ACQUEDOTTI ROMANI



COSTRUZIONE DI UN ACQUEDOTTO ROMANO

INGEGNERIA DEGLI ACQUEDOTTI ROMANI

Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) scrisse: "Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso".

Gli acquedotti romani furono costruzioni molto sofisticate, il cui livello qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre 1000 anni dopo la caduta dell'Impero Romano.

Essi erano costruiti con tolleranze minime: ad esempio la parte di acquedotto a Ponte del Gard in Provenza ha un gradiente di soli 34 cm per km (1:3000) scendendo di soli 17 m nella sua intera lunghezza di 50 km.

L'estremità superiore ha un canale in cui scorre l'acqua in una sezione "a U". Gli archi del livello inferiore hanno pilastri che aumentano gradualmente di spessore (dall'alto verso il basso) man mano che aumenta l'altezza del terreno, dovendo rimanere fissa la quota del canale superiore.

La spinta dell'acqua è interamente garantita dalla gravità, trasportando un grande quantitativo d'acqua in modo molto efficiente (il citato Ponte del Gard ne veicolava 20.000 m3 al giorno). Con depressioni maggiori di 50 m lungo il percorso, venivano utilizzati i sifoni inversi, condotte a gravità utilizzate per superare il dislivello, in uso anche ai giorni nostri, quando gli ingegneri idraulici utilizzano questa metodologia per gli impianti idrici e fognari.
I Romani costruirono acquedotti in ogni parte del loro impero, molti aldifuori del suolo italico.

I più famosi per l'architettura e la bellezza:

  • Ponte del Gard, nel Sud della Francia. Costituito da tre serie di arcate, il ponte domina il fiume Gardon con i suoi 49 m di altezza e 275 di lunghezza. Celebrato da Stendhal come “musica sublime”. Nel 1985 l'acquedotto è stato inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
  • Acquedotto Eifel, in Germania. Al livello più basso, gli ingegneri romani posero un'ampia base di pietre, con una scanalatura in calcestruzzo e pietra a forma di U per l'acqua e, sopra a questo, pietre squadrate e malta un arco protettivo. Per il calcestruzzo e l'arco furono usate tavole di legno per dare la forma, coi segni delle nervature ben visibili nel calcestruzzo anche dopo 2000 anni. L'acquedotto ha una larghezza interna di 70 cm e altezza di 1 m., in modo che gli operai potessero entrare in caso di necessità. L'esterno era sigillato con intonaco in modo da tenere all'esterno l'acqua sporca. In vari posti venne creato un sistema di drenaggio per tenere lontana l'acqua presente nel suolo. L'interno dell'acquedotto era intonacato con una sostanza rossa, opus signinum, composta da calce viva e mattoni rotti. Questo materiale era resistente all'acqua ed evitava perdite. Le piccole crepe venivano sigillate con legno di frassino.
  • Acquedotto di Caesarea, Palaestina, in Israele. C'era un doppio acquedotto romano che portava l'acqua in città dalle sorgenti del monte Carmelo.
  • Acquedotto di Segovia, in Spagna. L'acquedotto è costruito con blocchi di granito assemblati a secco, come mattoni, assicurando la staticità dell'opera grazie al loro perfetto incastro ed al proprio carico gravitazionale. L'arcatura a tutto sesto è su uno o due livelli secondo l'altimetria del terreno, e la semplicità della trasmissione dei carichi fornisce l'adeguato supporto alla struttura. I pilastri superiori sono più stretti degli inferiori per l'alleggerimento dei carichi che gravano sulla campata inferiore, che si mostra più "snella" in rapporto all'esilità complessiva della struttura per la maggiore altezza di quasi tutti i piedritti. Infatti ciascun pilastro presenta da 2 a 4 riseghe per assicurare una quota costante alla campata superiore, rispetto alle variazioni del terreno, raggiungendo altezze notevolissime (nel tratto di maggior dislivello raggiungono un'altezza superiore ai 15 m.) rispetto all'esilità trasversale della struttura ed alla sua notevole lunghezza.
  • Acquedotto di Mérida, in Spagna. acquedotto romano che portava in città l'acqua raccolta dallo sbarramento di Proserpina. Restano per una lunghezza di 827 metri le arcate alte 25 metri ciascuna.
  • Acquedotto di Tarragona, in Spagna. Detto "Ponte del diavolo": il ponte dell'acquedotto romano de Les Ferreres presso il fiume Francolí, a circa 4 km dalla città. L'acquedotto che portava in città le acque dalla località di Puigdelfi, risalente al I secolo DC, superava una vallata con un ponte, alto 27 m e della lunghezza complessiva di 217 m, a due ordini di arcate in opera quadrata, tuttora conservate.
  • Acquedotto Valens, ad Istanbul, in Turchia. Fu costruito sotto l'impero di Costantino (I secolo DC); ne sono conservati 800 m della sua lunghezza originale di oltre un Km. Posto su due livelli portava alla città le acque del fiume Alibey.


