarono le statue di molti illustri statisti e generali (Hist. Aug. Marci 22.7; Alex. Sev. 26.4: statuas summorum virorum in foro Traiani conlocavit undique translatas). Un gran numero di iscrizioni su queste statue sono state rinvenute all'interno del foro, alcune delle quali affermano che furono collocate "in foro Traiani" (M. Claudius Fronto, CIL VI.31640, M. Bassaeus Rufus 1599, Claudian the poet 1710,a Flavius Eugenius 1721, Fl. Peregrinus Saturninus 1727). 

In questo foro si riunivano i consoli e presumibilmente altri funzionari (Gell. XIII.25.2) e si liberavano gli schiavi (Sid. Apoll. Carm. 2.544-545); qui Adriano bruciava le banconote dei debitori dello Stato (Hist. Aug. Hadr. 7.6), Marco Aurelio vendeva i tesori del palazzo imperiale per pagare le spese di guerra (Hist. Aug. Marc. 17.4; 21.9; Eutrop. VIII.13 ; ep. de Caes. 16.9), e Aureliano bruciò le liste dei proscritti (Hist. Aug. Aurel. 39.3; cfr. Cass. Dio LXXI.32.2); e qui le leggi erano spesso fissate su tavolette di bronzo (cfr. cod. Teodos. XIV.2.1: proposita in foro Traiani; Leges Novellae Valentiniani III, ed. Meyer-Mommsen 19.4). 

Fino al 353 i senatori tenevano il loro denaro e l'argento in casse in questo foro e il luogo di deposito era chiamato Opes (Schol. Iuv. 10.24). Il foro è rappresentato sulle monete (Cohen, Traj. 167-169) ed è menzionato nel Reg. (Reg. VIII, app.; Pol. Silv. 545).

L'emiciclo sul lato nord-est dell'area del foro è stato parzialmente scavato (NS 1907, 414-427). Costruito in mattoni ornamentali con rifiniture in travertino, è costituito principalmente da due piani di camere addossate direttamente al fianco del colle Quirinale (Ill. 30). Le stanze al piano terra, che probabilmente erano botteghe, si aprono sulla pavimentazione marmorea del foro. Al di sopra del primo piano si trova una galleria con pilastri tuscanici, nella quale si aprono le stanze del secondo piano. 

Al di sopra di questa galleria si trovava un altro piano, la cui facciata non era a filo con quella inferiore, ma arretrata rispetto al pendio della collina. Lo spazio semicircolare davanti a questo emiciclo era pavimentato con marmo bianco e circondato da un colonnato decorato con trofei in bronzo dorato.

Ancora più in alto, al livello superiore del Quirinale, si trova una serie di sale, oggi occupate dalla caserma della Milizia, a cui si accede tramite gradini dal livello del foro. Il nome medievale Magnanapoli è ritenuto da alcuni una corruzione di Balnea Pauli, ma si tratta di una mera invenzione cinquecentesca, basata su una falsa lettura di Giovenale VII.233 (cfr. Balineum Phoebi.) Cfr. Adinolfi, Roma nell'età di mezzo, II.43, 47.

Hülsen cita un privilegio del 938 che parla di Adrianus quondam de banneo Neapolim3; e il nome ricorre nelle forme mons Balnei Neapolis e mons Manianapoli nel XIII secolo (HCh 351). Qui doveva trovarsi la chiesa di S. Salvator de Divitiis o in Cryptis (HCh 438).

Due disegni mostrano una porzione del muro di cinta meridionale del foro vero e proprio, in blocchi di marmo bianco e decorato con un colonnato interno come il Foro Transitorium, con una linea di tabernae all'esterno. Il fregio con grifo e amorini, ora in Laterano (SScR 150, pl. 33), apparteneva a questo muro (Bartoli, in Mem. AP 1.ii.177-192), e dal suo stile è stato attribuito al periodo di Domiziano. 

Il nome porticus curva (Cassiod. Var. IV.30) dovrebbe probabilmente essere applicato all'emiciclo sud-occidentale di questo foro, e non all'abside del Secretarium Senatus; si veda Curia Iulia (p146). Sul lato nord-ovest dell'area del foro si trovava la basilica Ulpia (probabilmente completata nel 112 d.C.), di forma rettangolare con absidi alle estremità. Il suo pavimento era più alto di un m rispetto al livello dell'area e vi si accedeva tramite rampe di scale in giallo antico. L'ingresso principale era al centro del lato est, dall'area del foro, dove si trovava una facciata decorativa. 

Questa consisteva in una fila di dieci colonne, probabilmente di marmo giallo, nella linea del muro, con altre sei davanti su tre piattaforme sporgenti. Queste colonne sostenevano una trabeazione e degli attici su cui si trovavano quadrighe e statue di triumphatores. La quadriga centrale era scortata dalle Vittorie. La grande aula della basilica era circondata da una doppia fila di colonne, 96 in tutto, probabilmente di marmo bianco o giallo, con capitelli corinzi, che formavano due navate larghe 5 m e sostenevano una galleria su entrambi i lati della navata e alle estremità.

La navata centrale era larga 25 m, mentre la lunghezza totale del rettangolo, senza le absidi, era di circa 130 m. Le pareti della basilica erano rivestite di marmo e il tetto era in legno ricoperto di bronzo, che viene citato da Pausania come una delle caratteristiche più notevoli dell'intera struttura. La parte centrale della basilica è stata scavata, ma le colonne di granito frammentarie che si trovano oggi non appartengono a questo luogo, sebbene siano state collocate sulle basi originali. 

Una parte della pavimentazione originale in marmo bianco è ancora in situ (Lesueur, La Basilique Ulpienne, restauration executéeº en 1823, Paris 1878; cfr. D'Esp. Fr. I.78). I frammenti architettonici oggi visibili nel foro non sono stati assegnati correttamente alle sue varie parti (Toeb. I.62-66). Per i rilievi attribuibili al fregio che furono utilizzati per la decorazione dell'arco di Costantino, mentre altri frammenti si trovano a Villa Medici e al Louvre.

Su uno dei frammenti della Pianta di Marmo, nell'abside nord-orientale della basilica, si trova l'iscrizione LIBERTATIS; e Sidonio Apollinare (Carm. II.544, 545: nam modo nos iam festa vocant et ad Ulpia poscunt / Te foro donabis quos libertate Quirites) sembra riferirsi a questo santuario e indicare che qui si svolgeva la cerimonia di manomissione degli schiavi, precedentemente eseguita nell'Atrium Libertatis. Si trattava probabilmente di un sacello, non di una semplice statua, e la sua presenza può indicare che questa dea era riconosciuta come la divinità che presiedeva questo foro, scelta significativa del carattere liberale dell'imperatore.



