DEVASTAZIONE DI ROMA PRO COLLEZIONI





LE COLLEZIONI

"1498 In piazza di Spagna si rinvenne la statua di Brittannico, e sedici teste di filosofi e poeti greci, passate più tardi a Madrid. Le erme del primo scavo furono disperse nel cinquecento tra i musei Caipi (1 erma), Bellay (1) Massimi (1) Medici, e Papa Giulio (4): due finirono in qualche muracelo di fondamento. Per  le collezioni antiquarie si vede che non v'era casa villa di benestante, che non contenesse iscrizioni. Fra Giocondo ne indica cento, e i nomi di queste, uniti ai nomi di cento sette chiese formano un eccellente indice topografico per la Roma del quattrocento".

Questo il destino dei rinvenimenti, molti ceduti all'estero dal clero per soldi o in cambio di favori, altri distrutti nelle calcinare o fatti a pezzi e infilati nei muri. Quando a Roma c'è un vecchio muro capita quasi sempre di osservare pezzi di marmo pario lavorato e non, con sezioni di colonne e magari pezzi di basolato. Nella follia ossessiva di distruggere il pagamesimo non di rado abbattendo un muro si sono rinvenute teste di statue.

Sulla fine del qual secolo (il 400) gentiluomini di vecchio casato, prelati in possesso di pingui prebende, banchieri e « mercanti in corte di Roma » venuti di Genova, di Pisa, di Firenze mostravano avere una sola ambizione: quella di legare il loro nome a una vigna o giardino nei quali spiccassero sul verde delle spalliere opere d' arte antiche. 

I gentiluomini romani non sempre ricchi di censo, si facevano, prima di ogni altra cosa appaltatori delle gabelle di Ripa, delle porte, della carne, dello Studio, che fruttavano loro dal cinque al dieci per cento dell' incasso lordo. Tra questi appaltatori si ricordano specialmente Giacomo Boccabella, Gregorio Serlupi, Sisto Mellini, Lelio Margani, M. A. Altieri, Alessandro e Giuliano Maddaloeni, Andrea Giovenale, Bartolomeo della Valle, Filippo Arcioni, Tarquinio e Antonio Santacroce, Pietro de' Fabii, Domenico Boccamazzi, Domenico Tebaldeschi, Paolo Muziano, e i Boccacci padre e figlio, ai quali dobbiamo la prima risurrezione del colle Quirinale.  

Può darsi che il geniale epigrafista-architetto veronese, peregrinando di casa in casa, di giardino in giardino in cerca di materiali per la sua silloge, abbia ispirato ai possessori, se non il proprio entusiasmo, almeno un po' di rispetto verso le antiche memorie. 1500, 30 luglio"

Il rispetto nacque in realtà quando si accorsero che all'estero, meno influenzati dall'integralismo cristiano, ammiravano molto, e soprattutto pagavano molto per ottenere anche solo pezzi di statue o statue mutilate romane. Così la Roma papalina scoprì che le diaboliche opere pagane erano di valore e davano lustro, pur ignorando ancora tutto della Roma imperiale che aveva non solo dominato ma illuminato il mondo. E ancora oggi si ignora che tutto ciò che è civiltà occidentale deriva da Roma, anche se occorsero molti secoli affinchè le leggi romane potessero essere restituite dopo un oscurantismo di quasi due millenni.


COLLEZIONE ALBERINI

- Sette iscrizioni in domo Francisci Alberini, finite quasi tutte in Vaticano.
Questo Francesco contemporaneo di fra Giocondo figura negli stemmi genealogici pubblicati da Domenico Orano a p. 498, tav. V, n. 33 del suo splendido volume I sul Sacco di Roma. M. A. Altieri, nei « Nuptiali « lo chiama magnifico et honorato gentilhuomo. Ma io debbo astenermi dal parlare di questa famiglia perchè nulla avrei da aggiungere alle cose già dette o che saranno per dirsi dal lodato scrittore. 
Eglino possedevano vasti terreni archeologici: 
- le due vigne palatine, e la terza fuori di porta Latina, ricordate sotto l'anno 1494: una quarta fuori di porta s. Lorenzo, e la tenuta di Campo di Merlo, nella quale, sulle sponde del fosso omonimo, campeggiavano le rovine della chiesa di s. Pietro, opera di Adeodato papa. 


Flaminio Vacca  ricorda il dono fatto da Pio IV al celebre Rutilio Alberini, sindaco e notaio dei maestri delle strade nel 1559, di una delle tre conche di granito delle terme Alessandrine che stavano abbandonate in istrada alla Dogana presso s. Eustachio. Rutilio « la condusse con l'argano fuori di porta Portese ad una sua vigna, nella quale vi è una nobile peschiera » vigna che egli aveva acquistata il 12 die. 1354 da Gio. e Ludovico Mattei. Il palazzo di famiglia in Banchi è inciso nella raccolta Lafreri con la leggenda « Alberinorum Romae domus, ob singularem Bramantis architecti in ea distribuenda ac disponenda diligentiam, ad posteritatem reservata imago » .  


COLLEZIONE ALESSI 

« Romae in domo Pauli de Alexis » otto iscrizioni fra le quali CIL. VI, 728, 11401, 16658, 20839, etc. La collezione fu, poco stante, acquistata da Giulio Porcari (almeno 14 lapidi, vedi Mazochio, cod. vat. 8492, e. 89'). Le più antiche memorie sulla famiglia Alessi risalgono al 1200. Erano imparentati con la nobile casa degli Alli (Giulia A. moglie di Alessio Alessi 1591), ed erano saliti alle cariche pubbliche con Luca di Giovanni Alessi. In una carta dell' archivio di s. Pietro in Vinculis, citata dall' Adinolfi, tomo I, p. 103, n. 1, Pietro di Jacopo Alessi apparisce comproprietario della valle « Formae de Pilo » fuori della porta della Donna, sino dal 1267. L'autore della raccolta Paolo Alessi, aveva tolta in moglie Laura Alberini morta di peste nel 1527


COLLEZIONE ALFONSO D'ANAGNI

- Sembra trattarsi non di titoletti raccolti uno ad uno da varii luoghi, ma del prodotto di un determinato scavo, e del contenuto di uno o di due colombai. Nel 1847 in vigna Codini, si trovò un piccolo frammento « fastorum collegii e familia Augusta ad comparandum sepulcrum comune instituti » circa l'anno 4 avanti l'è. v., il quale frammento si connette alla parte maggiore di detti Fasti, già posseduta da Alfonso d'Anagni. Ma v' è di più. Il CIL, ha collocato tra le sacre, al n. 244, un'altro monumento dello stesso colombaio e dello stesso « collegium servorum et libertorum Domus augustae », scoperto e posseduto dallo stesso personaggio, dal quale apprendiamo, che il collegio continuava a fiorire nell'anno 18 d.c..
Negli scavi predetti di vigna Codini e dell'anno 1847 fu ritrovato il titoletto n. 4715 contenente il nome di un GAA AMYNTianus, che appare pure nei Fasti. Da tutto ciò si può argomentare che nell'ultimo quarto del XV secolo si fecero scavi nel sepolcreto fra l'Appia e la Latina, accanto al « Monumentum familiae Marcellae » descritto CIL. VP, p. 208-296: che le iscrizioni venute alla luce furono trasportate alla casa di Alfonso d'Anagni, e dopo la sua morte, a quella dei Tomarozzi vicina al Pantheon, e a quella di Paolo dell'Orologio, vicina a s. Giacomo degli Spagnuoli.

    COLLEZIONE ALTIERI

     - Romae in d. Marci Antonii Alterii, depositario dei denari del pò. ro. (popolo romano) sino al 1518. Sulla collezione epigrafica raccolta da lui da suoi successori immediati vedi CIL. VI, 81, 82, 145, 144 (andate tutte perdute), 85 (passata ai Maffei-Montalto-Albacini-Jenkins-Vaticauo) 151, 291, 237 (al Capitolino) 211 (a un giudeo), 429 (a Zelada) etc. Vedi Marini, sch. vat. 9123, e Narducci i Nuptiali » p. 61 ove sono nominati « intagli, teste, medaglie e vasi antiqui ».
    Quando il Pighio visitò il palazzo circa l'anno 1550 tolse un ricordo della « statua ex parie marmore philosophi sedentis facie quadrata fronte et sincipitio calva, naso parumper aquilino, barba obtusa et densa... pectore nudus ad pubem usque » .
    Ulisse Aldovrandi, nel 1556, descrisse due raccolte statuarie: una « in casa di M. Martio e M. Emilio su la piazza degli Altieri » l'altra « in casa di M. Girolamo su la piazza degli Altieri presso s. Marco  »  . Le raccolte si avrebbero coi marmi di casa Paluzzi-Albertoni quando 1' ultimo rampollo di casa Altieri cioè la nepote di Clemente X, andò in isposa a Paluzzo Albertoni che prese il nome degli Altieri. Fu allora edificato il palazzo sulla piazza che portava tale nome (Gesù) a spese dei cardinali G. B. Altieri camerlengo, e Paluzzo Altieri.
    « Si rendono considerabili negli appartamenti oltre alle
    - due statue di Venere,
    - una testa di Pescennio Negro:
    - uno specchio ricchissimo d' oro e gemme:
    - Roma Trionfante di verde antico.
    - Per le scale un Barbaro prigioniero trovato verso il teatro di Pompeo.
    - Neil' appartamento terreno un vaso cinerario di alabastro orientale,
    - due colonne di portìdo,
    - la statua di Venere,
    - e quella di Sileno tutto peloso».
    In Roma gli Altieri possedevano due ville « antiquitatibus refertae », la prima « ad portam salariam in Sallustianis » di recente acquisto, la seconda posseduta sino dalla fine del '400 nell' Esquilino, della quale esiste anche oggi il palazzo e il laberinto. Nella prima si ricordano:
    - talune iscrizioni della raccolta Maffei,
    - nella seconda le lapidi oggi, in parte, murate nella scala della casa de Rossi in piazza dell'Aracoeli:
    - l'affresco del sepolcro de Nasonii rappr. Edipo e la sfinge, oggi nel museo Brittannico.
    - In questa villa fu trovata nella II metà del 500 « una Venere bellissima ch'esce dal bagno
    - ed un Ercole di marmo collocati in opera in una fabbrica rettangolare: suppongo potesse essere una fonte. 
    - Vi si trovarono anche due musaici ».
    Vacca, mem. 109. « La villa Altieri, d'ingresso magnifico, ha un palazzo da villeggiarvi ornato di non pochi marmi antichi scolpiti e oltre diverse colonne per terra, vi è un resto di fabbrica di terme »  Il Rossini parla di « piccole statue e busti antichi e moderni ».

    Fuori di Roma possedevano il casale di Solforata acquistato nel 1468 da Bandino di Mentana, metà del quale fu venduta nel 1574 alle oblate di Torre de Specchi: e quello d'Ardea, del quale il fondatore della raccolta antiquaria Marco Antonio cedette la quarta parte nel 1507 al mercante Domenico lacobacci. Nel secolo XVIII, dopo la fusione con casa Albertoni, furono aggiunti al patrimonio Proccio nuovo, Casal delle Grotte, Dragone, Solfaratella, Torricella, Valle Oliva, Ferronea, Torre Maggiore e vigne presso s. Lorenzo e presso Fontana Vergine fuori porta s. Sebastiano.


    COLLEZIONE ALTOVITI 

    Da questo Antonio e Dianora nacque Bindo, il quale à pena fatto maggiore acquistò la piazza detta anche hoggi degl'Altoviti, quale per render maggiormente spatiosa gli fu di mestiere fare il gettito di alcune case, che erano ad essa d'impedimento... ristaurò la casa comprata dal padre in quella guisa che hoggi si trova, e di ciò ne fa testimonianza l'inscritioue in un marmo posta nel cortile della sudetta casa, et è del seguente tenore: "Bindus Antonii de Altovitis nobilis Florentinus domum ab ejus genitore emptam restauravit anno MDXIIII"

    Altre case furono gettate a terra per fare un po' di piazza, perciò detta Altovita.  Altri ingrandimenti ebbero luogo nel 1552, nel quale auuo Guido Ascanio Sforza, card, camerlengo, vendette a Bindo una casa con forno, presso quella di Simone Bonadies « retro Banche in r. Ponte ». Anche questo Bonadies cedette al ricco banchiere i suoi stabili  di via Paolina. Vi è memoria di una terza casa con giardino e loggia sul Tevere comperata da Giovanbattista Perini da Firenze.
    In questo palazzo Altoviti furono radunati più tardi tesori d'arte grandissimi, incominciando dal busto di Bindo, modellato da Benvenuto Cellini, che il Camerlengato Pontificio aveva fatto incatenare alla parete del salone, e che oggi è migrato ad altri climi. Il catalogo dell' Aldovrandi, a p. 141, ricorda:
    - dodici teste,
    - poche statue,
    - un sarcofago,
    - torsi e frammenti di bassorilievo,
    Giovanni Battista figlio di Bindo e di Fiammetta de' Sederini « ornò parimente la vigna paterna, che è la medesima posseduta hoggi dagl'Altoviti situata incontro all'Orso a Ripetta dall'altra parte del Tevere, hauendo la sua entrata fuori di porta di castello, quale ornò di bellissime statue vendute poi alli duchi di Savoia, e già ritrovate nella villa Adriana che era come anche hoggi è degli Altoviti.


    COLLEZIONE ANGELERA

    - e. 66'. Cinque iscrizioni « in domo d. Ioannis de Angelera » tra piazza Colonna, e s. M. in via Lata. Le memorie di questa famiglia incominciano col 1288. Vedi lacovacci, cod. ott. 2548, p. 577, e CIL. VI. 2902, 15847, 19696, 26139. La raccolta, con marmi e statue, passò, in tutto o in parte, ai Soderini del mausoleo di Augusto. Vedi a. 1549, 9 aprile.


    COLLEZIONE ARMELLINI

    - e. 109 sg. CIL. 9975, 14617, etc. Può darsi che si tratti di Francesco Armellini, nato nel 1469, fatto cardinale nel 1517, adottato da Leone X nella propria famiglia, e morto in Castello durante il Sacco. Clemente VII si servì pel proprio riscatto dei duecentomila scudi che l'Armellini-Medici possedeva soltanto fuori di Roma. Aveva un sontuoso palazzo in Borgo nella via allora detta Carreria Sancta con una ricca collezione di statue e marmi.


    COLLEZIONE ASTALLI

    -  La raccolta di Carlo Astalli conteneva iscrizioni sceltissime, quella dell' Armarium distegum VI, 1600, il più antico brano degli atti Arvalici 2023, ed i un. (1641, 1925, 2576, etc. Jacopo Benzone le dette maggior lustro con l'acquisto dei Fasti, poi Maffeiani, che si dicono scoperti nel 1547. Abbiamo, è vero, per tale acquisto l'autorità del Ligorio. Le case e i giardini si estesero sino alla piazza di s. Maico « dove è la conca mediante l'acquisto fatto nel 1505 della proprietà enfiteutica di Ulisse Lanciarino de' Lanciarini, più noto sotto il nome di Ulisse da Fano (prot. 1732, e. 162).

    ATENA GIUSTINIANI
    La raccolta Astalli, conteneva specialmente iscrizioni messe in opera, parte nel giardino, parte nel vestibolo della casa vicina a s. Maria della strada (via degli Astalli), la quale casa, al tempo del Metello (1545-1555), era passata in proprietà di Jacopo Benzone. L'Ameyden asserisce che gli Astalli derivino dagli Staglia: « Habbiamo detto degli Staglia di sant' Eustachio, e vi è un'altra (casa) di Staglia di Parione, dirimpetto alla casa dell'Alessandrini, oue si vede l'arma diversa dalle due sopradette, e si vede la medesima sopra una colonna di san Giovanni Laterano con la seguente memoria:
    « In nomine domini amen. Anno domini MCCCLXI mens. Julii. Questa colonna fece fare Tomeo degl'Astalli per l'anima d'Alessio figlio suo ".

    Questa memoria hoggi è ita per terra per la nuova forma degli archi di detta chiesa, ma prima che papa Innocenzo la ritirasse io l'haveva presa la copia. La raccolta di Carlo Astalli conteneva iscrizioni sceltissime, come quella dell' Armarium distegum VI, 1600, il più antico brano degli atti Arvalici 2023, ed i un. (1641, 1925, 2576, etc.
    Quanto alla identità fra gli Astalli e gli Staglia non c'è da fidarsi all'Ameyden: perchè le due famiglie sono ricordate contemporaneamente. Una Innocenza della Molara moglie di Pietro Staglia del r. Campitelli è ricordata nel 1517 mentre un anno prima, nel 1516, si parla di una Paolina Maddalena di Capo di ferro, vedova di G. B. Astalli (prot. 1187, e. 190).
    Di più gli Staglia avevano il sepolcro gentilizio nella cappella di s. M. Maddalena nella chiesa di s. Niccolò in Calcalario (prot. 1728, e. 231), mentre gli Astalli l'avevano nella chiesa di s. M. de Astallis di loro giuspatronato (poi s. M. della strada, frequentata da Ignazio da Loyola, quando era ospite degli Astalli nel vicino palazzo, ora posseduto dalla Fabbrica di s, Pietro).


    COLLEZIONE BAFFI

     - Diecisette iscrizioni « in domo d. Gentilis Baflì », fra le quali CIL. 629, 13226, 13361, 14966, 15118, 15801, 16376, 20008, 20716, 23176, 23984 etc. Non si tratta di semplici lapidi sepolcrali, o di titoletti da colombaio, ma di are marmoree riccamente ornate d' intagli, stimate degne di figurare, più tardi, fra i tesori degli Orti Cesiani, Matteiaui e Carpensi. Talune furono riprodotte e contraffatte: delle quali contraffazioni si vedono anche oggi esemplari in Catania e in casa Guicciardini in Firenze (n. 14966).

    La casa di Gentile Baffi, dove erano raccolti questi bei monumenti, è più conosciuta sotto il nome di palazzo Tebaldeschi, o palazzo della Torre del Melangolo, nel r. di Campitelli. Credo ne parli lo Jacovacci in cod. vat. 2549, p. 13, sotto la data 1451-1490. Un documento del 1503 del notaio Bertoni in A. S. C. prot. 127, parla di una « platea que dicitur Petri Ludovici in r. Campitelli » e siccome Pier Ludovico era allora il capo di casa Tebaldeschi, cosi io stimo essere quella piazza identica con quella del Melangolo.


    COLLEZIONE BELLI

    - Sedici iscrizioni « in domo Ludovici Belli •' fra le quali 8617, 9769, 9770, 12036, 13657 etc. che l'autore della Collettanea ha tolto di peso dagli autografi di Pietro Sabino, non copiato dai marmi originali. Alcuni di questi migrarono più tardi in casa Delfini. La famiglia de Bello fiori fra gli anni 1451 e 1600. Vedi lacovacci, cod. cit. p. 219.


    COLLEZIONE BELVEDERE VATICANO

    - Il Mercurio, donato al medesimo da Giulio III l'anno 1550. Vedi Vasari, nell'indice della 2* edizione 1568. - Ventisei statue donate a Francesco I da Pio V nel 1569, fra le quali alcune chiamate Giunone, Vestale, Mnemosine, Polimnia, Urania, Console, etc. Vedi Diitschke, n. 501 : Michaelis, Archaeologische Zeitung, tomo XXXIV, p. 152 e Archivio della Galleria di Firenze, Miscellanee, filza VI, n. 35.


    COLLEZIONE BRANCA

    - Questa famiglia il cui nome è rimasto legato a una piazza della città sino all'apertura della via Arenula nel 1888, contava tre rami, i Branca de Clausura del r. Arenula, i Branca dei Tedallini del r. Colonna e i Branca dei Firmani, che appariscono soltanto nel secolo XVI. La persona cui si riferisce il ricordo dell' Albertini, deve essere quel Francesco Branca, banchiere e mercante, procuratore di Ippolita Orsini contessa Estouteville di Samo, abitante « in domo cui ante est platea de Branca » morto nel 1504, e sepolto in S. Maria in Monticelli nell' ipogeo di famiglia. Suo figliuolo, di nome Francesco, era gabelliere maggiore dei Conservatori nel 1519. Il loro palazzo fu acconciato nel 1565 con architettura dell'architetto bolognese Giacinto Barrozzi e adornato con collezione di buoni reperti romani.


    COLLEZIONE BVZI

    - Nella casa alla Minerva « vas porphireticum, puteus marmoreus ».


    COLLEZIONE CAFFARELLI

    - Otto iscrizioni "in domo Capharelor apud campii Florae " fra cui CIL. 8703, 9707, 12998, 15233, 15258 Impossibile di entrare nel mare magno dei palazzi e case di questa famiglia. Vedi, frattanto, Huelsen, « Familie Caifarelli «in « Bilder aus der Geschichte des Kapitols » p. 25, n. 2, e Lanciani, Bull. Com. a. XXIX, 1901, p. 8. Il fondatore della raccolta è il Prospero Caifarelli, figlio di Antonio avvocato concistoriale e di Ludovica Colonna, vescovo di Ascoli nel 1485, vice legato di Viterbo nel 1492, f nel 1500. Abitava presso Campo di Fiore. I suoi parenti e successori non lo seguirono nel campo archeo- logico, e la famiglia Cafifarelli si è segnalata sino ai nostri tempi per la sua indifferenza verso le cose d'arte e d'antichità e per la calcara in Trastevere. Fa eccezione Lorenzo Caffarelli « conservatore et defensore degli edifizii pubblichi » al tempo di Paolo II, il quale « stracciò et ferì quelli che cavavano li trauertini delli fondamenti del Culiseo » (Huelsen, ì. e. n. 26). Vedi Aldovrandi, p. 221.


    COLLEZIONE CAMPVS LATERANENSIS

    - Collezione dei bronzi: « giù sul suolo un grandissimo cavallo di bronzo montato da un villano, una gran testa di bronzo d' un idolo, la mano dello stesso idolo tenente un globo imperiale », p. 257, Michaelis. 


    COLLEZIONE CAPRANICA

    La lex Antonia de Thermessibus, incisa in lastra di bronzo nell'anno u.e. 683, "reperta Romae ad Tarpei radices in Saturni ruinis" fu posseduta da Camillo Capranica nella II metà del 1500. Similmente la lex Cornelia de xx quaestoribus, di dieci anni anteriore alla precedente, è cosi descritta nelle schede fiorentine del Borghini: "reperta Romae in ruinis aedis Saturni ad Tarpei mentis radices". 
    Il cippo terminale dei praetores aerarli CIL. VI, 1265 si dice trovato nel 1520 ad radices Capitolini apud xenodochium divae Mariae porticus. ubi olim templum saturni fuisse creditur, in quo et pubblicum populi Romani aerarium : — ad aediculam s. Salvatoris in staterà, prius s. Saturnini : — e regione rupis Tarpeae : — ad aed. s. Salvatoris in porticu.   Poche iscrizioni, edicola marmorea dedicata a Silvano, è accompagnato dalla nota : "li Hic est imago Siluani nudi senis habentis marni dext. falce putatoria, in capite sertù: in sinistra ramù pini cu spolio leenae. ad pedes eius est canis cu auribus arrectis. Siluanus gestat ocreas ad medias tibias".

    Gli altri due numeri 8983 e 10730 si riferiscono allo stesso individuo P. Elio Lyco, istitutore nella scuola di Capo d'Africa: ma il Corpus gli ha separati, collocando il primo titolo tra quelli degli « ufficiales ex familia Augusta » il secondo tra quelli del volgo profano. Credo che il fondatore della raccolta, destinata a raggiungere grande celebrità nel secolo seguente, sia l'Angelo vescovo di Palestriua, cardinale di titolo di Santa Croce, fratello di Giuliano, zio di Paolo, di Giovanni Batt. e di Girolamo vescovo di Fermo, il quale acquistò nel marzo 1475 i beni di casa Savelli in Teverina (Casale Torrita del Vescovo), e in territorio Albano (Grotta Scrofana ecc.).
    Quando Pietro Sabino copiò le iscrizioni predette, la casa apparteneva a Paolo.