LISTA DEGLI ACQUEDOTTI DA NOI TRATTATI


L'ESECUZIONE

Una volta scelta la sorgente iniziava l’acquedotto “caput aquae”, in cui le acque venivano convogliate in una piscina “piscina limaria”, a decantare.

Dalla piscina partiva la condotta “specus”, lo speco era rivestito di coccio pesto che è un amalgama impermeabile ottenuto legando terracotta e calce.

Lo speco manteneva una pendenza costante, non perché i Romani non conoscessero il principio dei vasi comunicanti, infatti sono stati trovati diversi sifoni rovesci, che sono l’applicazione del principio, ma perchè esso richiede una costante ed onerosa manutenzione.

La maggior parte del percorso della condotta era sotterraneo per evitare nel periodo estivo il surriscaldamento dell’acqua.

Ogni 70 metri una lapide numerata segnava il passaggio dell’acquedotto e in più vi erano frequenti pozzetti d’ispezione per scendere nell’acquedotto ed effettuare la manutenzione.

La condotta principale terminava in un “castello”: una grande costruzione a forma di castello, al cui interno si trovavano le camere di decantazione per far precipitare le impurità, funzionando anche da camera di compensazione per sopperire ad eventuali cali di pressione dell’acqua.

Dal castello partivano le diramazioni urbane verso castelli secondari. Molto spesso presso uno dei castelli veniva innalzata una mostra d’acqua con statue e fontane, vedi i Trofei di Mario.

La manutenzione degli acquedotti e la distribuzione delle acque erano supervisionati da un “curator aquarum” , che durante l’impero riferiva direttamente all’Imperatore.

Frontino, che fu un curator aquarum, ha lasciato un testo in cui sono dettagliate, per ogni diramazione di acquedotto, le portate massime concesse e conseguentemente le sezioni dei tubi.

ACQUEDOTTO APPIO

ACQUEDOTTO APPIO

Fu il primo acquedotto di Roma, costruito nel 312 a.c., dal censore Appio Claudio Cieco, lo stesso che creò la via che da lui prese il nome, la via Appia. Le sorgenti erano situate tra l'VIII e il IX miglio della via Praenestina, in luogo non solo mai trovato, evidentemente le sorgenti si sono inaridite.

Il condotto, quasi tutto sotterraneo, tranne un breve tratto all'altezza della Porta Capena, era lungo poco più di 16 km ed entrava in Roma, come molti altri, in una località chiamata Ad Spem Veterem, là dove sorgeva l'antico tempio della Dea Speranza, situata dove oggi è Porta Maggiore.

Da qui andava al Celio, traversava la valle tra Celio e Aventino, e, per un dislivello di 90 m., su archi che si poggiavano alle Mura Serviane di Porta Capena. Tornato sotterraneo, traversava l'Aventino e terminava presso la Porta Trigemina, al Foro Boario. Da qui, tramite castelli secondari, l'acqua veniva distribuita in vari punti della città, nonchè al Portus Tiberinus.

Il condotto era costituito da blocchi di tufo con foro al centro connessi tra loro. Fu restaurato nel 144 a.c. da Quinto Marcio Re, nel 33 a.c. da Agrippa e tra l'11 e il 4 a.c. da Augusto, che ne potenziò anche la portata col condotto Appia Augusta, che, proveniente da una sorgente di via Collatina, si univa, dopo un percorso sotterraneo, all'Aqua Appia tra viale Manzoni e via di S.Croce in Gerusalemme.