PORTICUS DECII

una possibile porticus dell'imperatore Decio, la cui esistenza si basa su un restauro congetturale di un'iscrizione frammentaria (CIL VI.1099; LF 21). Questa iscrizione è stata trovata tra la fine del circo Flaminio e il Campidoglio, insieme ad alcuni resti architettonici che non sono stati scavati (HJ 555).

(CIL VI.960: senatus populusque Romanus imp. Caesari divi Nervae f. Nervae Traiano . . ad declarandum quantae altitudinis mons et locus tan<tis oper>ibus sit egestus) in relazione a un passo di Cassio Dio si riteneva che l'altezza della colonna (100 piedi romani) fosse quella di una cresta tra il Campidoglio e il Quirinale che doveva essere tagliata, ma le prove geologiche hanno dimostrato che non è mai esistito. 

Ciò è stato confermato dalla scoperta di un'antica strada e di case del primo impero sotto le fondamenta della colonna (NS 1907, 389-410, 414-427; CQ 1908, 141-144). Alla luce di questo fatto sono stati fatti vari tentativi per spiegare l'iscrizione, e soprattutto il mons, in qualche altro modo (Boni, NA 1906, 1 nov.; Proceedings of the British Academy III. 1907, 93-98; Binder, Die Plebs, Leipzig 1909, 42-51).





PORTICO degli DEI CONSENTI

Il Portico degli Dei Consenti (Porticus deorum consentium) è un portico situato nel Foro Romano, nei pressi del Tabularium. Originariamente costruito forse nel II o III secolo a.c., come può testimoniare un frammento di muro in tufo (TF 55, 56), ma, nella forma attuale, dovuta a uno degli imperatori Flavi, come dimostra la costruzione (AJA 1912, 411, 414), e restaurata nel 367 da Vettius Praetextatus, prefetto della città e vigoroso sostenitore del paganesimo. 

Questo restauro è documentato da un'iscrizione sull'architrave (CIL VI.102). I resti esistenti sono costruiti ad angolo contro la roccia sotto il Tabularium e il muro di sostegno del clivus Capitolinus, e consistono in due parti, una sottostruttura contenente sette piccoli ambienti, non illuminati e di uso incerto, e sopra di essi una piattaforma pavimentata in marmo, sulla quale si trova una fila di piccoli ambienti, alti 4 m e profondi 3,70, realizzati in calcestruzzo rivestito di mattoni. 

Sette di queste stanze sono state scavate e probabilmente ce ne sono altre cinque ancora interrate. Davanti ad esse si trova un portico di colonne corinzie che sostengono una trabeazione. 

Il colonnato è stato restaurato, ma la maggior parte della trabeazione e quattro delle colonne sono antiche. 

Le statue dei consentes si trovavano probabilmente negli intercolumni di questo colonnato. 

Secondo Varrone (RR I.1.4) le statue dorate di queste dodici divinità si trovavano nel foro stesso ai suoi tempi (Jord. I.2.366; HC 90; Théd. 162, 360).

Varrone ricorda come nel Foro erano erette 12 statue di Dei consentes, sei Dei e sei Dee, versione romana dei dodekatheon ("dodici dei") greci, ma anche degli Dei consentes etruschi. Gli Dei erano Giove-Giunone, Nettuno-Minerva, Apollo-Diana, Marte-Venere, Vulcano-Vesta, Mercurio-Cerere.

Nel 1834 venne scoperto alle pendici del Campidoglio, vicino al tempio di Saturno, un edificio di otto vani con pareti in mattoni disposti lungo due lati, a angolo ottuso, preceduto dai resti di un portico colonnato. Il colonnato venne rialzato e restaurato nel 1858, sostituendo le colonne mancanti con fusti di travertino. Probabilmente in sei di questi ambienti erano ospitate le statue degli Dei a coppia.

Un'iscrizione sull'architrave, con la dedica agli Dei Consenti dal praefectus urbi Vettio Agorio Pretestato in occasione del restauro del 367 d.c., l'ultimo intervento pubblico in Roma riguardante il culto pagano, riporta:

"Deorum consentium sacrosancta simulacra cum omni loci totius adornatione cultu in formam antiquam restituto
Vettius Praetextatus, vir clarissimus, praefectus urbi reposuit
curante Longeio vir clarissimus, consulari"

Il portico venne costruito probabilmente nel III o II sec. a.c., ma la sua forma attuale risale probabilmente ad una ricostruzione dell'epoca flavia. Con il restauro del 367 si era voluto lasciare una testimonianza in favore del paganesimo in un'epoca in cui il Cristianesimo era ormai dominante.

E' costituito da due ali di colonne in stile corinzio congiungentisi ad angolo ottuso che sorreggono un architrave. Le colonne di cipollino hanno le baccellature riempite con bastoncini, le liste tra le baccellature sono ornate similmente. I capitelli hanno trofei sui lati: l'esemplare meglio conservato si trova nel Tabulario Capitolino. Almeno le taverne, l'architrave e i capitelli appartengono allo stadio dell'epoca flavia, nonostante l'iscrizione del IV sec. 

PORTICUS DIVORUM

PORTICUS DIVORUM o Divorum Templum -

Divorum, aedes: tempio dei Divi, cioè degli imperatori divinizzati, sul Palatino, citato tre volte nelle iscrizioni degli Arvales come luogo di riunione (CIL VI.32379, 145 d.C.; 2087; 2104, 218 d.C.; DE I.177), e probabilmente citato da Cassio Dio (LXXVI.3: θεωρίαις τοῖς ἐν τῷ Παλατίῳ ἥρωσι πεποιημέναις 203). Sembra che questo fosse un nuovo tempio, che serviva per il culto collettivo dei divi Augusti, dopo che l'osservanza dei loro culti separati cominciò a cadere in disuso (HJ 81-82; WR 347; cfr. Gilb. III.131-133).



PORTICUS EUROPAE

vicino al Saepta, menzionato solo da Marziale (II.14.3, 5, 15; III.20.12; VII.32.11; XI.1.11). Il nome derivava da una pittura di Europa sulle sue pareti, o forse da un gruppo scultoreo di Pitagora (Neapolis II.231-253; AJA 1915, 483). Hülsen (HJ 458) la identifica con la porticus Vipsania, apparentemente perché c'è poco spazio per una seconda porticus nelle immediate vicinanze. Le descrizioni topografiche di Marziale mostrano che non era identico al Porticus Pompei.



