TEATRO MARCELLO


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Il teatro di Marcello, in gran parte conservato, è l’unico teatro antico rimasto a Roma. Innalzato nella zona sud del Campo Marzio nota come Circo Flaminio, tra il fiume Tevere e il Campidoglio, fu voluto da Cesare e proseguito da Augusto.

L'edificio fu eretto in Campo Marzio, nel luogo che la tradizione aveva consacrato alle rappresentazioni sceniche, dove già si trovava il “Theatrum et proscenium ad Apollinis”, connesso con il tempio di Apollo.

1519 circa. THEATRVM MARCELLI. « I massimi (corr. Savelli) patrizi romani, volendo fabbricare una casa il sito della quale veniva ad essere sopra una parte di questo teatro, ed essendo la detta casa ordinata da Baldassarre Sanese raro Architetto, e facendo cavare sfondamenti si trovarono molte reliquie di corniciamenti diversi e si scoperse buono indicio della pianta ». Serlio, libro III d'arch., Venezia 1584 e. 69. 
(Rodolfo Lanciani)



Quest’edificio fisserà lo schema del teatro classico romano, in cui la cavea poggia su strutture in muratura e non su un declivio naturale, come nel teatro greco.

In più segnò un passaggio fondamentale nell’evoluzione del teatro romano, perchè fino ad allora gli spettacoli teatrali si svolgevano in provvisorie strutture lignee, cosa che tornerà nel medioevo, ricordando che tale era ancora nel '600 il teatro di Shakespeare.



Il teatro, edificato alla fine del I secolo a.c. e inaugurato nel 13 a.c., servì inoltre da modello per la costruzione del Colosseo, e la sobrietà nella struttura della facciata ne fece un modello di riferimento per ogni teatro e anfiteatro romano futuro.

LA STORIA

Si disse che Giulio Cesare progettò la costruzione di un teatro che oscurasse quello edificato nel Campo Marzio dal nemico Pompeo.

23 jan 2012-4Ma è del tutto falso, perchè prima di costruire il teatro Marcello, Cesare fece riedificare quello di Pompeo distrutto da un incendio, cosa che avrebbe potuto evitare. 

Inoltre il nuovo teatro non avrebbe avuto e non ebbe mai, nonostante l'ampliamento del progetto, la capienza del Teatro di Pompeo.

Cesare, non solo non dette a Pompeo la damnatio memoriae, ma lo onorò nei funerali, nei monumenti e nelle statue.

Infatti fu assassinato proprio sotto la statua di Pompeo posta dinanzi al senato.
Per la sua edificazione Iulius fece espropriare una vasta area, demolendo anche alcuni edifici sacri, come il tempio della Dea Pietas.

Alla morte prematura di Cesare però erano state gettate solo le fondamenta e i lavori furono ripresi da Augusto, deciso a portare a termine ogni iniziativa del predecessore, che riscattò con il proprio denaro un'area più vasta per un teatro più grande e munifico. 




Probabilmente occupò la parte curva del Circo Flaminio, che da allora divenne una piazza, facendo spostare o riedificare gli edifici sacri circostanti, come il tempio di Apollo e il tempio di Bellona. Il Teatro di Marcello venne realizzato su tre livelli con 41 arcate per piano, di cui ora ne restano solo 16.

Il primo spettacolo avvenne nel 17 a.c., per i "ludi secolari", ma venne inaugurato ufficialmente nel 13 a.c. con giochi sontuosi e dedicato a Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto, figlio della sorella Ottavia, già designato come erede e maritato alla figlia Giulia, ma morto prematuramente.

Per la dedica vennero collocate quattro colonne di marmo africano, prese dalla casa di Marco Emilio Scauro sul Palatino e una statua di Marcello in bronzo dorato.

Il primo restauro della scena si ebbe sotto Vespasiano e altri restauri si ebbero sotto Alessandro Severo.

Nonostante il possibile reimpiego di alcuni blocchi di travertino provenienti dalla facciata nel restauro del 370 del ponte Cestio, il teatro sembra fosse ancora utilizzato e nel 421 si ebbe un restauro delle sue statue a cura di Petronio Massimo, praefectus urbi.


DESCRIZIONE

Il teatro di Marcello costituisce uno dei più antichi edifici per spettacolo romani giunti fino a noi, nel quale compaiono due tipi di ordini architettonici: al primo piano il tuscanico, al secondo ionico e al
terzo piano lesene corinzie. 

L'esterno è in travertino, con 41 arcate inquadrate da pilastri, mentre per i muri radiali e gli ambulacri sono utilizzate l'opera quadrata in tufo, la cementizia e la reticolata. 
Si conservano solo i primi due piani, di ordine dorico e ionico.

I teatri romani, diversamente da quelli greci edificati lungo pendii collinari, sorgevano sul piano ed erano costruiti in muratura a semicerchio, quindi necessitavano di robuste strutture per sostenere la gradinate interne.

Esteriormente presentavano piani sovrapposti di archi, che distribuiscono il peso su possenti pilastri quadrati. 

Il teatro era costituito da tre parti essenziali: la cavea, cioè le gradinate, l'orchestra e la scena. Il popolo occupava la parte alta della cavea, i patrizi avevano riservata la parte bassa.

La concezione dello spazio appare totalmente diversa da quella del teatro greco. La presenza di una superficie curva esterna a pianta semicircolare e a più ordini delimitava la cavea, costruita a gradoni sostenuti da volte, intercalati da passaggi e gallerie con funzione d'ingresso e uscita.

Il teatro è fatto a setti radiali e al primo piano una botte anulare chiude un ambulacro. Al piano successivo le botti più esterne sono radiali come quelle che sostengono per evitare le spinte sulle facciate. 


I muri a raggiera, collegati da volte a botte inclinate sotto i gradini della cavea, vengono interrotti da due ambulacri concentrici, uno esterno, che si apre con arcate e uno più interno, l'"Ambulacro dei Cavalieri".

Al di là dell'orchestra, riservata al coro e alle danze, s'innalza la scena, costruita in pietra e decorata da statue, nicchie e colonne. La scena fissa in muratura impediva la dispersione della voce degli attori.



CADUTA DELL'IMPERO ROMANO

Dopo la caduta dell’impero nel V secolo d.c., l’edificio venne abbandonato provocando la crescita di una piccola collina all’interno del Teatro, causata sia dalle rovine del monumento stesso e dai depositi di sabbia e fango portati dalle esondazioni del Tevere, che con 4 metri di detriti ne provocarono l'interramento. 

Poi come avvenne per tutti i monumenti di Roma, il Teatro divenne una cava di materiali da costruzione, finchè nell’XI secolo non venne trasformato in una fortezza residenziale. 

In epoca medioevale si trasformò in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni, poi dei Faffo e dal XIII sec. il monumento venne acquistato dai Savelli, che fecero edificare nel 1500 da Baldassarre Peruzzi il palazzo tuttora esistente sopra le arcate della facciata, un vero e proprio palazzo sui sui resti ancora notevoli dell’attico del Teatro. 

Baldassarre realizzò ex novo l'ingresso principale del palazzo e il terzo piano sopra dei due ordini del teatro. 

Dal punto di vista della planimetria l'architetto si adegua al sedime di quello che era l'antico teatro, ma l'intervento del piano nobile è dato dalla realizzazione di grandi saloni passanti (un tipo di struttura che verrà utilizzato moltissimo nella realizzazione delle regge del 1600 e del 1700). 

Sotto Giulio III si vende la IV parte del Teatro Marcello, all'epoca palazzo Sabello, per 1700 scudi.. 1550, 10 dicembre. THEATRVM MARCELLI. — LE CENTO FENESTRE.


Die decima decembris MDL. Ut. et R. D. Flamini us Sabellus domicellus romauus domiijus et patronus prò quarta parte palatij quod vulgariter dicitur palazzo Savello siti in urbe iuxta plateam
montauariam et alios suos fines.

Ratificando in  primis venditionem  montauariam et alios suos fines. uuius alterius quarte partis dicti palatij  factam  per d.
ascaniuni saldonium procuratorio nomine 111. d. h ostili sabelli sui fratris dicto Ut. D. Joanni baptiste 
sabello sub die 18 octobris 1544  vendidit dicto Ut. D. Joauni Baptiste
Sabello dictara quartam partem palatij sabelli ad ipsum Itt. d. Flaminium spectantem cum monte ac omnibus iuribus membris et pertinentijs suis usibus et commoditatibus et adiacentijs universis que et quas dictum palatium prò dieta quarta parte habet et e converso cum quarta parte stabuli magni siti apud dictum palatium mediante platea dicti palatij et iuxta flumen tiberis et claustri et aliarum domuucularum et casalenorum et unius horti ibi annexi et aliorum membrorum et pertinentiarum dicti stabuli quod vulgariter dicitur cento fé nostro quod est et semper fuit de iurisdictione et pertinentijs dicti palatij prò pretio scutorum mille septingentem."

Nei primi anni del XVIII secolo il palazzo fu acquistato da Domenico Orsini, duca di Gravina. All’inizio del XX secolo, la proprietà passò ai Caetani di Sermoneta, ma il quartiere cresciuto a ridosso del Teatro fu demolito, sia per la costruzione del lungotevere sia per l’apertura della via del Mare, che nel tratto iniziale sostituì un antico tracciato rinascimentale (via di Tor de Specchi-via Montanara-via Bocca della Verità).

Nel XVIII sec. passò agli Orsini, fino agli espropri degli anni '30 e ai lavori del 1926-1932, ad opera di Mussolini, con cui vennero eliminate botteghe e abitazioni nelle arcate e lo spazio circostante; contemporaneamente i fornici, allora interrati per circa 4 m., vennero portati allo scoperto.

I restauri consolidarono una parte delle arcate interne, con speroni in mattoni, e rifecero parte della facciata, riprendendo lo schema architettonico delle arcate in pietra.

Baldassarre Peruzzi si dimostra un vero e proprio restauratore di quello che è un edificio antico (anche se Vasari non menziona il teatro di Marcello come luogo di intervento di Baldassarre, lo attribuisce Servio nel suo trattato di architettura). 

Dunque i componenti erano

- orchestra
- scena
- cavea
- platea
- pulpitum,
- frons scanae
- vesumae.

Il primo era il vero palcoscenico rialzato e botolato per attori, coro e ballerini, l'altro costituiva la scenda di sfondo, le ultime due accessi laterali per l'ingresso degli attori.

Il sipario di stoffa, riccamente istoriato, veniva raccolto in un profondo canale posto ai piedi della scena; gli attori si muovevano nella zona antistante la scena e il primo anello di gradini era riservato ai senatori, mentre il resto del pubblico sedeva sulle gradinate superiori. 

L'imperatore disponeva di una tribuna speciale e al suo fianco era collocata la tribuna delle Vestali.
Gli ambienti più esterni, suddivisi da tramezzi in muratura probabilmente in epoca giulio-claudia, furono probabilmente utilizzati come botteghe sin dagli inizi. 