    La famiglia possedeva sino dalla I metà del sec. terreni archeologici sul Palatino. Biondo Flavio, dopo descritta la chiesa di s. Andrea in Pallara "in qua sepulcrum est Joannis papae eius nomini octavi" aggiunge "ceteras Palladii partes alto circumdatas muro, vinca implet sunimi viri Dominici Capranicensis ... cardinalis, quem litteris ornatissimum". I Capranica continuarono a possederla almeno sino al 1557. La deferenza di Biondo Flavio verso del cardinale si spiega facilmente con ciò che egli era stato ammesso a far parte deill'Accaderaia Capranicense insieme a Enea Silvio Piccolomini, a Jacopo Ammanato etc. Nel palazzo, ancora esistente nella piazza degli Orfani, che allora dicevasi « piazza del card, di Fermo » era stata raccolta una biblioteca di 2000 volumi, arricchita più tardi di altre opere da Guglielmo de Pereriis, uditore di rota sotto Alessandro VI. Sul museo Capranica del secolo XVI e sua dispersione vedi ad a. 1574.


    COLLEZIONE CARAFFA

    - Tre iscrizioni 121, 2679, 9991 « apud Rf". D. Episcopum Caiacen t , cioè in casa di Oliviero Caraffa, cardinale e vescovo di una quindicina di sedi, fra le quali quella di Caiazzo. Avendo tolto in affitto il palazzo di Francesco Orsini in Agone, fece collocare sull'angolo verso la via papae il frammento del Pasquino nel 1501. Chi sa se il frammento non provenga dalle fondamenta del convento della Pace, le quali si stavano appunto scavando nel 1501. Il cardinale, ricco a milioni, possedeva una vigna fuori porta del Popolo, altra sul Quirinale, e delle buone anticaglie nella sua residenza di città. Vedi Albertini, p. 87. La vigna del Quirinale sembra fosse ornata con le immagini degli « scriptores rei rusticae » (Schrader, p. 218).

    Sotto una figura di Flora, posta nel conclave, leggevasi il gentile epigramma « firmum corporis robur (il cardinale morì di 81 anno), castasque mensarum delitias, et beatam animi securitatem amatoribus meis promitto " (Ivi, p. 215'). Questo sito di delizia rimase in potere della famiglia sino al maggio del 1587: poiché non avendo il card. Luigi d' Este pagato il prezzo pattuito per 1'acquisto, i coeredi Fabrizio Carafa duca d'Andria, Vincenzo priore d' Ungheria, e Francesco, lo venderono a Sisto V al prezzo di 20000 scudi. Il testamento del card. Oliviero, rogato dal notaio Luigi de Guirranis de Campania (in A. S. C. Script. Archiv. voi. II, e. 40') porta la data del 12 maggio 1509. « relinquo omnes meos libros in omni facultate videlicet theologie, philosophie, canonice et civili librarie quam fabricavi in sancta Maria de Pace ordinis Canonicorum regularium item relinquo capello mee Annumptiate et sancti Thome in Minerva unam crucem argenti parvam et duo candelabra argenti prò altare .... item relinquo diete capello duos pannos de racla magnos (arazzi) cum ystoria adami et ève ut serviant in festo Annumptiationis » Eredi dell'enormi ricchezze furono chiamati i fratelli Carlo ed Ercole, e i nipoti Antonino e Giacomo. 


    COLLEZIONE CECCHINI

    - La bella iscrizione dell'auriga Diocle CIL.VP, 10048, che l'a. dice aver copiata « Romae in Campo Martio sub porticu domus de Cechinis in lapide ab lato ex vinea » dei Cecchini stessi, la quale doveva troyarsi lungo la via Trionfale, a piedi o sul dorso del monte Vaticano, come risulta dalle testimonianze recate dal Corpus 1. e. Non saprei dire se questa vigna sia la stessa sulla quale Giambattista Cecchini impose un censo di scudi 24 a favore di Laudomia Bassa de' Capozucchi nel luglio 1579, perchè l' atto rogato dal not. Curzio Saccoccia, la descrive come posta fuori di Porta del Popolo. Le memorie di questa illustre famiglia rimontano almeno al trecento.
    L'Ameyden lesse nell'archivio di SS. SS. un atto dell' 11 maggio 1363 del not. Antonio Rossi di Colleferro, relativo a una "venditio facta per domiuam Costantinam de Cecchino relictam quondam domini Stephani de Comite ". I Cecchini risiedevano in Campo Marzio in una « casa antica, rinnovata » nel seicento: e avevano sepoltura nella « chiesa antica delle monache di Campomarzo, la quale hoggi è inchiusa nel monastero per essersi ingrandito e fatta nuova chiesa, di modo che non si possono vedere ». Possedevano altre case « in reg. Ss Angeli in via qua itur ad forum piscarium »  in r. Colonna a canto i beni dell'archiospedale di s. Giacomo in Augusta, in r. Regola nella piazza di Campo di Fiore, in r. Campomarzo presso s. Ivo: e fuori di Roma i casali di Pietramala in via Tiburtina, di Boccone in via Collatina, e di S. Vitale de' Cecchini in via Anziatina.


    COLLEZIONE CESARINI 

    Le collezioni artistiche di palazzo Cesarini sono descritte dall' Aldovrandi a p. 221, il quale nomina « il cortiglio » e tre sale riempite di busti e teste.
    • Una scoperta descritta dal Vacca: « Dietro le terme Diocleziane, volendo il padrone della vigna fare un poco di casetta . . . scoprì due muri che poco avanzavano sopra terra e cominciando a cavare tra di essi vide un poco di buca . . , fatta a modo di forno e vi trovò diecidotto teste di filosofi che vende per diecidotto scudi al sig. Gio. Giorgio Cesarini » Mem. 104. 
    • Nella terza sala eravi « una gamba grande di bronzo lodata molto da Michel Angelo ». 
    • Claude Bellièvre di Lione, che visitò Roma nel 1514-15, ricorda una statua di Catone Censore, simile a quella posseduta dai Medici in Firenze. 
    MINERVA
    • Nel prot. capit. G. B. Garbani a e. 8, si narra come Giuliano, figliuolo di Giorgio, ricomprasse il 30 aprile 1571 da Paolo Giordano Orsino il palazzo vendutogli li 2 maggio 1570 per 3000 scudi. La somma è cosi meschina che non mi sembra essere questione del palazzo principale. L' Ameyden narra del card. Giuliano il vecchio :fu vescovo d'Argentina in Germania. Fabbricò in Roma una casa d'architettura tedesca, con una torre alta, sopra la quale sta scritto con lettere grandi ARGENTINA et è hoggi posseduta dalla casa»
    • « furono trovati al tempo di Pio IV (in piazza di Sciarra)  frammenti dell' arco di Claudio, e molti pezzi d'istorie col ritratto di Claudio, comprati dal sig. Gio. Giorgio ed oggi si trovano nel suo giardino a s. Pietro in Vincoli ». 
    • Il CIL. VI ricorda molti documenti epigrafici qui conservati, fra i quali la tariffa sacrificale n. 820,
    • il piedistallo di Lucio Bebio Avito n. 1359, " nel cortile de le galine", 
    • il piedistallo di Emilia n. 1674 « all'arco sotto il palazzo »,
    • la memoria del ninfeo di Flavio Filippo n. 1728 b, e altri marmi di ugual pregio, i quali tutti sono oggi perduti. 
    Un altro giardino a questo contiguo rimase in proprietà dei Cesarini Sforza per qualche tempo ancora. Nel 1573 ne era padrona Maddalena Sforza Anguillara. Giovanni Pizzullo sacerdote calabrese, avendo acquistato nel 1623 per la somma di 12,500 scudi l'antico giardino-museo, ne fece dono ai pp. Minimi, i quali l'hanno ritenuto sino alla sua recente trasformazione in Istituto Tecnico.

    L'Ameyden racconta: « nel 1493 Alessandro VI fece cardinale Juliano Cesarino iuniore . . convien dire che egli havesse dimestichezza grande col papa, poiché la madre del duca di Gandia e del Valentino habitava la casa posta à san Pietro in Vincola, la quale hoggi è convento de minimi » .
    I Cesarini, che si credono discendenti e eredi dei Montanari, possedevano patrimonio amplissimo:
    - Ardea, col suo stagno o lago detto la Fossa, ricco di pescagione:
    - il castello di Civita Lavinia col suo territorio, dominio e vassallaggio, acquistato dai Colonna il 20 settembre 1480:
    - il castello di Ciciliano, dato in solutum da Prospero Colonna a Giuliano Cesarini il 7 maggio 1531:
    - il castello di Belmonte comperato da Alessandro Pelano da Rieti il 15 maggio 1477:
    - la metà di Camposalino acquistata da Maddaleni Capodiferro nel 1479:
    - Ganzano,
    - Camposelva,
    - Mondragubio in via Portuense,
    - S. Agata in via Nomentana,
    - il territorio di Ficulea che ancor oggi porta il nome di Cesarina,
    - 1'altra Cesarina del Moricone,
    - la terza Cesarina ne' prati di Testacelo,
    - la metà del castello di Camminatore presso Monte Libretti ecc.

    La fortuna della famiglia incominciò a declinare circa il 1560. Infatti nello spazio di pochi anni Giuliano e Gio. Giorgio tolsero a prestito con ipoteca sulla tenuta di Camposelva:
    - scudi 1000 da Prospero Cafifarelli,
    - 1800 da Sigismondo Tebaldi,
    - 2000 da Ludovico Cenci,
    - 3000 da Cencio Frangipane,
    - 3000 da Tommaso Armentieri,
    - 5400 dagli eredi del medesimo,
    - 1500 dal noviziato dei Gesuiti a s. Andrea del Quirinale,
    - 700 da Mario Delfino,
    - 2100 da Ludovico Mattei,
    - 1500 da Antonio de Sacchi,
    - 1600 da Bertoldo Orsino:
    in tutto 23,600 scudi.

    La miglior parte dei marmi fu mandata a casa Farnese. Si sa che Giuliano il giovane era stato « condannato per ribello et confiscatili li beni et messoli taglia de tre milia scudi vivo, et dui mila morto  per il tentato assassinio in persona di monsignor Gregorio Magalotto vescovo di Lipari, istruttore criminale."


    COLLEZIONE CESI

    - Nell'anno 1584 il cardinale Pier Donato Cesi offrì al granduca il privilegio di potere scegliere a suo beneplacito tre statue del proprio museo, per trasferirle o nella villa Pinciana, o in Firenze. Vedi Arch. med. Carteggio di Cardinali, filza 24.
    - « En 1615 Angelo Cesi envoya de Rome au prince Francois six antiques, parmi les quels un Marsyas et une Venus ». Muntz, p. 22. Vedi Vasari in Gaye, Carteggio, tomo III, p. 228.


    COLLEZIONE CHlGl

    - Chigi il Magnifico, nato in Siena circa il 1465, aprì banco in Corte di Roma r a. 1485 in società con lo Stefano Ghinucci, e più tardi con gli Spannocchi. Il primo uso delle sterminate ricchezze, messe insieme in breve giro di anni, fu quello di accaparrare « tabulas praecipue illustrium pictorum. Signa vero ac toreumata, nummosque, eo magis si ex antiquitatis tenebris eruta essent. His referta erat domus omnis et horti, conquisiveratque diligentissime et liberali mercede coemerat ».

    I documenti del 1510 parlano del « palatium seu aedes quas d. Augustinus aedificari facit prope moenia urbis extra portam Septignanam » come ancora lontane dalla perfezione. L' area ne fu ampliata mercè 1" acquisto della vigna di Mariano Cuccini. Terminò il casino nel 1513 "mirabile dictu est quot marmora eaque pretiosa congesserat, quot statuis picturisque ornaverat " .
    Per ciò che spetta ai giardini: "neque vero conticescam quamplurimis refertos fuisse statuis ac preciosis antiquitatis marmoribus, ut familiares epistolae abunde testantur, nec non purae latinitatis inscriptionibus. Lascivum sane satyrum marmoreum puero blandientem laudat"

    Non e' è dubbio che i sei sarcofagi e le altre anticaglie descritte dall'Aldovrandi a p. 160 « nel giardino Farnese che è al di là del Tevere » sieno state incominciate a mettere insieme da Agostino: ma è difficile distinguere i pezzi chigiani dai farnesiani.
    Dei tre documenti publicati dal Fiorelli a p. 175 del tomo II, il primo contiene l'elenco di 143 sculture, in calce al quale elenco una mano più tarda ha annotato: « suprascriptae statuae venditae fuerunt per D. Augustum Chisium favore illini domini Baronis Raymundi Leplat ei instrumento rogato sub die 6 decembris 1728 ".
    La raccolta chigiana, pagata 34,000 scudi, compresi i 300 dati al Ficoroni per sua mediazione, fu spedita nello stesso anno a Dresda ove, collocata nella Galleria reale, venne tosto illustrata dallo stesso le Plat.

    La seconda parte dell'inventario 2 dicembre 1705 si riferisce agli oggetti non compresi nella futura vendita, e che si trovavano collocati nella « Giiardarobbetta di Roma » nel palazzo della terra d'Ariccia, in quello della terra di Formello, in villa Versaglia, e nel giardino alle Quattro Fontane. Non contiene importanti monumenti d'archeologia, ma  in compenso una massa di rarissime suppellettili antiche.
    Ligorio BoJleian. p. 131, dopo descritto un cipito del Tevere del tempo di Traiaiio - ritrovato in transtevere vicino la casa di Augustin Chigi prosegue: "li oggi in la detta casa si vede una statua antica d'un satiro Co' piedi caprinei qual dimostra carezzar un giuuinettu cfe nel sinistro fianco li siede ".

    Il Winckelmann descrivendo nella Lettre à Mr. le comte de Brùhl, la prima scoperta di tre statue fatta a Ercolano nello scavare il pozzo della Casina da pesca del Viceré, dice che questi le spedì a Roma, dove furono restaurate, e poi le donò al principe Eugenio il quale le fece collocare nel suo giardino di Vienna. Sette anni prima che il Winckelmann partisse per l' Italia, le statue erano andate a finire in un padiglione del parco reale di Dresda, insieme alle statue e busti che il re Augusto aveva acquistate dai Chigi e dal cardinale Alessandro Albani. Tutti questi tesori perirono nella guerra dei sette anni.
    Anche l' Inghilterra ebbe la sua parte delle spoglie chigiane. Un rame di P. S. Bartoli nel Museo Britannico, rappresentante la figura della « SALVS apud E. card. Chigium «, porta notato in margine « nunc in museo Caroli Townley ".

    Il Piorelli ha publicato a p. 408 del IV volume un secondo inventario, del 1770, ove sono nominati la « stanza dipinta a boscareccia, contigua alle gallerie de' quadri, « la galleria de' quadri » il « gabinetto de' disegni « e le guardarobbe, tutte piene di oggetti di piccola mole ma di grandissima curiosità e considerazione.

    Fra le antichità:
    - un gruppo di Apollo e di Marsia,
    - un bel busto di Caligola, una Cerere,
    - dieci statue di Divinità,
    - quattro Gladiatori in atto di combattere,
    - quattro statue di giovani in diversi esercizi occupati,
    - un bel Sileno giacente sopra un vaso di vino,
    - due colonne di alabastro e due di giallo antico.
    -  « Nel pontificato d'Innocenzo X fu trovato, nell' orto Cornovaglia, oggi Botanico. una leonessa di granito, che era appresso il card. Flavio Chigi, passata con altre statue ad ornare il palazzo elettorale di Dresda.
    - « Nel farsi li fondamenti della nuova fontana in piazza di s. Pietro, da man sinistra. furono trovate alcune arche sepolcrali antiche una delle quali fu portata nel giardino del palazzo del card. Chigi " Bartoli, m. 57. il quale ricorda
    - le due Provincie del Neptunium, trovate in tempo d'Alessandro VII e « messe alle scale del card, suo nipote»:
    - i Fauni scoperti in villa Barberini a Castel Gandolfo
    - « ara di bellissime figure etrusche, alte da cinque palmi » trovata a Velo.

    I possedimenti di questa illustre Casa in campagna di Roma furono o sono:
    - la Serpentara,
    - Casaccia,
    - Olgiate o Polzella,
    - Acquasona,
    - Cacciarella,
    - Castel Fusano,
    - Ariccia,
    - Villariccia,
    - Cancelliera,
    - Campoleone : luoghi abbondantissimi di antichi avanzi.
    - Oltre alla Farnesina, al palazzo di piazza Colonna, a quello dei ss. Apostoli e agli Ufficii in Banchi, i Chigi possedevano un delizioso giardino-museo in via Quattro Fontane, nel sito oggi appartenente ai Franz, sull'angolo delle vie Nazionale e Agostino de Pretis.
    Ne parla più volte il Bianchini nei codd. veron. 355 e 430 : « Succede dall' altra parte, dopo il palazzo Albani, il casino delizioso e giardino Chigi, con museo di varie rarità naturali ed artificiali, e tiene ancora il giardino giuochi d'acqua gentil. Fra le possessioni suburbane, il Casaletto di Pio V, la quale, negli inventarii del 1770 e 1793, è chiamata "Villa del Casaletto, e vigna unita detta di Massinaghi ". Conteneva ventisette busti e cinque statue.  »


    COLLEZIONE CIAMPOLINI

    - Raccolta antiquaria di Giovanni Ciampolini « in Bull. Com. voi. XXVII, a. 1899, p. 101 sg., alla quale posso aggiungere un solo documento relativo a una vigna  "Michaelis et aliorum fratrum de Ciampolini ". La vigna si trovava « infra moenia urbis in loco qui dicitur Monte Aventino, in loco qui dicitur sancto Alexo » (terreno archeologico per eccellenza), a confine con le vigne di maestro Luigi dello Guazzo pelamantelli, dell' avv. Francesco Novelli ecc. Nel 1537 si ha memoria di un' altra vigna posseduta da Imperia vedova di Francesco Ciampolini fuori la p. Latina in luogo detto Valle d'Accia.

    - Raccolta Ciampolini (in Bull. com. tomo XXVII, a. 1899, p. 109 sg.) l'istromento d'acquisto col quale gli eredi del Ciampolini stesso « vendiderunt viro nobili petro de Pippis romano ci vi regionis montium, patri et legitimo administratori Julij eius filli ementi vice et nomine die ti Julij ac Joannis Francisci quondam Baptistae phisici alias Facto re prò eis absentium omnes et singulas figuras seu statuas Cornicia et vasa existentia in reclaustro domus (de cjampolinjs) prò pretio centum octuaginta ducatorum auri in auro ». Nel testamento di Giulio del 1524 si parla delle sue « antiquitates marmoree et non marmoree tam in domo quam extra existentes», cioè la vigna dei Pippi « apud cymbricas statuas " descritta nel protocollo 1285, e. 108, del notaro Savo Perelli in A. S.


    COLLEZIONE COLOCCI

    - Fondatore della raccolta fu Angelo Colocci da Iesi, il quale ebbe in Roma due case e due musei, uno in Parione, uno al fornice di Claudio al Nazareno. Fu segretario di Leone X e di Clemente VII, tesoriere generale di Paolo III, e vescovo di Nocera. Creato cavaliere da Andrea Paleologo, tenuto in grande considerazione dai dotti contemporanei, assidui frequentatori delle Aedes Colotianae, e specialmente dal futuro papa Marcello Cervini, e da Paolo Biondo Flavio, la sua impresa divenne quella dell'accademia lesina dei « Disposti », restituita al pristino splendore dal card. Cibo nel 1657.

    Nominato sino dal 1521 coadiutore del vescovato di Nocera, con futura successione, e vescovo effettivo nel 1537, lasciò molte opere a ricordo del suo governo. Tornato in Roma nel 1545, morì tra i suoi tesori d' arte e di erudizione nel 1549. I primi acquisti fatti in Roma furono ispirati da speculazione edilizia in occasione dell' apertura della nuova via Leonina: egli aveva comperato da Matteo Bonfini d'Ancona, segretario del card, di s. Giorgio « quandam domum sitam in via publica s. M. de populo, cui a tribus lateribus »

    Nel 1519 si parlava di dare il suo nome ad una via da aprirsi attraverso le sue aree fabbricabili. Nel 1520 acquistava nuovi terreni enfiteutici e nel 1530 si parla ancora di un suo « solum vacuum ad
    edificandum apud s. M. de populo » quando la via Leonina era finita da un pezzo. Le casette nel vicino Borghetto de' Pidocchi (vicolo del Borghetto) furono da lui vendute nel 1537. Le iscrizioni erano raccolte nella sua casa in Parione, la quale serviva non solo pei convegni letterarii, ma anche per la trattazione di affari più gravi.
    « Molti anni sono » racconta Ligorio Tor. XV, 53 « nella via fiaminia in un sepulchro furono trovate molte cose, et tra l'altre una tabula di marmo, dove e scritta la memoria in versi di (Eucharis Liciniae lib.) la quale cosa fu comprata da monsignore Angelo Colotio vescovo di Nocera et posta nella sua casa fra il numero di trecento intitulationi de monumenti: ma sendo morto esso monsignore, come è solito ogni cosa è stato da la casa alienato, et sin qui si trova nella casa di Delfini » il che non è esatto.

    La dispersione fu assai pià vasta: finì al Vaticano, ai Tomarozi, ai Cesi, ai Carpi, ai Farnese, ai Guicciardini, a villa Montalto, ai Mattai, a villa Carpegna, 8 perdute, e due ai Delfini. Può darsi però che sien passate tutte o quasi per casa Delfini, prima di andarsene ciascuna pel verso loro.
    Il Fea, Fasti XXIX, dice che le iscrizioni erano state radunate dal Colocci « nel cortile della casa incontro all'odierno collegio Nazareno » citando Ulisse Aldovrandi (a p. 207 dell'ediz. Fea), e 1' Ubaldini (vita Angeli Colotii, p. 87).

    Ma, mentre la galleria lapidaria « in aedibus Colotianis » era già famosa nel 1521, la casa e il giardino di Capo le Case furono sistemati definitivamente solo dopo il giorno 19 luglio del 1531 con l'acquisto del giardino di Antonio del Bufalo de' Cancellieri. Allora soltanto vi potè essere trasportato tutto il gruppo delle iscrizioni e delle sculture, delle quali parla a lungo Ulisse Aldovrandi alla p. 284 ediz. Mauro, quando l'eredità di Angelo era già venuta nelle mani del nipote Giacomo.

    Caratteristiche per queste nostre ricerche sono le vicende del frammento coloziano dei Fasti. Il Ligorio, il Panvinio, il Grutero, etc, lo videro nel cortile di casa Delfini.  Alla Fortuna hujus diei si deve pure la riunione del marmo trovato l'anno scorso 1818 per coperta di una chiavichetta nella stessa casa (Delfini) con tre altre iscrizioni.

    Il Fulvio così scriveva della raccolta Colocci nel 1527: "nell'orto del nobile et dotto Angelo Colotio, unico amatore delle antichità ... vedesi tra le reliquie et cose antiche la statua di Socrate la quale abbraccia Alcibiade, et la immagine di Giove Ammone, di Proteo, et d'Esculapio: i mesi co i lor segni, et con gli Iddij tutelari, la misura del piede romano, molto fedelmente osservata etc. "

    Marliani copia questo passo "ad verbum" nella ed. 1534, p. 147, con l'aggiunta del gruppo equestre (Scyphius et Arion equi, quos in Thessalia, percussa terra tridente, Neptunus eduxit). L' Hondio, p. 43, distingue la raccolta di Giacomo da quella di Girolamo Colozio: e siccome il giardino al Nazareno era di Giacomo, così la raccolta di Girolamo doveva trovarsi nella casa in Parione. Quest'ultima conteneva una figura di Naiade su di un mostro marino, una Vittoria, due grandi rilievi, iscrizioni e marmi diversi. Ligorio (Torin. tomo V) riproduce da questa raccolta un elegante càntaro marmoreo.

    La dispersione dei tesori archeologici del giardino, cui serviva di sfondo il bellissimo fornice claudiano dell'acqua Vergine, deve essere avvenuta circa l' anno 1564, nel quale Ippolita e Federigo Colocci venderono le loro case in rione Colonna e Trevi, con istromento Reydetti (protoc. 6195, e. 272 A. S.). Dice infatti il Ferrucci, ad Fulv.1. e, anno 1588: « la casa del predetto sig. Angelo Colotio si vede ora priva et spogliata affatto di tutti quelli adornamenti antichi: la detta casa posta nel luogo detto à capo le Case, presso quella che fu del sig. Paolo del Bufalo " .