Roma intraprese la costruzione dell'acquedotto nel bel mezzo della II guerra sannitica (327-304 a.C.) e in concomitanza con la costruzione della via Appia dando prova della propria forza e capacità di pianificazione. Aveva una portata di 876 litri al secondo

ACQUEDOTTO ANIO VETUS

ACQUEDOTTO ANIO VETUS

Fu il secondo acquedotto di Roma, costruito nel 272 a.c. con il bottino della vittoria contro Taranto e Pirro, dai censori Manio Curio Dentato e Flavio Flacco, magistrati incaricati dal Senato.

Il nome significa Aniene Vecchio, da cui prendeva le acque in località San Cosimato, tra Vicovaro e Mandela. Dopo aver percorso i territori di Tivoli e Gallicano, il condotto, di 63 km., fiancheggiava la via Praenestina, raggiungeva la via Latina tra Casal Morena e IV Miglio, superava la via Tuscolana e lungo la via Labicana entrava in Roma nella località Ad Spem Veterem, là dove sorgeva l'antico tempio della Dea Speranza, (poi Porta Maggiore).

Poi traversava l'Esquilino e finiva con il castello terminale alla Porta Esquilina, odierno Arco di Gallieno. Aveva una portata di 2.111 litri al secondo.

Fu restaurato 144 a.c., nel 33 a.c. da Agrippa e tra l'11 e il 4 a.c. da Augusto, al quale si deve il ramo dello Specus Octavianus, che dal II miglio della via Labicana, attraversando S.Croce in Gerusalemme e S.Giovanni in Laterano, raggiungeva gli Horti Asiniani, situati dove poi sorsero le Terme di Caracalla.

L'acqua dell'Anio Vetus era spesso torbida, tanto che in seguito fu destinata a irrigazione e alimentazione delle fontane di ville e giardini. Il nome di Vetus lo ebbe tre secoli dopo, per didtinguerlo dal secondo acquedotto dell'Aniene, l'Anio Novus.

PONTE LUPO MEDIANTE IL QUALE PASSAVA L'ACQUEDOTTO MARCIANO

ACQUEDOTTO MARCIANO

Fu costruito dal pretore Quinto Marcio Re nel 144 a.c., dalle sorgenti abbondanti e pure di Marano Equo, tra Àrsoli ed Agosta, che ancora oggi portano l'Acqua Marcia. Per la prima volta si ricorse agli archi, con una fila ininterrotta di 9 km., che fiancheggiavano la via Latina, fino allo Spem Veterem, là dove sorgeva l'antico tempio della Dea Speranza.

Seguiva poi le Mura Aureliane, arrivava alla Porta Tiburtina e poi raggiungeva il castello terminale vicino a Porta Collina. Da qui, mediante castelli secondari, alcuni rami si staccavano per raggiungere varie parti della città.

Un ramo serviva il Quirinale e il Campidoglio, un altro, il Rivus Herculaneus, serviva il Celio e l'Aventino, un altro, potenziato con l'aggiunta di una nuova sorgente, la Fons novus Antoninianus proveniente da Àrsoli, col nome di Aqua Antoniniana, si staccava dall'acquedotto principale nei pressi del III miglio della via Latina, a Porta Furba.

Fu restaurato da Agrippa nel 33 a.c. e da Augusto tra l'11 e il 4 a.c. che lo potenziò con la nuova sorgente Augusta, opera ricordata in un'iscrizione sulla Porta Tiburtina, dove sono menzionati anche i restauri di Tito nel 79 d.c. e Caracalla nel 212.

Altri restauri furono eseguiti da Adriano, Settimio Severo e Diocleziano tra il III e il IV secolo, quando questi utilizzò un ramo secondario per alimentare le Terme di Diocleziano. Plinio il Vecchio la considerava l'acqua migliore tra quelle che arrivavano a Roma "clarissima aquarum omnium".