PORTICUS FABARIA

menzionato solo nella Notitia della Regione XIII. Era probabilmente la sede dei commercianti di fagioli, situata nel quartiere dei magazzini, a sud-ovest dell'Aventino.



PORTICUS GALLIENI

l'imperatore Gallieno avrebbe progettato una porticus fuori dalla porta Flaminia, che si sarebbe dovuta estendere fino al pons Mulvius, ma questo progetto non fu mai realizzato (Hist. Aug. Gall. 18).



PORTICUS GORDIANI

una struttura che Gordiano III avrebbe voluto costruire ai piedi del Pincio, lunga 1000 piedi, abbastanza grande da estendersi fino alla via Flaminia (Hist. Aug. Gord. 32). Secondo Domaszewski (SHA 1916, 7.A, 9), si tratta di una semplice invenzione (la lunghezza è tratta da Suet. Nero 31), anche se il sito corrisponde a quello del templum Solis. Cfr. tuttavia Mem. L. 5.xvii.531.



PORTICUS ILICII

costruita nel V secolo dal presbitero Ilicius sul vicus Patricius, tra la primitiva chiesa di S. Pudenziana e il sito della successiva S. Lorenzo in Fonte. Alcuni resti sono ancora presenti sotto le case di via del Bambin Gesù (LR 393; HJ 340; BCr 1867, 53).



PORTICUS inter LIGNARIOS

costruito nel 192 a.c. extra portam Trigeminam (Liv. XXXV.41.10) con le multe pagate dagli usurai condannati, ed evidentemente destinato a coloro che si dedicavano al commercio del legname che veniva scaricato in questo punto della riva del fiume (HJ 174; Merlin 251).


PORTICUS LIVIAE

Il portico di Livia, porticus Liviae, era un portico edificato da Augusto in onore della moglie Livia Drusilla. Nel 15 a.c. Augusto diede inizio alla costruzione del portico sulla casa di Publio Vedio Pollione, un ricco liberto suo consigliere di cui aveva ereditato i beni. I lavori terminarono nel 7 a.c., quando il complesso fu dedicato da Livia e dal figlio Tiberio in occasione del trionfo di questi.

Il portico era situato sul versante settentrionale del colle Oppio, a sud del clivus Suburanus, nella zona compresa tra questa strada e le posteriori terme di Traiano. Il portico era rettangolare, lungo 115 m e largo 75 m, con un muro esterno e una doppia fila di colonne all'interno. 

L'ingresso era a nord, dove una scalinata larga 20 m conduceva al clivus Suburanus. Al centro dell'area si trovava qualcosa che sembra essere una fontana, ma che potrebbe essere l'Aedes Concordiae costruita da Livia. Questo portico era molto popolare e magnifico (Ov. AA I.71; Plin. NH XIV.11; Plin. Ep. I.5.9; Strabone V.236), il più importante della città dopo quelli del campus Martius (HJ 315-316; BC 1886, 270-274; DE II.2160). È ancora citato in Not. (Reg. III), ma non ne sono mai venuti alla luce i resti.

Ciascuno dei lati lunghi aveva tre nicchie, una quadrata le altre due semicircolari; un'abside semicircolare si apriva sul lato meridionale, mentre l'ingresso era sul lato settentrionale, dove una scalinata larga 20 m portava al clivo Suburano. Al centro era eretta una struttura, identificabile con una fontana o, forse, con l'altare della Concordia eretto da Livia.

Il portico era magnifico e popolare, il più importante della città dopo quelli del Campo Marzio. Era ancora menzionato nella Notitia (Regio III). Nel 1984 degli scavi hanno riportato alla luce resti del piano di calpestio pre e post-intervento augusteo: il portico era ancora in uso nel V sec., mentre nel VI sec. fu usato per le sepolture.



PORTICUS MARGARITARIA

menzionato solo in Not. (Reg. VIII). Poiché vi sono numerose iscrizioni che si riferiscono a gioiellieri (CIL VI.9207, 9221, 9239, 9418, 9419), tra cui margaritarii, che avevano botteghe "de Sacra via", si suppone spesso che la porticus Margaritaria potesse trovarsi sulla Sacra via, anche se le iscrizioni sono tutte del primo periodo imperiale. 

Nello spazio tra questa strada e la via Nova, e a est dell'Atrium Vestae, si trovano massicce fondamenta dell'epoca di Nerone (AJA 1912, 406; 1923, 383 sqq.; Mem. Am. Acad. V.115-126) e resti di muri in mattoni più tardi. I primi appartengono a una porticus molto grande, che fungeva da accesso dal foro al vestibolo della domus Aurea. 

Il pavimento di questo edificio era indiviso, tranne che per i suoi pilastri di travertino, ma in seguito furono eretti muri divisori in mattoni. Sebbene la struttura principale sia stata certamente convertita in horrea, è possibile che una parte di essa, come pensa Lanciani, sia diventata ancora più tardi la porticus Margaritaria, nonostante le obiezioni di Hülsen (AA 1900, 9; 1902, 51; Mitt. 1902, 95; HJ 15), che concorda con Jordan (I.2.476) nel collocare la porticus al confine della Regione VIII, tra il forum Boarium e il forum Holitorium.



PORTICUS MAXIMAE

costruito intorno al 380 lungo la strada, forse la Via Tecta, che dal teatro di Balbus portava al pons Aelius (CIL VI.1184). Frammenti di colonne di granito sono stati rinvenuti nella via dei Cappellari e nei pressi di Piazza Farnese (Ann. d. Inst. 1883, 21; NS 1880, 81; LF 20; HJ 597) così come in Piazza del Pianto e in Via della Reginella, che potrebbero appartenere a questi portici (cfr. anche BC 1911, 88), e numerose colonne e frammenti architettonici tra il Corso Vittorio Emanuele e le Vie Sora e del Pellegrino (NS 191, 39-40; 1923, 247; PT 62).



PORTICUS MELEAGRI

menzionato solo nella Notitia della Regione IX. Si trovava vicino ai Saepta, ai quali forse apparteneva, e probabilmente il suo nome derivava da una statua o da un dipinto.