    COLLEZIONE COLONNA

    - Il fondatore della raccolta pare sia stato il cardinale Prospero, 24 maggio 1463, del quale scrivo Biondo Flavio a e. 15' : « lucolit ea hortorum Mecoenatis aedificia (la torre Mesa), et quantum opes suppetunt instaurat alter nostri seculi mecoenas Prosper Columnensis cardiualis, adeoq. purgando et instaurando illis in aedibus perfecit: ut subiectae mentis radicibus areae et incipientis ab ea in Summam aedium partem ascensus pavimenta marmo reis varii coloris texellis compacta visantui » .Casa e giardino erano locati apud s apostolos, del fu vescovo di Siponto. Vi erano collocate CIL. 621, 2490. Il compilatore vi aggiunge la memoria del « templum Isidis Exoratae » CIL. VI, 5, n. 60 che è falsa.
    • Mitréo annesso al tempio del Sole di Aureliano. Kaibel n. 999 
    • Il card. Prospero possedeva, fra le altre cose, un torso di Ercole non dissimile da quello di Belvedere, salvo che nella migliore conservazione delle gambe e del petto (Vedi Bull, com. voi. XXVII, a. 1899, p, 102 sg.)
    • probabilmente il gruppo delle Grazie, oggi in Siena « repertum in aedibus de Columna » (Vedi Bull. cit. voi. XIV, a. 1886, p. 347). 
    • Il Fulvio, parlando delle Cariatidi a p. 133' dell'ed. Ferrucci, dice « vedesi hoggi due statue di marmo così fatte, che sostengono il tetto della loggia dell'antica casa de' Colonnesi sotto il monte Cavallo " . 
    • La sola anticaglia superstite, al tempo dell' Aldovrandi era il sarcofago di Melissa, messo per vasca nel cortile (p. 266).     

    COLLEZIONE COLONNA-PALESTRINA

    Il Ganimede, Diistchke, n. 522, donato a Cosimo I da Stefano Colonna principe di Palestrina, fu restaurato da Guglielmo fiammingo. Vedi Gaye, Carteggio, tomo III, p. 69.
                                                                                                                                                       
      COLLEZIONE DE LALLIS

      - 15 iscrizioni collocate « apud portam, o, iuxta studium domus d. Laurentii de Lallis » . La casa stava nel rione Trevi, fra s. Marcello e i ss. Apostoli, vicina ai Capogalli. Lorenzo aveva scavato o acquistato molte lapidi di militi pretoriani CIL. 1441, 2607 etc.


      COLLEZIONE DE ROSSI

      Quando nel 1560 fu compiuta la divisione dei beni del vescovo di Pavia, Girolamo de Rossi, il granduca Francesco I ebbe per sua parte trentuna statua. Vedi Michaelis, Geschichtedes Slalueahofes . . . Belvedere, p. 48 e 65.

        COLLEZIONE DE SINEBARBIS

         - Dovevano essere imparentati coi della Rovere, come risulta dal testamento di Faustina « filie q. dni Gentil de Sinebarbis de Ruere " in atti Mancini, prot. 1012 e. 62, anno 1524. Fondatore della collezione pare sia stato il Francesco marito di Angelozza, morto poco prima del 1510. La sua casa stava nel r. di Ponte « ad Turdenona » come si cava dalla scritta nuziale tra Lavinia Sinebarbis e Alessandro de Totis, in atti Pacifici, prot. 1190 e. 130, anno 1532.


        COLLEZIONE DEL BUFALO (DE CANCELLIERI)

        « In domo Angeli Bubali: hic est statua Herculis et multorum deorum in ciclo » più l' iscrizione di un Apronio CIL. 12234. 1 Bufali ebbero due raccolte, una in r. Colonna nella loro casa d'abitazione, una in r. Trevi nel loro giardino confinante con l' acquedotto Vergine (alla Chiavica del Bufalo), la prima di pochi pezzi, la seconda di grandissima considerazione. E sic- come questa seconda fu formata soltanto nel secolo XVI e ha una istoria a sé, indipendente affatto dall' altra. Al tempo di fra Giocondo la miglior parte dei Buffali de' Cancellieri abitavano tra la piazza di Sciarra e la piazza Colonna, e formavano due rami: quello di Francesco, e quello di Cristoforo.

        Ma mentre trovo nel mio schedario infinite notizie risguardanti uno Iacopo, un Bernardino, uno Stefano, un Innocenzo, un Marcantonio, un Gregorio, un Giuliano, un Giovanni Battista, tutti contemporanei di fra Giocondo, del suo Angelus Bubalus trovo ricordo una sola volta in un rogito Beneinbene dell'I 1 sett. 1477, contenente i patti e le convenzioni tra maestro Filippo della Valle medico, e Battista figli di Angelo Bufalo cavaliere di Cristo, a proposito del suo matrimonio con Francesca figlia del Filippo predetto.
        Il « magnifico cavaliere » era figlio di Lorenza, sposo di Madonna Annese. e padre di Battista e di Marcello, tutti sepolti nella chiesa di s. Andrea de Columna che era di giuspatronato della famiglia. E quando Sisto V fece abbattere questa chiesa, per fare piazza attorno la colonna « ordinò che nella chiesa di s. Maria in via fusse dato loro un sito per capella con l'invocatione di detto santo, nella quale si seppeliscano solo quelli della famiglia. La loro habitatione" prosegue l'Ameyden "incominciava dalla fine di piazza Sciarra et girava molto".

        Nella casa che era del cardinale Veralli in piazza Colonna, hoggi del cardinale Spada (poi Piombino), vi erano per le stanze le arme de scacchi con la testa del buffalo. Quella dove hoggi habita il cardinale de Lugo era similmente d'un tal Girolamo del Bufalo, nel qual palazzo sopra la porta stava una grand' arme di marmo con la testa del buffalo essendo stata levata quando detto palazzo dal conte Gasparo Spada fu comprato. Hoggi questi del Bufalo hanno l' habitatione nel Corso fra piazza di Sciarra e piazza Colonna, in tre sole case che comprendono quasi un' isola intera, dividendosi al presente in tre famiglie.

        I Cancellieri possedevano:
        - la Torricella de Fiascali,
        - Grotta Maroza, Trafusina,
        - Valle Melaina,
        - S. Nicola,
        - Cortecchia,
        - Redicicoli,
        - la Cancelliera,
        - Prato della Spina,
        - Torre Maggiore,
        - Casale Abbrucciato,
        - Campiglia,
        - la Ferriera Pantanella presso Grotta Ferrata,
        - una vigna in Sallustianis.
        Sulla fine del sec. XVI quando il palazzo principale era già passato in proprietà di Fabritio Lazzaro dottore celebre vi restavano le seguenti anticaglie:
        • un pilastro appoggiato al muro 
        • busti 2 di mezzo rilievo, 
        • homo vecchio raso, 
        • donna attempata co spessi capelli e ricci.
        • Cippo di L. Tullio Dietimo, CIL. VI, 1924; 
        • « una rara statua nuda di Venere » 
        • l'iscrizione CIL. VI, 8658.                                                                                                                                                                                                                              
        COLLEZIONE DELLA VALLE

        Fra Giocondo  nomina tre case, di Bernardino, di Bartolomeo, e di Filippo. Nel 1558 le raccolte archeologiche sono divise tra i Rustici della Valle, Valerio e Bruto della Valle, nella contrada di tale nome. Vedi Aldovrandi p. 212-221.
        Conservo nel mio schedario:
        - 94 documenti inediti relativi ai Valle,
        - 74 relativi ai Capranica,
        - 13 relativi ai Rustici,
        materiale copioso abbastanza per formare un volumetto a parte.

        AUGUSTO
        La famiglia era rimasta unita nei beni e nelle possessioni sino al 1467. Il 13 ottobre di quell'anno i tre fratelli carnali, Lello dottore in legge, Filippo « famosissimo » dottore in medicina, e Giacomo, volendo vivere ciascun da sé, procedettero alla divisione del patrimonio col ministero del notaro Giovanmatteo Salvetti.

        Il patrimonio comprendeva:
        - il « casale q. v. Buonricovero extra portam s. Johannis » acquistato nel 1398 da Paolo Conti signore di Poli,
        - il « casale q. v. Centumcellis " fuori porta Maggiore acquistato nel 1394 da Andrea Angeloni,
        - il « palatium situm in r. Sancti Eustachii iuxta domum heredum quondam Pauli Cencii ",
        - altro palazzo nel r. di Parione venduto nel 1459 a frate Valentino rettore di s. Stefano Rotondo,
        - un orto a fianco del templum Eventus Boni a s. M. di Monterone, acquistato dagli Alberini,
        - il casale Renclaustro acquistato nel 1396 dal predetto Andrea Angeloni,
        - la quarta parte del casale di Grotta Cellense, tolta in enfiteusi nel 1462 da Paolo Leis,
        - altre possessioni minori del valore complessivo di scudi d'oro 400000, somma invero grandissima per quei tempi.

        Tanta fortuna, invece di patire diminuzione con l'essere divisa in tre parti, fu invece notevolmente accresciuta da ciascuna delle tre discendenze di Lelio, Filippo e Giacomo. Valga d' esempio il seguente inventario dei beni del minorenne Bruto, figliuolo di Lelio, e nipote di Fabrizio, redatto il 20 ottobre 1535 dal suo tutore Jacopo Muti. L' inventario incomincia con la « domus solite habitationis dicti q. domini lelii sita in r. s. eustachii iuxta domum octaviani de valle, ab uno, et domum q. R cardinalis (Andreae ~ 1517) de Valle ab alio, et ecclesia s Martino de Monte et ante est via publica ".

        Al palazzo era annesso un casaleno scoperto e una "casecta per stalla ".
        Seguono: « la hostaria de la campana, dietro Campo di Fiore,
        - un fienile grande e uno piccolo alla scesa di Marforio,
        - l'orto grande del Pantano di s. Basilio, del quale lo ho parlato nel Bull, coni., tomo XXVIII, a. 1901, p. 44 sg,
        - l'orto grande al Circo Massimo,
        - la III parte del piazzatico di Fogliano e del Fucino in pescheria,
        - la IV parte di Castel Malnome:
        - la metà di Torre Carbone:
        - il casale di Buonricovero,
         il casale del Quadraro,
        - una vigna al Laterano,
        - un canneto ai ss. Pietro e Marcellino

        « Et le predette cose disse esser de la heredità de detto mr Lelio (padre) et fabritio (nonno). Item asseruit essere in la heredità de la matre (una Cavalieri) »...parte della casa grande nella piazza grande de Cavalieri: altra minore, ivi : una « casepta in la via de la stufa de Cavalieri ...doi stallecte in la via de la trinità: uno censo sopra una casa et calcara vicina ad s nicola de li cavalieri un altro censo sopra al casaletto for de porta san pangratio, una vigna con casepta et torre for de porta san Sebastiano, oncie (manca il numero) de casale brusciato for de porta salara. .un terzo del casale iudio, once del casale de quinto posto for de ponte molle item uno casale decto la casecta de cornazano posto in la transteverina ». 

        Bruto possedeva anche i famosi fienili « ad duodecim portas » nel sito dell'Ara Massima e del tempio di Ercole Vittore. Altri documenti ricordano come facienti parte del patrimonio comune il casale di Carcaricola acquistato nel 1476 da Griffonella Sorrentini, di Monte Olevano (1541), di Fiorano (1548), di Torre Nuova (1557), di Fusano (1570) e il Castello di Nemi che il cardinale Andrea tolse in affitto di Marcantonio Colonna il 23 maggio 1521. 

        La casa di Valerio, la quale conteneva i marmi ricordati dall'Aldovrandi a p. 216, . il 31 agosto 1566 « in regione parionis in apoteca aromatario in angulo prope ecclesiam s. Thome ». La chiamano « domus solite ipsius valerli habitationis sita Rome in r. s. Eustachij in via Pape cui ab uno est palatium d. Camilli de Rusticis, ab alio reliqua pars domus ipsius d. Valeri ante et retro vie publice ». 
        Vi sono nominate « tres stantie respicientes versus domum d. Angeli de Capranica, una cum scala per quam descenditur in via publica versus d. Angelum » ed altre sale e loggie « quas habitare solebat ho: me: d. Quintius de Rustici ».  

        Questi ricordi delle possessioni urbane e rustiche dei grandi raccoglitori del secolo XVI giovano assai a mettere in chiaro la origine delle antiche opere di scoltura onde erano adornati i loro palazzi e i loro giardini. Rari sono gli esempi di acquisti diretti di antichità nella prima metà del secolo, mentre abbondano le memorie di trovamenti fortuiti avvenuti nel piantare vigne e arboreti, e nel fondare case. L'Aldovrandi ricorda molti di questi casi. Delle statue in casa de Radicibus dice « le ha messer Pietro ritrovate in una sua vigna presso porta Maggiore ». 

        Il Meleagro dei Pichini proviene dalla loro vigna sull' Esquilino, la Venere dei Nari dal loro giardino in via Margutta, le innumerevoli scolture di casa Ponti da un loro terreno fuori di porta s. Lorenzo, quelle di Niccolò Stagni dalla sua vigna alle Sette Sale, e così via discorrendo. Una seconda classe di raccoglitori è formata dai Maestri delle Strade, i quali s'impadronirono assai di frequente degli oggetti che capitavan loro nelle mani nella loro qualità di ufficiali publici. 

        A questa classe appartengono Latino Giovenale Mannetti, Tommaso Cavalieri, Marcello Capodiferro, Rutilio Alberini, ed altri fondatori di antiquarii privati. Un esempio molto elegante dell' utilità che può derivare da queste nostre ricerche si ha nella faccenda dell'orto della Valle, al Pantano di san Basilio, i quali orto e pantano occupavano parte dell' area dei fori Giulio e Augusto. Nella tav. 32 dell'edizione originale dell'Architettura di Antonio Labacco, messa in luce da Antonio Lafreri l'anno 1552 si veggono la pianta, l'alzato, e la sezione di un tempio, il cui fregio a nascimenti e volute, ricorda quelle tali famose " candeliere " che ora stanno murate nelle pareti di una loggia di Villa Medici, sulla IV torre a partire dal confine coi giardini del Pincio.

        Ma nella II edizione dell'Architettura, incisa in Venezia nel 1560, lo stesso edificio è descritto con le parole seguenti « il seguente edificio fu cavato fra il Campidoglio et il colle quirinale, in quel luogo dove hoggi si dice il Pantano, molto distrutto et rovinato, d'ordine composito, tutto ornato de intagli et fogliami bellissimi ". Si tratta dunque del tempio di Venere Genitrice, visto e delineato contemporaneamente da Andrea Palladio, il quale ne parla così  «nel luogo che si dice Pantano, che è dietro a Marforio, era anticamente il tempio che siegue: le cui fondamenta furono scoperte cavandosi per fabbricare una casa (di Bruto della Valle) e vi fu ritrovato anco una quantità grandissima di marmi lavorati eccellentemente ma perchè nei frammenti della gola diritta della sua cornice si vedono dei delfini intagliati, et in alcuni luoghi dei tridenti, mi dò a credere che fosse di Nettuno ". 

        Di questo mirabile monumento furono messi in salvo due soli pezzi del fregio, che il Lafreri fece incidere in rame nel 1561 con la leggenda • in aedibus Andreae quondam card, a Valle » . E quando la raccolta della Valle fu comperata l'anno 1584 dal card. Ferdinando de Medici, i fregi seguirono la sorte comune, e furono murati nella loggia poc'anzi nominata. 

        Di tale trasferimento si ha la prova nella tav. 48 delle « Romanae magnitudinis monumenta » di Domeaico de Rossi, tavola incisa dal Bartoli seniore con la postilla: « templum ordinis compositi detectum inter Quirinalem et Capitolium in regione Pantani, ab Antonio Labacco delineatura, cuius Zophoris marmorei praegrandia fragmenta vario foliorum circuitu aifabre ornata serva ntur in aedibus Mediceis in Pincio».

        Le case stesse della Valle coprivano terreno di speciale fecondità archeologica sul confine dello stagno di Agrippa col portico del Buonevento, intorno al quale vedi Vacca mem. 60 "Mi ricordo che al tempo di Pio IV sotto il palazzo già del cardinal della Valle furono trovati molti pezzi di cornicioni e rocchi di colonne e capitelli corinti. Vi si trovò anche un capitello di smisurata grandezza e se ne fece l'arme di Pio IV a porta Pia ".

        Del resto il card. Andrea era appassionato scavatore. Ultimo luogo gli scavi e le scoperte nella vigna al Laterano, intorno alle quali cadrà il discorso sotto il giorno 21 aprile 1515.  Ho ritrovato uno dei cippi marmorei ornatissimi, forse di quelli del giardino pensile, nella loggia interna del palazzo Mattei, fra il primo e il secondo cortile. Nello specchio della epigrafe martellata, è scritto a lettere del '400 : HOC • lACET • IN TVMVLO • DE VALLE • ANTIQVA PROPAGO -


        COLLEZIONE DELLA PORTA

        Statue di Nettuno e Cupido, busto di Vespasiano, e testa di Polifemo vendute da Giuseppe della Porta. Vedi il curioso e interessante ragguaglio di quest'affare in Bertolotti, Artisti Lombardi, tomo 1, p. 150.


        COLLEZIONE DELLA VALLE - CAPRANICA

        - L'inventario delle statue, busti, sarcofagi, fregi etc, acquistati l'anno 1584 dalla casa Capranica della Valle, è stato pubblicato dal Fiorelli, Documenti, tomo IV, p, 377 seg. Furono esclusi dui contratto a favore del venditore » undeci pili ad elettione dell' ili. sig. cardinale de Medici compratore ... la mascara della fontana con il suo pilo sotto ... un pilette di 6 pai. con putti di mezzo rilevo, item un'arma di casa Capranica  ». Quest' insigne raccolta formava parte del fidecommeso istituito da Camillo Capranica e Faustina della Valle a favore de' loro figliuoli Bartolomeo ed Angelo.
        Morti però costoro, gli eredi di Angelo, a nome Paolo, Domenico ed Ottaviano, ottennero il 15 luglio 1584 un breve apostolico col quale furono prosciolti dal vincolo, e autorizzati a vendere l'avito splendido museo al card. Ferdinando pel prezzo di quattromila scudi. Nell'istromento:». che porta la data del 3 ottobre 1584, è dotto che tutte le lapidi e i marmi scolpiti erano già stati consegnati all'acquirente, il quale parte ne aveva fatto trasportaro - ad eius palatium et viridarium in Monte Pincio - parte in diverso luogo, e parte ne aveva lasciato in casa Capranica, non volendo spogliarla del tutto.
        - Una gran Tavola, incastrata di Pietre nobili, larga pai. 1 1 e V2 e larga 6, nel mezzo di cui v'é una gran Pietra ovale di Alabastro Smeraldino
         Un torso di un Re barbaro, di verde antico duro, pietra assai rara, e molto stimata ».
        Il numero dei pezzi che rimangono tuttora sparsi per i giardini, o rauiati nella facciata del palazzo, è di circa settanta, e se ne ha l' inventario in Aalike Bildwerke in lìom di Matz-von Diihn, tomo III, p. 322 seg. Vedi anche Strack, Baudenkmaeler Roms des XV-XIX lahrhiinderts, tav. 50.
        Questo numero sarebbe maggiore se l'Amministrazione Francese non avesse imitata l' opera dei Granduchi del settecento, continuando lo spoglio della villa sino a questi ultimi tempi. « C'est à Ingres, directeur de 1'Academie de Franco a Rome (1841) que 1' Ecole des Beaux-arts estredevable de trois insignes monuments de la statuaire grecque:
        - le torse do Minerve (Furtvvaenglor, Meisterwerke, tav. 11)
        - le torse de Venus et le torse de Mars . . .
        - Le Louvre s' est également'enrichi de plusieurs marbres provenants de la villa Médicis et envoyés à Paris par Horace Vernet (1834) » (').


        COLLEZIONE FARNESE

        - "Nel palazzo Farnese si trova in una stanza un bellissimo simulacro di una donna trionfante assisa. È maggiore del naturale ed ha il capo, i piedi e le mani con un poco delle braccia di bronzo che ha quasi colore di auricalco: il resto poi è di porfido con maraviglioso artificio fatto. Fu ritrovato in Parione in casa di messer Fabio Sasso». Similmente a p. CCX, n, 15: « Viene poi nel medesimo palazzo una statua di M. Aurelio imperatore. Ha la sua veste avvolta sulla spalla, e la correggia del suo stocco attaccata al collo e pendente. Fu ritrovata in casa di messe r Fabio Sasso», e per la terza volta a p. CCXI, n. 16 : -Vi è anche un ermafrodito di paragone (L'Apollo, Winkelmann, II, 15) maggiore del naturale e vestito dal mezzo in giù : ha capelli di donna e si tiene il braccio dritto sul capo ... e fu trovata in casa di messer Fabio Sasso».
        L' espressione « trovato » indica non una vera e propria scoperta fatta sotto quella casa in Parione. ma semplicemente la provenienza. E fa fede di ciò il seguente documento da me trovato nel prot. 1787 del notario Antonio Scribano a e. 81 A. S. "Anthonio pullio Baroni burgij sue excellentie procuratori et agenti una mecum notario presenti statuas eneas et marmoreas In eorum domo de Saxis nuncupata regionis parionis existentes videlicet. In primis In la Intrata de casa Uno hermafrodito di paragone col suo pesamento all'incontro de un marco aurelio col suo pesamento, A piede alle scale una statua di porfido col suo pesamento A mezze scale una Sabina di marmo col suo pesamento Un quatro di marmo di mezzo rilievo sta in nel muro dove e un Sileno con altri satyri Vna testa di Pompeo col busto di marmo Cinque torsi dj marmo bellj. Hanc autem venditionem fecerunt prò pretio et nomine pretij scutorum mille auri ex auro ».
        - Triopium Herodis Attici - Ricordo di scavi al terzo miglio dell'Appia, in territorio di Capo di Bove, dai quali vennero in luce le due colonne, Kaibel 1390, che decoravano l'ingresso del Triopio. Rimasero sul posto per molti anni. Il card. Alessandro le fece trasportare alla Farnesina.         


        COLLEZIONE FRANGIPANE 

        - Aldovrandi distingue due collezioni: la prima (p. 262) « in casa di M. Curtio Fraiapane presso a San Marco », la seconda (p. 284) « in casa di M. Hieronimo Fraiapane, dietro S. Maria in via, à le radici di monte Cauallo » . Il Fiorelli, (Documenti Inediti, tomo IV, p. V e 1.) pubblica un breve notamento dei pochi marmi che rimanevano in casa (di un Mario) Frangipane nel 1654, secondo l'inventario esistente in A. S. C. Il palazzo principale era quello alla Conca di S. Marco (prot. 1538 e. 168, A. S.) ingrandito da Antonino con l'acquisto di altra casa, spettante a Diana de Vincentiis nel 1538, « Hanno li Frangipani la casa nel rion di Pigna nel più bello della piazza di San Marco, appresso la quale modernamente hanno fabricato un palazzo cospicuo non anche compiuto (Ameyden) ».
        Vedi Guattani ap. Fiorelli, Documenti inediti, tomo II, p. 342. La seconda residenza di famiglia era quella all'Umiltà. Confinava con la casa di Vespasiano Suardi e col giardino di Onofrio Taschi (prot. 619 e. 332, anno 1544). Questo Taschi o Tasca aveva venduto nel 1536 "a Luigi Ruccellai una casa nel r. Trevi presso i beni dei Frangipani, con due orti, uno dei quali risponde sulla piazza (della Piletta) dinnanzi al palazzo del card. Colonna" (prot. 421, e. 349, 503). Vi è anche ricordo di uno "stabulum Jac. de Frigiapanibus in r. Trivii, cui a parteanteriore est via pubblica quae tendit directe ad montem Caballum". Si tratta dunque dell' isola circoscritta dalle vie dell'Umiltà, dell'Archetto, dei Lucchesi e dalla piazza della Piletta, oggi occupata dal collegio Americano e dai palazzi Filippani e Lazzaroni.                                                                                                                                                    - I documenti dei secoli XV e XVI parlano di altre tre case. La prima di Ortensio « in regione Pince e conspectu palatii. dd. de Mutis coherens retro cum bonis eccl. s. Stephani del Cacce ». La seconda assai antica in Trastevere (diario di Antonio De Petri): la terza è il famoso « palazo antiche de Freapani in r. Campitelli in loco qui dicitur Palazzo Magiure prope ecclesiam s. Anastasie in conspectu fontis s. Georgii ».
        I Frangipani possedevano, inoltre, i famosi orti della Consolazione alla Cannapara, dei quali ho parlato a ce. 89, e 91: una vigna all'Antoniana con orto adacquativo, affittato a certi ortolani di Parma nel 1502: altra vigna « in loco dicto le mole de Sto Savo » donata ad Antonio Fr. nel 1519 da maestro Gio: Battista chirurgo : le «ortalia Circuii in loco dicto Monte Secco» : terreni fuori la porta Appia nel viculo oratorio (Sette Chiese) : fuori la p. Aurelia in vocabolo Montorio: la Torricella di Ponte Salario, e i casali o castelli di Acqua traversa, Tor Carbone, Malnome, Nemi, Ninfa, Petrònella, Baiano, Frascati etc. In alcuni di questi luoghi furono certamente eseguiti scavi. Vedi p. e. CIL. XIV. 2113.