Un ambiente centrale presenta sulla volta una decorazione in stucco bianco a tondi e ottagoni figurati, realizzata probabilmente nella seconda metà del II sec.
Il teatro poteva ospitare circa 15.000 spettatori e fino a 20.000 in piedi come riportato nei Cataloghi Regionari.

L'ESTERNO

LA FACCIATA DEL TEATRO

La facciata in travertino presenta tre ordini, i due inferiori con le arcate a semicolonne doriche, con capitelli tuscanici e prive di base al piano terreno e ioniche superiormente.

Originariamente le arcate erano 41 e le semicolonne 42. I due ordini sono separati da una fascia marcapiano. L'attico al terzo piano, del quale restano poche tracce, si presentava invece a parete continua ed era decorato con paraste corinzie.

Le chiavi d'arco erano decorate da grandi mascheroni teatrali in marmo bianco, alcuni dei quali furono recuperati durante gli scavi. L'altezza originaria doveva così raggiungere i 32,60 metri circa, oggi misura circa 20 m.

L'INTERNO OGGI

LA CAVEA DEL TEATRO

La cavea, del diametro di 129,80 m., era divisa in una parte inferiore, imocavea, accessibile dall'"Ambulacro dei Cavalieri", una parte intermedia, mediocavea, accessibile dal secondo piano, e una parte superiore, summocavea, accessibile tramite scale dall'ultimo livello. 

In corrispondenza dell'orchestra, del diametro di 37 m., bassi gradini di marmo ospitavano i seggi dei posti riservati.

L'INTERNO OGGI

LA SCENA DEL TEATRO

celebrata per la sua sontuosità e più volte restaurata, è completamente perduta, ma è riportata in un frammento della Forma Urbis Severiana, la pianta marmorea di Roma antica degli inizi del III secolo: rettilinea e con un portico di sei colonne verso l'esterno. 

Ai lati della scena erano due "Aule regie", absidate e coperte con volte a crociera: in quella di sinistra restano ancora in piedi un pilastro e una colonna. Dietro la scena si trovava una grande esedra con due tempietti ricostruiti della Pietas e di Diana.

L'INTERNO OGGI

I MATERIALI DEL TEATRO

A causa della natura paludosa del terreno, molto vicino al fiume, le fondazioni furono rafforzate con l'inserimento di pali di rovere sopra i quali venne gettata un'estesa piattaforma in calcestruzzo, dove poggiano i primi due filari di fondazione delle murature. Anche l'alternanza dei materiali per i blocchi di cui si compongono i pilastri risponde alle necessità statiche:

- le arcate interne del deambulatorio, 
- i muri radiali dei cunei e il primo tratto dei fornici erano in blocchi di tufo per i primi 10 m. di lunghezza, poi in opera cementizia in reticolato, con inserti in travertino per le imposte e le chiavi d'arco;
- le pareti degli ambulacri interni erano invece in muratura;
- le volte tutte in calcestruzzo.
- la stanza in fondo all'ingresso centrale ha un tratto degli stucchi decorativi sulla volta.

Il Teatro è visibile in via del Teatro Marcello, accanto ai resti vicinissimi del tempio di Apollo Sosario. E' stata recentemente aperta al pubblico la Sala degli Stucchi del Teatro di Marcello, una “pietra preziosa” incastonata nel cuore del Teatro, rinvenuta in epoca recente.

Attualmente è possibile vedere come l'intervento di Baldassarre fosse consistito anche nella incatenatura degli elementi che appartenevano all'antico teatro romano con gli elementi che di fatto costituivano il palazzo che lui ha restaurato (per cui ha cercato di rendere stabili gli elementi architettonici dell'edificio romano).


BIBLIO

- Paola Ciancio Rossetto - Lavori di liberazione e sistemazione del Teatro di Marcello -
- Virginia Rossini - La casina del Vallati: scoperta e restauro di un edificio medioevale nell'area del Teatro di Marcello -
- Paola Ciancio Rossetto - voce Theatrum Marcelli - in E.M. Steinby (a cura di) - Lexicon Topographicum Urbis Romae - V - Roma - 1999 -
-  Richard Allan Tomlinson - Theatres (Greek and Roman), structure - The Oxford Companion to Classical Civilization - Ed. Simon Hornblower and Antony Spawforth - Oxford University Press - 1998 - Oxford Reference Online - Oxford University Press - Northwestern University - 2007 -





TEMPIO DI VENERE E ROMA


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RICOSTRUZIONE GRAFICA ( http://www.altair4.com/it/ )

Il tempio di Venere e Roma (templum Veneris et Romae) era il più grande tempio di cui si abbia notizia nell'antica Roma. Collocato nella parte est del Foro romano, occupava tutto lo spazio tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Era dedicato alla Dee Venus Felix (Venere portatrice di buona sorte) e Roma Aeterna.



STORIA

Precedentemente si trovava in questo sito l'atrio della Domus Aurea di Nerone, dove era collocato il colosso dell'imperatore, un'enorme statua bronzea alta 35 metri più la base.

Quando Adriano decise la costruzione del tempio, ridedicò la statua al Dio Sole e la fece spostare, con l'aiuto di ventiquattro elefanti. La base del colosso si conserva ancora sotto l'angolo nord est del portico, sottolineato da blocchi di tufo, ancora visibili, di fronte al Colosseo.

 Le pareti del tempio, secondo le fonti, erano decorate da colonne di pregiato porfido rosso e da nicchie che originariamente presentavano un timpano, alternativamente triangolare, e semicircolare e colonnine di porfido poggianti su mensole.

Il pavimento era ornato da motivi geometrici realizzati con vari tipi di marmo, tra cui il porfido. Il tutto poi fatto a pezzi e trasformato in pavimento cosmatesco nell'attuale chiesa che lo sovrasta.

Il progetto dell'imperatore di erigere sull'altro angolo, verso la Meta Sudante, un'altro colosso che rappresentasse la Dea Luna, di cui era molto devoto, non fu poi eseguito. I saggi archeologici al di sotto del tempio hanno trovato i resti di una ricca casa di età repubblicana.

SEZIONE DEL TEMPIO DI VENERE
L'architetto del tempio fu lo stesso imperatore Adriano, già architetto di illustri opere a Roma e a Tivoli. La costruzione, iniziata nel 121, fu inaugurata ufficialmente da Adriano nel 135 e finita nel 141 sotto Antonino Pio. L'opera venne ironicamente criticata dall'architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita la sua audacia.

Cassio Dione Cocceiano narra che Adriano gli facesse recapitare i disegni del tempio di Venere e Roma per fargli vedere la sua maestria anche senza il suo aiuto, chiedendogli un parere sull'opera.
SEZIONE DEL TEMPIO DI ROMA
L'architetto rispose che si sarebbe dovuto costruire il tempio su un piano sopraelevato creando locali sottostanti, di modo che avrebbe dominato la Via Sacra, ospitando macchine teatrali nei suoi scantinati da cui introdurle nel Colosseo senza essere viste.

A proposito delle statue delle Dee, disse inoltre che erano troppo grandi per l'altezza delle celle:
"Se le Dee volessero alzarsi dai loro troni, urterebbero la testa sul tetto"

DAVANTI AL TEMPIO SI ERGEVA IL COLOSSO DI NERONE
Ad Adriano non piacque la critica, anche perchè era troppo tardi per rimediare agli errori, per cui lo fece uccidere.

I rapporti tra Apollodoro e l'imperatore erano pessimi fin da quando, molti anni prima, parlando di architettura con Traiano, si era rivolto ad Adriano che l'aveva interrotto con alcune osservazioni, dicendogli di andarsene e aggiungendo: "Tu di queste cose non capisci niente." Adriano se l'era legata al dito, peccato perchè privò Roma di un grande architetto.

Danneggiato dal fuoco nel 307, il tempio di Venere e Roma fu restaurato dall'imperatore Massenzio.

Un ulteriore restauro fu eseguito sotto Eugenio, usurpatore (392-394) contro Teodosio I, che mirava alla restaurazione dei culti pagani.
Le colonne che vediamo oggi, furono dissotterrate e allineate secondo la posizione originaria, per volontà di Benito Mussolini, nel corso dei lavori per aprire la via dei Fori Imperiali.

Nella metà del IV sec. d.c. si annoverava ancora fra le meraviglie di Roma. Intorno alla sua distruzione definitiva, nulla si sa di certo, ma non risulta distrutto da un terremoto IX sec.come alcuni affermano.

PIANTA DEL TEMPIO DI VENERE E ROMA
Infatti per cancellare la memoria di un tempio molto venerato (venerare da Venere), il Papa Paolo I (757-767) creò su questo luogo la contesa degli apostoli San Pietro e San Paolo con Simone Mago, e costruì nel punto ove gli apostoli si sarebbero inginocchiati per far cadere il Mago, cioè sul tempio delle Dee, l'oratorio dei ss. Petri et Pauli in Sacra Via e, verso l'anno mille, vi si aggiunse la Basilica di Santa Maria Nova, tuttora esistente col nome di Santa Francesca Romana.

Il pavimento della basilica è ricavato dal pavimento del tempio, come dimostra il serpentino e il porfido rosso di epoca imperiale, cave poi esaurite, e così diverse colonne e decorazioni. Del resto quasi tutte le chiese romane del centro storico sorgono su templi pagani.

Sulla spianata dinanzi la cella di Venere furono rinvenute, negli scavi del 1828, numerose fornaci da calce, da cui si può avere idea della barbara devastazione dell'edifizio effettuate dai Papi nel medio evo.

Alcune monete mostrano, a destra ed a sinistra del tempio, due colonne colossali con statue, forse di Adriano e di Sabina: della settentrionale son rimaste le fondamenta nell'asse trasversale dell'edificio ed un pezzo del fusto di marmo cipollino.
RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO

DESCRIZIONE

Posto su un podio di 145 m. in lunghezza e 100 m.in larghezza, il peristilio misurava 110 x 53 m. Due doppi colonnati sui lati lunghi cingevano l'area sacra, con dei propilei al centro. Alcune delle colonne in granito della prima fase adrianea tutt'ora esistenti facevano parte di questi portici. Di proporzioni gigantesche dunque, costruito sulla Velia sopra una terrazza artificiale alta di m. 9 per compensare il dislivello tra la cima del Foro e la parte bassa del Colosseo.

IL TEMPIO OGGI
Lo stilobate con gradini, blocchi di pietra affiancati a formare una base uniforme all'ultimo gradino su cui sorgeva il colonnato, seguiva lo stile greco, molto amato da Adriano.

Il tempio consisteva in due cellae adiacenti e simmetriche verso l'esterno con la parete di fondo in comune.

Originariamente senza abside, avevano un copertura piana a travi di legno. Le attuali absidi e le volte furono aggiunte da Massenzio.

Le celle ospitavano la statua di Venere, Dea progenitrice di Enea, nonchè dunque della gens iulia e dei Romani stessi, e Roma, la Dea dello Stato romano, ambedue su un trono.