Resti dell'Aqua Marcia sono visibili presso ila Villa dei Quintili, in vicolo del Mandrione, a Porta Maggiore e a Porta Tiburtina, mentre quelli dell'Aqua Antoniniana sono lungo la via Latina, sull'Arco di Druso e lungo viale Guido Baccelli. Oggi alimenta, oltre all'abitato, la Fontana delle Naiadi.

ACQUEDOTTO TEPULO

ACQUEDOTTO TEPULO

Fu realizzato nel 125 a.c. dai censori Gneo Servilio Cepione e Lucio Cassio Longino. Il nome deriva dalla temperatura dell'acqua mai aldisotto dei 16 - 17°, quindi tiepida.

Le sue sorgenti sono sorgenti le Pantanelle e l'Acqua Preziosa, tra Grottaferrata e Marino. L'acquedotto, fino ad Augusto sotterraneo, era lungo 18 km e seguiva il percorso dell'acquedotto marciano.

Fu ristrutturato dal grande architetto Agrippa nel 33 a.c., unendolo al nuovo condotto dell'Aqua Iulia, con cui, attraverso un percorso sotterraneo, giungeva alla piscina limaria al VII miglio della via Latina, zona Capannelle.

Qui la Tepula si divideva dalla Iulia, uscendo all'aperto alla Villa dei Quintili, si poggiava, insieme alla Iulia, agli archi dell'Aqua Marcia ed entrava in città allo Spes Veterem. Da qui proseguiva fino a Porta Tiburtina e in sotterranea arrivava al castello terminale in via Venti Settembre.

ACQUEDOTTO IULIO

ACQUEDOTTO IULIO

Così chiamato n onore di Augusto che apparteneva alla Gens Iulia, fu creato da Agrippa nel 33 a.c., da sorgenti di Squarciarelli a Grottaferrata. Il condotto sotterraneo seguiva quello dell'Acqua Tepula fino alla piscina limaria al VII miglio della via Latina, zona Capannelle.

Qui la Iulia si divideva dalla Tepula, poggiando a sua volta agli archi dell'Acqua Marcia, rinforzati da muri in opus reticolata e rivestimenti in laterizio, ad opera di Tito nel 79 d.c. e Diocleziano alla fine del II sec.

Restano, nei tratti ancora conservati, ma anche a Porta Maggiore e a Porta Tiburtina, le tre cavità entro cui passavano le condotte: quello della Marcia in basso, della Tepula in mezzo e della Iulia in alto. Raggiungeva quindi l'Urbe allo Spem Veterem, proseguiva fino a Porta Tiburtina e in sotterranea arrivava al castello terminale situato in zona via Venti Settembre.

Una diramazione dell'acquedotto alimentava la fontana dei Trofei di Mario, costruita da Alessandro Severo. Fu restaurato da Augusto tra l'11 e il 4 a.c. e da Caracalla nel III sec. d.c.. Aveva una portata di 579 litri al secondo.

PARTE DELL'ACQUEDOTTO VIRGO SU VIA NAZARENO (ROMA)

ACQUEDOTTO VIRGO

Sull'Aqua Vergine c'è una leggenda per cui Agrippa aveva dedicato l'acquedotto a una fanciulla, virgo, che fanciulla (virgo) avrebbe indicato le sorgenti ai soldati assetati durante una campagna militare. Agrippa oltre ad essere ingegnere era un generale dell'esercito, ma la cosa è dubbia perchè le acque sorgive, situate all'VIII miglio della via Collatina, sono particolarmente pure e prive di calcare.

MAPPATURA DEGLI ACQUEDOTTI CHE CONFLUIVANO A ROMA
(clicca per ingrandire)
Comunque l'acquedotto fu creato da Agrippa nel 19 a.c. per alimentare le Terme pubbliche a Campo Marzio da lui costruite, con un percorso di circa 20 km., che giungeva in città alle pendici del Pincio, dove si trovava la piscina limaria.

All'altezza degli Horti Luculliani, tra la chiesa di Trinità dei Monti e villa Medici, il condotto, fin qui sotterraneo, continuava su arcate, alcune ancora visibili in via del Nazareno, traversava la zona della Fontana di Trevi e via del Corso, con un'arcata poi trasformata in Arco di Claudio e continuava per piazza di S.Ignazio e a via del Seminario trovava il castello terminale.