        COLLEZIONE GALLI

        - "Ventitré iscriz. in domo d. Joannis Galli script. Poenitentiariae", fra le quali n. 2649, 9288, 9289, 9637, 9709, 11515, 12388. 13367. La casa stava sul confino col vicino rione Colonna, nella presente via di Campo Marzio, di maniera che il «jfiardino annessole giungeva sino alla colonna del divo Pio, la quale, in una carta del 1555, che pubblicherò nel secondo volume, è chiamata « magna columna posta in jardeno directc spectante ad diìin Io. Baptistam de Cichinis ». 14913, 20949 etc. Le notizie sulla famiglia Galli raccolte dal lacovacci in cod. ott. 2550, p. 77-91, vanno dal 1460 al 1590.
        Discendente del Giovanni, che aveva fondata la raccolta al tempo di Pietro Sabino, deve essere quel « nobilis vir dfius Jacobus Gallus raercator romanus ac scriptor litterarum apostolicarum de r. Parionis filius et heres qd. Juliani Galli », del quale ho trovato memoria a. 1490, nel prot. 1809, di Saba Vannuzzi, a e. 156. Un Paolo Galli aveva affittato nel 1511 a Piero Astalli e a Stefano Velli le erbe delle tenute di Statua e Palidoro (Not. Ceci in Script, arch. tomo XV, e. 57' A. C). « Lorenzo Gallo » dice l'Ameyden « che tenne banco aperto in Roma, fu tesoriere di papa Giulio II, et imprestò 120 m. scudi per fabricare il palagio della Cancellarla. Racconta l'Infessura sotto li 5 gennaro 1453 che Stefano Porcaro fu preso in casa di madonna Galla serrato in una cassa. Parentarono li Galli con li Orsini di Mugnano e si vede sopra una loro casa negli Liutari ben antica l'arma interzata colla Orsina... hanno la casa nel rion di Parione... fundarono la chiesa parrocchiale di San.. presso il Ghetto ».
        Nel secolo XVI s'erano imparentati coi Cecchini. La casa ai Liutari è celebre pei trovamenti descritti dal Vacca mem. 30, e avvenuti sotto il pontificato di Gregorio XIII. Vedi ediz. Pea, p. LXIX, Winkelmann Storia, tomo III, p. 95 e 523. Con questi fa gruppo la scoperta del cosidetto Pompeo descritto dal medesimo cronista mem. 57. Ligorio Paris. 1129 e. 329, scrive « a Quirino facevano la corona di brocconi di arbore, come è in quella testa di marmo di esso Quirino che si trova conservata in casa de Galli gentilhuomini romani » .
        La casa, o una delle case, ai Liutari fu venduta l'anno 1571 da Fabrizio Gallo al mag. Francesco Capoccio da Terni (Not. Martini prot. 1222 e. 483 A. S.), e il palazzo stesso in piazza di Pasquino fu venduto ai Cecchini nel 1568, e intestato a una Lucrezia Cecchini Galli. Con tanta copia di notizie relative al sito della casa, non so comprendere perchè il Corpus VI, 2649 accusi di errore lo Smezio quando la dice posta « iuxta s. Laurentium in Damaso ».
        Anche l'Aldovrandi la chiama « casa di messer Paulo Gallo presso a palagio di san Giorgio » descrivendone la raccolte figurate poste nella « loggetta terrena » nel « giardinetto » e nelle camere « presso la sala ». Quanto alle iscrizioni, che il Giocondo ha ricopiate dall'autografo del Sabino, pare che vengano da luoghi diversi, eccezione fatta per nn. 9288, 9289. Finirono poco stante in casa di Mario Volaterrano. Vedi anche Geffroy " Pierre Jacques de Reims", p. 4.


        COLLEZIONE GIUSTINI

        - Se ne ha ricordo nei Nuptiali di M. A. Altieri a p. 61, ed. Narducci, ove il Mezzocavallo dice : « ma chi el vedessi (l'Altieri) con messer Favolo Justini da Castello consummarce rascionando la iornata si pertinaci se demostrano superar l'un l'altro de intagli, teste, medaglie, overo anche de qualche vaso antiquo ».

        Paolo Giustini, abbreviatore del Parco maggiore nel 1497, deve aver trasmesso ai suoi discendenti l'amore verso le cose antiche. Il Tesoroni, nella bella monografia « il palazzo Piombino di piazza Colonna » Roma 1894 (in Buonarroti, serie IV, tomoi, fase. 5°), dalla quale traggo queste notizie, ricorda il testamento di Lucrezia Giustini ove si parla di medaglie e di antichità di' bronzo, custodite in casa della testatrice per conto dei suoi nipoti Cosimo e Fabrizio, e di altri cimelii racchiusi insieme a molte cose preziose in una « cassa de ferro che sta in lo monasterio de torre de li specchi, de quale cassa ha la chiave ms Bruto della Valle ».
        Le raccolte furono di gran lunga accresciute quando mgr. Cosimo Giustini, acquistate sul lato orientale di piazza Colonna le case de' Normanni (1579) e degli Alberini (1591), fabbricò sulle loro vestigie il proprio palazzo, con i disegni e consigli di Iacopo della Porta, Matteo Bartolini da Castello, Bartolomeo Grippetto, Annibale Lippi e Carlo Lombardo. Scoperte di antichità debbono essere avvenute nel corso dei lavori (Vedi Bull. com. tomo XIX, a. 1892, p. 275), ma non ce ne è memoria sicura. Abbondano per contrario quelle relative alle opere di antico scalpello poste dal Giustini ad ornamento delle scale, del cortile, degli appartamenti e de' giardini. Se ne vegga il catalogo interessante nella citata memoria del Tesoroni a p. 15 dell'estratto. Meritano ricordo speciale
        • una statua in piedi vestita alla consolare de Nerva imperatore  alta m. 1.78: 
        • un pezzo di granito rosso del foro traiano
        • una statua grande assai, nuda, de un imperatore, che al presente sta in pezzi in casa de un medico nella strada de pontefici, comprata scudi 40, da Fulvio Visdomini agente e procuratore dell' ill don Cesare d'Este erede del cardinale d' Este, 
        • un piestallo a s. Croce in Hierusalem nella cappelletta fori
        • altro piedistallo di marmo saligno del foro traiano, 
        • otto statue di marmo della raccolta di Alessandro Pighini-Fusconi e fratelli "cavate alla vigna loro a s. M. Magior con tanti e tanti fragmenti, uno piedestallo di marmo con littere, alto palmi cinque, il qual sta adesso fuor di porta latina rincontro alla vigna di Germanico rastelli lontano dalla porta, mezzo miglio in circa, nella strada maestra, et poco sotto terra" 
        • Mischi africani Doi compri da m Pietro bettoni cavatore presi à Scola greca
        • una statua de un console senza testa et piedi comprata dal ciambellaro rincontro a tor de specchi, 
        • statua in una casa nova nella salita di Monte cavallo accanto li cappuccini 
        • un piedestallo grande con lettere Turcius apronianus V. C. praefectus urbi lo comprai scudi cinque dal scultor accanto la colonna trajana et credo fusse trovato li vicino nelle cantine della casa de certi chiamati de casa carbone, et adesso è de Martino cappelletto auditor del Carrd montalto, il quale martino ci ha fabbricato assai
        • un piestallo con littere VaP. Justine qui apresso alla pace
        • un grandone Populonii sta nel cortile in Colonna
        Del palazzo e del museo Giustini rimane oggi una sola memoria nelle cariatidi scolpite da Angelo Laldini e Ruggero Bescapè, che prima ornavano il portone della fabbrica in Colonna, e che ora - fanno bella mostra di se all' ingresso del giardino circostante al nuovo palazzo Piombino del quartiere Ludovisiano -. Le cariatidi, . presentanti il mito di Dafne, alludono alla impresa di casa Giustini, che è un ramo di lauro. I Giustini possederono tre giardini con palazzi, case e vigne sul « monte Flaminio » fuori p. del Popolo, vicini alla Villa Giulia; e le tenute di Tor Vergata, Trafusa, Trafusina e Castel di Leva.


        COLLEZIONE GONZAGA

         -  1472, 18 luglio. Il card. Francesco Gonzaga domanda a suo padre il marchese di Mantova, di procurargli un abboccamento con Andrea Mantegna per mostrargli « camaini e teste di bronzo et altre belle cose antique n raccolte certamente in Roma, dove la famiglia possedeva i ben noti « Horti Conciagarum » all'arco della Salava. Vedi Gazette des Beaux Arts, tomo XX, p. 344. 
        - Primo ricordo ufficiale di sotterfugi usati per estrarre da Roma oggetti d' arte, a dispetto delle costituzioni vigenti. La marchesa Isabella di Mantova scrivena sotto questa data al suo agente in Roma indicandogli le precauzioni nello spedirle « una bella tabula de pietra perchè bisogna usar arte in condurla fora de Roma per respecto alli Conservatori ».
        Fondatore della collezione era stato il cardinale Francesco Gonzaga, al quale la passione verso i bronzi e le gemme antiche era stata comunicata dal principe dei raccoglitori, Paolo II. Col testamento in data 20 ottobre 1483 il cardinale divise il suo museo in due parti. Al fratello marchese Federigo lasciò « omnes statuas et imagines ex aere vel broncio » mentre gli esecutori testamentarii erano invitati a vendere al miglior offerente, per soddisfare i creditori, « camainos tam ligatos in tabulis argenteis et aliter quomodocumque, quam etiam non ligatos, nec non vasa cristallina... et alia jocalia mea ac libros omnes praeter specialiter ligatos".
        Lasciava poi a titolo di legato « ili. principi Alphonso de Aragonia duci Calabrie . . quandara corniolam magnam, in qua insculpta est facies Julii Caesaris». Gli esecutori si affrettarono a seguire le volontà del defunto: non vendit les camées, qui allèrent grossir le musée de Laurent le magnifìqueQuels regrets le souvenir de cette dispersion ne dut il pas causer à la docte et spirituelle marquise Isabelle d'Este lorsqu'elle épousa, quelques années plus tard, le frère du cardinal, et entreprit de fonder ce « studio » qui fit longtemps la gioire de Mantoue! » Miintz in Revue Archeol. Janvier 1882, p. 10 dell'estratto).
        Gli scavi e le scoperte fatte più tardi nel giardino Conzaga alla Marmorata saranno descritti sotto la data del 18 gen- naio 1558.
        Il Miintz ha ricordato col cardinale Francesco, un altro porporato Guglielmo d'Estouteville, collettore non per genio ma per occasione. «Les cornioles qui sont décrites dans son inventaire semblent étre arrivées dans ses mains par l'effet du hasard, non par suite de ces investigations ardentes, si frequentes chez les amateurs de la Renaissance " . L' inventario nomina « unum anulum cum corneola sculpta... item duo cadmeas vetustas et pallidas parvi valoris. Item unum alium lapidem cadmeum cum una facie adraodum magnum. Item duos anulos parvos quorum alius habet lapidem ametisti inscultum capite hominis. Item lapides centum et quatuordecim diversarum manierarum incisas et inscultas diversis signis et imaginibus ».


        COLLEZIONE GORITZ

        - 1523. GORITZ (Küritz), Johann, detto Coricio. - Originario della diocesi di Treviri, in Lussemburgo, nacque nella II metà del XV secolo; fu al servizio di sei papi, fino a Clemente VII. Negli anni successivi accumulò parecchie cariche, la maggiore delle quali fu quella di protonotario apostolico. Sotto Giulio II fu segretario dei Memoriali.
        L'abitazione romana del G. era nel rione Parione, in piazza della Cancelleria. Acquistò una villa, presso il foro Traiano, dove ospitava riunioni poetiche e incoraggiava, anche economicamente, ambizioni artistiche e letterarie. Il G. divenne il fulcro di un gruppo di umanisti. Il nome latinizzato del G., Coricio, echeggiava il "Corycium antrum", una grotta del monte Parnaso che si credeva incantata e fonte di ispirazione poetica. Tra i più illustri  frequentatori, i due segretari domestici pontifici, i cardinali Iacopo Sadoleto e Pietro Bembo, Alessandro Farnese, poi papa Paolo III, Egidio da Viterbo, che diverrà cardinale, il vescovo Mario Maffei, Raffaele Brandolini, Tommaso Fedra Inghirami, Biagio Pallai (Blosio Palladio), Baldassarre Castiglione, Filippo Beroaldo iunior, Scipione Forteguerri Carteromaco.
        Durante il sacco, le truppe tedesche catturarono il G. e lo obbligarono a versare un enorme riscatto; quelle spagnole gli rubarono l'oro che aveva sepolto nel giardino, grazie al tradimento di un fabbro che lo aveva aiutato a nasconderlo. Il G. fuggì verso Nord, per tornare nelle terre natie e cercare di procurarsi del denaro per saldare i debiti contratti per pagare il riscatto, ma, a quanto riferisce Pierio Valeriano, si ammalò a Verona, dove morì, nel 1528.
        il Giovanni Angelo Corizio, o Coricio, dei letterati e degli artisti contemporanei, intorno al quale vedi Gnoli : le « La più antica memoria del giardino-museo Coriciano a s. Lorenzo de Ascesa si trova nel protocollo 1189 del not. Pacifici, a e. 90, ove è registrata la vendita fatta da maestro Marcotto da s. Polo, barbiere, a Giovanni Coricio per Giovanni Brant «sericorum argentarius s. aurifex » di una casa confinante coi beni di detto Coricio e con r orto di s. Lorenzolo. Il Coricio stesso finì col donare le sue case e il suo diletto giardino a Giovanni giuniore e Enrico Brant « coritiauis eius nepotibus ».
        Vedi not. de Pacificis, prot. 1183, e. 64. Egli stava di casa in Parione, muro a muro con 1'avvocato concistoriale G. B. Casolani da Siena.
        Le iscrizioni raccolte nel giardino andarono, in parte, a male, p. e. il n. 1025, e i frammenti arvalici 2030, 2985 e 2037. L'elogio del foro Augusto, n. 1271, passò all'antiquario Cesi: la memoria del ninfeo di Flavio Filippo n. 1729 b a Giuliano Cesarini: il n. 2226 ai Zeri di via Chiavari: il n. 2312 ai Gentili e poi al Capitolino.


        COLLEZIONE GRIFFONI

        - 31 lapidi miscellanee, fra le quali due del colombario de' Sallustii. Un « Grifonectus de Grifonibus ro. civis publicus dei gra Imp. auctoritate notarius » aveva stanza in Roma sulla fine del '400. Vedi il prot. 887 di suo figlio Marco in A. S., a e. 98. Abitavano in Trivio. Vedi Adinolfi tomo II, p. 304.


        COLLEZIONE GVALDERONI

        - « Theodori de Gualderonibus Ro: Ci: locavit discrete mulieri Dne Elisabete de Zora hispane presenti quamdam ipsius domini Theodori domum terrineam cum sala cameris tinello et coquina stabulo et discoperto positam in R. Columne et contrada S Mauti de urbe diete Regionis. Insuper prefata Dna Elisabeta constituit et vocavit se fidam et legalem depositariam infrascriptorum bonorum. Uno testa de Jane Una altra testa de marmerò Un busto de Medusa
        (Not. Bartolomeo de Ro- tellis, prot. 1480, e. 138 in A. S.). "dictus Franciscus sibi antea ut asseruit prestita sponte etc titulo donationis Inter uiuos concessit prefato Geòrgie seruitori benemerito ducatos auri de Camera quadringentos. Item magister Antonius donauit et concessit prefato domino Geòrgie omnes statuas ex ere, marmore, et cera confectas quas ipse donator in Urbe in diuersis locis se habere asseruit. Item omnes suos circulos sive compassus et omnia alia instrumenta ex quacumque materia facta ad artis scultorie exercitium in Urbe existentia.  Item prefatus magister Antonius ex causa premissa concessit prefato domino Francisco Calvo in signum vere beneuolentie unam statuam Apolinis ex cera confectam in bancho heredum quondam Augustini Chisij existentem. " (A. S. C. prot. 900).


        COLLEZIONE INCORONATI

        - Quattro monumenti "in domo d. Pauli Coronati" il quale parmi essere quel « dominus Coronatus Planche de r. Arenule, utriusque juris doctor, et sacri palatii apostolici advocatus » che fondò la fortuna della famiglia, dando danaro a interesse. Vedi not. Bistucci in A. C. prot. 66, 9 giugno 1483. Il loro palazzo in via Giulia è ancora in essere. Un secondo palazzo di famiglia, nella via che da s. Lucia conduceva in Corte Savella, fu venduto nel 1569 a G. B. Dono, chierico di Camera. La presente piazza Padella è sempre indicata nei documenti del 500 col nome di « platea de Incoronatis apud flumen »: e la cappella di s. Nicola de Furcis in detta piazza prese il nome di s. Nicola degli Incoronati dopo che fu fatta parrocchia da Leone X, nel 1512, sotto il giuspatronato dell' avvocato concistoriale, collettore di epigrafi al tempo di fra Giocondo. Queste devono essere state scoperte in tutto o in parte nel sepolcro della gente Arlena, nella vigna Ottini alla porta Latina. Vedi le osservazioni del CIL. VP n. 9675 e 12331. Il Bosio descrisse nel cortile della casa di Angelo Incoronati, dirimpetto a s. Marcello, un sarcofago trovato in una vigna presso il Torrione di Borgo tuori della porta delle Fornaci (p. 93).


        COLLEZIONE LAFRERI

        - che oramai ha passato i trecento pezzi, il museo di Giulio II è illustrato dalle seguenti incisioni.
        • L'Apollo Belvedere prima de' restauri entro nicchia "in palatio pont. in loco qui vulgo dicitur Belvedere" Deve essere stato disegnato prima del 1546. 
        • La cosidetta Venere e Cupido « Romae ab antiquo repertum  a. 1552. 
        • Il Laocoonte entro una nicchia semicircolare « Romae in palatio pont. in loco qui vulgo dicitur belvedere . a. 1561. 
        • Altra di Marco da Ravenna con tutte le fratture del gruppo al momento della scoperta. 
        • Altra incisa da Sisto Badalocchi alla rovescia, e pubblicata da Andrea della Vaccaria nel 1606. 
        • Ercole e Telefo, « prout in pontificali horto Belvedere vulgariter vocato collocatum uidetur simulacrum » Prima ediz. di Antonio Salamanca con la figura rivolta a sin; seconda ediz. del Lafreri del 1550 con la figura rivolta a destra. 
        • Il Tevere, splendida incisione che mostra il simulacro già restaurato. 
        • Il Nilo con le fratture del marmo, diligentemente notate.
        Il cod. Berlin, del quale feci lo spoglio nel 1894, contiene i ricordi della cosi detta
        • Sallustia « in Belvedere » f. 77 
        • della Fides statua sedente « nel boschetto 
        • della luventas « nel Boschetto » 
        • della Dea Cybele nel bosco di Belvedere « f. 15,
        ATENA MATTEI
        « Sopra le Terme Titiane vicino a Santo Martino in monto furono le Terme di Traiano ove, poco fa, furono ritrovate due statue del fanciullo Antinoo poste innanzi per comandamento di Adriano tale che ancora  il detto luoijo si chiama Adrianeo. Le predette statue furono poste da Leone X nel Vaticano cioè in e di un sarcofago f. 10 con la leggenda « questo e ù pilo di marmo scolpitovi dentro la presénte storia ... detto pilo fu messo già in belvedere da Pio IV e di bella maniera dicono gli antiquari essere la storia di pasife quando fece fabricare la vacca puolersi congiungere col toro ».
        Pierre Jacques de Reiras ha anche esso disegnato scolture di Belvedere (Geffroy in Mélanges, tom. X, 1890, p. 168) tra le quali
        • il Laocoonte, 
        • l' Ercole ed Anteo, 
        • l'ara di Aper, 
        • il torso,
        • l'Apollo, 
        • l'Ariadne, 
        • il Mercurio 
        • il rilievo rappresentante la separazione di Orfeo e Euridice, oggi al Louvre.
        Il Cavalieri, voi. I-II, ediz. 1595, porta incisi in rame quattro simulacri muliebri incerti
        • Vesta, 
        • Giulia moglie di C. Petronio, 
        • Fortuna,
        • luventas, 
        • Pudicitia, 
        • Flora, 
        • Polymnia. 
        Sulla fine del secolo il museo di Belvedere conteneva i seguenti oggetti, collocati, sia nel giardinetto centrale che era « variis exoticis consitus arboribus » sia dentro le nicchie, sia addosso le pareti:
        • Nel giardinetto, su basi ornate dello stemma mediceo (Cavalieri I-II tav. 2, 3 IV, tav. 52) il Nilo e il Tevere.
        • Nella prima nicchia dietro al Nilo l'Antinoo, o Adone de' Pichini, o Meleagro, del quale si ha pure un mirabile rame del Lafreri col titolo « antiquum ex parie marmore in aedibus Hadriani (Fusconi da Norcia)  
        • A destra della nicchia il così detto Arno, inciso da Nicholas Beatrizet nel 1560 e riprodotto più tardi da Claude Duchet. 
        • A sinistra la Cleopatra « dexterae innixa » . 
        • Nella seconda nicchia a ovest la così detta Venere Ericina che esce dal bagno. 
        • Nella terza nicchia nell'angolo sud-ovest la cosi detta Sallustia Barbia Orbiana, 
        • il torso di Ercole, 
        • uno di Bacco, 
        • uno di donna, 
        • il Mercurio (Cavalieri, I-II tav. 5)  
        • il sarcofago con la caccia del Meleagro. 
        • Nella quarta nicchia l' Ercole e Telefo, 
        • nella quinta l'Apollo, 
        • nella sesta il Laocoonte. 
        Nel gabinetto in capo alle scale, dove oggi è il Torso stavano
        • l'Ariadne giacente, 
        • un labro di prezioso marmo delle terme di Tito, 
        • il piedistallo della Cibele e Ati.  La disposizione del giardino e dell' antiquario di Belvedere, prima dei cambia- menti del secolo scorso, si può riconoscere nei documenti grafici. I migliori fra tutti i disegni di Belvedere sono conservati nelle King's Library al museo Brittannico (LXXXI, 61, e) in tre volumi che comprendono, in più centinaia di tavole, la serie completa e perfettissima di tutte le stanze del Vaticano, in pianta e in alzato, con l' indicazione del loro uso. 

        COLLEZIONE LANCIARINI DA FANO

        - « In vinea dui Ulixis de Fano (area del nuovo giardino presso la Consulta) effossa fuere multa marmora cum statuis e quibus unam habet in aedibus suis fractam. Cupidinis uero dormientis, miro artificio sculpta, est in palatio Mantuae », e. 87'. (Vedi Bull. com. a. 1889, p. 388).
        Ulisse Lanciarino de Lanciarini da Fano, figliuolo di donna Camilla sepolta in s. Agostino il 2 marzo 1518, e sposo di donna Maria de Lapis, venne in alto stato sul principio del secolo, e figura nell'albo dei piorabatori apostolici per l'anno 1505, e dei priori dell'Annunziata per l'anno 1513.
        Aveva tolto in enfiteusi dal capitolo di s. Marco una " domus magna in conspectu palatii magni (di Venezia) iuxta dictam ecclesiam in platea in qua est magna concha lapidea » insieme a altra « domus terrinea in platea s. Marci ubi est cunca lapidea magna per viam rectam per quam itur ad ecclesiam s. Marcelli » che egli cedette a Mariano Astalli nel 1505 (prot. 1732, 0. 25, A. S.).
        Morendo poco prima del Sacco, lasciò due figliuoli, Leone e Cesare, e una femmina di nome Emmeiina. Il « magnificus d. Leo q. Ulixis de Fano » continuava ad abitare nel 1551 nella casa paterna « sita in r. Pontis in strata ursi apud s. Luciam della Tenta, cui a tergo est flumen » (prot. 6155, e. 470), ma nel 1553 si trasferì, al palazzo Cecchini a Pasquino, di faccia al palazzo Orsini (Braschi) dal quale aveva scacciato l' inquilino G. B. Doria.
        Secretarlo apostolico, speculatore e affarista, perfino sui cavalierati di s. Pietro, deve essere morto fra gli anni 1555 e 1568, quando vien fuori un Ulisse Lanciarini suo figliuolo superstite, il quale nel 1571 abitava sempre il palazzo in Parione di rimpetto al card. Flavio Orsino.
        Pare che siasi imparentato coi Galli (prot, 437, e. 722). L'Aldovrandi, p. 144, descrive certe antichità « in casa di M. Carlo da Fano, presso alla chiavica per andare a corte Savella, in casa dell'arcivescovo di Cipro », ma non saprei affermare se questo Carlo appartenesse alla famiglia dei Lanciarini. Alcune di queste antichità furono incise in rame, e figurano nella serie dei Mascheroni che suole accompagnare l'Album Lafreri.