La cella ovest, della Dea Roma, venne inglobata nell'ex convento di Santa Francesca Romana, che oggi ospita l'Antiquarium del Foro. Grandi colonne in porfido ne scandiscono le pareti e fiancheggiano l'abside. È visibile un tratto di pavimento originale e una parte del basamento in laterizio della statua.


Altre colonnine in porfido poste su mensole inquadrano le nicchie dove erano collocate altre statue, secondo uno schema decorativo tipico dell'epoca imperiale come si trova anche nella basilica di Massenzio e nella Curia Iulia.

La cella est, visibile dall'esterno, è peggio conservata, ma serba ancora una parte degli splendidi stucchi dell'abside. Nel timpano della facciata, ora conservato al museo delle Terme, erano rappresentati in bassorilievo Marte e Rea Silvia, la lupa con i gemelli e probabilmente la fondazione di Roma.


Il colonnato che cingeva su quattro lati l'edificio è scomparso e ne resta solo traccia in pianta, dove sono state collocate siepi di bosso. Era originariamente composto da dieci colonne sui lati brevi, venti sui lati lunghe e quattro davanti ai pronai.

Settant'anni prima di Adriano, Nerone aveva costruito su tutta questa area il vestibolo della Casa Aurea, e infatti avanzi di un portico, di stanze e di una scala monumentale scendente verso la valle del Colosseo furono rinvenuti nel secolo XVI sul lato settentrionale del tempio, ma sono ora profondamente interrati ed inaccessibili. Forse un giorno vedranno la luce.

RICOSTRUZIONE DELLA PARTE CON LA DEA ROMA

"1385, 15 giugno. TEMPLVM ROMAE ET VENERIS.

"Patti fra il priore di s. Maria Nuova da una parte, lacobello Paluzzi e Buccio Nardi socii muratori dall'altra, per fabbricare certe pareti, grosse palmi due e mezzo, nelle fondamenta « in renclaustro monasterii ubi ligna reconduntur, in quo debet cisterna hedificari ante hortum dicti monasteri » . 
Le fondamenta dovevano essere murate « lapidibus grossis » certamente del tempio, poiché, mentre i due socii fabbricatori dovevano metter del loro calce, legname, e mano d'opera, i « lapides grossi " erano forniti direttamente dai frati."

(Roberto Lanciani)


BIBLIO

- Andrea Barattolo - Sulla decorazione delle celle del tempio di Venere e Roma all'epoca di Adriano - in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - 1974-75 -
- Alessandro Cassatella e Stefania Panella - Restituzione dell'impianto adrianeo del Tempio di Venere e Roma - in Archeologia Laziale - Consiglio Nazionale delle Ricerche - 1990 -
- Vincent Laloux, Restauration du temple de Vénus et Rome - in Mélanges de l'Ecole Française de Rome - Archéologie - 1882 -
- Giuseppe Lugli - Il restauro del tempio di Venere e Roma, in Pan - 1935 -
- Antonio Muñoz - Il tempio di Venere e Roma - in Capitolium - 1935 -




CULTO DI MARTE - ARES


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ARES - MARTE

IL MARTE GRECO

Così lo apostrofa Atena nell'Iliade:
Ares, Ares funesto ai mortali, sanguinario, eversore di mura
non potremmo lasciare i Troiani e gli Achei
azzuffarsi, a chiunque offra gloria il padre Zeus?
e noi due ritirarci e schivare il corruccio di Zeus?


Il greco Dio Ares, figlio di Zeus ed Hera, era infatti Dio della guerra intesa come ferocia e sete di sangue. Nato nella selvaggia Tracia, sovente fu sconfitto in battaglia, come quando si battè con Eracle per vendicare il figlio Cicno, o quando combatté a fianco di Ettore contro Diomede, o nella mischia degli Dei sotto le mura di Troia, sconfitto da Atena.

Ares aveva una quadriga trainata da quattro cavalli immortali dal respiro di fuoco e i finimenti d'oro, un'armatura bronzea e luccicante e una lancia. I suoi uccelli sacri erano il barbagianni, il picchio, il gufo reale e l'avvoltoio. Secondo le Argonautiche gli uccelli di Ares, lanciando piume appuntite come dardi, difendevano il suo tempio costruito dalle Amazzoni su di un'isola vicina al Mar Nero.

Il suo culto non era molto diffuso nell'antica Grecia, tranne che a Sparta, dove c’era una statua di Ares incatenato, a simbolo di legame perpetuo con la città. Il suo tempio, nell'agorà di Atene, fu da Augusto trasformato in tempio di Marte.



NOMI DI ARES
  • Enialio (o Enialo) - legato al giuramento che gli efebi prestavano ad Atene.
  • Brotoloigos - distruttore di uomini.
  • Andreiphontês - assassino di uomini.
  • Miaiphonos - macchiato di sangue.
  • Teikhesiplêtês - che assalta le mura.
  • Maleros - brutale.
Pur essendo così brutale e selvaggio ebbe una relazione con la bellissima Afrodite, o Venere che dir si voglia. Da questa relazione ebbe due figli, che però somigliarono solo al padre, e si chiamarono Deimos e Fobos, spiriti del terrore e della paura. Ebbe come sorelle Enio, Dea degli spargimenti di sangue, Bia, la violenza e Cratos, la forza bruta.


La fondazione di Tebe

Per ordine dell'Oracolo di Delfi, Cadmio, figlio del re di Tiro Agenore, seguì una vacca finchè non si fermò e lì fondò Tebe, ma prima dovette uccidere un drago acquatico sacro ad Ares.

Per consiglio di Atena, ne aveva seminato i denti da cui erano sorti gli Sparti, uomini armati molto feroci che si gettarono ferocemente gli uni contro gli altri, fino a che non ne sopravvissero cinque: Ctonio, Echione, Iperenore, Pelore e Udeo. Cadmo però dovette servire Ares per otto anni per espiare l'uccisione del drago, nonché sposare la figlia del Dio e di Afrodite, Armonia.

Secondo un mito Helios una volta vide Ares ed Afrodite che si incontravano di nascosto nella camera di Efesto e che andò subito a riferirlo ad Efesto che forgiò una rete d'oro e li prese in trappola, poi chiamò gli Dei dell'Olimpo a testimoni. Ma Afrodite era così carina che gli Dei la perdonarono.



IL MARTE ITALICO

Figlio della Dea Tellus e di Giove, in altri miti del biancospino, era inizialmente il Dio della fertilità, della vegetazione e dei giardini, ma anche della folgore, del tuono e della pioggia.

In seguito venne associato esclusivamente alla guerra e la battaglia, tanto importante per l'impero romano, come il greco Ares.

In quanto Dio della primavera, quando rinasce la vegetazione, si tenevano le principali celebrazioni e feste a lui dedicate. Ma in seguito perchè in primavera ricominciavano le guerre.

Come protettore dalle calamità agricole abbiamo la preghiera rimastaci nel "De agri cultura" di Catone, che lo invoca per proteggere i campi da ogni tipo di sciagura e malattia. Gli fu dedicata la "legio sacrata", cioè la legione Sannita, detta anche linteata, cioè bianca.


Nomi nelle varie zone italiche:
  • Mars
  • Marmar
  • Marmor
  • Mamers
  • Marpiter
  • Marspiter
  • Mavors
  • Mamerte

NUMISIO MARTIO (1889)

"Dalla draga Valeria sono stati ripescati nel letto del fiume (TEVERE), presso il ponte Garibaldi:
- Lastrina di colombario, di m. 0, 1 1
- Piccola base circolare (alt. m. 0,15, diametro m. 0,14), sulla quale si legge in caratteri arcaici, forse del principio del sec. VI:
JONIUS Q f NVMISIO
MARTIO DONOM
DEDIT MERETOD

Importante è questo monumento, per la denominazione del nume al quale fu dedicato. Conoscevasi già un'altra simile basetta, ora esistente nel museo di Firenze che essendo danneggiata nel primo verso, non lasciava supporre con sicurezza il nome della divinità. Il Mommsen propose dubitativamente di leggervi [NU]misio Marti prendendo a confronto un'iscrizione di Atina dedicata Marti sive Numiterno.

Ora possiamo stabilire con certezza, che ambedue le piccole basi portavano la stessa dedicazione NVMISIO MARTIO (non Marti); quantunque poi resti del tutto oscuro il significato di Numisius congiunto a Martius (strano che non sia stato collegato al termine latino Numen, cioè Dio, Divinità)

Compiuti gli sterri attorno all'ara dell'incendio neroniano, di cui fu detto nelle Notizie del 1889 (p. 159 sq.), sono stati recuperati i seguenti oggetti:
- Piede di statua, ben modellato, della grandezza naturale.
- Capitello corinzio, alto m. 0,46, col diametro di m. 0,33
- Gamba appartenente ad una statua di Mercurio, con parte del piede munito di alette.
- Fibula di bronzo, nella cui staffa è rilevato un globetto ;
- Frammento di lapide marmorea, di m, 0,25 X 0,25.



MAMERTE

Nel Parco del santuario di Rossano c'è un'area sacra che costituiva il santuario federale dei Lucani nel IV sec. a.c., sorto in un'area coperta di fitti boschi e in prossimità di una sorgente, alla congiunzione di diversi tratturi.

Il santuario era dedicato a Mefite, Dea osca alla quale veniva attribuito un potere taumaturgico legato alle acque. Al culto della Dea era affiancato anche quello del Dio Mamerte, testimoniato dalle iscrizioni. Probabilmente il Dio era suo figlio e poi marito, insomma un figlio-vegetazione che moriva e rinasceva ogni anno. Forse da lui prende nome il carcere mamertino di Roma.



IL MARTE ROMANO

Il Dio Marte, Mars in latino, secondo la mitologia romana del I secolo a.c., era il Dio della guerra, il Dio dei soldati che a lui si raccomandavano e a cui dedicavano i nemici uccisi, perchè Marte era felice di ogni nemico colpito sul campo, sia perchè proteggeva Roma sia perchè si inebriava del sangue versato. Il suo nome provenne probabilmente dall'etrusco Maris.

Marte, nella società romana, assunse un ruolo molto più importante del greco Ares, perché considerato il padre del popolo romano, inoltre era marito di Rea Silvia e padre di Romolo e Remo, che fondarono Roma.

Di conseguenza i romani si chiamavano tra loro Figli di Marte. I suoi più importanti discendenti furono Pico e Fauno.


Il Mito

Secondo una leggenda, Giunone, invidiosa che Giove avesse concepito da solo Minerva, chiese aiuto a Flora per ottenere altrettanto, e la Dea le indicò un fiore che cresceva nelle campagne in Etolia che permetteva di concepire al solo contatto.

Così diventò madre di Marte, che fece allevare da Priapo, il quale gli insegnò l'arte della guerra. La leggenda è di tradizione tarda come dimostra la discendenza di Minerva da Giove, secondo il mito greco, mentre Flora testimonia una tradizione più antica che faceva discendere gli Dei dalla Grande Madre Terra.