PORTICUS METELLI

costruito nel 147 a.c. da Quintus Caecilius Metellus Macedonicus dopo la vittoria campagna macedone intorno ai templi di Giove Statore e Giunone, eretti nello stesso periodo (Vell. I.11; II.1; Vitr. III.2.5). Si trovava tra il circo Flaminio e il teatro di Marcello e conteneva molte opere d'arte (Plin. NH XXXIV.31; XXXVI.42). Fu rimosso per far posto alla Porticus Octaviae.



PORTICUS MILIARENSIS - Horti Sallustiani -

i giardini dello storico Sallustio nella Regione VI. È possibile che il nucleo di questi giardini fosse costituito dagli horti che Cesare aveva posseduto ad portam Collinam. Sallustio vi spese gran parte delle ricchezze che aveva accumulato in Numidia, e probabilmente rimasero di proprietà della famiglia fino all'epoca di Tiberio, quando divennero proprietà imperiale (Tac. Ann. XIII.47; CIL VI.5863, 8670-8672; xv.7249-7250; Dig. XXX.39.8), ma sembra che fossero aperti ad alcuni, se non al grande pubblico. 

Erano uno dei luoghi preferiti da Vespasiano (Cass. Dio LXV.10.4) e da Aureliano (Hist. Aug. Aurel. 49). Qui morì Nerva (Cron. 146) e nel IV secolo erano ancora un luogo di villeggiatura (Incert. auct. Panegyr. in Const. 14 (ed. Teubn. 300,26)). Nel 410 fu saccheggiata dai Goti sotto Alarico (Procop. B. Vand. I.2).

In questi giardini c'era un conditorium, o volta sepolcrale (Plin. NH VII.75), e una porticus Miliarensis (Hist. Aug. Aurel. 49), costruita da Aureliano, in cui si esercitava con i suoi cavalli. Miliarensis dovrebbe significare lungo mille passi, e un portico di tale lunghezza doveva correre intorno ai giardini in varie direzioni. v. Domaszewski (SHA 1916, 7.A, 13) lo considera una mera invenzione del portico simile nella domus Aurea. Esisteva anche un tempio di Venus Hortorum Sallustianorum (CIL VI.122, 32451, 32468; BC 1885, 162), di cui non si sa altro. 

Negli Acta martyrum (cfr. Jord. II.124-5, 185, 410 per la letteratura) si fa riferimento a thermae, palatium, forum, tribunal e pyramis Sallustii, i nomi attribuiti più o meno correttamente ad alcuni degli edifici di questi giardini. Di questi la pyramis, identica a quella di Eins. (2.7; Jord. II.344; DAP 2.ix.396; cfr. però Mon. L. I.460; BC 1914, 373), è l'obelisco che fu eretto in età post-augustea (Amm. Marcell. XVII.4.16). 

Il confine orientale di questi horti era probabilmente la via Salaria vetus, e quello settentrionale la linea seguita in seguito dalle mura aureliane dalla porta Salaria verso ovest (Tac. Hist. III.82; CIL VI.35243; Jord. II.123; Mitt. 1891, 268; BC 1888, 9; HJ 433). A sud il confine doveva correre lungo il crinale del Quirinale, vicino alle Fortunae Tres (q.v.; cfr. Anth. Pal. app. iv.40), tra le mura serviane e il vicus portae Collinae (Via XX Settembre). Non si sa quanto i giardini si estendessero a ovest, probabilmente non oltre la piazza Barberini. 

All'interno di quest'area sono state rinvenute numerose opere d'arte e resti di varie strutture: un ippodromo nella valle tra il Pincio e il Quirinale con muri e terrazze che si estendevano sul pendio di quest'ultimo colle, un ninfeo nella parte nord-orientale e tre piscine (Mél. 1891, 167-170; LS passim; Schreiber, Villa Ludovisi, passim). Le uniche rovine oggi visibili sono quelle di un ninfeo alla fine della via Sallustiana, con un edificio adiacente di quattro piani (Middleton, II243-5, Rivoira, RA 96-99, che lo attribuisce al regno di Vespasiano).



PORTICUS MILIARIA

costruito da Nerone all'interno del recinto della domus Aurea (Suet. Nero 31: tanta laxitas ut porticus triplices miliarias haberet). Questa lettura sembra supporre che il portico fosse triplo e lungo un miglio, o che ci fossero tre portici, in ognuno dei quali si poteva fare una passeggiata di un miglio (vedi Porticus Triumphi).



PORTICO MINUCIA

PORTICUS MINUCIA

Il porticus Minucia era una struttura quadrangolare che racchiudeva i templi dell'area sacra di Largo Argentina a Roma, situati nel campo Marzio. Ben due portici si chiamarono così. Il primo è il Porticus Minucia Vetus, costruito nel 107 a.c. da Marco Minucio Rufo, discendente di Minucio Augurino titolare della colonna Minucia, in seguito al suo trionfo sulla popolazione trace degli Scurdisci.

Il secondo era il Porticus Minucia Frumentaria, dove si facevano le elargizioni di frumento alla popolazione, in realtà un raddoppiamento della Vetus, effettuato probabilmente all'epoca di Claudio, nella I metà del I secolo d.c.

In quell'epoca il portico arrivò a comprendere al suo interno anche il tempio delle Ninfe, in via delle Botteghe Oscure, e divenne il centro amministrativo di controllo e distribuzione di grano alla plebe.
Grazie a un frammento della Forma Urbis severiana si sono potuti identificare con certezza i resti ad est di Largo Argentina con il Porticus Minucia.

Costruito da M. Minucius Rufus, console nel 110 a.c. (Vell. II.8.3: per eadem tempora clarus eius Minuci qui porticus, quae hodieque celebres sunt, molitus est, ex Scordiscis triumphus fuit). Questo uso del plurale non è una prova che il porticus fosse però doppio o che ci fossero due edifici, poiché Velleius lo usa altrove per un unico porticus (II.1.2), come fanno altri scrittori (Plin. NH XXXV.114). 

In esso Antonius, e probabilmente altri funzionari, istituivano i loro tribunali (Cic. Phil. II.84: in porticu Minucia), ed è menzionato in Apuleius (de mundo 35: alius ad Minuciam frumentatum venit) e nella Historia Augusta (Commod. 16: Herculis signum aeneum sudavit in Minucia per plures dies). Nei calendari ricorre due volte (Praen. ad XI Kal. Ian., CIL I2 p238: laribus permarinis in porticu Minucia; Filoc. ad prid. Non. Iun., CIL I2 p266: ludi in Minicia; cfr. p338), e in diverse iscrizioni dei primi quattro secoli, ma sempre da solo e al singolare.