        COLLEZIONE MADDALENI CAPODIFERRO

         - Sulla origine di questa illustre famiglia, sulla relazione di parentado coi Gocii Capodiferro, sull' Evangelista Maddaleni collettore di lapidi nella sua casa « in vico qui ducit de area Alteriorum ad Minervae » vedi Tommasini in Atti Acc. Lincei, classe scienze stor., 24 aprile 1892. Discepolo di Pomponio Leto, si occupò modestamente di ricerche epigrafiche, delle quali rimane traccia nel cod. vat. 3351, e. 153', 154.  Fu anche collettore di libri, la maggior parte de' quali gli vennero in casa per parte di sua moglie Faustina, nipote di Giorgio da Trebisonda.
        Nei suoi Epigrammi si trova ricordo della scoperta del Laocoonte e dell'Arianna. 11 Tommasini ricorda tra i beni acquistati col frutto di prudente e fortunata mercatura, il Castello di Rocca di Botte « lo Casale de lo Judìo » e quello di Torre del Sasso.
        Maggiori ricchezze accumularono con la gabella di porta Maggiore, con la gabella dello studio, e con sinecure di Corte, onde li troviamo più tardi proprietarii di Castel Campanile, Camposalino, Torre Maggiore, Tor Tignosa, Celfardina, Solforatella, Vallerano, e di vigne nel suburbio. Quando Ulisse Aldovrandi visitò l'antiquario in casa di M. Piero Domenichi Maddalena Capodiferro, presso la piazza degli Altieri « il solo pezzo rimarchevole era il gruppo di Esculapio e Igia, ricavato da un solo blocco di marmo".
        In un documento del not. Volterrano in A. C Scritt. arch. tomo XXI e. 42' è ricordato un « arcus de los Madalenos in regione Pignee ». Vedi anche Pighio cod. Beri. e. 114, e Armellini Chiese, p. 490. 
        Cinque iscrizioni « in domo q. Marcelli Capo de Ferro » e due altre a e. 132 provenienti dal mausoleo degli Asprenati, CIL. VI, 1370, 1371. Si tratta forse del Marcello maestro delle strade e edificii di Roma nel 1425 insieme a Nicola Porcari. Del museo Capodiferro raccolto più tardi nel palazzo oggi Spada si parlerà all' a. 1559. 


        COLLEZIONE MAFFEI

        "Ventuna iscrizione in domo seu in hortis dò Achillis de MatYeis " . Le più antiche memorie di questo illustre casato Veronese risalgono secondo lo lacovacci (cod. ottob. 2551, 70-80) al 1394. Il suo primo rappresentante in Roma fu Benedetto, abbreviatore del parco maggiore, favorito di Sisto IV, il quale, con rogito del notare Pietro Mirigli, comperò nel 1491, il dì 4 luglio, da Pietro Lupi de Chariis una casa in r. Pigna accanto a s. Nicolao de Calcarario. che dovea divenire in breve giro di tempo il famoso palazzo-museo Matfeiano.
        Vedi la mia memoria sulla contrada della Ciambella in Bull. com. 1901, p. 12 sg. Benedetto mori a 66 anni nel 1494, e fu sepolto in s. Maria sopra Minerva nella cappella di s. Sebastiano, o del Salvatore, a sinistra dell'altare, dove si vede ancora il suo busto. Vedi Forcella, tomo I, p. 426, n. 1633. Suo figlio Achille pose le fondamenta della futura raccolta antiquaria, riscattando probabilmente molte iscrizioni dalla vicina calcara dei Caffarelli. Verso la metà del 500 la raccolta contava i numeri CIL. VI, 33, 34, 35, 36, 98, 108, 109, 114, 471, 597, 607, 610, 746, 1002, 1043, 1235, 1269, 1327, 1670, 1861, 1872.
        Molte furono vendute al tempo di Alessandro VII ad uno scarpellino del rione Trevi (Cod. Chisian. J. VI. 205), poche sfuggirono alla sorte comune : il n. 622 passò ai Ludovisi, il n. 633 ai Colonna, il n. 35 ai Nardi di Firenze, etc. Vedi anche Kaibel 952, 953, 966, 1097. Quando Paolo Knibbio visitò Roma dopo il 1564, le iscrizioni minori stavano « in casa del cardinal Mafei (deve essere il Bernardino f 1553, poiché Marcantonio suo fratello ottenne la porpora solo nel 1570) le maggiori « su la strada (detta l'arco de' Leni) intorno la ditta casa Mafei ». Sulle vicende dei celeberrimi Fasti Maffeiani, vedi CIL. VI, 2297.
        Alle epigrafi furono poco stante aggiunte opere insigni di scoltura, specialmente per opera di Girolamo che fu maestro di strade con Latino Giovenale Manetti al tempo della venuta di Carlo V. Costui vendè a Paolo III nel 1539 la cosidetta Cleopatra. Vedi l'atto in Mandati Camerali A. S. voi. 1539-40 e. 139.
        Il cod. berlin. del Pighio contiene tre disegni del « congius ex aere apud d. Achillem Maphaeium D. Pighii amicum » che era stato trovato a Todi (e. 165, 167, 169), e uno di bassorilievo circense egregiamente disegnato a e. 100. Il Ligorio, Torin. XV, e. 89' ricorda altre anticaglie in "casa di M. Mario Mafaei da Volterra vescovo di Cavagliene ".
        Nel settembre del 1893 vidi in Londra, nella libreria Quaritch, una preziosa reliquia della biblioteca del Volterrano, cioè un codice in pergamena, contenente il Bruto di Cicerone, con le iniziali miniate, e con lo stemma di famiglia impresso a oro sulla copertina. Il codice, tutto di pugno dell'autore de' Commentarli, proveniva dalla Biblioteca Woodhull, e fu venduto per 30 sterline.
        Il catalogo dell'Aldovrandi, riprodotto dall' Hondio, porta
        • molti busti, 
        • 55 teste senza busto, 
        • una testa di Laocoonte, 
        • il bassorilievo Pighiano del Circo, 
        • altro rilievo tricliniare, 
        • cinerarii, 
        • urnette, 
        • patere, 
        • lucerne, 
        • un gruppo di Pan e Erote nel giardinetto, 
        • statua di Bacco
        Il cardinale Marc' Antonio, 1583, continuò le tradizioni artistiche di famiglia, come risulta dal seguente documento da me trovato in atti Cellesio, prot. 1692, e. 410 in A. S. sotto la data del 10 nov. 1577. Del canonico Achille esiste in archivio capit. vatic. un discorso « dell'eccellenza della chiesa vaticana » presentato a Paolo IV, e scritto in pergamena.
        Il Torrigio lo lesse il 19 aprile 1630 (Grotte, p. 240).   "Magnificus Dfis franciscus de porcariis Romanus sponte confesssus fuit habuisse et recepisse prout In mei  habuit a sacro monte pietatis et prò eo ab 111 et R Card. Maffeo per manus Dfii Marij de Crottis senta 131 cura dimidio, que sunt prò precio unius statue bacchi domino vincentio de fabijs ablate, et per ipsum montem subbastate ac deliberate eidem 111° et R Cardinali Maffeo cessionario Dai Diomedis senensis R Dfii Nuntij magni Ducis florentiae familiaris. de quibus d. Dflus franciscus tara supradictum montem pietatis ac DI, et R. Card. Maffeum absentem et dicto dflo Mario presente et una mecum Notano prò IH. et R. Dominatione sua legitime stipulante et recipiente, quam etiam quoscunque alios super dicta statua subbastata et deliberata Interesse habentes computatis in dictis scutis centumsexaginta uno ed dimidio et pecunijs domini rutilij alberini debitis prò expensis in subbastatione et deliberatione per ipsum dominum franciscum factis, de quibus exceptioni renunciauit quietauit promittens".
        Dalla raccolta Fabii proviene questa statua di Bacco. I Maffei non ebbero grandi possedimenti in campagna di Roma. Si attribuiscono loro soltanto i casali Castel Arcione, Torricella, Redicicoli, Villa e Torre Bufalara, i quali furono alienati per debiti patrimoniali prima della fine del 500. In Roma stessa Girolamo Maffei aveva ottenuto il possesso della vigna del Settizonio, come erede e successore di Cecca Conti. Vedi a. 1821, 8 aprile.
        Gli epigrafisti avranno notato più volte che lapidi viste dai cinquecentisti in domo Achillis seu Hieronymi Maphaei, sono indicate più tardi come esistenti « in aedibus Ludovici Lanthii e familia Maphaeorum ». Egli è che una delle case Maffei alla Pigna era stata venduta il giorno 13 gennaio 1568 dai figli e coeredi di Girolamo maestro di strada (cioè da Mario, Marcantonio, Achille e Settimia) a Ludovico Lante per il prezzo di scudi 6000 e con essa casa, evidentemente, quelle poche iscrizioni che portava affìsse alle pareti. II nome dei Maffei, dal Volaterrano al marchese Scipione, è legato agli studii archeologici per circa 4 secoli.


        COLLEZIONE MANILIO

        - durata sino al tempo delL'Aldovrandichevi descrisse «una Fauna maggior due volte e mezzo del naturale », alta cioè più che quattro m; una'Arianna e un torso d'Ercole. I Manilii abitavano in Monserrato poco lontano dalla Cancelleria Vecchia. Il fondatore della raccolta deve essere stato illustre dottore in arte e medicina Cesare Manilio, vivente nel primo quarto del XVI secolo o suo fratello Iacopo, il quale nel 1515 possedeva una« vinea extra portam populi in centrata que dicitur a muro roselo » (prot. 61, e. 344).


        COLLEZIONE MASSIMI 

        -  La più antica descrizione deirantiquario « in edibus Maxi.morum Rome» è quella di Claude Bellievre, del 1512 circa, nella quale sono mentovati « Julius Caesar.. . cuius facies nìagis cum admiratione cogitali quam describi potest... Brutus Julio Caesari similimus, naso seposito, quem Brutus aquilinum et in medio elevatum ad similitudinem Johannis (Prae)cursoris habet. Senece statua tota veneranda ».

        MERCURIO
        Il predetto Aldovrandi ricorda due raccolte. La prima in casa di M. Angelo de Massimi presso Campo di Fiori, la seconda in casa di M. Luca de Massimi presso la Valle. Angelo e Liica (e Pietro, terzo fratello) erano figliuoli di Domenico morto nel 1538 o 39.  Angelo morì circa il 1533 lasciando una vedova, Attilia Mattei, e due figliuoli (almeno).
        Massimo futuro arcivescovo di Amalfi, e Valerio. Il pezzo principale, anzi l'unico, della sua raccolta era il cosidetto Pirro o Marte Capitolino (Helbig tomo I, p. 295, n. 405 ed. ingl. 1895) scoperto nel foro transitorio (Lanciani, l' Aula del senato, ]). 23) e comperato da Angelo per due mila scudi. L'altro fratello Luca, sposo di Virginia Colonna, deve esser morto circa il 1560 lasciando sei figliuoli, Porzia, Lelio, Fabio, Pompeo, Carlo e Ascanio, i quali, fatto eseguire dal notaro Curzio Saccoccia l'inventario dei beni ereditarli, ne affidarono la divisione amichevole a Tommaso de Cavalieri.
        Il museo comprendeva una sessantina di teste o busti, e un solo torso.  Fra le aggiunte fatte posteriormente al museo, il torso d' Ercole di Apollonio (Winckelmann, Storia, tomo II, p. 286, Ligorio Nap. tom. X, p. 224) e il capitello (Piranesi, Vasi, tav. Ili, Winkelmann, tomo III, p. 95 e 523), appartenente alla serie descritta dal Vacca mem. 30 « Sotto la casa dei Galli nella via de Leutari di fianco alla Cancelleria mi ricordo vedervi cavare Vi furono trovati certi capitelli scolpiti con targhe, trofei e cimieri, che davano segno vi fosse qualche tempio dedicato a Marte ».
        Negli appunti per la formazione di una guida di Roma, che il Bianchini ha lasciato nel cod. veron. 855, si legge: « Nel palazzo del marchese Massimi si vedono statue insigni e principalmente il Pirro: alcuni busti di filosofi: il busto dell' imp. Claudio.... i fasci consolari...., nel gabinetto molte pitture antiche estratte dalle ruine, il libro delle pitture antiche ricopiate dalle originali per mano di Pietro Santi Bartoli " ora in Inghlilterra (Windsor, Eton e Br. Museum Scaff. 79, n. 197,. tav. IX etc).
        Vi erano anche iscrizioni CIL. VI,  le quali sono in parte perite, in parte passarono nelle raccolte Rondinini, Albani etc. I Massimi possedevano in Roma molte case in Parione, una legnara e il Cancello a Marmorata, e la vigna sull' Aventino dove stavano le terme di Sura, e dove sono state fatte tante scoperte di antichità.
        « Nel monte Aventino, nella vigna di monsignor de' Massimi verso Testacelo si trovò una statua di basalte verde quale dicevàno che sia il figliuolo d'Ercole in età fanciullesca — questa statua la comprarono i Romani per mille ducati di Camera » Vacca mem. 90. (Vedi Mittheil. tomo VI,a. 1891, p. 46).
        Leggesi nel verbale del consiglio secreto del 10 novembre 1571: "Cum R. D. Archiepiscopus de Maximis intendat vendere figuram et statuam Aventini marmoream, aptam si haberetur prò fabrica et palatio Capitolino, et ne extra Vrbem deportetur, placuit S. C. statuam praedictam emendam foro et enii debere pretio arbitrio dd. Cancellariorum, Deputatorum super Fabrica et Rutilii Arberini beueviso " . II CIL. nomina sovente gli « Horti maximorum ad forum Boarium sub rupe Tarpeia ". Vedi un. 1407, 1922 ecc.
        Vi erano state raccolte memorie credute appartenere alla famiglia, fra le quali le epigrafi dell'arco Fabiano. Vedi Bull. Inst. 1871. p. 17.L'autore del Cod. Barb. XXX, 89 copiò « nella vigna o giardino dell' arcivescovo de Massimi incontro S. Sabina in una pietra antica di marmo Itianoo di 2 busti piccioli di maschio e femmina »: il titoletto di Flavia Elpide, che il Grutero 1141,7 vide più tardi « in palatio Maximorum, sub stemmate viri ac foeminae » . La vigna, confinante con l' orto di s. Alessio, con il sig. Virgilio Lucarini, con i sigg. Specchi, e con il noviziato di s. Andrea, fu venduta il giorno 16 novembre 1635 a Marcello Vitelleschi, e per esso, ai Gesuiti della casa Professa, coli' assistenza dei notari Colonna e Buratti.
        I Gesuiti ebbero non minore fortuna in materia di scavi. « Sotto il pontificato di Clemente XI quasi sul mezzo dell' Aventino nell' orto dei PP. Gesuiti scavandosi, fra le rarità più pregevoli, fu trovato il famoso bassorilievo di Endimione e proseguendosi lo scavo, vi si trovarono le mura composte di tre differenti maniere come anche i pavimenti d' opera tessellata, ed altri di gran tavole di diversi marmi e questi ultimi sotto le rovine di trenta palmi di altezza ». Altre scoperte più recenti sono descritte nel Bull. Inst. per l'anno 1870, p. 74. La scheda fiorentina n. 367 di Sebastiano Serlio contiene il progetto di un casino da costruirsi in questa vigna per Messer Luca di Massimo.
        Non meno conosciuta dell' Aventinese era la vigna Massimi negli Orti di Cesare, al primo miglio della via Campano-Portuense, il cui sito è indicato sino al presente dalla chiesuola di s. Maria del Riposo, che Massimo de Massimi riedificò dalle fondamenta nel sec. XVI, come apparisce dai documenti conservati nel cod. vat. 5389. La vigna era stata comperata da Ceccolo Tognini per scudi 460, oltre il gravame di un canone a favore dei canonici di s. M. in Trastevere.
        Costoro la sequestrarono nel 1583 per mancato pagamento del canone predetto. (Vedi prot. 468 di Innocenzo Gargia). Nelle parti del Lazio i Massimi possedettero le terre e i casali di Santo Jorio, Valle Alessandro, Torre in pietra, Perna, Torre Maggiore. Porcareccia, Porcareccina, la Torretta, Torre Monda, Cortecchia, Paglian Casale, Cerqueto, Santa Procula, Bracco, San Nicolao, Castiglione in Aurelia, Bravi, Pinciarone, Quadrare, Capranica e Arsoli.


        COLLEZIONE MATTEI

        - 33 iscrizioni "in horto Baptistae". Le relazioni d'affari tra i Maffei e Francesco Porcari continuarono almeno sino al 150'' anno della morte del cardinale. Nel prot. capit. di Curzio Saccoccia e. 167 si ricorda un atto del 4 febbraio col quale Girolamo e fratelli, figli ed eredi di Mario, impongono un censo annuo di scudi 142 e bologn. 79 sopra la tenuta di Castel Arcione in favore di Francesco Porcari, per il prezzo di scudi 219 Jacobi Mathei una delle quali « in pariete stabuli », s' intende dei Mattei di Transtevere, ramo distinto da quello di Calcarara.
        « La famiglia » scrive l' Ameyden « è antica romana trasteverina, come apparisce dalla casa che al di d' hoggi si vede di veneranda antichità con l' arme de scacchi senza l' aquila. Doppo (il 1372) si trasferirono in Roma alcuni della famiglia, e fondarono casa nel rione della Regola, molto magnifica a quei tempi (piazza delle Tartarughe, n. 22, già piazza Mattei). Nel giardino, dunque, della casa in Trastevere (hortulus ad pontem Insulae Tiberinae) erano raccolte le iscrizioni CIL, VI, 115, 116, 117, 429, 430, 710, 1603, 2130 (cf. 2129) e 2269 etc. riferibili per la maggior parte a culti superstiziosi e perciò formanti gruppo e famiglia. Battista di Jacopo Mattei, loro raccoglitore, deve avere scavato il sito della moderna vigna Bonelli-Mangani, all'ortaccio degli Ebrei, (ora stazione di Trastevere) dove era il tempio di Giove Palmireno, e dove stavano probabilmente le basi che portano inciso il nome di Giulio Balbillo sac. Solis Alagabali (Vedi CIL. 2269 e 708).
        Gli altri monumenti si riferiscono a Giove Sabazio, alla dea Siria, a Giove Dolicheno, uno alla vestale Massima Terenzia Flavola. Questo Battista Mattei doveva essere una specie di Vezzio Agorio Pretestato dal 400. Morendo, lasciò pingue patrimonio ai figliuoli Bernardino e Giulio, i quali, venuti a differenza fra loro, sollecitarono 1' arbitrato di Giulio Albertoni e Girolamo Serlupi. Il lodo, in atti di Bernardo Mocaro, porta la data del 7 dicembre 1502. Ulisse Aldovrandi p. 152 descrive « un Mercurio ignudo assiso sopra un trono, e tiene una fanciulla ignuda in braccio... trovato in Trastevere in casa di messer Alessandro Mattei ». E siccome anche le iscrizioni Kaibel 971, 997 etc. si dicono «repertae in li ortis Mattheis transiberim » io credo che tutti o parte dei monumenti descritti, siano veramente frutto di scavi eseguiti vicino al I miglio della via Portuense.


        COLLEZIONE MEDICI

        1508. II card. Giovanni de Medici, il quale fino al 1505 avea abitato nel palazzo Ottieri a s. Eustachio, e dal 1505 in poi nel palazzo alle terme Neroniane, che più tardi si disse di Madama, deposita e ordina nelle sale di quest" ultimo la ricca biblioteca paterna, da lui riscattata dai frati di s. Marco. Le sale erano decorate di statue e di pitture. ^ Domus Johannis de Medicis est apud Alexandrinas et Xeronianas thermas. in qua sunt nonnullae portae marmoree nuxtae cum pulcherriraa bibliotheca. statuis et picturis exornata ^ Albertino. 1. e. p. 27.
        I Medici lianno creato in Roma cinque centri d' interesse artistico e archeoloiirico. cioè il palazzo mentovato ora sede del Senato del regno, il quale conserva ancora i  maravigliosi soffitti dell'epoca: il palazzo di Firenze, sede del Ministero di Giustizia: il giardino-museo a S. Maria Nova; la villa alla Trinità de' Monti, sede del- l'Accademia di Francia; e la villa Madama sulla costa del Monte Mario. Il prof. Micliaelis nel Jahrbuch tomo VIII a. 189 p. 119 sg., e il Muntz nel tomo XXXV, parte II, a. 1895 delle « Mémoires de l'Académie des Inscr. et belles- lettres » hanno illustrato con tanta copia di erudizione il palazzo Madama, e le collezioni quivi formate dal futuro pontefice Leone X, che poco o nulla avrei da aggiungere alla loro illustrazione.
        Nella graziosa vignetta di Martino Heemskerk (p. 121, fig. 1, Michaelis) si vede il palazzo sorgere tra gli avanzi delle terme Neroniano-Alessan- drine, la quale sovraposizione dei due edificii è stata da me lungamente dichiarata nella prima Memoria sulle Terme di Agrippa stampata nel voi.
        VI delle Notizie degli scavi per l'anno 1881, fase, di ottobre.
        Una delle più geniali incisioni del Barbault rappresenta questo innesto del palazzo alle Terme dalla parte del secondo cortile interno, quello stesso che fu trasformato in uffizio centrale delle poste Pontificie, sotto Pio IX, e che oggi contiene l' aula del Senato. Vedi anche la vignetta 9, II di Alo Giovannoli rappresentante le « thermae Neronianae in aedibus card, de Monte « .
        Il n. 6825 della mia raccolta di Stampe e Disegni di Roma rappresenta la facciata del palazzo verso Agone, delineata da un cinquecentista a chiaroscuro, con qualche particolare inedito. I documenti della fine del quattrocento parlano così spesso di queste terme e delle case e palazzi innestati alle loro rovine, che si potrebbe rico- struirne la topografia con la maggiore esattezza. Così p. e. nell' inventario dei beni ereditarli di Callisto Gioacchini da Narni, fatto fare il 2 settembre 1494 dal nobile Bonifacio Gioacchini cittadino romano del r. Pigna, si legge questo paragrafo :
        « item medietatem domorum magnarum sitarum in Regione Sancti Eustachii retro ecclesiam sancti Eustachii cum edificiis antiquis ad dictas demos spectantibus et perti- nentibus iunctam prò indiviso cum alia medietate ipsius domini Bonifatii quibus ab uno latere sunt res heredum qùd. dai Johannis de baroncellis ab alio res heredum qd. cecchi de crocchiano ab alio res sancte marie nove ab alio res hospitalis salvatoris ab alio est res Mactie bardelle et fratrum ab alio latere sunt res heredum qd. dui christo- fori de filippinis et alii plures confines ».
        Not. de Pacificis prot. 1181, e. 518 A. S. Queste proprietà furono in gran parte assorbite da quella dei Medici sotto il pon- tificato di Leone X. Ho trovato, nel prot. 62 di Stefano Amanni a. e. 25, memoria dell'acquisto di parte dei beni del predetto Bonifazio Gioacchini, cioè « certas domunculas et aream sitam Rome in r."' S.'' Eustachi iuxta et in corpore palatii et domorum et aree magnifici domini Juliani de Medicis " .
        Ma il documento più interessante su questo soggetto si trova nel prot. 94 del predetto notaro, a e. 55 sg. ove si parla della eredità di Leon X nell' interesse di « Lucretia filia qd. bo. me. mag.'^' laurentii petri cosrae de Medicis de Florentia, germana soror fé. re. dni lohannis de medicis qui primo car.lis de Medicis et deinde ad Summum pontificatuin assumptus cet » . Vi sono nominati il « Castello chiamato castello sco angelo in lo territorio de Roma appresso a Tivoli (C. Madama) », il « palatium in Urbe et reg. sci Eustachii in platea vulgariter nuncupata piazza Saponara » etc. Nell'inventario delle « Statue antiche che stanno nel pai. della ser. Madama d'Austria » edito dal Fiorelli, Documenti, tomo II, 147 p. XIV, 377, si parla di cinque pezzi custoditi  « nella casa doue habitaua Msr. Gio. Lippi » la quale al Fiorelli stesso sembra essere quel « luogo » che l'Aldovrandi (a p. 182) indica presso s. Luigi de' Francesi « dove già furono le tenne d'Alessandro ».
        Il Michaelis la dice « vermuthlich ein Nebengebàude des Palastes » . I documenti che seguono, e che ho trovati a e. 182 del tomo 273 degli Script. Arch. in A.S.C, tol- gono ogni dubbiezza in proposito. « Die 5 augusti 1562. Magnificus dominus Joannes Lippi clericus Volaterranensis negociorum gestor lllme domine Margarite ab Austria Parme et Placentie Ducisse qui asserit quod alias sub die ianuarij 1560 studiens utilitati et commoditati diete Ducisse concessit et impartitus fuit licentiam magistris Lazzaro Muratori et Dominico faber- lignario fratribus de Galena de Castro novo Sarzanensis dioecesis inquilinis unius ei domibus diete Ducisse incidendi et rumpendi partem unins parietis antiqui diete domus quam predicti Lazarus et Dominicus inhabitant supra uiridarium seu giardinum palatiis diete Ducisse et in loco diete parietis que inutilis e rat eorum sumptibus facere aliquas stantias seu cameras in bona forma habitabilis »,
        « Adi 20 di Gennaio 1560. Sia noto et manifesto a chi leggerà la presente come questo di et anno detto di sopra io Giouanni Lippi agente della serenissima Madonna d'Austria concedo licenza a mastro Domenico falegname et a mastro Lazzaro mura- tore fratelli et al presente habitanti in una casa dell'isola della serenissima Madonna di poter tagliare un pezzo d' anticaglia congionta con la casa che habitano sopra il giardino del palazzo et ridurla in buona forma di stanze ». 1509, 3 gennaio.