A Roma vi era anche una fontana consacrata a Marte e venerata dai cittadini. L'imperatore Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana, gesto interpretato dal popolo come un sacrilegio. Da quel giorno l'imperatore iniziò ad avere problemi di salute, secondo la gente dovuti alla vendetta del Dio.



NOMI DI MARTE
  • Mars Alloprosallo - incostante.
  • Mars Artipoo - perfetto.
  • Diuum deus - Dio degli Dei.
  • Gradivus - colui che va in battaglia.
  • Leucesios - lucente.
  • Silvanus: per i suoi aspetti legati alla natura.
  • Ultor - vendicatore, dato da Augusto in onore della vendetta per i cesaricidi.


SIMBOLI

Il picchio, il cavallo, la lancia, lo scudo bilobato, le hastae martiae, le lance di Marte, che erano conservate nel sacrario della regia e si scuotevano in caso di gravi pericoli.



ALETTRIONE

Giovane soldato, confidente e favorito di Marte, il quale faceva la guardia durante gli amori di questo Dio con Venere, per avvertirlo dello spuntar del giorno. Essendosi egli un giorno addormentato. Apollo (Sole) scoperse gli amanti e riferì a Vulcano che li circondò con una rete e li espose abbracciati alla vista degli Dei. Marte, sdegnato, cambiò Alettrione in un gallo che, memore della sua negligenza, annuncia all'alba l'avvicinarsi del sole.



LE FESTE
    MARTE E VENERE
  • Templum Martis apud Portam Capenam: si celebrava il 1° giugno in onore di Mars. Si ricordava la dedicatio del tempio di Marte presso Porta Capena all'inizio della via Appia.
  • Templum Martis Ultoris in Capitolio: festa celebrata il 12 maggio. Anniversario della dedicatio del tempio di Mars Ultor sul colle Capitolium.
  • Templum Martis Ultoris in Foro Augusti: festa celebrata il primo agosto. Anniversario della dedicatio del tempio di Mars Ultor nel Forum Augusti. Il tempio venne costruito dall'imperatore Augustus dopo la battaglia di Philippi.
  • Ludi Martiales Circenses: Ludi celebrati il 12 di maggio in onore del Dio Mars.
  • October Equus: festa celebrata il 15 ottobre in onore di Mars, Dio della guerra. Corsa di carri. Veniva sacrificato il cavallo che correva all'esterno del carro del vincitore.
"I Salii, sacerdoti di Marte, andavano per la città, portando degli scudi sacri, chiamati Ancili, cantando canzoni con una danza solenne".

I Salii erano i sacerdoti addetti quasi esclusivamente al culto di Marte, Quirino e dei membri della famiglia imperiale. Secondo il mito cadde un giorno dal cielo uno scudo biconvesso nel Campidoglio e venne interpretato dai sacerdoti come lo scudo di Marte. 

Finchè lo scudo venisse conservato Roma sarebbe stata vittoriosa. Allora Numa Pompilio fece costruire 11 scudi analoghi di modo che non si potesse riconoscere l'originale per derubarlo.

VENERE E MARTE
Nei rituali dei sacerdoti Salii veniva cantato il "Carmen Saliare", di cui si hanno pochi frammenti in latino arcaico. 

I riti si tenevano a marzo ed ottobre, con processioni in cui i sacerdoti, portando armature ed armi antiche, eseguivano la loro danza sacra e cantavano il Carmen.

La creazione dei sacerdoti Salii è antecedente all'epoca della Repubblica Romana e risalgono a Numa Pompilio.

I sacerdoti Salii venivano scelti tra i figli di famiglie patrizie i cui genitori fossero in vita al momento della scelta.

La nomina era a vita, ma era permesso abbandonare l'ordine in caso di sacerdozio di maggiore importanza o di una grossa carica pubblica. Fu sacerdote Salio anche Publio Cornelio Scipione, detto l'Africano.

Alcuni frammenti dell'inno, composti in versi saturni, si sono conservati grazie a Marco Terenzio Varrone:

"Cantate Lui, il padre degli Dei, 
supplicate il Dio degli Dei,
qundo tuoni, o Dio della luce, 
davanti a te tremano 
tutti gli Dei che lassù 
ti sentono tuonare dalle nubi."

Con il nome di Carmen Saliare si identifica un frammento in latino arcaico il cui testo, nell'antica Roma, veniva recitato nello svolgimento dei rituali praticati dai sacerdoti Salii" (conosciuti anche come i "sacerdoti saltellanti")

I riti erano imperniati soprattutto attorno alle figure degli Dei Marte e Quirino, e si tenevano nei mesi di marzo ed ottobre. Consistevano in processioni durante le quali i sacerdoti, portando armature ed armi antiche, eseguivano la loro danza sacra e cantavano il Carmen Saliare.
 


I TEMPLI

Tempio di Marte Ultore al Foro di Augusto

Ottaviano aveva promesso di erigere a Roma un tempio dedicato a Marte Ultore alla battaglia di Filippi del 42 a.c., in cui con Marco Antonio aveva sconfitto gli uccisori di Cesare.

Il grande tempio sostituiva un'edicola provvisoria nel Campidoglio.

Venne finanziato con il bottino di guerra ottenuto con le proprie vittorie, ossia su un terreno acquistato a proprie spese, alle pendici del Quirinale, a ridosso della Suburra.

Il Foro di Augusto, col tempio di Marte Ultore, venne inaugurato nel 2 a.c.

Il tempio si innalzava su un podio di 3,5 m. rivestito in blocchi di marmo con otto colonne corinzie davanti e otto su ciascuno dei fianchi. I colonnati e le pareti esterne della cella erano realizzati in marmo lunense. L'ordine architettonico del tempio ha rappresentato un modello per l'evoluzione della decorazione architettonica romana.

Il podio era costituito da fondazioni in opera cementizia e in blocchi di tufo, sotto i muri, e in tufo e travertino, sotto i colonnati; le fondazioni erano rivestite da blocchi di marmo.

Vi si accedeva con una scalinata frontale di 17 gradini in marmo, con al centro da un altare.

La cella aveva le pareti interne decorate da due ordini di colonne, con sul muro altrettante lesene.

Sul fondo un'abside, con un podio per le statue di Marte e Venere, e una scalinata rivestita in lastre di alabastro.

Vi erano ospitate le statue di Marte e di Venere, con altre sculture nelle nicchie che si aprivano sulle pareti tra le colonne.



TEMPIO DI MARTE EXTRAMURARIO

"Tacito stabilisce che l'Arco di Nerone Claudio Druso sia nell'Appia presso il Tempio di Marte Extramuraneo e l'essere costrutto di un sol fornice come si vede nelle medaglie di Claudio
Dagli Acquedotti Vicino alla Porta Capena si ascendeva per un Clivo al Tempio di Marte situato alla radice del Celio e perciò detto Extramuraneo.

ll P Eschinardi vuole che fosse dove è la Chiesa di San Sisto Vecchio e che questa Chiesa sia fondata nello stesso luogo del Tempio di Marte ma essendosi fuori dalla Porta al Casino del Marchese Nari trovata una Iscrizione che si vedeva essere al suo luogo ove giusto fu trovata la Colonna Milliaria del primo miglio che adesso si vede in Campidoglio fa credere diversamente.

L'iscrizione è la seguente: 
SENATVS POPVLVSQVE ROMANVS 
CLIVVM MARTIS PECVNIA PVBLICA 
IN PLANITIEM REDICENDVM CVRAVIT 
Questa Iscrizione ci rende certi essere stata spianata la parte montuosa che era ivi poco distante dal Tempio di Marte".

(Ridolfino Venuti Cortonese 1763) . .

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- D. Sabbatucci - La religione di Roma antica - Il Saggiatore - Milano - 1989 -
- James Hillman - Un terribile amore per la guerra - Milano - Adelphi - 2005 -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -
- H.S. Versnel - Apollo and Mars - One Hundred Years after Roscher, in: Visible Religion: Annual for Religious Iconography. Approaches to Iconology, Brill, 1985–86 -
- George Dumezil - Jupiter, Mars, Quirinus (Jupiter Mars Quirinus. Parigi, Gallimard, 1941). Torino, Ed. scientifiche Einaudi, 1955.


CULTO DI MERCURIO - HERMES


10 comment


Luciano così fa parlare Mercurio:

"Può esservi in cielo, o madre, un dio più disgraziato di me? La mattina, infatti, appena alzato, ho da spazzare la sala da pranzo e da rifare i letti; quando è tutto in bell'ordine, devo star vicino a Giove, portar su e giù le sue ambasciate correndo avanti e indietro come un postino e appena tornato su, ancor polveroso, servire l'ambrosia. E prima che venisse quassù quel giovinetto (Ganimede) per coppiere, io versavo anche il nettare. 

Ma la cosa peggiore che, fra tutti, capita a me solo, è che neppure la notte posso riposare, ma bisogna che io accompagni giù le anime a Plutone, conduca i morti e assista al giudizio. Così non mi bastano i lavori del giorno, stare nelle palestre, fare il banditore nei parlamenti e insegnare l'arte della parola: mi tocca anche farmi in quattro con quest'altra faccenda dei morti. 

I figli di Leda (Castore e Polluce), un giorno per ciascuno, stanno in cielo e nell'Ade; per me invece è necessario che io faccia ogni giorno le une e le altre cose; mentre i figli di Alcmena e Semele (Eracle e Dioniso), nati da misere femminette, se la spassano senza pensieri, io figlio dell'Atlantide Maia devo fare il servitore a loro. 


Ecco, appena ritornato da Sidone, dalla figlia di Cadmo, dove Giove mi ha mandato per vedere che cosa facesse la fanciulla, non mi ha lasciato tirare neppure il fiato, che mi ha rimandato di nuovo ad Argo a vedere Danae; e 'di là', mi dice, 'passa in Beozia e da un'occhiata ad Antiope'. Insomma, io non ne posso più: se fosse possibile, mi piacerebbe tanto essere venduto, come avviene degli schiavi sulla terra."


Plauto così lo fa parlare nell'Anfitrione:

"Voi volete che io vi faccia guadagnare bene quando comprate e vendete le vostre merci e che in ogni circostanza io vi aiuti; voi volete che tutti i vostri affari, tutte le vostre operazioni riescano bene, sia in patria che all'estero, e che buoni ed ampi profitti vengano continuamente ad accrescere i vostri traffici, quelli già iniziati e quelli che inizierete."



IL CULTO GRECO

Nella mitologia greca Mercurio era Hermes, figlio di Giove e della ninfa Maia, messaggero degli Dei, protettore dei viaggi e dei viaggiatori, della comunicazione, dell'inganno, dei ladri, dei truffatori, dei bugiardi, delle sostanze, della divinazione, portatore dei sogni e il conduttore delle anime dei morti negli inferi.

Nell'Inno omerico a Demetra, Hermes riporta la Kore Persefone sana e salva dalla Dea sua madre. Era anche noto per ispirare i sogni ai mortali nel sonno.

