I LIBRI SIBILLINI 1/2



LA SIBILLA

- LIBRI SIBILLINI (1/2)
- LIBRI SIBILLINI (2/2)



LA SIBILLA

La Sibilla (lat. Sibylla) è una figura mitica sia greca che romana realmente esistita. Le sibille erano vergini profetesse ispirate da una divinità che un tempo era La Madre Terra, cioè Gaia, che aveva per simbolo il serpente pitone, per cui le sue sacerdotesse erano anche dette Pitonesse o Pitie. In seguito con l'avvento del patriarcato i responsi passarono al Dio Apollo che ne prese l'onphalos (l'ara sacra rappresentante l'ombelico del mondo) e le sacerdotesse che davano responsi e predizioni, ora in nome di Apollo.

Mentre però le pitonesse erano legate ai templi e poi dirette dai sacerdoti, le sibille erano sacerdotesse eremite che non si appoggiavano a un tempio, che girovagavano per le terre o si fermavano in antri e grotte dove il pubblico veniva a chiedere i vaticinii.
Uno dei più famosi responsi di una sibilla latina è la frase "Ibis redibis numquam peribis in bello", legibile nei due sensi: "andrai, ritornerai, non morirai in guerra" o "andrai, non ritornerai, morirai in guerra"

Tra le più famose c'erano la Sibilla Eritrea, la Sibilla Cumana e la Sibilla Delfica, rappresentanti altrettanti gruppi: ioniche, italiche ed orientali. Durarono a lungo perchè il Pantheon patriarcale sia romano che greco non avevano sacerdoti in grado di vaticinare.

Nei suoi scritti Platone ne cita solo una, anche se in seguito le sibille divennero una trentina. Terenzio Varrone ne enumera dieci: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina.
Una delle sibille non citate da Varrone in quanto medievale, ma secondo alcuni su una tradizione romana, è la Sibilla Appenninica detta anche "Oracolo di Norcia" legata alla Grotta della Sibilla situata sul Monte Sibilla, sui Monti Sibillini. Se ha dato il nome a quei monti una sibilla  dovevano esserci state.

Sembra infatti che anche nel medioevo restarono famose e rispettate, tanto che il cristianesimo dovette appropriarsene per acquistare prestigio, affermando che una sibilla giudaica nelle sue profezie aveva previsto l'avvento del Cristo. Ma sibille giudaiche non sono esistite perchè gli ebrei avevano anticamente le profetesse cui Mosè impedì poi di profetizzare, bollando la profezia come stregoneria, reato che veniva punito col rogo (Antico testamento - Leggi di Mosè - Non lascerai vivere la strega), al cui dettame la Chiesa Cattolica si è a lungo adeguata.

Sembra che i Libri Sibillini appartenessero alla Sibilla Cumana che li vendette ai romani, ma non è certo. Il titolo di Sibilla Cumana spettava alla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo e di Ecate, oracolo situato nella città di Cuma, dove oracolava nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come l'"antro della Sibilla". Qui la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti dell'antro, rendendo i vaticini "sibillini". La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia.

Dunque una donna straniera venne dal principe con l’intenzione di vendergli nove libri, pieni di oracoli sibillini. Poiché Tarquinio non volle comprarli al prezzo proposto, essa se ne andò e né bruciò tre. Dopo non molto
tempo, riportò i libri rimasti e glieli offrì allo stesso prezzo, ma venne derisa e stimata stolta per il fatto che proponeva lo stesso prezzo per un numero minore, quando non aveva potuto ottenerlo per tutti. Essa se ne andò e brucio ancora la metà dei libri rimasti, e riportando poi i tre superstiti, chiese lo stesso oro. Tarquinio, esterrefatto per le proposte della donna, fece chiamare gli auguri e, esposto loro il fatto, domandò che cosa bisognava fare.
E quelli, riconoscendo da certi segni che egli aveva respinto un bene mandato dagli Dei, e dichiarando grande sciagura il l fatto che non avesse comperato tutti i libri, lo esortarono a pagare alla donna tutto il denaro che chiedeva, e a prendere gli oracoli che rimanevano. Quindi la donna, dopo aver consegnato i libri, e aver raccomandato di averne gran cura, se ne andò per sempre.