        COLLEZIONE MILLINI

        - Comprendeva fra gli altri monumenti
        • i titoli del sepolcro dei Minicii al Monte Mario, 
        • il cippo del Tevere CIL. 1239^ « repertum in fundamentis pontis Siiti « , 
        • il plinto di statua de re Seleuco, Kaibel 1206. Vedi cod. mus. Florent. 7% 16, e cod. Beri. A. 61.
        • Minerva armata con scudo 
        • statue femminili, 
        • un gladiatore nudo, 
        • Hercules, 
        • Testa di Sabina, 
        • Cupido, 
        • Alcibiade bambino yesta di Giove
        • Satiro integro di singolare fattura
        I Millini entrano nel campo archeologico sino dal sec. XI con quel Pietro fratello del card. Giovanni Battista, e figlio di Saba conte palatino, il quale edificò restaurò la cappella della visione della Croce sul monte Mario nell'anno 1470, servendosi di molte lapidi cemeteriali per la costruzione del pavimento. Vedi Armellini, p. 386. È probabile che la scoperta dell' ipogeo dei Minicii sia avvenuta circa l'istesso tempo. È singolare che questi Millini, gente di guerra e capitani illustri di generazione in generazione,  prendessero intéresse alle antichità, e ne ornassero le loro case in Parione, nelle quali non abitavano che raramente, tra una campagna e l'altra.
        Le troviamo perciò affittate ad un ambasciatore di Spagna nel 1491, al card. Lorenzo Campeggi nel 1517, a Isabella Anguillara Farnese nel 1550, al magnifico Niccolò Spinelli banchiere nel 1571 etc. per prezzo medio di annui ducati d'oro 300. Circa la metà del secolo XVI vi erano due raccolte distinte, quella di Giovan Battista, e quella di Mario. A Giovan Battista, sposo di Ippolita Maddaleni, spettava la "domus magna sive pallacium cui ab uno latere est turris mellina et a duobus aliis lateribus vie publice" con una raccolta di busti (tria capita egregia).
        La casa di Mario, descritta in un documento del 1568 come « casa del Capitano M. sita in r. Parione in via Mellina davanti la chiesa di s. Agnese (allora orientata in senso opposto) confinante col palazzo Cibo-Massa-Malaspina, e con le case di Saba Palluccelli » conteneva, oltre le iscrizioni già accennate, il bellissimo cippo di Volusia Arbuscula delineato dal Pighio Berlin, f. 148 : una « Pallas armata et galeata aliaeque muliebres statuae, gladiator nudus, Hercules, Sabinae mulieris caput, Cupido, Alcibiadis pueri figura... capita Jovis, Brusi aliorumque decem ignota: Satyrus integer singulari factus artificio ». Hondio 32, 33, da Ulisse Aldovrandi pp. 178, 179.
        Questi due palazzi-musei furono quasi interamente distrutti (salva la torre) al tempo di Innocenzo X, e fu allora che i Millini migrarono al palazzo Cesi a s. Marcello, che eglino fecero ampliare e ristorare nobilmente dall'arch. Tommaso De Marchis.
        I Mellini possedevano, oltre la vigna di monte Mario, le tenute di Acquatraversa, Capitignano, Olibano, Mentana, l' osteria della Storta, una cappella della Visitazione in s. Eustachio, ereditata dagli lacovacci. Sulla cappella di famiglia in s. M. del Popolo e sulle memorie che contiene, vedi Forcella, tomo I, p. 324 e seg. Pirro Ligorio, parlando del cosidetto circo Agonale nel suo trattatello delle Antichità di Roma, osserva: « chi fusse il primo edificatore di esso non l'ho potuto ancor ritrovare. Credo bene che Vespasiano.... edile.... lo rifacesse. Il che ho ritratto da alcune lettere intagliate in certi travertini che furono già cavati dinanzi alla porta di s. Agnese (cioè in via dell'Anima) verso la casa de' Millini... ne' quali si leggeva il nome de Vespasiano ».


        COLLEZIONE MONTE CAVALLO 

        - Templum Solis Aureliani  " A Monte Cavallo stanno due belli grandi cavalli di pietra, e sopra di essi due giovani giganti: e tutto intorno vi stanno quattro colonne di marmo scolpite a guisa di uomini. Item accanto giacciono due giganti antichi scolpiti di pietra" (il Nilo ed il Tevere capitolini). La collezione statuaria del Monte Cavallo comprendeva, secondo il Poggio, quattro pezzi soltanto « duas (statuas) stantes pone equos, Phidiae et Praxitelis opus, duas recubantes »
        Poggio Bracciolini in altre lettere ricordate dal Muntz, tomo II, p. 167, n. 3, accenna però a « statuae noviter repertae » ad un « caput marmoreum muliebre cum pectore incorruptum " scoperto, fondandosi una casa nella campagna di Cassino etc.


        COLLEZIONE MUSCERONI

        - Tre lapidi « in domo Nelli Musceroni » tra s. Salvatore della Corte e s. Giovanni della Malva, fra cui l'ossario di Manneio Soave CIL. VP, 22003, e una figura « Herculis cum clava et pomis granatis in sinu » sul plinto della quale era incisa la dedicazione CIL. VI, 274.


        COLLEZIONE MUSEO GRIMANI

        - Fr. Albertini neir« opusc. de mirabil. » ed. 1515, parla più volte della raccolta antiquaria del card. Domenico Grimani. Il Muntz scrive a proposito delle collezioni romane nel primo decennio del sec. XVI:

        COLLEZIONE CAPRANICA
        « il n'y avait plus guère de prélat, de diplomate, de grand seigneur, de banquier qui ne recherchàt avec ardeur tout ce qui rappelait l'antique splendeur romaine: statues, basreliefs, gemmes, médailles et jusqu'aux inscriptions. Au premier rang brillait le musée reuni au palais de Saint Marc par le cardinal venetien Dominique Grimani. Ses collections, qu'il transporta plus tard dans sa ville natale et qui à sa mort, en 1523, devinrent le noyau du musée de saint Marc, comprenaient à la fois les specimens de la statuaire et ceux de la glyptique. Nous savons qu'en 1505 il montra aux ambassadeurs Venitiens une masse prodigieuse de statues de marble et une foule d'autres antiquités trouvés dans sa vigne ".

        (« Raphael archéologue " in Gazzette des Beaux arts, octobre 1880).  Dopo la morte del cardinale i marmi passarono alla Marciana, la biblioteca di ottomila volumi al convento di s. Antonio di Castello nella stessa città di Venezia, dove poco stante fu distrutta dal fuoco.
        È curioso a notarsi che, come nella vetusta raccolta del card. Pietro Barbo primeggiavano i busti di Augusto e di Agrippa, cosi quella Grimani vantava fra le sculture iconografiche di primo ordine le statue eroiche di quei due personaggi.
        Del card. Domenico si ha un eccellente ritratto nella medaglia del Camello.  Il catalogo dei bronzi e delle medaglie sta a e. 99 del prot. 6154. Nella seconda metà del secolo rimanevano nel palazzo i marmi descritti dell' Aldovrandi  « grandissimo e bellissimo vaso antico, dinanzi al palagio su la strada, nel quale solevano anticamente nelle stufe bagnarsi (Aldovr.) « era stato trovato nelle terme di Agrippa. La sala principale conteneva un bellissimo e famoso mappamondo grande, attaccato su alto nel muro ».
        In un documento del 17 agosto 1565,  le vigne-musei sul dorso del Quirinale, a nord dell'Alta Semita, si fanno succedere in questo ordine, partendo dai cavalli marmorei. Primieramente la vigna di Napoli, già del card. Oliviero Caraffa, poi del card. Este di Ferrara; in secondo luogo la vigna della Bertina, già del Boccacci poi dei Cesi; e da ultimo del card. Grimani, che si stendevano dal sito delle Quattro Fontane alla piazza Grimana, ora Barberini, toccando anche la vigna del card. Pio di Carpi, venduta al card. d'Urbino, Giulio Feltrio della Rovere, nel 1565.


        COLLEZIONE MVSEI CAPITOLINI

        - Sembra che i primi marmi capitolini sieno stati raccolti nella I metà di questo sec. XV. Ciò sappiamo esser vero per la base dei vicomagistri, scoperta sin dal tempo di Ciriaco d'Ancona che mori nel 1459: per il « leo marmoris existens in scalis capitolii » sin dal 1363, e per i due cippi sepolcrali di Agrippina maggiore e del suo primogenito Nerone Cesare, CIL. 886, 887, tolti dall'Austa nel secolo XIII. Per taluni altri marmi, descritti dal Giocondo sulla fine del quattrocento, manca ogni testimonianza cronologica. Il museo comprendeva i bronzi già lateranensi, la mano col globo detta « palla Sansonis », la Zingara o Camillo, il fanciullo che si cava la spina, la « lupa mater Romanorum », la testa colossale di Domiziano, e l' Ercole Vittore del foro boario.
        - 1 conservatori collocarono il simulacro su nuova base. Vennero al museo, insieme col colosso, le iscrizioni CIL. 312-318: di una (315) è stata cancellata l'iscrizione, una (314) andò perduta nel secolo XV, due (317,318) nel secolo XVII. Alcune scolture del tempio di Ercole migrarono sino a Padova; così la « Notizia di opere di disegno », scrittura di un anonimo della I metà del sec. XVI, un rilievo di "Ercole con la Virtù e Voluptà", opera antica fatta in Roma da un tempio d' Ercole. Il Gregorovius suppone che Paolo II avesse stesa la sua mano rapace anche ai bronzi del Laterano, e che Sisto IV li abbia restituiti al popolo.
        - Andrea Fulvio così parla delle raccolte capitoline a p. 41 dell' aurea traduzione Ferrucci:
        "Sono hoggi in piedi delle imagini antiche in Campidoglio, dinanzi alla casa de' Conservadorj
        - una lupa di rame con Romolo e Remo, edificatori di Roma ....
        - È ancora in piedi sotto al portico una grande Testa di rame che, secondo ch'é dicono, è quella di Commodo  con una mano et con un piede, et simigliantemente due grandissime statue di marmo, che, secondo si può per coniettura comprendere, l' uno rappresenta il Nilo, et 1' altro il Tigre . . .
        - Dentro alla soglia, da mano destra, come l'huomo entra, si vede un simulacro di rame indorato et ignudo di Hercole ancoro senza barba ... la quale statua, al tempo mio, sotto le rovine dell' altare grande (ara Maxima) alla piazza del mercato de buoi è stata ritrovata.
        - Sono ancora in piedi dentro à quel cortile, il capo et i piedi di un colosso di marmo et alcune altre reliquie et fragmenti che prima erano lungo il tempio della pace nella via Sacra.
        - Veggonvisi ancora alcun quadro di figurette di marmo, murate in una di quelle facciate, che sono di L. Vero Antonino quando egli trionfò de' Parti . . . levate poco fa del tempio di santa Martina, che è a canto à Marforio.
        - Nella sala di sopra subito si rappresenta à gli occhi la statua di Leone X di marmo ...
        - et più addentro, ove i Conservatori danno udienza, vi sono due statue di bronzo, che rappresentano dui giovani (la Zingara e il Fanciullo dalla spina) . . .
        - Vedonsi ancora alcune statue di marmo non molto grandi ma guaste e rotte, poste dentro à luoghi loro.
        - È ancora dipinto nuovamente nel muro i gesti et i trionfi de' sette re di Roma,
        - et nell' altra parte del Campidoglio inverso occidente non si vede altro se non rovine et rotture de monti
        - 1523. Gli ambasciatori veneti, mandati a far omaggio al nuovo pontefice Clemente VII, ammirano sul Campidoglio « un infinita quantità di figure marmoree e di bronzo, "le più belle et famose del mondo" particolarmente la Lupa, e il Fanciullo dalla Spina. (Vedi Alberi « Relazioni » serie II, tomo III, p. 108). Il collocamento dei bronzi, all'epoca di questa visita, si può credere lo stesso descritto dal Fulvio a e. 20 e 20' delle « Antiquaria » .
        - 1524, 1 marzo. Esce in luce, Antonio Biado editore, il RHOMITYPION di Antonino Ponte da Cosenza. Breve cenno degli antiquarii urbani a. e. (non numerate) 35, 36. 1524, 22 decembre. Un magister Petrus Pisanus effossor lapidum è ricordato in A. S. C. (Not. Simone Negrelli, prot. 529). Egli faceva parte della banda di Franceschino da Monserrato. Vedi 1520, 20 gennaio.
        - 1524 Si incomincia a cavare nuovamente il tufo nelle colline di Monteverde « in loco dicto Rosaro » ricordato sotto l'anno 1521. 1524. Si ricostruisce dalle fondamenta la chiesa di s. Silvestro al Quirinale, detta anche in Biberatica, degli Arcioni, o dei Caballi, in sito già occupato dal sacello di Semone Sanco, e dalla decuria dei sacerdoti Bidentali. 1524 circa.


        COLLEZIONE MUSEO DI BELVEDERE

        - 1510. Vedi l'incomparabile studio di Ad. Michaelis nel Jahrbuch des K. D. Arch. Instituts (tomo V, 1890, p. 7 sg.), nel quale si descrivono la scoperta e il collocamento in Belvedere
        - dell'Apollo a p. 10,
        - delle Maschere a p. 11,
        - del labro o vasca delle terme traiane a p. 12,
        - della Venere Felice a p. 13,
        -  del così detto Ercole e Anteo a p. 15,
        -  del Laocoonte a p. 16,
        - dell' Ercole e Telefo a p. 18,
        - dell' Ariadne a p. 18, del Tevere a p. 21,
        - del cosidetto Arno a p. 22,
        - e dei due sarcofagi a p. 23.
        L'Apollo verrebbe non da Anzio ma da Grottaferrata, del quale il card. Giuliano della Rovere era commendatario. Vedi Helbig, Guide, P ed. n. 160, il quale descrive pure il Laocoonte n. 153 la Venere Felice n. 142, l'Ercole e Telefo n. 113, l'Ariadne n. 214,; l'Arno n. 317, (Tevere, Froehner, « Mus. Louvre », p. 411, n. 449), l'Ercole e Anteo (Aldovrandi, p. 118).
        Sotto il pontificato di Leone X la raccolta s'accrebbe:
        - del Nilo
        - dei due Antinoi
        - e sotto quello di Clemente VII del torso di Belvedere.
        Il Fulvio ed. Ferrucci p. 67 cosi descrive il Belvedere l'anno del Sacco: « (Giuio II) fecevi ancora una bellissima fontana, con un giardino d'aranci et lo muro intorno intorno, nel mezzo del quale è il - simulachro del Nilo et del Tevere, ciascuno coi suoi contrasegni, ove sono ancora i fanciulli che edificarono Roma, che scherzano con le mammelle della Lupa, 
        - et intorno vi sono di marmo la statua d'Apollo con l'arco et con le saette, 
        - et quella del virgiliano Laocoonte ... 
        - Evvi ancora la statua di Venere che guarda appresso di se il figliuoletto Cupido; 
        - et Cleopatra lungo il fonte molto simigliante à donna che sia venutasi meno; perciocché il valoroso animo di Giulio era acceso et vago di tutte le cose che erano eccellenti... 
        - Leone vi aggiunse (al palazzo vaticano) un bellissimo portico di tre ordini di colonne... al tempo del quale pontefice l'età nostra ha veduto uno elefante, ancora giovine et puledro, condotto dall' India, et molti pardi et leoni, et alcuni altri animali, che dentro la città di Roma, gran tempo fa non erano stati veduti ».

        Il cod. Berlin, del quale feci lo spoglio nel 1894, contiene i ricordi della cosi detta 
        - Sallustia « in Belvedere ». 
        - della Fides statua sedente « nel boschetto, 
        - della luventas nel Boschetto 
        - e della Dea Cybele nel bosco di Belvedere. 
        « Sopra le Terme Titiane vicino a Santo Martino in monto furono scoperte le Terme di Traiano ove, poco fa, furono ritrovate due statue del fanciullo Antinoo poste per comandamento di Adriano tale che ancora  il detto luogo si chiama Adrianello. Le predette statue furono poste da Leone X nel Vaticano cioè in belvedere. Fulviu- Ferrucci, p. 89.
        Pierre Jacques de Reiras ha anche esso disegnato scolture di Belvedere tra le quali il Laocoonte, l' Ercole ed Anteo, l'ara di Aper, il torso, l'Apollo, l'Ariadne il Mercurio e il rilievo rappresentante la separazione di Orfeo e Euridice, oggi al Louvre. Il Cavalieri, voi. I-II, ediz. 1595, porta incisi in rame quattro simulacri muliebri incerti, Vesta, Giulia moglie di C. Petronio, Fortuna, luventas, Pudicitia, Flora, Polymnia.
        Sulla fine del secolo il museo di Belvedere conteneva i seguenti oggetti:
        - Nel giardinetto, su basi ornate dello stemma mediceo, il Nilo e il Tevere. 
        - Nella prima nicchia dietro al Nilo l'Antinoo, o Adone de' Pichini, o Meleagro. 
        - A sinistra la Cleopatra « dexterae innixa ». 
        - Nella seconda nicchia a ovest la così detta Venere Ericina che esce dal bagno. 
        - Nella terza nicchia nell'angolo sud-ovest la cosi detta Sallustia Barbia Orbiana, 
        - il torso di Ercole, 
        - uno di Bacco, 
         - uno di donna, 
        - il Mercurio 
        - e il sarcofago con la caccia del Meleagro. 
        - Nella quarta nicchia l' Ercole e Telefo, 
        - nella quinta l'Apollo, 
        - nella sesta il Laocoonte. 
        - Nel gabinetto in capo alle scale, dove oggi è il Torso stavano l'Ariadne giacente, 
        - un labro di prezioso marmo delle terme di Tito, 
        - e il piedistallo della Cibele e Ati.

          COLLEZIONE NOVELLI

          - a e. 123. Cinque iscrizioni "in domo d. Francisci Novelli causidici", la cui famiglia ha lasciato memoria di sé sino dal 1377. Vedi lacovacci in cod. ottob. 2551, 204. La sola memoria ch'io conosca di questo avvocato è che possedeva una vigna vicino a s. Alessio sull'Aventino. Vedi prot. 851 e. 82 in A. S. Può darsi che discendesse dai Novelli del rione de' Monti, l' impresa dei quali è data dall'Adinolfi tomo I, p. 268. 


          COLLEZIONE ORSINI A CAMPO DI FIORE

          "Domus Ursinorum propinqua cum horologio campi Florae, quam eximius Franciscus venetus Vicecancell. fundavit, postea vero a Reveren. Petro Rhegino Siculo presbytero cardi, intus et extra variis exornata est statuis atque picturis" p. 86 b. Dei due prelati qui ricordati il primo è Francesco Condulmer, nipote di Eugenio IV, il secondo è Fedro Isvalles messinese, arcivescovo di Reggio, promosso da Alessandro VI nel 1500, e morto circa il 1511.
          Il palazzo, poi, è quello posseduto più tardi da Alberto Pio da Carpi, fabbricato sulle rovine del teatro pompeiano, e sul nascondiglio stesso dell' Ercole Mastai,
          Morto r Isvalles "illris dnus Johannes Jordanus de Ursinis vendidit Rmo domino Francisco card. Surentino ac magnifico viro dno Angustino Chisio mercatori senensi, vice et nomine dicti cardinalis palatium situm in urbe in platea Campi Floris, durante vita prefati cardinalis surrentini ". (Not. Amanni, prot. QQ, e. 722 A. S.). Prezzo 300 ducati larghi d'oro.
          Un documento a e. 138 del prot. del notaro F. Pechinolo in A. S. C. ricorda come Virginio Orsino duca di Bracciano, il giorno 10 maggio 1588, imponesse un annuo censo di scudi 840 sopra il castello di Campagnano, in favore del cardinale Alfonso Gesualdo vescovo tusculano, per il prezzo di scudi 10500, coi quali il duca ricompra il palazzo di Campo di Fiore, venduto da Paolo Giordano suo padre al cardinale di Pisa, Scipione Rabila, l'anno 1573. Questo censo fu estinto agli 11 settembre dell'anno seguente. (Vedi not. Prospero Campana, prot. 425, e. 732 A. S.).
          Il solo fra gli illustri Orsini che abbia mostrato speciale interessamento verso le antichità è Lelio, contemporaneo di papa Urbano VIII e dell'antiquario Leonardo Agostini. Tra gli edificii da lui scavati conviene assegnare il posto d' onore alla domus dell'imp. Massimo « nell'orto de ss. Apostoli vicino a s. Clemente ove, tra la quantità di grandissimi marmi preziosi in ogni genere, vi fu anche trovato in pochi giorni un numero di quarantadue statue » Bartoli, Mem, I. Vedi Forma Urbis, tav. XXX.
          Il secondo posto appartiene alle terme Eleniane. "A santa Croce in Gerusalemme fu fatto cavare da Lelio Orsini duca di Bracciano nel suo giardino ove sono le terme di sant'Elena. Fu trovato in uno stanzone più profondo di tutti, cinque bellissime statue oltre una quantità grande d'altri frammenti e marmi". Id. Mem. 12. Vedi anche CIL. VI. 1048, 1136, ecc. e Fea, Fasti, p. 58. Le vicende successive di queste statue sono illustrate dal seguente rimarchevole documento, che ho trovato nella biblioteca Chigiana sotto la rubrica ms. D. I, 13, e. 61, nel quale don Lelio si mostra sotto il suo vero carattere di affarista.
          « A Monsig. Piccolomini Nunzio in Francia. A di 1° Dee. 1659. Quanto siano rigorosi i Bandi, che proibiscono con pena della perdita dell'istessa robba di cavar statue et altre antichità di Roma senza licenza di Nostro Signore suppongo esser già notissimo a V. S. a cui ho stimato bene di significare, che richiesta S. S. alcune settimane sono per parte di Don Lelio Orsino di poterne estraere alcune la S. Sua per giusto motivo non stimò conveniente di darla.
          In questa contradicenza di S. B, fu referto a N. S. che le statue erano già state imbarcate e mandate a Civitaveccliia dove portatosi per altri affari il Commissario de' Galeotti gli fu incaricato che trovando in quella Darsena o Porto le statue sudette le facesse trattenere, com'è seguito. Si sente bora dalli trasgressori del bando che le statue fossero mandate costà per il Sig. Cardinale Mazzarino, il cui nome non era però nelle balle dove si leggono solo queste parole cioè — a Sii Eminenze Parigi — Sentendo V, S. parlare di questo fatto potrà rispondere di non haverne informatione ma che sapendo il desiderio di N. S. di dar ogni gusto a S. M. ed al Sig. Cardinale si rende certa che quando giunga a iiotitia di S. S. che le statue servano veramente per il Re o per il Sig. Cardinale si darà la licenza per il trasporto. E senza impegnarsi più oltre dica di volerne scrivere a me"
          Dovrei anche far parola del « loco del cardinale Orsino incontro s. Giacomo degli Incurabili verso Monte il quale conteneva - tra 1' altre statue alle fonti uua di vilano da prima barba, nudo che ride coronato d' ellera. Tien sotto il braccio destro un otre facendo viste di premerlo perchè n'esca l'acqua, come fa, opera di niariiio finissimo, lavorato da mano dotta ". (Cod. Barb. XXX, 89, p. 61. ediz. Lanciaoi). 1 documenti inediti relativi agli Orsini, facenti parte del mio Schedario, sommano già a duecentoquarantadue, e formerebbero, se pubblicati, un giusto volume.