Da qui arrivava dinanzi ai Saepta, vicino al Pantheon e con un percorso sotterraneo, giungeva ad alimentare le Terme di Agrippa.

Da un itinerario romano dell'VIII sec. si nota la fontana terminale dell'Acqua Vergine, segno che l'acquedotto non serviva più le terme di Agrippa. La fontana, composta di tre piccole vasche addossate ad un edificio che era il castello terminale, è quella che diverrà la splendida Fontana di Trevi.

Purtroppo l'acqua vergine ha subìto un tale inquinamento che ora viene utilizzata per alimentare alcune delle più celebri fontane romane quali la Fontana di Trevi, la Barcaccia e la Fontana dei Fiumi. Aveva una portata di 1.202 litri al secondo.

ACQUEDOTTO ALSIETINO

ACQUEDOTTO ALSIETINO

Fu costruito da Augusto nel 2 a.c., per cui fu denominata anche Aqua Augusta, prelevando le acque dal lago di Martignano (lacus Alsietinus), ma era così sgradevole e torbida, che fu destinata ad uso irriguo o per alimentare fontane.

Il condotto, lungo circa 33 km., dopo aver percorso la via Claudia e traversato le località Osteria Nuova, S. Maria di Galeria e Maglianella, entrava nell'Urbe vicino a Porta Aurelia (Porta S.Pancrazio) e di qui scendeva a Trastevere per alimentare la Naumachia di Augusto, che, a forma di ellisse, si estendeva tra le odierne chiese di S.Cosimato e S.Francesco a Ripa.

La Naumachia di Augusto era ancora in funzione nel III secolo d.c., per cui l'acquedotto doveva essere ancora in funzione, ma fu abbandonato poi a causa di un abbassamento del lago di Martignano, che lasciò a secco il condotto. Aveva una portata non elevata, di 188 litri al secondo.

"Cosi chiamata, come proveniente dal lago Atsetio o Alseatino, in oggi di Martignano, lungo la via Claudia, miglia a ponente da Roma. Entrava in città mediante un suntuoso acquedotto, fatto costruire dall'imp. Augusto. Non era troppo buona a bersi, quindi non serviva che per le naumachie della regione Transteverina".
(Luigi Rusconi 1859)

ACQUEDOTTO CLAUDIO

ACQUEDOTTO CLAUDIO

Costruito da Caligola nel 38 d.c. ma terminato da Claudio nel 52 d.c., ambedue di gens claudia per cui il nome calzava ad entrambi. Attinse da sorgenti poste al XXXVIII miglio della via Sublacense, tra Marano Equo e Àrsoli, vicino alle sorgenti dell'Aqua Marcia.

Il lunghissimo acquedotto, di ben 68 km, 15 dei quali a cielo aperto, dopo aver viaggiato in canale sotterraneo, usciva all'aperto al VII miglio della via Latina, zona Capannelle, e passava nella grande piscina limaria.

Da qui l'acquedotto, a cui fu sovrapposto quello dell'Anio Novus, continuava innalzandosi su mura a blocchi di peperino e su archi in opera quadrata di peperino e tufo rosso, come spesso si vedono nella Campagna Romana e Roma stessa, fino ad entrare in città alla Spem Veterem a Porta Maggiore. Poco oltre la porta vi era, fino al 1880, il castello terminale con cinque grandi cisterne rettangolari affiancate.

Porta Maggiore in effetti fu costruita da Claudio nel 52 d.c. per consentire al suo acquedotto claudio di superare la via Labicana e Prenestina. Così all'altezza della Porta si incrociavano 5 acquedotti, come si vede di fianco alla porta in alto.

Da qui si staccavano rami secondari tra cui l'Acquedotto Neroniano, realizzato su arcate, che si dirigeva verso il Celio, seguendo il percorso dell'Aqua Appia, per alimentare il ninfeo e il lago della fastosa reggia neroniana, la Domus Aurea. Le arcate furono restaurate dai Flavi, da Adriano, da Settimio Severo e da Caracalla nel 211 d.c.