L'ORACOLO

LA STORIA

Servius Grammaticus, In Vergilii Aeneida:

"I responsi Sibillini che è incerto da quale Sibilla siano stati scritti, sebbene Virgilio li attribuisca alla Cumana, Varrone, invece, all'Eritrea. Ma consta che sotto il regno di Tarquinio una donna, di nome Amaltea, abbia offerto al re nove libri, nei quali erano scritti i fati e i rimedi di Roma, ed abbia preteso per questi libri trecento filippi, che allora erano preziose monete auree.
Costei respinta, dopo averne bruciato tre, ritornò un altro giorno e chiese altrettanto, ed egualmente il terzo giorno, dopo averne bruciati altri tre, ritornò con gli ultimi tre e ricevette quanto aveva chiesto, poichè il re era stato impressionato da questa stessa vicenda, cioè dal fatto che il prezzo restava immutato. Allora la donna disparve all'improvviso.
Quei libri si conservavano nel tempio di Apollo, né soltanto quelli, ma anche quelli dei Marci e della ninfa Vegoe che aveva scritto presso gli Etruschi i libri fulgurales: per cui aggiunse solo "tuas sortes arcanaque fata". E ciò riferisce il poeta."

Dionigi di Alicarnasso racconta si trattasse di Tarquinio il Superbo, ma secondo Lattanzio di Tarquinio Prisco, e, sempre per Lattanzio, era la Sibilla di Cuma. Comunque, anche se scritti in greco, e attribuiti ad una profetessa greca, vi si possono cogliere elementi etruschi ed italici cui, in un secondo momento, si sarebbe aggiunto materiale greco e magari sibillino-oracolare.

La contaminazione sarebbe avvenuta in età ellenistica e l’attribuzione sarebbe forse avvenuta nel III sec. a.c., un periodo di particolare rinnovamento dell’assetto religioso di Roma. In effetti i libri erano anche chiamati Fatales, come i corrispettivi Etruschi.

Questa raccolta di oracoli veniva consultata ogni volta che si manifestavano prodigi spaventosi, tetra prodigia, o eventi minacciosi contro Roma. I sacerdoti vi decifravano le espiazioni necessarie, i rimedi, remedia, che erano veri e propri pegni di salvezza.

I libri vennero conservati in uno scrigno di pietra custodito nei sotterranei del Tempio Capitolino di Iuppiter. Questa custodia, nonchè la loro consultazione venne affidata a due sacerdoti, i Duumviri sacri faciundis, che divennero poi 10, prima solo patrizi, ma dal 367 a.c. anche plebei.

La raccolta bruciò nell'83 in seguito all'incendio del Campidoglio per cui il dittatore Silla inviò messi da ogni parte, nel suolo italico e fuori, per recuperare la raccolta. Naturalmente non vennero recuperati i medesimi responsi e forse neppure della stessa sibilla, visto che nel mondo antico se ne conoscevano ben 16 sparse nel mondo.

In seguito Augusto la farà collocare sul Palatino, nel tempio di Apollo dove rimasero fino al V sec. d. c. dopodichè se ne perdono le tracce, come per tanti antichi documenti che la chiesa cattolica ha bruciato perchè pagani e quindi diabolici.

Nell'Eneide la Sibilla di Cuma profetizza ad Enea il grandioso destino di Roma ed Enea promette la conservazione degli oracoli: "Là deporrò i tuoi oracoli e i segreti dei destini annunziati al mio popolo, e ti sceglierò dei sacerdoti e te li consacrerò, o Benefica."



CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL V SECOLO A.C.

Tarquinio scelse tra i cittadini due uomini illustri e dopo aver assegnato loro due assistenti pubblici, li mise alla custodia dei libri. Ma poi fece gettare in mare, cucito in una pelle bovina come un parricida, uno di questi, Marco Atilio, accusato di tradimento da uno degli assistenti. Si suppone si trattasse di divulgazione dei sacri testi che non potevano cadere nelle mani del popolo.

Dopo la caduta dei re, la repubblica si assunse la custodia degli oracoli e nominò uomini illustri come custodi, esonerati da ogni altro dovere militare e civile, e pose accanto a loro degli assistenti pubblici, senza i quali non potevano consultare gli oracoli, cioè dei guardiani che li controllassero.


504 a.c. - I ludi Tarentini.

Il primo episodio legato alla consultazione dei libri Sibillini è riportato da Plutarco e data al 504 a.c., nel IV consolato di P. Valerius Publicola, subito dopo l'istituzione della res pubblica. Nell’anno, in coincidenza con la guerra imminente, si sarebbero verificate una serie di aborti e nascite di bambini malformati. Il console, dopo aver letto i libri, istituì dei sacrifici ad Ade e ripristinò quei giochi, ludi che, in altra occasione erano stati prescritti da un oracolo di Apollo.

Le origini dei ludi Taurii/Tarentini sono descritte da Valerio Massimo. Un certo Valerius, antenato della gens Valeria, per salvare i suoi tre figlioletti malati, aveva fatto loro bere l’acqua del Tarentum, luogo ‘extremo’ del Campo Marzio, ad un’ansa del Tevere, dove si trovava l’altare sotterraneo di Dis e Proserpina.
I figli ne erano stati miracolosamente guariti e come ringraziamento Valerio offrì alle due divinità sacrifici, un lectisternium e giochi per tre notti. Le acque del Tevere riscaldate nel Tarentum, utilizzate in un rituale terepeutico provocano così la guarigione.