Chron colloca una Minucia vetus tra gli edifici di Domiziano, e Reg. ha (Reg. IX) porticus Philippi Minuciam veterem et frumentariam (Cur. Minucias duas veterem et frumentariam), cryptam Balbi. A quanto pare, quindi, al tempo di Domiziano si distingueva almeno una Minucia vetus da una Minucia più recente, presumibilmente la frumentaria della Notitia. Dal tempo di Claudio la distribuzione del grano al popolo avveniva nella porticus Minucia; la prima testimonianza è un'iscrizione del suo regno o di quello di Nerone (CIL VI.10223: Ti. Claudius Aug. lib. Ianuarius curator de Minucia die XIII ostio XLII).

Questo insieme ad altri due di pueri alimentarii (CIL p425 VI.10224 : frumentum accepit die X ostio XXXIX; 10225: frum(entum) ac(cepit) d(ie) VII ostio XV), la tarda ascrizione della frumentatio a Servio Tullio conservata nel Cronografo (p144: hic votum fecit ut quotquot annos regnasset tot ostia ad frumentum publicum constitueret), e una tessera di piombo con la scritta Minucia sul rovescio, dimostrano che la porticus Minucia era divisa in 45 ostia o sezioni, in cui determinati gruppi di persone ricevevano la loro dose in determinati giorni del mese. 

La pavimentazione del portico Vetus venne estesa a tutta l'area, confermando la datazione dei quattro templi del Largo Argentina, essendo le fondazioni di tre di essi al di sotto (quindi più antichi) e uno solo (il tempio B) successivo. Inoltre una menzione nel calendario di Preneste di un tempio dei Lari Permarini posto nella Porticus Minucia, ha permesso di identificare con sicurezza almeno uno dei quattro templi (il tempio D).

Il rapporto tra vetus e frumentaria è incerto, se si trattasse di edifici separati o di parti di uno, e quando fu eretto il secondo edificio. È naturale assegnare i frumentaria a Claudio, ma è curiosa l'assenza di qualsiasi differenziazione, se non nel Cronografo e nel Catalogo regionale (Hirschfeld, Phil. 1870).

Anche per il sito della porticus l'opinione attualmente prevalente è che ci fossero due edifici separati, vicino al porticus Philippi e al teatro di Balbus (cfr. Not.), uno dei quali, il vetus, racchiudeva il tempio dei Lares Permarini (fast. Praen. ) e forse quello di Ercole Custode (cfr. Hist. Aug. Com. loc. cit.), e quindi era situato a nord del circo Flaminio e a est del porticus Pompei, su entrambi i lati del torrente Petronia (AR 1909, 76, pl. I; KH II.). I frumentaria Hülsen li colloca poi circa 200 m a sud del vetus, e li identifica con le rovine vicino al sito della crypta Balbi.

In via dei Calderari, al n. 23, due pilastri in travertino con colonne innestate e la trabeazione sono incassati nella facciata della casa, e ci sono tracce di una seconda fila di colonne e di un muro retrostante. Disegni del XVI secolo mostrano che questo colonnato aveva un piano superiore, con colonne che si ergevano al centro degli archi sottostanti. Sono presenti anche blocchi di pavimentazione in travertino. Hülsen è inoltre propenso a far derivare il nome di S. Maria de Publico, oggi nota come S. Maria in Publicolis, dal frumentum publicum qui distribuito (HCh 361; BC 1927, 94-100). Ma non ci sono prove conclusive a favore di nessuna delle tesi sostenute.

"PORTICVS MINVCIAE  - Giovanpietro Carcano rettore della chiesa di s. Nicolao de' Funari affitta a Girolamo Salamoni certe terre e rovine, con riserva per gli oggetti di scavo. 1517, 19 novembre."
(Rodolfo Lanciani)

A partire dall'epoca di Severo il nome del porticus compare nelle iscrizioni dei funzionari del dipartimento delle acque (V.7783: curator aquarum et Minuciae; VI.1532: cur. aquar. et Miniciae; X.4752). È dubbio se questo indichi che un solo uomo ricoprisse entrambe le cariche, o che la Minucia appartenesse ora al dipartimento dell'acqua e non a quello del grano, o che entrambi gli uffici fossero ospitati in un unico edificio, o che la Minucia delle iscrizioni sia la Minucia vetus, mentre la distribuzione del grano avveniva ancora nei frumentaria. 

VIA DE' CALDERARI 23 - PORTICUS MINUCIA

PORTICUS AD NATIONES

costruito da Augusto e chiamato così perché conteneva statue di tutte le nazioni (Serv. Aen. VIII.721). Una statua di Ercole si trovava davanti al suo ingresso (Plin. NH XXXVI.39). 

La sua ubicazione è sconosciuta, a meno che non fosse collegato in qualche modo, come aggiunta o restauro, al teatro di Pompeo, nel quale erano state collocate da Coponio le statue delle quattordici nazioni sulle quali Pompeo aveva trionfato (Suet. Nero 46; Plin. NH XXXVI.41). 

Non è tuttavia certo se queste quattordici statue si trovassero all'interno del teatro o all'esterno, nella Porticus Pompei (q.v.). La porticus ad Nationes di Augusto era probabilmente una nuova costruzione (HJ 525).



PORTICUS post NAVALIA

costruita nel 179 a.c. dal censore M. Fulvius Nobilior (Liv. XL.51.6; HJ 143), contemporaneamente alla porticus extra portam Trigeminam e alla porticus post Spei, dietro i più antichi Navalia.

PORTICO DI OTTAVIA

PORTICO di OTTAVIA o Portico Corinzio

Porticus Octaviae costruito apparentemente da Ottavia, la sorella di Augusto (Fest. 178; Ov. AA I.69), ma in realtà da Augusto e dedicato a nome di Ottavia (Suet. Aug. 29; Cass. Dio XLIX.43 Liv. Ep. 140.2)º in un momento successivo al 27 a.C. (cfr. Vitr. III.2.5), al posto del Porticus Metelli (q.v.; Vell. I.11) intorno ai templi di Giove Statore e Giunone (Plin. NH XXXVI.42).  Il portico conteneva una biblioteca e una sala di riunione.

L'affermazione di Cassio Dio secondo cui fu costruita dopo il 33 a.v. con il bottino della guerra in Dalmazia, è dovuta alla confusione con la porticus Octavia. Fu bruciata nell'80(Cass. Dio LXVI.24) e restaurata, probabilmente da Domiziano, e di nuovo dopo un secondo incendio nel 203 da Severo e Caracalla (CIL VI.1034). 