Lunghi tratti del restauro severiano sono ancora oggi visibili in via Domenico Fontana, in piazza S.Giovanni in Laterano, in piazza della Navicella e sopra l'arco di Dolabella, dopo il quale si trovava il castello terminale. Domiziano realizzò poi un prolungamento dell'acquedotto neroniano per approvvigionare i palazzi imperiali del Palatino, superando, con arcate alte quasi 40 metri, la valle tra questo e il Celio, come ancora oggi possiamo ammirare alle pendici del Palatino.

Un'altra diramazione dell'Aqua Claudia fu portata, nel III secolo d.c., fino a Trastevere, passando per Ponte Emilio (Ponte Rotto).

L’acquedotto Claudio è quello fra tutti meglio conservato. Nel parco degli acquedotti ne restano in piedi 144 arcate di straordinaria suggestione, che partono dal punto nel quale l’acquedotto emergeva dalla terra e diventava sopraelevato.

ACQUEDOTTO NERONIANO

ACQUEDOTTO NERONIANO

L’acquedotto di Nerone è una parte dell’acquedotto Claudio. Costruito per volontà di Nerone era utilizzato per  rifornire di acqua il ninfeo e il lago della sua maestosa dimora, la Domus Aurea. Esso parte da piazza di Porta maggiore, prosegue per via Statilia con un insieme di arcate splendide e, lungo la strada sottoterra dell’acqua Appia, giunge verso il Celio.

Le arcate sono state realizzate in mattoni e misurano 19-22 m di altezza. Subirono, nel tempo, diverse ristrutturazioni dai Flavi, da Adriano, da Settimio Severo, da Caracalla (211 d.c.). Quelle che si vedono ancora sono le parti restaurate da Settimio Severo in via Domenico Fontana, in piazza San Giovanni in Laterano, in via Santo Stefano Rotondo, in piazza della Navicella, sopra l’arco di Dolabella e Silano, che è subito seguito dal castello terminale.

Compiuto questo percorso l’acquedotto giungeva al tempio di Claudio e riforniva di acqua il ninfeo di Nerone nella parte est del tempio. In seguito fu Domiziano a ordinare che l’acquedotto fosse prolungato per alimentare pure gli edifici imperiali del Palatino.

Esso procedendo in un primo momento parallelamente al clivo di Scauro andava oltre la valle tra Celio e il Palatino (attualmente percorsa dalla via di San Gregorio) con le sue arcate che misurano 40 m. di altezza.

ACQUEDOTTO ANIO NOVUS

ACQUEDOTTO ANIO NOVUS

Fu costruito nel 38 d.Cc. da Caligola ma finito nel 52 d.c. da Claudio, il quale, avendosi già dedicata l'Aqua Claudia, lo legò all'Aniene, distinguendolo come novus rispetto al vetus. Fu costruito infatti insieme all'Acquuedotto Claudio di cui seguiva in gran parte il percorso, lungo circa 87 km., con le sorgenti presso l'alta valle dell'Aniene, al XLII miglio della via Sublacensis, poco prima di Subiaco.

L'acqua era mescolata a quella del fiume, cosicché, nonostante la piscina limaria, spesso giungeva a Roma piuttosto torbida, soprattutto in periodo di piogge.

Dopo un lungo percorso a Vicovaro, Castel Madama, Tivoli, monti Tiburtini e Colli Albani, giungeva alla piscina limaria in zona Capannelle. Poi proseguiva fino al castello terminale, situato poco oltre Porta Maggiore, poggiandosi agli archi dell'Aqua Claudia. Successivamente Traiano fece spostare le sorgenti al limpido laghetto presso Treba Augusta ( Trevi laziale) e l'acqua tornò limpida.

ACQUEDOTTO TRAIANO

ACQUEDOTTO TRAIANO

Fu costruito nel 109 d.c. da Nervia Ulpio Traiano per rifornire di acqua potabile Trastevere, visto che l'Aqua Alsietina condottavi da Augusto non era potabile.