Un altro racconto, riportato da Festo e Servio Danielino colloca invece i giochi al tempo di Tarquinio il Superbo, quando un'epidemia aveva colpito le donne in gravidanza, in modo che i bambini morivano in grembo. I ludi vennero allora istituiti in onore delle divinità infere, celebrati nel Circo Flaminio con sacrifici di vacche sterili (taureae).


496 a.c. - Ceres, Liber e Libera.

L’episodio accade poco prima della battaglia del lago Regillo, lo scontro che segnò la vittoria romana sulla Lega Latina (499/496 a.c.). Dionigi racconta che, poco prima di partire con l’esercito contro i Latini, il dittatore Aulo Postumio aveva ordinato ai duumviri di consultare i libri Sibillini, per porre fine ad una carestia a Roma che, oltre ad affamare la città, comprometteva il vettovagliamento dell’esercito.

SIBILLA
I duumviri indicarono di propiziarsi le divinità Ceres, Liber e Libera. Postumio promette che se il voto verrà esaudito, voterà un tempio ai tre Dei latini, infatti la carestia si estinse e il tempio venne ultimato nel 493.

Qui il ruolo dei duumviri sacris faciundi si limita ad indicare le particolari divinità a cui rivolgere i piacula, e non include la prescrizione dei riti espiatori. E’ lo stesso console Postumio che stabilisce la dedica del tempio; l’istituzione di ludi annui.

"[Postumio] spese quaranta talenti in giochi e sacrifici agli dei, e stipulò il contratto per la costruzione dei templi di Demetra, Dioniso e Core, a scioglimento del voto fatto. Infatti all’inizio, come sembra, i vettovagliamenti per la guerra scarseggiavano, e c’era una grande paura nei Romani di venir meno, poichè la terra era infeconda nè giungevano rifornimenti dai mercati stranieri a causa della guerra.
Per questo timore Postumio aveva ordinato a coloro che ne erano i custodi di consultare i libri Sibillini; non appena aveva saputo che gli oracoli ordinavano di propiziarsi questi dei, aveva fatto voto a loro, mentre era sul punto di condurre in campo l’esercito, che, se nella citta’ fosse tornata, nel corso del suo comando, la stessa prosperità di prima, avrebbe eretto loro dei templi e avrebbe celebrato in loro onore sacrifici annuali. Questi dei, esaudendo le sue preghiere, fecero sì che la terra producesse frutti copiosi."


488 a.c. - Attaccare Coriolano

La terza consultazione del V sec. è testimoniata solo da Dionigi, quando Roma stava nuovamente per fronteggiare un conflitto interno. Si deve decidere se portare guerra o no a Marcio Coriolano, il patrizio mandato in esilio per il suo dispotismo e per essersi opposto alla distribuzione del grano alla plebe, che si era rifugiato presso i Volsci ponendosi a loro guida contro i Romani, accampato alle porte di Roma.

Dionigi riferisce che la decisione di non affrontare Coriolano venne presa non solo per convenienza, ma per rispettare la volontà degli Dei, contrari alla spedizione come apparve dagli oracoli Sibillini.
In questo caso i libri non sono consultati per espiare dei prodigia, ma per verificare il volere divino.
L’uso oracolare è in questo caso assimilabile all’auspicatio, come fa notare Dionigi. Né Livio né Plutarco però, nella vita di Coriolano, menzionano i libri Sibillini.

"Il senato decise di non inviare nemmeno allora un esercito oltre i confini, temendo per
l’inesperienza dei soldati (erano per la più parte reclute) e considerando che la titubanza dei
consoli (mancavano totalmente di energia) rendesse rischioso affrontare una dura lotta. Per
di più anche gli dei manifestavano la loro contrarietà alla spedizione mediante avvertimenti
oniromantici, oracoli Sibillini e altre forme tradizionali di divinazione, che gli uomini di allora
non ritenevano di poter trascurare, come invece capita oggi."


461 a.c. - Numerosi prodigia e un tumultus annunciato

Nel 461 a.c., come scrive Livio, venne .riproposta al senato la legge, presentata l’anno prima dal tribuno della plebe Tarentillo Harsa, che proponeva l’elezione di 5 magistrati per redigere leggi a limitare e regolarizzare il potere consolare, che i tribuni ritenevano gestito in modo arbitrario dai patrizi.