Hermes o Ermete fu anche Dio dei confini, dei pastori e dei mandriani, degli oratori e dei poeti, della letteratura, dell'atletica, dei pesi e delle misure, del commercio e dell'astuzia caratteristica di ladri e bugiardi.

L'Inno omerico ad Hermes lo invoca come: "dalle molte risorse, gentilmente astuto, predone, guida di mandrie, apportatore di sogni, osservatore notturno, ladro ai cancelli, che fece in fretta a mostrare le sue imprese tra le Dee immortali.".

Hermes fungeva anche da interprete, messaggero degli Dei presso gli uomini, compito che divideva con la Dea Iris. Da Hermes deriva la parola ermeneutica, l'arte di interpretare i significati nascosti.

Si credeva che Hermes, oltre alla siringa e alla lira, avesse inventato anche molte competizioni sportive e la pratica del pugilato: per questo era considerato il protettore degli atleti.

Per gli antichi Greci in Hermes si incarnava lo spirito del passaggio e dell'attraversamento, ritenendo si manifestasse in qualsiasi:
- scambio (commerciale e non),
- trasferimento,
- violazione (come il furto),
- superamento (ad esempio di confini),
- mutamento,
- transito (mercanti),
- come passaggio da un luogo (viaggiatori),
- o da uno stato, all'altro (stato sociale, carica dello stato)
- compreso il passaggio dalla vita alla morte (Mercurio psicopompo).



IL MITO

Secondo quanto racconta l'Inno ad Hermes, suo padre era Zeus e sua madre era Maia, la più bella delle Pleiadi, figlie di Atlante, che si erano rifugiate in una grotta del monte Cillene. Nacque in una grotta sui fianchi del monte Cillene, la più alta cima del Peloponneso, per cui ebbe anche l’appellativo di Cillenio.

 I suoi simboli erano il gallo e la tartaruga ma era chiaramente riconoscibile anche per il suo borsellino di pelle, i suoi sandali e il cappello alato, il petaso, e il bastone da messaggero, il kerykeion.

Il piccolo Hermes fu un bambino molto precoce: ancora neonato, si tolse da solo le fasce e, uscito dalla caverna, incontrò una tartaruga a cui tolse il guscio e sulla parte cava tese sette corde, fabbricando così una cetra dal suono dolcissimo e nella stessa notte sfuggì a Maia ed andò in Tessaglia a rubare il bestiame del suo fratello maggiore Apollo, custode delle mandrie degli Dei, ben cinquanta capi di bestiame.

Li trascinò con astuzia per la coda, facendoli camminare a ritroso affinché le tracce degli zoccoli non lo tradissero. Poi, giunto nell’Elide, li nascose in una spelonca sotterranea molto profonda. Quindi tornò nella grotta, si rimise le fasce, fingendo di dormire nella culla. Apollo però lo scoprì ma Maia lo difese perchè aveva trascorso con lei tutta la notte.

Ma Zeus disse che Hermes aveva effettivamente rubato la mandria e doveva restituirla. Mentre discuteva con Apollo, Hermes cominciò a suonare la sua lira che piacque tanto ad Apollo che, in cambio di esso, accettò che Hermes si tenesse la mandria rubata.

Anzi gli regalò pure una verga magica, che un giorno Hermes lanciò tra due serpenti che si combattevano. Immediatamente divennero serpenti in amore intrecciati alla verga ed il Dio ne fece il suo caduceo.

Poiché era rapido come il vento, Zeus ne fece il messaggero degli Dei e lo incaricò di molte missioni, come liberare Ares prigioniero di Oto e di Efialte. Fu lui che portò Era, Atena e Afrodite da Paride affinché aggiudicasse il pomo alla più bella.

Fu Ermes che accompagnò Priamo attraverso le linee greche quando andò da Achille per implorarne la restituzione della salma di Ettore.

Per suo padre Zeus, quando la ninfa Io, una delle amanti di Zeus, era stata catturata da Hera e custodita dal gigante dai cento occhi Argo, andò a salvarla, addormentando il gigante e decapitandolo.

Di fronte agli amanti Afrodite e Ares, intrappolati da Efesto, disse che non gli sarebbe dispiaciuto di trovarsi al posto di Ares pur di stare fra le braccia di Afrodite. Al che Afrodite, apprezzando il complimento, si concedette a lui concependo l'Ermafrodito.

Era anche il Dio dei sogni e faceva addormentare i mortali toccandoli con la magica verga. Inoltre accompagnava le ombre dei morti nell’Erebo e perciò era chiamato Psychopompós, che in greco significa “conduttore delle anime”.

Aveva anche il dono dell’eloquenza, che unita alla mancanza di scrupoli, lo fece considerare il Dio degli oratori, dei commerci, dei traffici e dei guadagni, degli imbroglioni e dei ladri.


Il culto di Hermes

Templi dedicati ad Hermes erano diffusi in tutta la Grecia, ma il centro più importante era Feneo in Arcadia dove si tenevano le celebrazioni in suo onore chiamate "Hermoea".


Inno orfico a Hermes

"Ascoltami, Hermes, messaggero di Zeus, figlio di Maia dal cuore indomabile.
Ascoltami, giudice nelle gare, signore dei mortali, benevolo, scaltro, 
messaggero dall’agile passo e dai calzari alati, amico degli uomini, araldo per i mortali. 
Ascoltami, tu che gioisci degli esercizi ginnici e dei sottili inganni; 
 tu che porti i serpenti e rechi ogni annuncio e proteggi i guadagni; 
 tu, liberatore dall’angoscia, che hai nelle mani le armi irreprensibili della pace. 
Ascoltami, dio del Corico, beato, provvido, eloquente, aiuto nelle opere, 
amico dei mortali nelle necessità: tu, arma terribile e veneranda per gli uomini, 
ascolta la mia supplica e concedimi in sorte un alto compimento della vita nelle azioni, 
nelle grazie del discorso e nel ricordo".


Iconografia di Hermes

Nelle epoche più antiche era immaginato come un Dio più anziano, barbuto e dotato di un fallo di notevoli dimensioni ma, nel VI secolo a.c. la sua figura fu rielaborata e trasformata in quella di un giovane dall'aspetto atletico. Le statue di Hermes ritratto con il suo nuovo aspetto furono diffusamente sistemate negli stadi e ginnasi di tutta la Grecia.



ATTRIBUTI

Solitamente indossava un cappello da viaggiatore dall'ampia tesa oppure il petaso, il caratteristico cappello alato.

Calzava un paio di sandali anch'essi alati, i Talari e portava il bastone da messaggero tipico della cultura orientale – o il Caduceo attorno al quale sono intrecciati due serpenti, o il "Kerykeion" , sopra al quale si trova un simbolo simile a quello a quello usato in astrologia per il segno del toro.

Indossava abiti semplici, da viaggiatore, lavoratore o pastore. Spesso era rappresentato coi suoi tipici simboli, la borsa, il gallo o la tartaruga.

Come "Hermes Logios", simbolo della divina eloquenza, generalmente teneva un braccio alzato in qualità di oratore.
Possedeva anche un magico mantello che lo rendeva invisibile.


La discendenza di Hermes 
  • Pan - Pan, il dio della natura, dei pastori e delle greggi dall'aspetto di un satiro, era considerato figlio di Hermes e della ninfa Driope. Nell' Inno Omerico a Pan, dopo averlo partorito la madre di Pan fuggì via dal neonato spaventata dal suo aspetto.
  • Ermafrodito - Ermafrodito era figlio di Hermes e di Afrodite. Fu trasformato in un ermafrodito quando gli Dei concessero alla lettera a lui e alla ninfa Salmace di non separarsi mai.
  • Priapo - Il dio Priapo era figlio di Hermes e Afrodite. Attraverso la figura di Priapo si perpetua il ricordo dell'origine di Hermes come divinità fallica. Secondo fonti diverse, Priapo era invece figlio non di Hermes ma di Dioniso.
  • Eros - Secondo alcune fonti il Dio dell'amore Eros, figlio di Afrodite, era stato concepito con Hermes, anche se la paternità è stata attribuita anche ad altri dei come Ares ed Efesto. La Teogonia di Esiodo afferma che Eros era nato dal nulla e la sua venuta al mondo era precedente agli Dèi. Nella mitologia romana Eros prese il nome di Cupido.


IL CULTO ROMANO

(Autore ignoto)
"Il Dio con altri dei e dee viveva sull'olimpo e con il suono della lira dilettava i loro convivi, ma ogni tanto svolgeva il compito di messaggero. Infatti dava gli ordini degli dei agli uomini e alle donne, applicava calzari alle sue scarpe le ali e appariva agli uomini. Una volta il dio Mercurio apparve al pio Enea e lo ammonì, come il poeta Virgilio narra nella sua famosa opera: fonda una nuova Ilio sulle coste d'italia! Lascia la regina e il suo regno e obbedisci al fato!"

Nella mitologia romana il corrispondente di Hermes fu Mercurio che, sebbene fosse un Dio di derivazione etrusca, possedeva molte caratteristiche simili a lui, come essere il Dio dei commerci.

"Questo Battista Mattei morendo, lasciò pingue patrimonio ai figliuoli Bernardino e Giulio, i quali, venuti a differenza fra loro, sollecitarono 1' arbitrato di Giulio Albertoni e Girolamo Serlupi. Il lodo, in atti di Bernardo Mocaro, porta la data del 7 dicembre 1502. Ulisse Aldovrandi p. 152 descrive « un Mercurio ignudo assiso sopra un trono, e tiene una fanciulla ignuda in braccio... trovato in Trastevere in casa di messer Alessandro Mattei ». E siccome anche le iscrizioni Kaibel 971, 997 etc. si dicono «repertae in li ortis Mattheis transiberim » io credo che tutti o parte dei monumenti descritti, siano veramente frutto di scavi eseguiti vicino al I miglio della via Portuense".
(Rodolfo Lanciani)

Mercurio, in latino Mercurius, era Dio dell'eloquenza, del commercio e dei ladri, nella mitologia greca e romana. La sua bacchetta, il Caduceo, divenne simbolo della medicina. Essendo il messaggero degli Dei venne spesso raffigurato con le ali ai piedi.

Nella mitologia romana rappresentò non solo per la sua velocità i ladri ma fu anche Dio degli scambi, del profitto, dell'astuzia, degli affari e del commercio, il suo nome latino probabilmente derivò dal termine merx o mercator, che significa mercante.

Mercurio era considerato messaggero degli Dei, datore di prosperità e ricchezza, Dio guida delle anime nell'Averno e nume tutelare delle strade.

L'erma, il pilastro per strade e confini, spesso sovrastata da un busto o un simbolo, deriva da Hermes, il che dice quanto fosse usata la sua immagine per tutto ciò che evidenziava confini o direzioni, o semplicemente come simbolo apotropaico.

Non a caso proteggeva i viaggiatori via terra.
A Roma, un tempio a lui dedicato, venne eretto nel Circo Massimo sul colle Aventino, nel 495 a.c..