          COLLEZIONE ORSINI DI MONTE GIORDANO

          - Ventisette iscr. « in domo d. Jo. Baptistae Ursini can s. Petri » o pure » in s. M. de Monte Jordano, indicazione che credo si debba riferire alla stessa casa degli Orsini fabbricata sul monte. La collezione comprendeva un titola tto del colombario dei Sallustii, e molti di Vibii e della . famiglia dell'Antonia Drusi.

          Giambattista Orsino aveva realmente due residenze; quella di famiglia in monte Giordano, e la canonica di s. Pietro, per la quale, caduto in rovina il vecchio edificio, erano stati adibiti « ecclesiam et monasterium monialiura de Cavallerottis s. Catharinae ordinis s. Benedicti prope forum vaticanum cum domibus contiguis ».
          Quivi mori il canonico epigrafista nel 1498, succedendogli nello stallo Marcello Cancellieri. Vedi Torrigio, Grotte, p. 387 e Bull, vatic. tomo II, p. 285. Pauli Jordanis domus « dice l' Hondio, p. 28 « varia ostendit cum novi tum antiqui operis monumenta » .
          Nel 1549 il palazzo fu venduto da Camillo Orsini, del ramo di Mentana, al card. Ippolito d'Este. Vedi prot. 6150 e. 878 A. S.
          Nel 1552 vi abitava l'oratore di Francia Claude de Guiche. Nel 1569 lo trovo indicato così: « palazzo di Paolo Giordano Orsini dove abita il card, di Ferrara (Este) ».
          Passato ai Gabrielli nel 700 fu ridotto allo stato presente con architetture di Carlo Rust, e le stanze furono ornate « con alcuni antichi marmi e busti primeggiando il Sileno e la Diana Efesina. Vi sono anche bei quadri e strumenti di fisica ». Moroni, Diz. tomo L, p. 306 il quale ha tolto queste informazioni, mozzandole, della « Città di Roma » del 1779, tomo III, p. 20. Il testo originale dice : « negli appartamenti si osservano belle statue di Sileno e di Diana Efesina : dei busti di Scipione Aifricano e di Traiano : degli scelti quadri : una considerabile libreria: molti strumenti matematici, etc. »

            COLLEZIONE ORSINI A CAMPO DI FIORE

            - "Domus Ursinorum propinqua cum horologio campi Florae, quam eximius Franciscus venetus Vicecancell. fundavit, postea vero a Reveren. Petro Rhegino Siculo presbytero cardi, intus et extra variis exornata est statuis atque picturis" p. 86 b. Dei due prelati qui ricordati il primo è Francesco Condulmer, nipote di Eugenio IV, il secondo è Fedro Isvalles messinese, arcivescovo di Reggio, promosso da Alessandro VI nel 1500, e morto circa il 1511.
            Il palazzo, poi, è quello posseduto più tardi da Alberto Pio da Carpi, fabbricato sulle rovine del teatro pompeiano, e sul nascondiglio stesso dell'Ercole Mastai, "illris dnus Johannes Jordanus de Ursinis vendidit Rmo domino Francisco card. Surentino ac magnifico viro dno Angustino Chisio mercatori senensi, vice et nomine dicti cardinalis palatium situm in urbe in platea Campi Floris, durante vita prefati cardinalis surrentini ". Prezzo 300 ducati larghi d'oro.Un documento a e. 138 del prot. del notaro F. Pechinolo in A. S. C. ricorda come Virginio Orsino duca di Bracciano, il giorno 10 maggio 1588, imponesse un annuo censo di scudi 840 sopra il castello di Campagnano, in favore del cardinale Alfonso Gesualdo vescovo tusculano, per il prezzo di scudi 10500, coi quali il duca ricompra il palazzo di Campo di Fiore, venduto da Paolo Giordano suo padre al cardinale di Pisa, Scipione Rabila, l'anno 1573.
            Il solo fra gli illustri Orsini che abbia mostrato speciale interessamento verso le antichità è Lelio, e tra gli edificii da lui scavati conviene assegnare il posto d' onore alla domus dell' imp. Massimo « nell' orto de ss. Apostoli vicino a s. Clemente ove, tra la quantità di grandissimi marmi preziosi in ogni genere, vi fu anche trovato in pochi giorni un numero di quarantadue statue » Bartoli, Mem, I. Vedi Forma Urbis, tav. XXX.
            Il secondo posto appartiene alle terme Eleniane. "A santa Croce in Gerusalemme fu fatto cavare da Lelio Orsini duca di Bracciano nel suo giardino ove sono le terme di sant'Elena. Fu trovato in uno stanzone più profondo di tutti, cinque bellissime statue oltre una quantità grande d' altri frammenti e marmi". Le vicende successive di queste statue
            sono illustrate dal seguente rimarchevole documento, della biblioteca Chigiana sotto la rubrica ms. D. I, 13, e. 61, nel quale don Lelio si mostra sotto il suo vero carattere di affarista.
            "A Monsig. Piccolomini Nunzio in Francia. A di 1° Dee. 1659. Quanto siano rigorosi i Bandi, che proibiscono con pena della perdita dell'istessa robba di cavar statue et altre antichità di Roma senza licenza di Nostro Signore suppongo esser già notissimo a V. S. a cui ho stimato bene di significare, che richiesta S.S. alcune settimane sono per parte di Don Lelio Orsino di poterne estraere alcune la S Sua per giusto motivo non stimò conveniente di darla. In questa contradicenza di S. B, fu referto a N. S. che le statue erano già state imbarcate e mandate a Civitaveccliia dove portatosi per altri affari il Commissario de' Galeotti gli fu incaricato che trovando in quella Darsena le statue sudette le facesse trattenere, com'è seguito. Si sente ora dalli trasgressori del bando che le statue fossero mandate costà per il Sig. Cardinale Mazzarino, il cui nome non era però nelle balle dove si leggono solo queste parole cioè — a Sii Eminenze Parigi — Sentendo V, S. parlare di questo fatto potrà rispondere di non
            haverne informatione ma che sapendo il desiderio di N. S. di dar ogni gusto a S. M. ed al Sig. Cardinale si rende certa che quando giunga a notitia di S. S. che le statue servano veramente per il Re o per il Sig.'" Cardinale si darà la licenza per il trasporto. E senza impegnarsi più oltre dica di volerne scrivere a me."
            Inoltre il « loco del cardinale Orsino incontro s. Giacomo degli Incurabili verso Monte « il quale conteneva - tra 1'altre statue alle fonti una di villano da prima barba, nudo che ride coronato d' ellera. Tien sotto il braccio destro un otre facendo viste di premerlo perchè n'esca l'acqua, come fa, opera di niariiio finissimo, lavorato da mano dotta ". (Cod. Barb. XXX, 89, p. 61. ediz. Lanciaoi). 


            COLLEZIONE ORSINI DI BRACCIANO

            -  Gli scavi durarono dal gennaio 1369 all'ottobre 1370 nella « Tenuta Insulae pontis Veleni » degli Orsini di Bracciano. Si tratta perciò del sito di Velo, cosi chiamato sino dal principio del secolo XI. Una parte di esso fu acquistata da Andrea Orsino nel 1346: un secolo dopo, la potente famiglia aveva occupato tutto il territorio vejentano. "In ogni caso la tenuta stessa di Malborghetto abbonda di rovine che ho esaminate e delineate diligentemente nel gennaio 1897: fra le quali il Giano quadrifronte che serviva di maschio al castello mediovaie (Burghus s. Nicolai), e il mausoleo rotondo tra il IX e il X miglio della Flaminia".


            COLLEZIONE PICCARDINI

            - una delle più ricche della città. Questo canonico di s. Pietro avea acquistato parte del colombario dei Sallustii (18 titoletti) e l' intero (?) apparato epigrafico di altro colombaio miscellaneo, in tutto 48 lapidi. Parla di questo raccoglitore lo lacovacci in cod. ottob. 2552 e 729. Abitava vicino a s. Maria di Monte Giordano.  Parecchie fra le iscrizioni della fine del 400 viste da P. Sabino e G. Giocondo provenivano da questa collezione una delle più ricche della città. Questo canonico di s. Pietro, non ricordato dal Cancellieri « de Secretarli » avea acquistato parte del colombario dei Sallustii (18 titoletti) e l' intero apparato epigrafico di altro colombaio miscellaneo, in tutto 48 lapidi. Parla di questo raccoglitore lo lacovacci in cod. ottob. 2552 e 729. Abitava vicino a s. Maria di Monte Giordano.


            COLLEZIONE PICCOLOMINI

            -   Il card. Francesca Piccolomini fabbrica il suo splendido palazzo in piazza di s. Siena (s, Andrea della Valle). Ne era principale ornamento il gruppo, oggi senese, delle Grazie. Deve notarsi che quando fu fatto il trasporto del gruppo dal palazzo Colonna a quello del Piccolomini, il piedistallo restò abbandonato nel primo. Fra Giocondo dice che i versi « sunt nudae Charites etc. " erano bensì moderni, ma che la base sulla quale erano incisi sembrava a lui vetustissima. In questo stesso a. 1484 scavi per ispianare un terrapieno davanti alle case della Valle. Bertolotti, Artisti Lombardi, p. 11.   « Romae in baside vetustissima (delle Grazie di Siena) Erant olim in domo R Card de Colurana cum subscriptis versibus. Nunc vero sùt in R Car Senen. sine iufrascriptis carminib (Sunt nudae Charites cet). Modernum ».
            L'epigramma che incominciava con le parole predette: « Sunt nudae Charites niveo de marmòre» deve essere rimasto in casa Colonna, o altrove, per lunga serie di anni: poiché quando Antonio Lafreri fece incidere in rame circa il 1550 la bellissima riproduzione delle Grazie Podocatario, la accompagnava con l'esametro « sic Romae Carites niveo ex mar more sculptae » evidentemente modellato sull'originale Colonna. L'Albertino dice « domus reve. Francisci Piccolominei card. Senensis non longe (ab horologio campi Florae) in qua erant statuae Gratiar. positae » altro esempio, dice 1'editore, degli anacronismi nei quali cade, sovente l'Albertino poiché nel 1515 un card. Francesco Piccolomini non esisteva più. Egli, come papa Pio III, era morto nel 1503 e aveva fatto trasferire le Grazie a Siena, al più. tardi nell'estate del 1502, in occasione del suo ultimo soggiorno in patria.


            COLLEZIONE PODOCATHARIO O PODOCATTARO

            - Due prelati di questo nome fiorirono in Roma al tempo del Mazochio. Il primo di nome Ludovico, oriundo da Nicosia di Cipro, medico di Innocenzo VIII, rettore dell'Università di Padova, vescovo di Capaccio (1483), segretario di Alessandro VI, card, del titolo di s. Agata (1500), arcivescovo di Benevento (1504), morto in Roma a settantacinque anni circa il 1508, e sepolto nel nobilissimo mausoleo a s. Maria del Popolo (Vedi Forcella, tomo I, p. 332, n. 1260, e Muntz, Alex. VI, p. 149, n. XXVIII).
            Il secondo è Livio, nipote del precedente, protonotario apostolico, vescovo di Nicosia. La raccolta formata dal cardinale nella sua casa alla Chiavica di s. Lucia comprendeva iscrizioni (CIL. VI, 548, 641 ecc.) e sculture, fra le quali ungentile gruppo delle Grazie, con la leggenda di Batinia Priscilla. La xilografia del Mazochio le rappresenta come se reggessero urne in sui fianchi, ma Lelio Podagroso ha cancellato questi attributi. L' ultimo Podocattaro a me noto, Pietro clerico nicosiense, vendette il palazzo in Arenula a Costanzo, Ardicino, e Francesco della Porta nel 1565 (Vedi prot. 3642, e. 265).


            COLLEZIONE POMPONIANA

            - 46 iscrizioni, talune delle quali scavate e scoperte quasi nel sito stesso della casa e dell' orticello dell' umanista, cioè gli elogi latini e greci del poeta Claudiano e de' Claudi Claudiani in genere. Pomponio possedeva parte del colombario dei Sallustii, CIL. VP, p. 1100, uno squisito architrave del mausoleo de' Nonii etc. Una lapide era affissa « in pariete cuiusdam domunculae Pomponii. . . sub aedo s. Silvestri ». L' istromento d'acquisto della casa "in regione Montis Caballorum, cui ab uno latore domus Bartolomei Platina, ab alio res s. Salvatoris Coronatorum" fatto da Pomponio il 17 aprile 1479 si trova nel cod. barber. XXVII, 78. E nel protoc. 892 A. S. G. del not. Merili, v' è una dichiarazione in data 31 agosto 1483 con la quale Pomponio stesso « donat in perpetuum provido viro Carulo fratri ipsius Pomponii absenti omnem partem hereditatis et honorum sibi tangentis propter mortem domine Alane sororis dicti Pomponii ».
            Il cod. vatic. 1678 contiene un elegia scritta nel 1484 dal poeta laureato Elio Lampridio Cervino in lode del rinnovamento dei ludi scenici classici per opera di Pomponio. Si reci- tarono le commedie di Plauto da giovinetti a ciò addestrati « in media Academia Quirinali jugo ». Morto il fondatore dell'Accademia, i locali del convegno furono ceduti a Angelo Colocci: ma il museo epigrafico andò disperso. Perirono i nn. 210, 531, 1602, 1901, 2181, 2186, 2235 e i titoletti dei Sallustii: i nn. 1315, 1710, Kaibel 1074 etc. passarono all'Orsino, ai Farnesi, a Napoli: il n. 733 alla Traspontina, e così di seguito. La casa stessa venne in possesso del capitano Tranquillo Ceci, il quale aveva contemporaneamente acquistato da Giulio Orsino altra casa sul dorso del colle.


            COLLEZIONE PORCARI

            - Stefano Porcari, messo a morte nel 1453, era un appassionato collettore di antichità. Ambrogio Traversari ebbe da lui in dono nel 1433  un anello con cammeo in onice creduto 1'effigie di Adriano, che il Camaldolese offerse ad Eugenio IV. Un bronzo del Museo Barbo rappresentante un Cupido era stato « trajectatus ab ilio qui fuit d. Stephani Porcarii ».
            Le collezioni antiquarie di famiglia furono due: quella fondata da Francesco e quella di Metello Varo descritte dall'Aldovrandi. Francesco fondatore della prima, era nipote del celebre Stefano messo a morte nel 1453. Stefano f 1453 (Domenico, Cencio, Pietro) — Giuliano -j- 1466. Francesco sposo di Antonia Astalli f  1490.(Mario, Vincenzo, Achille) Giulio seniore sposo di Girolara Mattei, Giulio giuniore sposo di Faustina Mattei, Francesco sposo di Flavia Pamfilia. I primi descrittori di Roma ricordano la raccolta sotto il nome del fondatore Francesco, i cinquecentisti sotto il nome di Giulio il giovane. Fra Giocondo registra: 
            - 114 iscrizioni « in domo q(uondam) Francisci Porcari » fra le quali il piedistallo dell'Atrium Vestae, 
            - il piedistallo della statua di Vibia Aurelia Sabina, 
            - l'iscrizione di Traiano trovata "in angolo Circi Maximi versus templum Herculis Victoria in foro Boario". 
            -  l'ara di Ercole, 
            - 17 titoletti del colombario « familiae liberorum Neronis Drusi » « insta moenia urbis inter portas apiam et Latinam in quodam loco quadrangulato »,
            e altri. 
            - II cod. Berlin ricorda il titolo di una Elpide « in casa di ms frane. porcaro ». 
            - Nel cod. vat. di Giovanni Colonna, oltre alla silloge quasi completa delle iscrizioni, si hanno bozzetti di frammenti architettonici. 
            - Il Mazochio dice che la raccolta lapidaria era stata accresciuta nel 1521 da Giulio Porcari con taluni marmi di casa Alessi, e di casa Ciampolini: ma egli ne trascrive soltanto 89. 
            - Il Knibbio ne porta il numero a 109. 
            - Il cod. Pighiano reca una base marmorea compitale con rilievi rappresentanti « lares cum Mercurio et Hercule ante aedes Porcariorum » . 
            - Quanto ai marmi figurati ne abbiamo la nota dall'Aldovrandi, la quale termina col seguente inciso "ne la strada dirimpetto a questa casa (di M. Giulio) si veggono tre statue vestite in abito grave e matronale sedersi sopra sedie marmoree, ma non hanno testa"
            - L' Hondio a p. 35 : « apud lulium Porcarium tabulae ostenduntur multae, in quis etiam Meleagri venati o. In pariete tabulae V variis ornatae figuris: ad dextram pugnantium imago: hinc taurus Europam vehens ». 
            La collezione fu dispersa dopo la morte di Francesco figliuolo di Giulio, e della sua vedova Flavia Pamfili, dalla quale ereditò il card. Girolamo Pamfiii nel 1610. Alcune lapidi andarono a male, altre. passarono ai Doria-Pamfili, ai Ludovisi, ai della Valle, ai Pitti, ai Maffei, al Galletti e così di seguito. Una piccola parte rimase sul posto, nascosta dentro la bocca della cisterna, dove la rintracciò il comm. de Rossi nel 1881 per notizia avutane « da una buona vecchia quivi abitante ».
            Il principe Doria, padrone del luogo, ne fece dono al Comune, e fu stabilito di serbare il piccolo gruppo da solo, aggiungendovi la memoria seguente: « questo avanzo dell' insigne antiquario di Francesco e di Giulio Porcari, il principe Giovanni Doria-Pamfili ha affidato alla custodia del Comune di Roma, Luglio 1881 ». La memoria non è stata collocata al posto, e l'istorico gruppo non è stato serbato da solo. Aggiungo da ultimo che, secondo l'uso de' tempi, lapidi e scolture erano esibite nell'atrio o cortile della casa nel rione Pigna, le pareti del quale atrio erano coperte di affreschi, rappresentanti « molte memorie Catoniane » 
            Metello Varo de' Porcari è riconosciuto come fondatore della seconda raccolta: uomo di grande considerazione, creato nel 1530 « conte palatino del sacro palazzo Laterano della Camera e Concistoro imperiale dall' imp. Carlo V allora nella città di Bologna dimorante, qual privilegio e grazia gli fu confermata da Giovan Domenico de Cupis card, del titolo di san Lorenzo in Lucina » il 20 maggio 1530.
            A lui forse si riferisce la mem. del Vacca « Mi ricordo aver sentito dire che il magnifico Metello Vari, maestro di strade, fece condurre dalla via prenestina fuori porta s. Lorenzo, quel leone di mezzo rilievo, che risarcito da Giovanni Sciarano scultore da Fiesole ora sta nella loggia (di villa Medici). Era già morto nel 1567,  ritrovata in atti del notaio Stefano Maccarano sotto la data dell' 11 luglio, il ricordo di una « concordia e transazione fatta da Ersilia e Tarquinia Vari Porcari, figlie del quondam Alfeo Porcari, Girolama ed Ortensia Vari de' Porcari e Diana Frangipane sopra i beni ed eredità del quondam Metello Vari ad intuito del cardinale Colonna ». 
            Il catalogo dell'antiquario di questo insigne collettore occupa oltre sei pagine nel libro dell'Aldovrandi. Ne trascrivo "A monte Cuculio, poderetto del sopradetto ... fuori della porta maggiore a canto essa ... 
            • due consoli grandi vestiti integri ... 
            • due dee intiere vestite assai belle ". 
            • Gli oggetti di valore di minor conto, argenti, coralli etc, come pure le proprietà urbane della famiglia sul principio del sec. sono descritte in una carta del not. de Coronis prot. 643. 
            • L' Aldovrandi parla pure di un epitaffio (CIL. 1852) ritrovato fuori della porta s. Giovanni, al quale si era dato un posto d'onore pel nome di un M. Porcius Pollio che in esso ricorre. 
            Si sa che i Porcari, i quali nel sec. XI gloriavansi di proclamarsi PORCORVM SANGVINE GRETI (epigrafe di Azzone abate di s. Antimo a Montalcino-) accampando sul loro scudo il porco sopra una rete, assunsero il nome di Porcii, o Portii al tempo di Stefano della cotigiura, e sull'epistilio d'una porta di casa, cui sovrastava il busto marmoreo o l' imagine dipinta del vecchio Catone, scrissero il noto distico " ille ego sum nostrae sobolis Cato Porcius auctor, nobile quod nomen os dedit arma toga". Stefano stesso sottoscrisse gli statuti di Anticoli di Campagna "Steplianus Portius eques romanus ".
            L'Amati ha trovato quest'altro notevole documento del 1485. « Millesimo quadringentesimo octuagesimo quinto, mense aprilis, die vigesima. Constitutus venerabilis vir Dominus Paulus Portius, beate Marie majoris de urbe canonicus, et poeta laureatus egregius, licet infirmus corpore tamen sana mente suum condidit et ordinavit testamentum. . . . Suum heredem universalem con- stituit nobilem virum dominum Gentilem De Porcariis eius carnalem fratrem »   
            L'Armellini ha trovato nell'archivio di san Pietro in Vincoli una carta del 1477 ove si nomina « vineam positam prope ecclesiam sanctae Priscae eundo ad s. Alexium, quam tenet Antonius Porcharius qui habitat prope Minervam». Possedevano pure il Casale di Acquabollicante fuori porta Maggiore, metà del Casal Bruciato fuori porta Salaria, accanto la tenuta di Magliano di s. Marcello, fornaci fuori porta Torrione, case nel rione s. Angelo vicino i beni di Giuliano Cesarini, una delle quali venduta a Maestro Gherardo di Pietro de Eossi, il casale di Capobianco in via Nomentana, e quello di Valle Pisciamosto fuori di Porta s. Paolo. Un vicolo vicinale dei Parioli si chiamava vicolo de Porcari.
            I Porcari ebbero tre cappelle gentilizie (e tre sepolcreti) nelle quali sono andati a finire molti marmi. Il sepolcreto principale era nella chiesa di s. Giovanni de Pinea, ed il suo più antico monumento è quello di Giuliano, opera della Scuola marmoraria romana. La seconda cappella è nella Minerva, assegnata dai Domenicani a Girolamo Porcari vescovo Andrinense e dedicata al santo omonimo. Il giorno 10 sett. 1521 Giulia Zacchia vedova di Prospero, in nome proprio e dei figli Domenico, Saba e Girolamo, assegna alla cappella una dote di scudi 200.
            Questo è il ramo Porcari del r. Campitelli, possessore di fornaci fuori della porta del Turrione, e di case nel rione di s.Eustachio. La terza cappella era in s. Gregorio al Celio, ed apparteneva al ramo di Metello Varo. Un rogito del not. Paolo Emilio Calzoli del 13 agosto 1545 dice che Lucrezia moglie di Paolo Angelini del rione Colonna, padrona della cappella di s. Antonio in s. Gregorio, non avendo altri di sua famiglia, cedeva tutte le sue ragioni e giuspatronato su detta cappella a Metello Varo.