Nello stesso periodo al portico si aggiunsero i due templi di Giove di Giunone. Il complesso divenne di 130 m di lunghezza e 110 di larghezza e comprendeva due parti: uno spiazzo in cui si trovavano i due templi ed il portico che ne costituiva la delimitazione in conci rivestiti di marmo prezioso, adorno di una duplice fila di colonne. Oltre ai due templi vi si trovava una biblioteca e una sala curia, di solito usta per le riunioni del Senato.

Era adornata con marmi stranieri (Ov. AA I.70) e conteneva molte opere d'arte famose (Plin. NH XXXIV.31). Oltre ai templi, all'interno del recinto si trovavano una Bibliotheca (q.v.) eretta da Ottavia in memoria del giovane Marcello (Suet. de gramm. 21; Plut. Marc. 30), una curia Octaviae (Plin. NH XXXVI.28) e una schola (ib. XXXV.114) o scholae (ib. XXXVI.22). 

Non è certo se si trattasse di parti diverse di un unico edificio o di strutture completamente diverse. Probabilmente era nella curia che si riuniva il senato (Cass. Dio LV.8; Joseph. B. Iud. VII.5.4). L'insieme è citato da Plinio come opera Octaviae (Plin. NH XXXIV.31; XXXV.139; XXXVI.15).

Questo porticus è rappresentato nella Pianta dei Marmi. Racchiudeva un'area rettangolare, larga 118 metri e lunga un po' di più, e consisteva in un colonnato formato da una doppia fila di colonne di granito, ventotto per fila sul davanti. L'asse principale andava da nord-est a sud-ovest e l'ingresso principale si trovava al centro del lato sud-ovest. 

Questo ingresso, di cui esistono ancora alcune rovine (Bull. d. Inst. 1878, 209-219; BC 1887, 331; 1890, 66-67; Mitt. 1889, 264-265; NS 1912, 153), aveva la forma di un doppio pronao, sporgente verso l'interno e verso l'esterno. Su ogni fronte di questo pronao, tra le pareti laterali, si trovavano quattro colonne corinzie di marmo bianco, che sostenevano una trabeazione e un frontone triangolare. 

La trabeazione e il frontone e due delle colonne della facciata esterna esistono ancora (le altre due sono state sostituite da un arco in mattoni, forse dopo il terremoto del 442), e della facciata interna due colonne e parte della terza, con porzioni di trabeazione e frontone. L'altezza delle colonne del pronao è di 8,60 m. Esistono anche alcune antefisse in marmo alle estremità inferiori delle tegole di colmo. Anche parti delle colonne del colonnato meridionale sono in piedi, e alcuni dei loro capitelli sono incassati nei muri delle case vicine.



PORTICO di OTTAVIO

Il Portico dì Ottavio, nel Campo di Marte, fu costruito da Marco Ottavio dopo una vittoria navale su Perseo, re di Macedonia.

Durante i lavori per una fognatura lungo l'adiacente vicus Iugarius, tra l'area di S. Omobono e il Campidoglio, sono apparsi resti delle mura repubblicane, e tracce di una porta, certamente la porta Carmentalis, che sappiamo localizzata in questa zona.

PORTICUS MAXIMAE

PORTICUS MAXIMAE

Nell'eseguire il cavo per la fogna, che dalla via e piazza del Pianto si dirige verso la fronte dei portici d'Ottavia, si è incontrato, alla profondità di m. 3,10 un basamento di colonna in marmo, che poggiava sopra un letto di lastroni di travertino. Parte della colonna era tuttora al posto; ma talmente guasta e calcinata per incendio, che poco dopo scoperta andò tutta in frantumi. Era di granitello, ed aveva il diametro di m. 0,35.

Alla distanza di m. 3,40 è tornato in luce un altro simile basamento; e nella medesima direzione e ad eguale distanza sono apparsi altri avanzi dei fondamenti che sostenevano il colonnato. Questo non spetta ai portici di Ottavia; ma assai probabilmente è parte di quel tratto delle Porticus maximae, che congiungeva i portici pompeiani con quelli di Filippo e di Ottavia. 

Tra il Teatro di Pompeo ed il Circo di Flaminio, si scopre dunque il Portico Maximæ, di cui si indovina il tetto blu di fianco al Teatro di Pompeo e che copre una buona parte della via pubblica.



PORTICUS PALLANTIANA

noto solo da un'iscrizione (CIL VI.9719: olear(ius) de portic(u) Pallantian(a) Venitian(orum) parmul(ariorum?) 
L'edificio sembra essere stato dedicato a scopi commerciali, ma non ci sono indicazioni sulla sua ubicazione.



PORTICUS PALMATA

un portico presso S. Pietro (porticus beati Petri quae appellatur ad Palmata, LP LXXII.3) che diede il nome alla chiesa di S. Apollinaris ad Palmatam (HCh 201).

PORTICUS PHILIPPI

PORTICUS PHILIPPI

costruito senza dubbio intorno al tempio di Hercules Musarum da L. Marcius Philippus, patrigno di Augusto, nello stesso periodo in cui quest'ultimo ricostruì il tempio, anche se ciò è appena accennato (Mart. V.49.11-12; HJ 544-545). È rappresentato nella Pianta di Marmo (frg. 33) ed è menzionato in Not. (Reg. IX). Conteneva alcuni quadri famosi (Plin. NH XXXV.66, 114, 144) e botteghe di parrucchieri (Ov. AA III.168).

PORTICO DI POMPEO

PORTICO DI POMPEO - Porticus Herculea - o Porticus Iovia -

I resti del teatro di Pompeo e del grande portico retrostante la scena sono quasi completamente scomparsi sotto le costruzioni che già in epoca medievale li utilizzarono come fondazione. Pompeo, avvalendosi della carica di console, costruì nel 55 a.c su un alto podio, un tempio dedicato a Venere Vincitrice e nell'area antistante una gradinata a forma di esedra dal diametro di 150 m. Questa cavea era delimitata da una scena monumentale lunga 90 m decorata con nicchie e absidi.

Costruito  per offrire un riparo agli spettatori in caso di pioggia (Vitr. V.9.1), è rappresentato nella Pianta dei Marmi (fr. 30, 110 e p22), era un cortile rettangolare, lungo circa 180 m e largo 135, in cui si trovavano quattro file parallele di colonne. L'area centrale era allestita a giardino con passeggiate ombreggiate (Prop. II.32.11-12) e conteneva diverse opere d'arte (Plin. NH XXXV.59, 114, 126, 132). 