Ermes iperfallico - affresco di Pompei. Figura portafortuna che fonde gli attribuiti di due divinità dell'abbondanza: Priapo (riconoscibile dall'enorme fallo in erezione), dio della fecondità, e Mercurio, dio del commercio, riconoscibile dal caduceo. Affresco da Pompei 89 d.c. Napoli, Museo Archeol. Naz.

Per la prontezza dell’ingegno furono attribuite a Mercurio molte invenzioni, come quelle della musica, dell’astronomia, dei pesi e delle misure. Poiché per le sue missioni era sempre in viaggio, fu considerato protettore dei viaggiatori e della sicurezza delle strade.

Perciò nei punti più pericolosi, o dove una via si biforcava, in suo onore veniva innalzata un’erma, cioè il suo busto posato su un piedistallo. A volte però sostituito con Priapo.
I Romani solevano dire "È entrato Hermes" quando in una riunione calava un improvviso silenzio.

Caduceo - Verga sormontata da due ali e con due serpenti attorcigliati. Per i Romani era il simbolo dell’araldo di pace, chiamato caduceator. Da allora, con l’aggiunta di due piccole ali spiegate per significare la velocità, il caduceo divenne attributo e simbolo non solo della pace ma anche del commercio, che in essa prospera. Nell'antica Roma Mercurio veniva talora rappresentato con accanto animali a lui sacri: l’ariete, il maiale, nonché il gallo.



NOMI DI MERCURIO
  • Acacesio - dal nome del balio Acasio, figlio di Licaone.
  • Acaceto - che non fa alcun male.
  • Argifonte - per aver ucciso Argo.
  • Arpedoforo - per aver ingannato Argo con l'arpa.
  • Caducifero - portatore di Caduceo.
  • Trifonio - che fa accettare i diversi costumi.
  • Psicopompo - accompagnatore di anime nell'Ade.


TEMPLI


Templum Mercurii in Aventino

Il 15 maggio 495 a.c. venne consacrato a Mercurius un tempio sul colle Aventinus.
"era un Tempio alle falde dell'Aventino dedicato a Mercurio restaurato da Marco Aurelio"
(Ridolfino Venuti Cortonese 1763)

I ritrovamenti lapidei nell’area a sud est di S. Eufemia dimostrano inoltre l’esistenza, come molti studiosi sostengono, di un’area sacra dedicata a Mercurio.

La sua festa in quella data era detta Mercuralia.

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- K. Kerényi - La religione antica nelle sue linee fondamentali - Astrolabio - Roma - 1951 -
- R. Bloch - La religione romana - in Le religioni del mondo classico - Laterza - Bari - 1993 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - I -
- Cornelius Nepos - Justin Quinte-Curce - Valère Maxime - Julius Obsequens - oeuvres competes - M. Nisard (a cura di) - Paris - Firmin Didot frères, fils et c.ie - 1864 -


CULTO DI DIANA - ARTEMIDE


11 comment


" Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide così come la natura è ritrosa. "
(Omero)

Diana, è una Dea italica, latina e romana, è la signora delle selve e degli animali selvatici, la custode delle fonti e dei torrenti, la protettrice delle donne, soprattutto nel parto, e colei che stabiliva il potere della regalità.

Nell’arte del periodo arcaico Diana è spesso raffigurata con le ali, circondata di animali, infatti la sua origine è preellenica e da collegare con la minoica “Signora delle fiere”, simile ad altre figure divine, sempre Dee degli animali, adorate anche in Asia Minore. Più tardi fu assimilata alla Dea greca Artemide.



L'ARTEMIDE GRECA


Inno Orfico a Prothyraia

"Ascoltami o dea augusta, demone dai molti nomi,
soccorritrice nelle doglie, soave al cospetto dei talami.
Sola salvatrice delle donne, amante dei fanciulli, dall’animo gentile,
che acceleri il parto, che fra i mortali assisti le giovani,
Prothyraia, hai le chiavi, accogli affabilmente,
hai caro l’allevatore, gradevole con tutti,
che abiti le case di tutti e gioisci nei convitti,
assisti le partorienti, invisibile, ma visibile a tutti nelle opere,
partecipi delle doglie e gioisci dei parti felici,
Ilitia che scioglie i travagli nelle terribili necessità;
te sola infatti le puerpere chiamano riposo dell’anima;
poiché in te sono i tormenti che liberano dai dolori dei parti,
Artemide Ilitia e la augusta Prothyraia.
Ascolta Beata, essendo soccorritrice da’ discendenza
E salva, come per natura sei sempre salvatrice di tutti".

Incarnazione della natura: creativa, nutritiva e distruttrice, protettrice delle Amazzoni, come lei guerriere e cacciatrici, e come lei indipendenti dal giogo dell’uomo, attraverso la mediazione delle colonie greche dell’Italia meridionale, assumendone il carattere di dea della caccia e della Luna.

Cacciava per monti e boschi seguita dalle Ninfe con cui danzava sui prati. Protettrice e insieme cacciatrice di animali. Come cacciatrice il suo simbolo era l'arco e di notte andava a caccia al lume di torce. Amava le sue ninfe, di cui era sempre circondata, purchè non si innamorassero o accoppiassero.

Figlia di Zeus e di Latona e sorella di Apollo, Diana nasce a Delo e, appena nata, aiuta la madre a mettere al mondo il fratello.

A soli tre anni chiese al padre Zeus diverse cose:
- l’eterna verginità;
- tanti nomi quanti ne ebbe Apollo;
- un arco e delle frecce come i suoi;
- il compito di portare la luce;
- una tunica da caccia color zafferano con un bordo rosso, lunga sino alle ginocchia;
- sessanta giovani Ninfe oceanine, tutte della stessa età, come sue damigelle;
- venti Ninfe dei fiumi, provenienti da Amniso in Creta, perché si curassero dei suoi calzari e dei suoi cani quando lei non era impegnata nella caccia;
- tutte le montagne del mondo;
- una città a scelta del padre.

Naturalmente le donne la invocarono spesso, poiché sua madre Latona la partorì senza dolore, e le Moire (il fato/ il destino), poco dopo la nascita, la fecero diventare patrone dei parti.

Eternamente vergine e schiva, era amante della solitudine e nemica dei banchetti, aveva fatto voto di castità e per questo motivo proteggeva chi si manteneva casto. Procurava alle donne le doglie che servono al parto attutendo però il dolore, e le proteggeva dalla febbre puerperale, contemporaneamente le assisteva nel parto, insegnando pure a curare ed educare i bambini. Rappresentata in abito da cacciatrice con faretra e arco con il capo ornato dal quarto di luna, spesso accompagnata da un levriero o da un cervo.

Omero: "Artemide pure, la rumorosa Dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide così come la natura è ritrosa."
Come mai il fuso? Evidentemente anticamente era Dea del telaio e come tale Dea della creazione del mondo.

Pausania narrò che presso Megara c'era un antico santuario dedicato ad Artemide Caria, detta la Salvatrice che operò un miracolo in favore dei Greci, facendo scagliare ai Persiani tutte le frecce contro una roccia, si che non ne ebbero più contro i Greci, permettendo a questi ultimi di vincere la battaglia.

Carpenter - I Misteri del vino:
Ovunque nell'antichità, dalla Palestina alla Fenicia, dalla Gracia a Roma, ovunque si ritrova quella leggenda della Terra-Madre che associa il vino al culto degli Dei; infatti vi è un insieme terra-vite che può e deve rappresentare la Madre. Così l'uva passa allo stato maschile di vino, figlio dell'insieme vite-terra.

L'autore aggiunge che sotto il Regno della Vergine l'uva, strappata dalla madre, deve essere sacrificata come un Dio per essere trasformata in vino. La trasformazione nel patriarcato è il mito di Dioniso che si allea dapprima con le Amazzoni per combattere i Titani e successivamente muove loro guerra facendone strage. Le superstiti si rifugiano ad Efeso nel tempio di Artemide.

E' abbastanza facile scorgervi un evento storico: le sacerdotesse guerriere e vergini, cacciate dai loro santuari, che si riuniscono nell'ultimo baluardo: il tempio della Grande Madre, la Diana degli Efesini tanto adorata e temuta, e si sa che alla fine anche questa dovrà cadere sotto l'incalzante intolleranza religiosa cristiana.


Gran parte degli artisti rappresentano Diana e le Ninfe sorprese alle fonti dai Stiri, creature mitologiche metà uomini e metà capre. In realtà questo tema, che non ha riscontri nella mitologia, è allegorico e allude al vizio che attenta alla castità, ma è un pensiero che si sviluppa nel cattolicesimo, perchè i satiri, come le ninfe, erano una rappresentazione delle energie della natura e quindi anche di quelle istintuali dell'uomo. Le ninfe di per sè non erano caste, se non quelle del corteo di Diana, che costituiva una minima parte delle ninfe della terra.

In età classica Diana è sorella di Apollo, ma è un mito tardivo: le due divinità sono originariamente autonome, anche se uno degli Inni cosiddetti Omerici ne sottolinea la familiarità col Dio del sole:
Dea della sonora caccia, vergine riverita, che uccide i cervi, saettatrice, sorella di Apollo della spada d’oro, che tra le colline ombrose e le cime ventose, godendo della caccia, tende il suo arco d’oro e scagli dardi dolorosi. Tremano le vette delle alte montagne, la scura foresta terribilmente risuona del fragore delle belve, si scuote la terra e il mare pescoso”.

Diana è una Dea vendicativa, e uno dei suoi primi atti fu, col fratello, di mettere a morte i figli di Niobe. Mentre Apollo uccideva, uno dopo l’altro, i sei ragazzi, che erano a caccia sul Citerone, Diana uccideva le sei figlie, rimaste a casa. Questo atto era stato dettato alle due divinità dal loro amore per la madre, che Niobe aveva insultato.
Ancora per difendere Latona, i due figli, appena nati, uccisero il drago che veniva ad attaccarli. Ancora per lei attaccarono e misero a morte Tizio, che cercava di violentare Latona. Diana partecipò al combattimento contro i Giganti. Suo avversario era il Gigante Grazione, ch’ella uccise con l’aiuto del semidio Eracle.

Uccise inoltre altri due mostri, gli Aloadi, e il mostro Bufalo, il mangiatore di Buoi, in Arcadia, e Orione, il cacciatore gigante per averla sfidata al disco, o per aver cercato di rapire una delle compagne, Opide, che essa aveva fatto venire dalla regione degli Iperborei, o perchè avrebbe cercato di violentare la stessa Diana. Inoltre fece sbranare dai suoi cani Atteone, che l'aveva spiata nuda a una fonte, e uccise la sua ninfa Callisto per punirla d’essersi lasciata sedurre da Zeus, quando Callisto fu trasformata in orsa.