            COLLEZIONE ROSSI 

            -  II Rossi o Rosei, nominato a ce. 34' e 62', deve essere quel Gabriele, contro del quale il Commissario delle antichità Raffaele da Urbino tentò il colpo di mano descritto alla p. 166.
            Per dire il vero e' era una qualche ragione di tentarlo, vista l'importanza delle scolture raccolte « in Domo Rosela ». Il catalogo comprende: «
            - caput Sibille tiburtine,
            - Cesaris caput cum verruca in genua dextra,
            - Pompeii tota pars superior, dea terre que infinitas habet papillas huius dee facies manus et pedes ex nigerrimo sunt marmore, reliqua alba sunt thauri imraolatio,
            - Neptunus deus Maris tridentem dextra gestans qui dextrum pedem in terra figit, sinistrum in mari super una navicula habet, - Bacchus juyenis,
            - uxor Bacchi,
            - Sculptura ubi est voluptas, castitas, et fortitudo (quesf ultima rappresentata da Ercole),
             nimpharum Diane capita multa,
            - Venus in cathedra sedens et ad eius latus sinistrum mirtus,
            - Poliphemi caput immane barbatum crinitum

            Il catalogo ha termine con queste parole: « In domo Rosela est statua Minerve cuius facies cum dulcedine et pulchritudine feminea est adeo venda ut auimatum numen et oraculum videatur; hac sumpta occasione Roscius, nobilis vir, invehebat centra modernos celatores qui beatam virginem facie nimis venerea sculpunt » .

            PUGILATORE
            Un particolare osservato dal Muntz giova a spiegare la singolare propensione di Raffaele verso questa raccolta. La Diana efesina inultimammea e il Sacrificio del toro erano stati tolti da lui a modello, e riprodotti negli affreschi delle Logge. Pare che quando egli, « asserens habere commissionem a sanctissimo dfio nfo dictas antiquitates capere et asportare centra voluntatem et ordinem testatoris " , costrinse i Conservatori della città a intervenire e ricorrere al pontefice, perchè la volontà del defunto e i diritti del popolo fossero rispettati, il pontefice desse torto a Raffaele.
            Gabriele de Rossi, del quale si è già parlato come affittuario di una parte del Palazzo Maggiore, verso la Moietta, lasciava per testamento al capitolo di s. Giovanni in Laterano la sua casa avita.
            « Reliquit Ecclesie s. Joannis lateran. unam ipsius testatoris domum, positam in platea predicte ecclesie iuxta res filli Danese de Jenazzano ab uno, et ab aliis lateribus vias publicas per quas itur ad s. Mariam Maiorem, cum horto retro se et certo petio terre sode, ubi fuit alias prima domus primaque habitatio suorum auctorum de Rubeis, circumdata a duabus viis ».
            Imparentati coi Cenci, Cecchini, Astalli, Foschi di Berta, della Valle, Albertoni, Cavalieri e Stazi de Thomais, salirono ai più alti onori, tanto nella carriera civile col senatore Matteo Rosso, quanto nell' ecclesiastica con Bernardo vescovo di Treviso.


            COLLEZIONE SANTACROCE

            -  Prospero Santacroce aveva già raccolto, vivente Fra Giocondo, molte lapidi miscellanee, sacre, compitali, funebri, e il frammento de' Fasti CIL. 1- p. 1. Nel 1480 s'era veduto confiscare parte del patrimonio, cioè il casale di Selva della Rocca, confinante con Palidoro e Castel Campanile, accusato, com'era, di omicidio in persona di Pietro Margani. Queste vicende non lo distolsero dalla sua propensione, e alla sua morte la casa (privatos lares iunctos renovatis templis di s. Maria in Publicolis) doveva contenere un buon numero di marmi scritti e figurati. Gli antiquarii del secolo seguente parlano di tre  raccolte diverse, di Onofrio cioè, di Girolamo (Giacomo), e di Valerio. Vedi Aldovrandi p. 236, 241.
            • Onofrio possedeva un altorilievo di magistrato togato, trovato nello scavare le fondamenta del palazzo presso piazza Giudea, cui avevano attribuito il nome di Valerius Publicola. 
            • Girolamo, marito di Ortensia Mattei, aveva in casa, secondo il racconto del Knibbio Berlin. A. 61, e. f. 20 « sei iscrizioni al pozzo, 
            • a terra sono doi quadri di marmo nei quali sono iscolpiti cinque fasci consolari con questo scritto (moderno) « fasces et secures consulares » . Si vede anche qui un centauro di mezzo rilievo, e questo simulacro della Fede col suo medius fidius » . 
            • Vi era pure l' iscriz. Kircheriana dell'Amor, Honor, Veritas, 
            • e un frammento di Cariatide di mezzo rilievo. Vedi cod. Berlin, e. 8'. 
            • Valerio possedeva nella vigna Aventinese al Priorato quattro statue, due delle quali di magistrati, 
            • e nella casa alla Regola un Ercole, 
            • la cosidetta amazone Ippolita (vedi Cavalieri « antiqq. stat. » tomo IT, tav. 44), 
            • Pan con la fistula a sette calami, 
            • un sarcofago con la caccia calidonia : 
            • nella Galleria o « deambulacrum » teste, 
            • busti, 
            • una vacca di metallo, 
            • una tigre di marmo, 
            • un Apollo, 
            • e un gruppo di Ercole e Aiiteo in bronzo che si reggeva in sui piedi senza plinto. 
            • Nel cod. Pighiano Berlin, a e. 8 e 10, si parla due volte di un codice epigrafico del card. Prospero Santacroce, quell' istesso che scoprì una « magnifica sepoltura » a porta latina (Vacca m. 99) e che introdusse in Roma il tabacco o erba Santacroce. 
            • Il Bianchini cod. veron. 347, 4, ha lasciato l'appunto che segue in data 26 gennaio 1706. « Venalia extaut prope capitoliu. in heredit March. Tarq. 
            • Sei statue due marmi parii. 
            • una musa altera Bacchu. 
            • septem protomis magni. 
            • Trajano 1. vir. 8. fem. 3
            • Vi erano bassorilievi e altri marmi minori, ed una statuetta di fanciulla di palm. 4. 
            Prezzo della raccolta 220 scudi. Vi erano pure da vendere, ma d'altro padrone, un busto di Euripide a 300 scudi, ed un Fiume di basalto, guasto dall'ombelico in giù. Pietro Rossini descrive nel Mercurio Errante tomo II, p. 399, il « nobilissimo palazzo Santa Croce architettato da Francesco Paparelli, nel di cui cortile sono molti bellissimi bassirilievi antichi, fra i quali è di maniera greca quello del trionfo di Bacco e di Sileno, come pure il fatto di Trimalcione coi satiri, nel mezzo delle quali sculture vi è il sacrificio di Giove Taurilio, ed un altro di non cattiva maniera."
            Vi è ancora una bella statua di Apollo, una di Diana, due di una Cacciatrice, ed un'altra di un Gladiatore, insieme con un Ritratto in marmo dell' Algardi " .  Nel 1578 il card. Prospero ampliò l'area delpalazzo per fare la porta al giardino confinante con la chiesa di s. Salvatore in Campo. Xot. Guidotti, prot. 3652 e. 542. 120  1 Santacroce hanno posseduto le tenute di Selva della Rocca, Maglianella, Vaccareccia, e il castello di s. Gregorio.


            COLLEZIONE SASSI

            -  R. di Parione, nominata anche dal Mazoehio, p. e. a e. XXXIII, ove si trova un disegno di mano del Lelio rappresentante il bel cippo di M. Canuleio Zosimo, già in s. Vibiana. Ma il documento più rimarchevole intorno questa raccolta è l'incisione, senza data né nome d'autore, clgesi trova generalmente inserita nella raccolta Lafreri, e che porta il titolo: SPECTANTVR H/c-C ANTIQVITATIS MONVMÈTA ROMAE IN AEDIBVS VVLGO DICTIS DE ZASSE. Rappresenta un pittoresco cortile chiuso da mura merlate, con nicchie grandi e piccole, e recessi e suggesti, dentro o sopra i quali sono collocati in geniale confusione simulacri di varia misura, con le fratture di scavo non restaurate. L'Aldovrandi nomina incidentalmente questa raccolta tre volte: a p. CCIX, n. 13, ed. Fea,


            COLLEZIONE SAVELLI

            - « Duo sepulcra cum statuis sculpta et herculis aerumnae ibidem visuntur» Albertino. Giovanni Colonna, cod. vat. 7721, ricorda i marmi che seguono: disegno di puteale o pilo con belli fogliami e ramoscelli, il sema circoferetia di tinozze antico de Savelli in piaza montanara, ara con pavone « in casa Savella, la sfigne di savelli lunga piedi 81; ara di L. Emilio Epafrodito CIL. VI, n. 110G5 al mote Savelli ». Il codice berlinese Pighiano a e. 18, riproduce il bassorilievo di Mercurio con caduceo, crumena, e gallo a lato la testa de pilo a Savelli dove era drente le forze dercole lavorato de tutti li bande »: a e. 319' l'ara giunonica coi pavoni e gli encarpi. L'Aldovrandi descrive i marmi Savelli a p. 232,
            L' autore del codice barber. XXX, 89 dice: «Dentro nel cortile sono molti pezzi d' antichità e doi cassoni di marmo. Una delle quali ha cinque statue di mezzo rilevo dinanzi et altrettante dietro, tutte d' ercole che combatte con quei suoi mostri. Da capo n'ha tre altre, e da pie medesimamente. Questo sepolcro è il migliore et il più sontuoso che si vedano degli antichi di questa sorte : et ha un coperchio come tetto, adornato di lenzuoli, che appariscono ricamati. Alli cantoni sono 2 bambocci con uva in mano. Sopra giacciono 2 statue, che passano il mezzo rilevo di maschio e femmina, eh'a mandritta è abbracciata dall'homo giovanotto di barba riccia».
            La raccolta si accrebbe di un notevole monumento con la demolizione dell'arco di Portogallo fatta da Alessandro VII l'anno 1662. Dei tre bassorilievi dell'arco due finirono nel palazzo de' Conservatori: il terzo, venuto nelle mani di Maria Felice Peretti, fu trasferito al teatro di Marcello dopo il matrimonio di costei con Bernardino Savelli. Succeduti gli Orsini ai Savelli nel possesso del palazzo e del teatro Marcelliano, si aifrettarono a vendere i marmi famosi all'antiquario Vitali, dal quale gli acquistò il principe Alessandro Torlonia.


            COLLEZIONE STROZZA

            -  1553, 28 settembre. La più antica memoria relativa alla II regione di Augusto, ed a scavi in essa eseguiti nella seconda metà del cinquecento, si riferisce ai terreni archeologici quivi posseduti da Uberto Strozza mantovano, figlio di Tommaso, segretario apostolico, camerario del cardinale Pompeo Colonna e vicecancelliere di S. R. C..  Nel 1548 Uberto, e suo fratello Ludovico, abitavano un palazzo sito nella parrocchia di Sant'Eustachio verso la piazza, vicino agli Stati, palazzo venduto nell'anno medesimo ad Furialo Silvestri, personaggio col quale i lettori di quest'opera sono già famigliari (Vedi tomo II, pp. 210-218).
            - Da Sant'Eustachio si trasferirono al palazzo Orsini a Monteglordano, generalmente riservato a personaggi d'alto stato, e ad amlbsciatori dei grandi regni cattolici. Quivi 1' Uberto fondò l'Accademia de' Vignaiuoli, alla quale intervenendo i più chiari uomini del tempo, dalle cose villerecce prendevano i soprannomi loro, combae l'Agresto, il Mosto, il Cotogno etc. Nell'anno 1553 Uberto, caduto in grave malattia, dettò al notare Ueydet il testamento, dal quale tolgo i seguenti brani:
            «  li Die 22 Fcbruarii 1553. Mag.' et R. d. Ubertus strozza mantuaiius suum condidit ultimum testamentum videlieet voluit eius cadaver sepelliri in eeoK'jia beate marie supra minervam Item legavit III. et R. dfio archiepiscopo columne unum quadrcttum in quo est depicta ab u.io latere pietas, noe non etiara retractum III. d. l u e r e t i e s e a l i o n e. QQ , Iteni legayit Ill et R. d. car. de ferrarla unum caput unius philosoplii aliud unius imperatoris existens in domo dfii Hippoliti capilupi et aliud existens in studiolo ipsius testatoris Actum Rome in palatio mentis Jordani et in camera cubiculari ipsius testatoris ». [prot. 6161 e. 298 sg.].
            - L' « archiepiscopus Columna » è il cardinale Pompeo, del quale il testatore era stato camerario: il a card, de Ferrarla » è Ippolito d'Este: del Capilupo, insigne collettore di antichità, dovrò occuparmi nel quarto volume. Credo probabile che tutti i marmi legati dal testatore al cardinale Ippolito d'Este siano stati trovati nella vigna da lui acquistata l'anno 1546 sulla spianata del Celio, vicino al Laterano (not. Reydet, prot. 6153, e. 642). Tale provenienza è certa per il «caput unius philosophi » che poi è quello di Milziade, visto venire in luce ai 10 di febbraio del 1553 « in monte Caelio in vinea Strozae » da A. Masi, e da lui descritto in una lettera ad Ottavio Pantagato, che si conserva tra le schede del Manuzio in cod. Vat. 5237, e. 241.
            Lo Stazio e l'Ursino descrivono alla lor volta l'erma già trasferita « alla vigna di Ferrara » ovvero « apud Hippolytum card. Estensem » secondo la volontà espressa nel testamento. Vedi Kaibel, n. 1185. Ma gli scavi più famosi condotti nel sito della vigna celimontana sono quelli descritti o accennati da Ligorio, Torin. X, 127; Ottobon. 3370, Olstenio, Vatic. 9141 (Gudio, 62, 10), citati dal de Rossi nella Memoria sui Vigili a e. 28 e seg. del- l'estratto {Ann. List, a 1858, e. 267 seg.).

             I. Gli scavi ebbero luogo nel sito pianeggiante posto tra l'ospedale di Sancta Sanctorum, e s. Stefano Rotondo, da est ad ovest, e tra gli archi neroniani (via di s. Stefano) e la via della Ferratella da nord a sud : cioè nell'altipiano della villa Fonseca.
            IL Porsero ad essi occasione le opere fatte eseguire da Filippo ed Uberto Strozza per ridurre il sito a vigna. III. la forma dell'edificio era quadrata con torri in sugli angoli, la lunghezza del lato scoperto giungendo sino a m. 109,30. Il lato conteneva « decem cubicula » di m. 5,94 X 4,95, e « quatuor conclavia » o saloni, lunghi ciascuno m. 13,66, e larghi come i cubiculi m. 5,94.
            IV. vicino al descritto furono trovate traccio di un altro rettangolo di fabbrica, al quale fu scioccamente attribuito il nome di castra Peregrina.
            V.  nel mezzo della corte di vigna Strozza vi era una edicola o un tempietto rotondo, con peristilio di diciotto o venti colonnine, parte di porfido, parte di granito rosso, e con epistilii, capitelli e basi di marmo bianco.
            VI. le camere circondanti il cortile « erano bene ordinate quanto alla intentione: ma variamente ridotte con qualche difformità per li restauri fatti" (Ligorio), ciò che è confermato dalla espressione di « stufe plebee » con la quale il Vacca descrive le fabbriche trovate in quest'altipiano :
            « Ho veduto cavare " egli dice, Mem. 106 « da s. Stefano Rotondo fino allo spedale di s. Giovanni in Laterano, e trovare molte stufe plebee, e muri graticolati, con alcuni condotti di piombo, caelemon e molte urne con ceneri, tutte cose di poca considerazione. Dopo le stufe si servirono di questi luoghi per sotterrarvi, al tempo che abbruciavano li cadaveri »
            Questi punti, più o meno accertati, non bastano a sciogliere il problema topografico. L'altipiano del Celio si conosce aver contenuto quattro fabbriche, alle quali potrebbero convenire i particolari suesposti: la statio cohortis lI Vigilum, le castra Peregrinorum, le Lupanaria, e lo Xenodochium Valeriorum.
            Ora la statio coh. II, 'compresa nel recinto di villa Mattei, era separata dalla vigna Strozza-Fonseca dal gruppo monumentale di santo Stefano; dalla vigna Morelli-ss. Sanctorum-Colacicchi; e dalla grande strada, la quale, uscendo dalla porta (anonima) serviana, scendeva alla porta Metroni e alle Decennie.
            Le castra Peregrinorum, comprese nel recinto degli orti Teofili, poi Casali, erano separate dalla vigna predetta tanto dalla linea degli archi neroniani, quanto dalla grande strada conducente alla porta Celimontana. Le Lupanaria, traccio importanti delle quali furono ritrovate in vigna Morelli-ss. Sanctorum-Colacicchi nell'anno 1878, non pare che abbiano potuto occupare un rettangolo di 109 m. di lato, nè raggiungere ed oltrepassare i confini della vicina vigna Strozza-Fonseca.
            Per ciò che spetta alla casa ed allo Xenodochio de' Valerli, nel sito del monastero di sant'Erasmo, il cui scavo conta tra i più notevoli del secolo, non mi pare che i particolari di tempo, di sito, di risultati, si adattino a quel poco che sappiamo di positivo circa lo scavo Strozza (Vedi appresso a p. 69), molto più che ci sarebbe conflitto, piuttosto, contemporaneità di data fra l'uno e l'altro. La congettura meno improbabile che mi venga suggerita da questa condizione di cose, è che gli Strozza abbiano scoperto l'atrio o peristilio della magnifica DOMVS L • MARI! • MAXIMI,
            l'illustre storico, il cui nome ricorre tanto spesso nelle Vitae Augg., e la cui carriera, restituita dal Borgliesi (in Gioni. arcad. 1856, pp. 13 e 463: Oeuvre^, tomo V, p. 459) e dall' Henzen (ad. CIL. VI, nn. 1450-1453) conta fra le più brillanti e fortunate del tempo. Con le riccliozze accumulate durante la sua amministrazione della Celesiria, Asia, Africa. Belgica. Mesia, Germania, ecc. nou solo potè ornare la casa celimontana con cospicue opere d'arte, ma anche assicurarsi il possesso di ville sulla spiaggia di Ardea, e nel territorio di Velletri.

              COLLEZIONE TAGLIAZZI

              -  Nove iscr. « in domo episcopi Torcellen». Vedi Moroni, Dizion. voi. LXXVII, p. 122.


              COLLEZIONE TIGETI O RIGETI

              - Cinerario quintuplice di C. Julius Metrodorus CIL. 20137, squisitamente miniato, e il cippo 2188. Questo prelato, già secretarlo apostolico, e protonotario, aveva ottenuto il vescovato di Taranto, al tempo di fra Giocondo. E venuto a morte, in sullo scorcio del secolo, la casa, che stava nel r. di Ponte vicina a Tor Sanguigna, passò a Mario Bonaventura, e, più tardi, a monsignor Ferratini, arciv. di Amelia, dal quale ha preso nome la nostra via Frattina.


              COLLEZIONE TOMAROZZI

              - « prope s. Eustachiù ante domù Baptistae Tomaroci » . La raccolta fu continuata da Giulio, probabilmente figlio del precedente.  La fortuna della famiglia incominciò a declinare poco dopo la morte di Giulio. I suoi figliuoli Flaminio, Fulvio, Pompilio, Francesco e Girolama venderono nel 1523 parte delle loro case tra la Rotonda e s. Eustachio a Francesco del Bufalo, e altra parte nel 1525 ai Crescenzi.
              Una terza casa, confinante con quella di Costantino Erulo da Narni, vescovo di Spoleto, fu venduta nel 1540 a Giordano de Nobili di Rieti. Estinta in seguito la famiglia, ereditarono da essa in parte luoghi pii, in parte i Boccapaduli, e le iscrizioni furono disperse (2270 ai Massa, 876 a villa Madama, 1308 a Firenze, etc).
              In campagna di Roma possedevano il casale di Lamentana acquistato, sin dal 17 di- cembre 1427, da Vannozza Cenci. Sembra che il nome di famiglia fosse Bardella: poiché trovo in atti Bracchini, prot. 263 e. 451 A. S. un patto di divisione del 1498 tra i fratelli Giovanni e Paolo Bardella de Tomarozzi, nel quale figura in primo luogo la « domus magna » alla porticella della Rotonda. Prima (1427) si chiamavano Tomarozzi de Thomais.


              COLLEZIONE VICOLO DE CORNERII

              - I domatori dei cavalli, i tre Costantini, i due fiumi, la Cibele turrita, del cosidetto Vico de' Cornerii sul Quirinale, i quali marmi formavano la più antica raccolta statuaria della Roma medioevale.

                COLLEZIONE ZODONI

                -  Undici iscrizioni " in domo Nardi de Zodonis ", persona a me ignota.


                COLLEZIONI LAPIDARIE

                - Fra Giocondo nomina le case e le lapidi antiquarie di
                • Antonio conte della Mirandola, e. 59: 
                • di Gaspare Biondo, e. 64': 
                • di Bartolomeo del Cambio alle Botteghe oscure, » e. 72': 
                • di Carlo Martelli, e. 90': di Prospero Boccacci, e. 103': 
                • del card. (Giuliano) Cesarini, e. 104: ù
                • di Giovanni Mazzatosta, e. 108': 
                • di Antonio da Cannobbio, e. 117': 
                • di Lorenzo Signoretti, e. 117': 
                • di Ludovico Vicotacca, e. 118: 
                • di Tommaso Zambec- cari, e. 118 : 
                • di Domenico Normanni dei Tedallini, e. 120' : 
                • di Massenzio Gesualdo, e. 132': 
                • di Sabba Pini, e. 135 : 
                • dei Frangipani al Trivio, e. 135 : 
                • dei Cenci alla Dogana, e. 137. 
                II nome di Fra Giocondo è legato alla storia degli scavi di Roma per un secondo e più cospicuo titolo : pei disegni, cioè, che egli tolse degli antichi edificii e delle loro spoglie, man mano che tornavano in luce nelle ricerche per materiali da costruzione. È probabile che, morto fra Giocondo il 1 luglio 1515, una parte dei suoi disegni rimanesse nelle mani di Raffaello da Urbino. Vedi Geymtiller " Cento disegni" , Firenze 1882, p. 17. Quelli conservati ora negli Ufizii sono stati catalogati approssimativamente dal Geymuller predetto, il quale attribuisce il libro dei ricordi dall'antico al triennio 1513-1515. Vedi in data P luglio 1515. 1499.




                BIBLIO

                - Rodolfo Lanciani - Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità - (1701-1879) - Vol. 6 - A cura di P. Liverani e M. R. Russo - Quasar Edizioni - 2000 -



                2 comment:

                Thomas Cross on 18 febbraio 2022 alle ore 07:20 ha detto...

                Salve. Scusate il disturbo. Potete dirmi se ci sono informazioni sulle sculture della collezione Altieri e della collezione del Bufalo (De Cancellieri)? Dove sono adesso? Qualche scultura delle loro collezioni è sopravvissuta fino ad oggi?
                Con rispetto
                Thomas Cross

                Thomas Cross on 18 febbraio 2022 alle ore 07:32 ha detto...

                Ti sarò grato per qualsiasi informazione. Di seguito elencherò le sculture delle collezioni Altieri e Bufalo.
                Collezione Altieri
                1. due statue di Venere? Queste due venere sono sopravvissute fino ad oggi? Se sì, dove sono adesso?
                2. Per le scale un Barbaro prigioniero trovato verso il teatro di Pompeo? La scultura del barbaro è sopravvissuta fino ad oggi? Se sì, dov'è adesso?
                3. la statua di Venere? La scultura del Venere è sopravvissuta fino ad oggi? Se sì, dov'è adesso?
                4. equella di Sileno tutto peloso?
                5. In Roma gli Altieri possedevano due ville "antiquitatibus refertae", la prima "ad portam salariam in Sallustianis" di recente acquisto, la seconda posseduta sino dalla fine del '400 nell' Esquilino, della quale esiste anche oggi il palazzo e il laberinto . Nella prima si ricordano:
                - talune iscrizioni della raccolta Maffei,
                - nella seconda le lapidi oggi, in parte, murate nella scala della casa de Rossi in piazza dell'Aracoeli:
                - l'affresco del sepolcro de Nasonii rappr. Edipo e la sfinge, oggi nel museo Brittannico.
                - In questa villa fu trovata nella II metà del 500 « una Venere bellissima ch'esce dal bagno. Qualche informazione su questo Venere ch'esce dal bagno? È sopravvissuto fino ad oggi? Grazie in anticipo.

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