Tra queste c'era un dipinto di Cadmo ed Europa di Antifilo, che non è l'Europa che ha dato il nome alla Porticus Europae descritta da Marziale, che, sostiene invece A. Reinach (Neapolis II.237 sq.), era un gruppo bronzeo realizzato da Pitagora di Rhegium per Tarentum (Cic. Verr. IV.135; Varro, LL V.31). La Curia Pompei in cui Cesare fu assassinato era probabilmente un'esedra di questa porticus. Che la porticus fosse una delle più popolari della città è chiaro dai numerosi riferimenti. (Cic. de fato 8; de off. II.60; Cat. 55.6; Ov. AA I.67; III.387; Prop. IV.8.75; Mart. II.14.10; XI. 1.11, 47.3;a Cass. Dio XLIV.16).

La porticus fu incendiata sotto Carino (Hist. Aug. Car. 19) e restaurata da Diocleziano (Chron. 148: porticos II), sotto la direzione di Elio Dionigi, prefetto della città (CIL VI.255, 256), che chiamò un lato della struttura restaurata Porticus Iovia, e l'altro porticus Herculea, in onore dei due imperatori Diocleziano e Massimiano. 

Si può fare riferimento alla Portica Nova, che fu rovinata dal terremoto del 442 
(Consul. Ital. Chron. min. ed. Mommsen I.30: terrae motus factus est Romae et ceciderunt statuae et portica nova; cfr. BC 1917, 11-13).

Non sono visibili resti di questo edificio e i ritrovamenti sul suo sito sono stati poco significativi.

Secondo la tradizione, Pompeo fece anche costruire un doppio portico di 180 x 35 m, ornato di sculture e marmi preziosi, affinché vi si potessero rifugiare gli spettatori in caso di pioggia o vi trovassero sollievo fra il verde dei giardini. 

Il Portico di Pompeo fu il più importante di quelli esistenti in età repubblicana, in grado di rivaleggiare per lusso con i fastosi portici orientali. 

L'edificio era di forma rettangolare con al centro un vasto spiazzo aperto, abbellito da alberi, circondato da un colonnato. Ogni portico aveva ore di particolare affluenza: nel pomeriggio era preferito il Portico di Vipsania nel Campo di Marte, ma se era troppo caldo era preferibile il Portico di Pompeo per la freschezza delle fontane.

Il complesso monumentale fu più volte restaurato e mantenuto costantemente agibile. Tra gli ambienti del portico vi era una sala adibita a "curia" dove si poteva riunire il senato di Roma e dove, all'inizio di marzo del 44 a.c, i settanta congiurati uccisero Cesare.



PORTICUS extra PORTAM FONTINALEM
 
una porta nota solo da due passi della letteratura (Fest. 85; Liv. XXXV.10.12) e da tre iscrizioni (CIL VI.9514, 9921, 33914), che si presume nelle mura serviane. Nel 193 a.c. fu costruita una porticus, una "porta Fontinali ad Martis aram qua in campum iter esset" (Liv. loc. cit.; CP 1908, passim), e questa è l'unica indicazione topografica, a parte il collegamento con le sorgenti indicato dal nome stesso. 

Il sito esatto dell'Ara Martis è controverso, ma si trovava nel campus Martius, a ovest della via Lata, e quindi si presume che la porta Fontinalis si trovasse sul lato nord-est del Campidoglio, tra questo e il Quirinale, dove una strada1 collegava il campus con il foro (RhM 1894, 410-412; Richter 44). 

È stato anche collocato più a ovest, vicino a piazza Magnanapoli (Jord. I.1.209; Wissowa, Hermes 1891, 142-143; BPW 1912, 1734). La presenza di questa porta nelle iscrizioni indica che essa continuò a esistere in qualche forma durante l'impero e come località ben nota.



PORTICUS QUIRINI

costruito intorno al tempio di Quirino, probabilmente da Augusto quando restaurò il tempio nel 16 a.c. È menzionato solo una volta (Mart. XI.1.9), ma era evidentemente molto popolare.

SAEPTA JULIA

PORTICO della SAEPTA JULIA

I Saepta Iulia (o Julia), noti in seguito come Septa, erano un edificio costruito nel Campo Marzio e citato nell'epigramma 21 di Marziale. Erano posti fra via del Seminario, via di S. Ignazio, Corso Vittorio Emanuele, via dei Cestari e via della Minerva.

Gaio Giulio Cesare aveva intenzione di costruire i Saepta come recinto elettorale al Campo Marzio, in sostituzione del più antico Ovile; sarebbe dovuto essere in marmo e circondato da un portico lungo un miglio. Non si sa se fu Cesare a iniziare i lavori, si sa invece che fu Marco Vipsanio Agrippa a completare e a dedicare i Saepta nel 26 a.c., con il denaro proveniente dalle campagne militari in Illirico. Dopo un incendio, Domiziano li restaurò (80).

Agrippa volle che il complesso prendesse il nome di Iulia in onore della gens Iulia cui appartenevano sia Cesare che Augusto; malgrado ciò, il complesso veniva comunemente chiamato Saepta, anche se le denominazioni alternative di porticus saeptorum e saepta Agrippiniana, sono attestate, come pure la conservazione dell'uso del nome di ovile.
Nel Saepta Julia si tenevano rappresentazioni teatrali, audizioni, mostre, combattimenti di gladiatori. Questi portici in genere occupavano uno spazio rettangolare, chiuso da una o più file di arcate; al centro vi erano giardini con cascate, statue, spesso anche templi. Per le opere d'arte esposte al pubblico spesso erano veri e propri musei.


RODOLFO LANCIANI

"1507. SEPTA IVLIA. Fazio Santorio da Viterbo, creato cardinale di S. Sabina dal suo antico alunno Giulio II, agli 11 decembre 1505, ricostruisce il palazzo aderente alla chiesa di s. M. in Via lata, e l'ingrandisce mediante 1' acquisto di altre casette fabbricate sui voltoni della Septa. L'Albertiui, ed. 1515, e. 48, ricorda con ammirazione l' « atrium et porticum et capellas et aulara pulcherrimara depictam. Omitto (per non parlare di) viridaria in quibus sunt vasa marmorea sculpta cum sacrificiis et raptu sabinarum (Leucippidi). Omitto aquarum conservationem subterraneam (cisterna sotto i voltoni antichi) et cameras variis picturis et statuis exoruatas."