L'acqua venne derivata da diverse sorgenti a 35 miglia da Roma, tra il lago Sabatino (Bracciano) e Oriolo e Trevignano, convogliandole in un unico canale nei pressi di Vicarello. Da qui l'acquedotto traversava Cesano, Olgiata, Storta e Giustiniana, raggiungendo, dopo 32 km, il Gianicolo con un castello terminale vicino a Porta S.Pancrazio.

Il salto d'acqua tra Gianicolo e Trastevere servì come forza motrice ai molini locali. Un lungo tratto dell'acquedotto fu scoperto nel 1912 sotto l'attuale Accademia Americana. L’acquedotto di Traiano è stato il penultimo in ordine di tempo degli undici grandi acquedotti che rifornivano Roma antica ed è rimasto praticamente sempre in funzione.


Caput Aquae

Rimasto sconosciuto fino ai nostri giorni, è stato incredibilmente ritrovato nella provincia di Roma, in una zona sul Fosso della Fiora al confine tra il comune di Manziana e di Bracciano, il Caput Aquae dell’acquedotto di Traiano, ovvero la prima sorgente del percorso attorno al lago di Bracciano dell’acquedotto inaugurato nel 109 d.c. per servire la zona urbana di Trastevere.

A fare la scoperta, due documentaristi inglesi, Michael e Ted O’Neill, impegnati in una ricerca sugli acquedotti romani, che si sono imbattuti nei resti di un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu egizio.

Coperto da una grotta artificiale che accoglieva una cappella della Madonna, è venuto fuori un ninfeo, costruito all’origine delle prime sorgenti dell’acquedotto, un monumento straordinario, una cappella centrale dedicata al Dio della sorgente o alle ninfe, che si approfondisce ai lati in due bacini coperti da straordinarie volte ancora colorate in blu egizio che, alla base, con un sistema di blocchi messi a filtro, accoglievano l’acqua in due laghetti, dai quali partiva il canale dell’acquedotto.

Le strutture, alte fino a 8-9 m, sono in opera laterizia e in opera reticolata assai raffinata e gli ambienti, con le volte a botte e a crociera, i pozzi, i cunicoli di captazione che vi si convergono, il canale che principia l’acquedotto sotterraneo sono oggi tutti percorribili perché privati dell’acqua.

Per celebrare la sua opera, Traiano fece coniare anche delle monete sulle quali è raffigurata l’immagine semisdraiata di un Dio fluviale sotto un grande arco affiancato da colonne. Per secoli si è creduto che l’immagine rimandasse alla mostra d’acqua che l’imperatore avrebbe costruito sul Gianicolo, ma quello sulla moneta è proprio il ninfeo grotta di Bracciano, che ora dovrebbe essere studiato e restaurato.

ACQUEDOTTO ALESSANDRINO

ACQUEDOTTO ALEXANDRINO

Fu costruito da Alessandro Severo nel 226 d.c. per alimentare le Terme Alessandrine, con la tecnica delle arcate in laterizio, più resistente e leggere, che consentì di realizzare un percorso più rettilineo. L'acqua, proveniente da una località a 3 km. da Colonna, dopo un percorso di circa 22 km., giungeva a Roma su archi, seguendo la via Praenestina, la via Labicana fino a Porta Maggiore.

La piscina limaria doveva trovarsi nella zona delle Terme Eleniane. Da qui l'acquedotto passava per zona Termini e per il Quirinale, discendeva poi la valle e raggiungeva le Terme Alessandrine (già Neroniane), così denominate dopo il restauro di Alessandro Severo.