LA DIANA ITALICA

"Silvarum patrona et domina, Diana, es"
"O Diana, tu sei la patrona e la padrona delle selve"

Diana è antichissima Dea italica, la DIA, signora delle selve e delle belve, custode di fonti e torrenti, Dea della Natura e dell'agricoltura, protettrice delle donne caste. Caste, non vergini, a significare le donne indipendenti che non soggiacciono a mariti padroni. La radice si trova nel termine latino arcaico "dius" (“della luce”, da dies, “ luce del giorno”),  divino,  per cui il nome originario sarebbe stato Divina.

La luce a cui si riferisce il nome sarebbe quella che filtra dalle fronde degli alberi nelle radure boschive, mentre viene respinta quella della Luna perché tale associazione con la Dea fu molto tarda.

Il termine Dio viene la lei e non il contrario, perchè il matriarcato e la Dea Madre, nel Mediterraneo come in tutto il mondo, precorsero lungamente il patriarcato e il Dio Padre.

Come tutte le grandi Madri primigenie aveva tre volti: nascita, crescita e morte.
Come Dea della nascita aiutava le gestanti a partorire, così come faceva fiorire la vegetazione in primavera.

Il principale luogo di culto di Diana italica si trovava presso il piccolo lago laziale di Nemi, sui colli Albani, e il bosco che lo circondava era detto nemus aricinum per la vicinanza con la città di Ariccia. 

Il santuario di Ariccia potrebbe essere stato il nuovo santuario federale dei latini dopo la caduta di Alba Longa, da quanto riportato da Catone nelle “Origines”, cioè che il dittatore tusculano Manio Egerio Bebio officiò una cerimonie comunitaria nel Nemus Aricinum insieme ai rappresentanti delle altre principali comunità latine:  "Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus, Laurens, Coranus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis, Rutulus.

In seguito Servio Tullio fondò il nuovo tempio di Diana sull’Aventino e lì spostò il centro del culto federale con il consenso dell’aristocrazia latina.
Sempre secondo Catone, i Rutuli avevano partecipato alla fondazione del tempio della dea sulle sponde del lago di Nemi,e il santuario fu frequentato e attivo fino all'avvento del cristianesimo.

Inoltre molti altri santuari erano situati nei territori del Lazio antico e della Campania e di recente è stato scoperto un santuario dedicato a Diana Umbronensis all’interno del Parco Regionale della Maremma. Era in questi luoghi che si celebravano, in onore della Dea, le feste dette Artemisie.

La Dea di Nemi è denominata Diana Nemorense, ma nella sua forma più antica Diana era Iana, la controparte di Iano o Diano. Macrobio narra che le due facce di Giano derivano dalla sua fusione con Giana. o Jana, che è presente in tutto il Mediterraneo.

Trattavasi di un culto della fertilità della natura, del ciclo eterno di morte e rinascita del sole, dell'unione fra il sole e la luna. Jana-Jano sono i custodi delle porte (i solstizi erano le porte del ciclo universale, alba e tramonto erano le porte del cielo nel ciclo quotidiano) e quindi i garanti dell'equilibrio e del passaggio fra vita e morte.

Tito Livio ed altri grandi storici affermano che diversi secoli prima di Cristo, sul Mons Algidus vi erano templi dedicati a divinità, soprattutto a Diana la veneratissima e bella Dea dei boschi e della caccia. Non a caso in zona, siamo presso il Monte Cavo (o Gavo come veniva chiamato nell'antichità) ci sono i boschi dell'Artemisio, dedicati appunto alla Dea della natura selvaggia.

Come Dea della crescita Diana benediceva i campi arati, culto che restò per ben mille anni d.c., con cruccio del cattolicesimo, invocata nella raccolta delle erbe selvatiche e curative, e soprattutto il 6 gennaio, in cui volava sopra i campi benedicendoli. Per questo venne sostituita con la Befana che in qualità di buona vecchietta, ma pure mezza strega, sorvola il mondo su una scopa in quella notte. E poichè Diana volava in quella notte nel cielo con le sue ninfe, si inventò il sabba con le streghe nel cielo sulla fatidica scopa.

Il sabba deriva infatti dal culto di Diana Caria, culto proibito agli uomini, che si svolgeva intorno al noce, che per la sua conformazione somiglia al cervello, con riti misterici poi aboliti dal patriarcato. Così le sacerdotesse divennero le streghe di Benevento, perchè le sacerdotesse si immergevano nel fiume Sabus (oggi Sabato), da cui il termine Sabba.

Come Dea della morte fu venerata come Ecate, la notturna Dea Luna, infatti molto venerata nella regione anatolica della Caria, da cui il culto proviene.
Livio infatti racconta che fu Servio Tullio a porre il tempio di Diana Ctonia sull'Aventino, Dea della luna, cacciatrice, anche Dea della morte, invocata col nome di Ecate.
Più tardi venne assimilata all'Artemide greca perdendo i suoi attributi misterici.

La Dea italica divenne romana e Catullo cantò:

Su, devoti a Diana, fanciulle e fanciulli innocenti,
preghiamo nel canto Diana,
fanciulle e fanciulli innocenti.

O grande Latonia, sangue
santo di Giove, che a Delo
tua madre depose
accanto all'ulivo,

perchè di monti e di boschi
e di macchie profonde,
e di fiumi sonanti tu
fossi Signora,

t'invocano Madre Lucina
in doglia le puerpere,
ti chiamano magica Trivia,
e Luna di luce riflessa.

La Dea Diana, nella sua manifestazione lunare, è stata oggetto nel culto della stregoneria della tradizione italiana. Come riporta Charles Leland nel “Vangelo delle streghe” Diana è adorata come dea dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati dalla Chiesa Cattolica. Per far sì che il culto della stregoneria andasse avanti mandò sua figlia Aradia per liberare dagli oppressori gli schiavi e per divulgare il culto della Dea.



NOMI DI DIANA
  • Agrotera - da Agra, dove andò a caccia per la prima volta.
  • Panagea - che regna nei boschi.
  • Anetide - innocente.
  • Arduina - che lancia strali.
  • Limnatide - protettrice dei pescatori. 
  • Limnea - del lago
  • Orthia - retta  
  • Ligodesma - legata al salice, per un’immagine della dea in un boschetto di salici sostenuta dalle fronde degli alberi che la avviluppavano.
  • Corifea - della cima. 
  • Dafnia - dell’alloro. 
  • Licea - Dea lupa. 
  • Eginea - Dea Capra
  • Cariatide - Dea del noce
  • Arista - ottima
  • Callista - bellissima. 
  • Polimastide - dalle molte mammelle, come compare a Efeso. 
  • Ha anche assimilato culti barbari, come quello di Tauride, caratterizzato da sacrifici umani.


I SUOI ATTRIBUTI

"Montium nemorumque regina erat Diana"
"Diana era la regina dei monti e dei boschi."

La simbologia della Dea è legata al mondo delle selve: già in molte gemme la si vede portare una fronda in una mano e una coppa ricolma di frutti nell'altra, in piedi accanto ad un altare, dietro al quale si intravede un cervo, il suo animale sacro per eccellenza.

Su un candelabro d'argento conservato nei Musei Vaticani la Dea non ha forma umana ma una serie di simboli: un albero di lauro (sacro ad Apollo) al quale sono appese le armi da caccia: l'arco, la faretra e la lancia, un palo conico al quale sono applicate le corna di un cervo, un altare ricolmo di offerte tra cui una pigna, una fiaccola accesa (come originaria Dea della luce) appoggiata all'altare e un cervo accanto ad esso.

Ma era legata fortemente anche all'agricoltura:

"In deae Dianae ara agricolarum columbae erant""Sull' ara della dea Diana c'erano le colombe degli agricoltori."

A Porta Maggiore a Roma si vede l'immagine di una colonna che regge un vaso e un albero, circondati da un recinto semicircolare a costituire un locus saeptus, forma arcaica di sacello all'aperto, dedicato a Diana.

"T'invocano Madre Lucina
in doglia le puerpere,
ti chiamano magica Trivia
e luna di luce riflessa."
canta ancora Catullo, perchè a Diana era connessa la Dea Lucina che assisteva ai parti, ma pure Ecate Trivia, Dea lunare e notturna della stregoneria.


DIANA E LA STREGONERIA

La Dea Diana, identificata nella sua manifestazione lunare, è stata oggetto di culto nella stregheria della tradizione italiana. Come riporta Charles Leland nel Vangelo delle streghe Diana è adorata come dea dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati dalla Chiesa cattolica.

A Roma Ecate veniva assimilata a Diana nella sua veste lunare e magica. I suoi riti stregonici venivano in genere affettuati nei trivii e nei quadrivii. Nei trivii si esercitavano i culti relativi ai filtri d'amore e alle pozioni curative, nei quadrivii, in cui in genere veniva sacrificato un gallo, si effettuavano i riti per la consultazione dei morti e per i malefici.

Ecate era una dea greca infernale originaria dell'Asia Minore, venerata poi in Grecia in un culto trinitario con Artemide e con Demetra. era signora del regno infero, della magia e delle streghe. I suoi simulacri venivano eretti nell'interno delle case, alle porte delle città, nei trivii e nei quadrivii da ciò le derivò anche l'appellativo di Trivia. Era detta triforme e come tale veniva spesso rappresentata (con tre teste e tre corpi), appunto per ricordare le sue tre attribuzioni: celeste, (Artemide), terrestre (Demetra) e ctonia (Ecate).


Preghiera latina ad Ecate e a Giano:

Salve, o madre degli dei, dai molti nomi, dalla bella prole;
salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza;
ma anche a te salve, o Giano, progenitore, 
Zeus imperituro; salve Zeus supremo;
rendete luminoso il cammino della mia vita,
colmo di beni, stornate i funesti morbi dalle mie membra, 
e l'anima, che sulla terra delira, traete in alto, 
purificata dalle iniziazioni che risvegliano la mente.

Diana persistè come culto anche dopo la caduta dell'impero romano d'occidente, fino a tutto il medioevo. Il suo culto veniva praticato soprattutto nelle campagne e veniva invocata nella notte tra il 5 e il 6 Gennaio per la benedizione dei campi coltivati.

Si riteneva che in quella notte la Dea con il suo corte di ninfe volasse nel cielo sopra i campi per donare il buon raccolto. La chiesa cattolica la trasformò poi nella befana che vola sulla scopa recando doni.




TEMPLI


IL BOSCO DI DIANA AD ARICCIA

Sulla sponda settentrionale del Lago laziale di Nemi, chiamato fin dai tempi antichi "Lo specchio di Diana", sorgevano il Bosco Sacro e il Santuario di Diana Nemorense. All'interno del Santuario cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo ad uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde, acquistando il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece con il titolo di Re del Bosco per cinque anni, dopo i quali un altro poteva battersi con lui (Rex Nemorensis).

La leggenda risalirebbe al Ramo d'Oro che, per ordine della Sibilla, Enea colse prima di affrontare il viaggio nel mondo dei morti. Così il rituale della trasmissione del potere nel bosco di Diana, garantiva il patto comunitario tra le città latine, perchè il re del Bosco Sacro, essendo uno schiavo, non aveva né antenati e né eredi e quindi il suo potere non poteva essere trasmesso come quello di un vero re.