PORTICUS SEVERI

costruita da Severo e Caracalla, ma altrimenti sconosciuta (Hist. Aug. Sev. 21; Carac. 9). v. Domaszewski ritiene che non sia mai esistita e che sia un'invenzione dello scrittore (SHA 1916, 7.A, 7; 1918, 13.A, 46).



PORTICUS post SPEI

Si ritiene che sia stato costruito nel 179 a.c. dal censore M. Fulvius Nobilior, contemporaneamente alla Porticus Extra Portam Trigeminam e alla Porticus Post Navalia (Liv. XL.51.6; HJ 509). Il portico si sarebbe esteso dal Tevere al tempio di Apollo Medico, probabilmente attraverso l'area successivamente occupata dal teatro di Marcello; ma la sua stessa esistenza dipende forse da un'alterazione della lettura del passo citato, per cui forse non sarebbe mai esistito.



PORTICUS THERMARUM TRAIANARUM

menzionato in un'iscrizione proveniente dalla Tracia (CIL III.12336), in cui si afferma che un certo documento fu affisso qui nel 238. Potrebbe trattarsi dello stesso porticus collegato agli scrinia, o archivi, della Praefectura Urbana, e restaurato da un certo Junius Valerius Bellicius, praefectus urbi tra il 408 e il 423 (CIL VI.31959). Infatti adiacente alla praefectura si trovava una porticus (a.C. 1891, 342-358), in cui erano esposte le copie degli editti conservati negli archivi e cioè il Porticus Thermarum Traianarum.



PORTICUS TRIUMPHI

un portico che si suppone sorgesse vicino alla porta Triumphalis e alla Saepta, formando forse una parte di quest'ultima, sulla base di due iscrizioni che riportano "porticus triumphi", una presso Roma (CIL VI.29776) e l'altra a Baiae (EE VIII.374), che erano evidentemente piccole imitazioni private di una struttura pubblica a Roma (NS 1888, 709-714; BC 1889, 355-358; Mitt. 1889, 268; LR 475; JRS 1921, 28-29). 

In entrambi i casi viene registrata la lunghezza e il numero di volte necessarie per andare e tornare per completare un miglio (o nel secondo caso un po' di più). Cfr. Atti Accad. Nap. 1924, 123-126 (dove viene proposto "porticus tri(plex)"); NS 1926, 229; CIL VI.29774-29778.

Per un'iscrizione simile proveniente da Villa Adriana, relativa alla cosiddetta Poikilé (un'enorme gestatio in modum circi), in cui però il nome triumphi non compare, si veda Jahrb. d. Inst. 1895, 140, e AA 234; AA 1896, 47. L'insistenza sul miglio (o poco più) come misura conveniente per una passeggiata (cfr. Porticus Miliarensis, Porticus Miliaria) non implica che il porticus Triumphi originario fosse lungo un miglio ma anche solo una frazione di miglio, e quindi potrebbe benissimo essere stato interamente incluso nella Villa Publica (Makin in JRS cit.).

Il portichetto repubblicano in peperino e travertino, ampi tratti del quale sono visibili accanto alle pendici del Campidoglio, non era altro probabilmente che una via coperta che collegava la zona del Portico di Ottavia con la Porta Carmentalis, e va forse identificata con la Porticus Triumphalis, percorsa dalle pompe trionfali, che, com'è noto da vari scrittori antichi, avevano inizio dal vicino Circo Flaminio.  

GALLERIA SCIARRA EDIFICATA SUL PORTICUS VIPSANIA

PORTICO di VIPSANIA o Porticus Gypsiani

Si trovava nella VII regio augustea alle pendici del Pincio, lungo le arcate dell'Acqua Virgo, iniziato da Polla, sorella di Agrippa, e terminato da Augusto (Cass. Dio LV.8.3-4). Si estendeva lungo il lato orientale della via Lata, occupando la parte occidentale del Campus Agrippae. Era vicino all'aqua Virgo (Mart. IV.18.1-2: qua vicina pluit Vipsania porta columnis | et madet assiduo lubricus imbre lapis), e quindi si è finora supposto che si estendesse quasi fino a sud di quell'acquedotto, ma scavi recenti sembrano indicare che un colonnato sul lato sud della via del Tritone fosse l'estremità meridionale della porticus.

Nella costruzione assomigliava alla Saepta sul lato esterno della via Lata, poco più a sud, ma subì modifiche in epoca successiva, in quanto parte dei resti risalgono all'epoca Flavia, e nel II secolo gli spazi intercolonnari vennero chiusi con muri rivestiti di mattoni, creando così file di camere separate. In vari punti dell'area sono state rinvenute parti di archi semicircolari con pilastri in travertino e lesene con capitelli dorici, una pavimentazione in travertino e colonne cipolline con capitelli corinzi (BC 1887, 146-148; 1892, 275-279; 1895, 46-48; HJ 458-459; Gilb. III.246).

Si estendeva lungo il lato est della via Lata, che occupava la parte occidentale dell'Agrippae Campus. Il suo giardino era ricco di allori, e accoglieva distaccamenti dell'esercito illirico lì accampati dal 69. Nel Portico di Vipsania si trovava esposta al pubblico la monumentale carta del mondo eseguita per volontà di Agrippa  (Plin. NH III.17).

Come costruzione somigliava alla Saepta posta sul lato esterno della via Lata, un po 'più a sud, ma subì diverse modifiche più tardi, infatti parte dei resti risalgono al periodo dei Flavi. Durante il II sec. gli spazi tra le colonne, intercolumni, furono chiusi con muri di mattoni a vista. Nel IV secolo il suo nome fu corrotto in porticus Gypsiani.

In vari punti dell'area si sono rinvenuti parti delle arcate semicircolari, con pilastri in travertino e lesene, con capitelli dorici, una pavimentazione in travertino e colonne di cipollino con capitelli corinzi. Probabilmente si tratta dei resti scoperti durante la costruzione della Galleria Sciarra.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita libri -
- Fausto Zevi - Per l'identificazione della Porticus Minucia frumentaria - Mélanges de l'Ecole française de Rome - Antiquité - 1993 -
- Antonio Nibby - Roma antica di Fabiano Nardini - Stamperia De Romanis - Roma - 1818 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore - Verona - 1984 -
- G. B. De Rossi - Porticus triumphi - Ed. Tipografia della R. Accademia dei Lincei - Roma - 1889 -


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