Nome Anno di costruzionePortata giornaliera Lunghezza
Acqua Appia 312 a.c. 841 quinarie - 34.000 mc
1.825 quinarie - 75.000 mc
11.190 passi
Anio Vetus 272 - 270 a.c. 2.362 quinarie43.000 passi
Acqua Marcia 145 a.c. 4600 - 187.000 mc 61.710 passi
Acqua Tepula 125 a.c. 16.000 - 18.000 mc
Acqua Julia 33 a.c. 48.000 - 50.000 mc 15.426 passi
Acqua Virgo 19 a.c. 100.000 - 103.000 mc 14.105 passi
Acqua Alsietina 2 a.c. 16.000 mc 22.172 passi
Anio Novus 38 - 52 d.c. 190.000 mc 58.700 passi
Acqua Claudia 38 - 52 d.c. 184.000 - 196.000 mc 46.606 passi
Acqua Traiana 109 d.c. 118.000 mc 32 km
Acqua Alexandrina 226 d.c. 22.000 mc 20 km 




SCOPERTO BACINO IDRICO ROMANO A ROMA 
30 marzo 2015

ROMA – A pochi passi dalla Basilica di San Giovanni, una delle chiese più importanti di Roma, gli scavi per la Metro C hanno portato alla luce “il più grande bacino idrico mai ritrovato” che si trova all’interno “di un’azienda agricola della Roma imperiale, la più vicina al centro di Roma che sia mai stata ritrovata, così grande che supera il perimetro del cantiere e non è stato possibile scoprirla interamente”.

Le archeologhe Francesca Montella e Simona Morretta, che con Rossella Rea hanno formato una squadra tutta al femminile, spiegano che la vasca “era foderata di coccio pesto idraulico e, nelle dimensioni oggi note, poteva conservare più di 4 milioni di litri d’acqua". Nel I secolo si aggiunge alle strutture di sollevamento e distribuzione idrica di un impianto agricolo attivo dal III sec. a.c. nell’area dell’attuale via La Spezia e di San Giovanni.

Il bacino misurava circa m 35 x 70, pari a un quarto di ettaro, la superficie di uno iugero. Sembra probabile che la sua funzione principale fosse quella di riserva d’acqua a servizio delle coltivazioni e vasca di compensazione per far fronte alle piene del vicino fiume. "Nessun altro bacino rinvenuto nell’agro romano ha dimensioni paragonabili”. Il bacino è più grande, infatti, di ogni natatio e peschiera nota.

Oltre le pareti del cantiere – precisa Rea – la vasca si estende verso le Mura, ove probabilmente si conserva, e in direzione di piazzale Appio, nell’area interessata dalla stazione della Linea A ove, invece, è stata sicuramente interecettata e distrutta senza che ne fosse documentata l’esistenza

Le indagini archeologiche sono state realizzate dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, con la collaborazione tecnica della Cooperativa Archeologia che ha messo in luce le testimonianze della frequentazione antropica fino a oltre 20 m di profondità, isolando 21 diverse fasi e dettagliando, per ciascuna, gli eventi naturali e i livelli di organizzazione umana.

Le informazioni storiche sul settore di San Giovanni erano molto scarse; del resto, il territorio ha subito trasformazioni tali da nascondere sotto m di terreno le strutture repubblicane e imperiali esistenti fino alla fine del III sec., quando la realizzazione delle Mura Aureliane prima, e l’urbanizzazione del XX sec. dopo, portano alla definitiva obliterazione di ogni volume ” riflette Rea. 

“Lo scavo della nuova stazione metropolitana ha consentito di spingere la ricerca archeologica a profondità non altrimenti raggiungibili. Un’opportunità di ritrovare la storia del territorio e dell’uomo, attivo nell’area dalla fine del VII sec. a.c., quando inizia a occupare le sponde di un corso d’acqua a fondovalle, e percorre con carri un primo tracciato viario in terra battuta”.


BIBLIO

- Susanna Le Pera - I giganti dell'acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925) - a cura di Rita Turchetti - Roma - Palombi - 2007 -
- Lucos Cozza - L'opera di Thomas Ashby e gli acquedotti di Roma (con A. Claridge) - Il trionfo dell'acqua - Atti del convegno "Gli antichi acquedotti di Roma, problemi di conoscenza, conservazione e tutela" - Roma - Comune di Roma - A.C.E.A - 1992 -
- Romolo Augusto Staccioli - Acquedotti, fontane e terme di Roma antica: i grandi monumenti che celebrano il "trionfo dell'acqua" nella città più potente dell'antichità - Roma - Newton & Compton Ed. - 2005 -
- Antonio Nibby - Analisi storico topografica antiquaria della carta dei dintorni di Roma - 1837 -



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