Questa la storia tramandata, non a caso Frazer ci intitolò il suo famosissimo libro di antropologia Il ramo d'oro, ma è la storia parziale. I primi templi della Dea Madre furono senz'altro le selve, semplicemente con un'ara di legno o di pietra, in genere tonda.

L'antica Diana era servita da sacerdotesse e il re traeva il suo potere sposando la Gran Sacerdotessa. Così era pure in epoca Achea, tanto è vero che Egisto, pur essendo il fratello di Agamennone non subentra al trono se non sposando Clitennestra.



TEMPIO DI DIANA NEMORENSE

Il principale luogo di culto di Diana si trovava presso il piccolo lago laziale di Nemi, sui colli Albani, e il bosco che lo circondava era detto nemus aricinum per la vicinanza con la città di Ariccia. Il santuario di Ariccia fu il nuovo santuario federale dei latini dopo la caduta di Alba Longa.

Ciò è desumibile da quanto riportato da Catone il Censore nelle Origines, cioè che il dittatore tusculano Manio Egerio Bebio officiò una cerimonia comunitaria nel nemus aricinum insieme ai rappresentanti delle altre principali comunità latine dell'epoca:
- Ariccia,
- Lanuvio,
- Laurentum,
- Cora,
- Tibur,
- Pometia,
- Ardea e i Rutuli.

Tutt'oggi esiste una stradina che porta dalla sommità del colle alla sponda del lago, con antichi resti in nenfro e in argilla e una statua di Diana col corto costume circasso e la cornucopia vuota, sicuramente copia della statua originale, riguardante la Diana Ctonia, ovvero la luna nera, quando la Dea si rifugia nelle grotte e gli animali e gli umani non si accoppiano più.

E' il lato oscuro della Dea, cui le sacerdotesse dedicavano la ierodulia (prostituzione sacra) tornando vergini ogni anno nel rito dell'abluzione nel lago sacro. Sulle sponde del lago ci sono infatti i resti di Diana Nemorense, un grande complesso su più livelli, solo in minima parte riportato alla luce: arcate d’ingresso, nicchie del podio.

Questo luogo conservò per molto tempo la sua misteriosa sacralità tanto che Caligola vietò di costruire nei terreni circostanti qualsiasi edificio e lui stesso, per esservi vicino, costruì sul lago le due famose navi su cui abitare e celebrare riti alla misteriosa Dea.

Quando nei primi del '900 una archoelogo inglese vi operò degli scavi, trovò reperti memorabili, la maggior parte dei quali è svanita nel nulla.

Nel tempio c'erano reperti di bronzo e di marmo: statua di Diana, statua di Egeria, testa di sileno, di tritone, lance, spade, lampade, fregi marmorei, e perfino un allevamento di pesci.

Circa un migliaio di reperti di cui solo pochissimi sono giunti al museo di Nemi.

Purtroppo ancor oggi il tempio giace tra le erbacce, con molte parti sommerse nell'incuria del comune di Nemi. Strano perchè il Ramo d'oro, pilastro dell'antropologia e tradotto perfino in Giappone, pone questo tempio all'inizio del libro, facendogli un immensa pubblicità.

STATUA DI FUNDILIA
RITROVATA NEL TEMPIO
Fundilia è stata identificata come la figlia di Gaius Fundilius e patrona di un liberto mimo Fundilius Doctus, la cui statua è stata trovata nel medesimo sito, cioè nel santuario di Diana Nemorense.. Fundilia era una donna molto facoltosa che sembra mantenesse una compagnia di mimi. 

La posa e la pettinatura, nonché la faccia severa davano all'epoca un segno di rispettabilità. La statua, reperita grosso modo nell'area del tempio fa pensare che la donna fosse anche una generosa donatrice al culto della Dea e al suo tempio.

Sulla terrazza un tempo parte del tempio, si trovavano oggi sacelli per divinità, adorate nel Santuario insieme a Diana, le abitazioni delle sacerdotesse, i bagni idroterapici con numerosi ex-voto, e il Tempio di Diana, identificato con una struttura in opera reticolata inglobata in parte in un casale moderno.

Alcuni studiosi ritengono tuttavia che il tempio si trovasse su una terrazza superiore
.
Il Santuario fu frequentato probabilmente fino al IV sec. d.c., poi, con l'avvento del Cristianesimo, venne abbandonato, spogliato di marmi e decorazioni, lasciato all'incuria degli uomini e alle devastazioni della natura.



TEMPIO DI DIANA AVENTINA

In seguito Servio Tullio fondò il nuovo tempio di Diana sull'Aventino e lì spostò il centro del culto federale con il consenso dell'aristocrazia latina.
Vedi anche: Tempio di Diana Aventina.



TEMPIO DI DIANA SUL CELIO

Il console dell'anno 58 a.c. Or., Lucio Calpumius Piso, eresse a Diana il tempio sul Celiolus (Cicero de har. resp. 15, 32).



ALTRI SANTUARI

Altri santuari erano situati nei territori del Lazio antico e della Campania:

- il colle di Corne, presso Tusculum, già chiamata Deva Cornisca e dove esisteva un collegio di cultori della Dea come attesta un'iscrizione ritrovata presso Tuscolo e dedicata ai Mani di Giulio Severino patrono del collegio;

- sul monte Algido, sempre presso Tuscolo;

- a Lanuvio, dove è festeggiata alle idi (13) di agosto dal Collegio Salutare di Diana e Antinoo;

- a Tivoli, dove è chiamata Diana Opifera Nemorense;

- in un bosco sacro citato da Tito Livio "ad compitum Anagninum", cioè all'incrocio fra la via Labicana e la via Latina;

- presso Anagni, e il monte Tifata, presso Capua;

- "Nel Monastero di S. Antonio Abbate (a Roma) havvi un residuo di antica fabbrica ridotta a granaio e creduta dalla maggior parte degli Antiquari un Tempio di Diana per alcuni fraimmenti di Mosaico esprimenti caccie di fiere, due dei quali possono vedersi nelle pareti laterali della cappella di S. Antonio".

Come già in altre culture, anche in quella latina appare la connessione tra il simbolismo delle corna e la divinità, in questo caso la Dea Diana. Tito Livio ricorda un episodio in cui era stato predetto che chi avesse sacrificato una certa vacca di grande bellezza avrebbe dato al suo popolo l'egemonia sull'intera regione del Lazio antico.

Il sabino proprietario della vacca si recò al tempio di Diana a Roma per sacrificarla, ma il sacerdote del tempio riuscì con uno stratagemma a distrarre il sabino e sacrificò lui la vacca alla dea garantendo alla città di Roma l'egemonia; le corna stesse furono affisse all'entrata del tempio come ricordo della vicenda e come pegno tangibile della sovranità sul Lazio.

Il legame con la sovranità e la regalità è esplicitato anche dal rapporto tra la Dea e il Rex Nemorensis, il sacerdote di Diana che viveva nel bosco sacro sulle rive del Lago di Nemi.
In molti riti dei romani, Diana venerata come divinità trina, punto di congiunzione tra Terra, la natura, Luna per personificare il Cielo, ed Ecate per Regno dei Morti.



TEMPLUM DIANAE

Festa celebrata il 13 agosto in onore della dea Diana. Si ricordava la dedicatio del tempio.


Andrea Carandini 16 ottobre 2009

Ritrovamento di una testa rinvenuta accanto al luogo dove si presume sorgesse il tempio di Diana. 
L'edificio è stato ricostruito grazie alle tecniche geomagnetiche.

La testa marmorea di Diana, scoperta ai piedi dell´Aventino ed esposta a Palazzo Altemps, è una rielaborazione della statua di culto del tempio di Artemide a Efeso.
Una statuetta in alabastro di Diana, del tutto simile, era stata scoperta nel 1700, lì vicino, sulla sommità del monte.

Era questo uno degli indizi che ci aveva indotto a situare il tempio a sinistra della chiesa di Sant´Alessio. La chiesa si trova nel punto più alto dell´Aventino, costruita sopra il tempio di Minerva, che Marziale colloca in arce, quindi sulla sommità del monte.

Un frammento della pianta marmorea di Roma degli inizi del III secolo d. c. mostra, accanto al tempio di Minerva, quello di Diana, che secondo Giovenale sorgeva anch´esso in posizione dominante.

Il frammento di pianta marmorea bene si ancora ad un muro antico sotto quello perimetrale di Sant´Alessio e anche a una strada basolata. È da notare che i templi pagani si disponevano lungo l´alto ciglio dell´Aventino sopra il Tevere, come poi le chiese.

La pianta marmorea rivela parte della pianta del tempio di Diana, con 8 colonne ioniche sui due fronti e due file di 15 colonne sui lati, come il tempio di Efeso. Il culto di Diana sull'Aventino era stato istituito intorno alla metà del VI sec. a.c. da Servio Tullio, amatissimo dal popolo, come contraltare romano del culto ad Aricia (Nemi).

Servio aveva imitato Tarquinio Prisco, che agli inizi dello stesso secolo aveva istituito il culto di Giove Re, Ottimo Massimo, contraltare del culto di Giove Laziale sul Monte Albano (Monte Cavo). Presupposti dell'egemonia di Roma sui Latini, non più solo lungo la riva sinistra del Tevere, ma sull´intero Lazio antico.



DIANA PLACIANA

Il santuario di Diana Planciana era un tempio di Roma, situato tra il Quirinale e il Viminale, all'inizio del Vicus Longus, come documentato su un'epigrafe. Venne edificato dall'edile curile Gneo Plancius (da cui l'appellativo della Dea) dopo il 55 a.c.. Alla Dea era anche stata eretta una statua in prossimità del santuario.



TEMPIO DI DIANA CAMPANA

Il tempio di Diana era ubicato nella frazione di Pozzano, all'estremità sud dell'ager stabiano, sulla collina dove sorge la basilica della Madonna di Pozzano. Fu infatti durante uno scavo presso il giardino della chiesa, nel 1585, che riaffiorarono alcuni resti di un tempio pagano, tra cui un'ara che presentava particolari raffigurazioni come teste di cervo, fiori e frutti: proprio da questo ritrovamento gli archeologi hanno attribuito il tempio al culto di Diana.

In seguito sull'ara fu montata una colonna con una croce sulla sommità e il tutto fu collocato a breve distanza dalla basilica di Pozzano, nei pressi di un belvedere: per preservarne l'importanza storica l'ara è stata sostituita con una copia mentre l'originale è ora custodito all'interno di Villa San Marco

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- Renato Del Ponte -: "Nostra Signora delle selve" - in Dei e miti italici - Genova - ECIG - 1985 -
- Ovidio - Metamorfosi: Diana e Atteone - 2017 -
- Robert Graves - La Dea bianca. Grammatica storica del mito poetico - 4ª ed. - Milano - Adelphi - 2012 [1992] -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -


 

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