Il ricorso ai libri deriva dalla manifestazione di molti prodigi: cielo infuocato, un terremoto, una vacca parlante e soprattutto una pioggia di carne che non imputridisce. Dionigi ci aggiunge anche apparizioni di spettri e voci. Simili prodigi diverranno ricorrenti nel III e II secolo a.c.

L’anno seguente, quando la legge Tarentilla fu ripresentata da tutto il collegio contro i nuovi consoli, il cielo parve incendiarsi, e il suolo fu scosso da un violento terremoto. Si credette, cosa cui non si era prestata fede l’anno precedente, che una vacca avesse parlato. Tra gli altri prodigi una pioggia di carne che fu afferrata da un gran numero di uccelli; quella che cadde a terra vi rimase per parecchi giorni senza imputridire.

Consultati i Libri; fu predetto il pericolo di genti straniere contro le parti più alti dell’Urbe, con conseguenti stragi; e si ammonì che ci si astenesse dalle sedizioni. I tribuni protestavano che si era ricorso a questo espediente per ostacolare la legge e forse avevano ragione.

Infatti, finché si trattava di lampi in cielo, di fuochi che si accendevano sempre in un solo luogo, di muggiti e scosse continue di terra, di apparizioni di spettri e di voci che sconvolgevano le menti, si sapeva che anche in tempi precedenti erano avvenuti, ma ce ne fu uno di cui non avevano esperienza e che più li spaventava: venne una gran nevicata, ma non di neve, bensì di brandelli di carne che finì nel becco di torme di uccelli in volo, che li afferravano a mezz’aria, invece quelli che arrivavano a terra restarono per molto tempo nella città stessa e nei campi, senza marcire o mandare cattivo odore.

Gli indovini del luogo non furono capaci d’interpretare un simile prodigio, ma nei libri Sibillini si trovò quel che annunciava: nemici esterni sarebbero penetrati entro le mura e la città sarebbe fatta schiava; una sedizione interna avrebbe dato l’avvio alla lotta con i nemici esterni; sarebbe stato necessario bloccarla sul nascere e liberarne la città, allontanare i mali con sacrifici e preghiere, e cosi i romani avrebbero vinto il nemico

L’anno seguente, sotto il consolato di P. Valerio Publicola e G. Claudio Sabino, si verificò puntualmente quanto predetto dall’oracolo, come scrive Dionigi. Il pericolo preconizzato fu il sabino Appio Erdonio, il quale, a capo di una spedizione formata da esuli e schiavi stranieri, occupa il Campidoglio. Dionigi inquadra l’invasione come provocato dalla discordia civile e ricorda come fosse stata predetta dai Sibillini.


436 a.c. - Pestilenze, terremoti, obsecratio e la vicenda di Spurio Melio

Nel 444 a.c. la carestia e le sedizioni non erano stati considerati prodigia e dunque ‘non espiati’; questo aveva permesso all’eventum di verificarsi. Cioè la mancata espiazione del prodigium non compreso aveva permesso al monstrum di verificarsi.

Nel 436 a.c. la comparsa del tribuno Spurio Melio rischia di replicare la stessa situazione, ma non avviene, poiché i suoi tentativi non vengono considerati dal punto di vista politico, tuttavia viene organizzata l’obsecratio come remedium, a compensazione della mancata espiazione della carestia del 444 a.c.

La quinta consultazione è del 436 a.c. Sono ricordati molti prodigi per quest’anno, e i libri indicano di eseguire una obsecratio. una particolare forma di supplicatio, o ‘preghiera’ pubblica, una venerazione collettiva agli dei, a cui partecipava tutta la comunità. Il termine obsecratio indica in particolare una supplicatio volta a stornare una calamità.
Sotto il consolato di Marco Cornelio Maluginese e Lucio Papirio Crasso, gli eserciti furono condotti nel territorio dei Veienti e dei Falisci. Si fece bottino di uomini e di bestiame, ma non si trovò traccia del nemico, né si ebbe occasione di combattere, visto che il popolo era stato colpito da una pestilenza.

Il tribuno della plebe Spurio Melio aveva citato in giudizio Minucio e presentato una legge sulla confisca dei beni di Servilio Aala, sostenendo che Melio era stato vittima delle false accuse di Minucio, e imputando a Servilio l’uccisione di un cittadino che non aveva ricevuto alcuna condanna; ma non fu creduto.
Preoccupava invece l’epidemia, che andava aggravandosi, e alcuni terribili prodigi, e soprattutto che nelle campagne le case crollavano per i frequenti terremoti. Fu perciò fatta dal popolo, con a capo i duumviri, un' obsecratio.


433 a.c. - Problemi di peste

ANTRO DELLA SIBILLA LIBICA
Per il VI ed ultimo episodio sui libri Sibillini nel V sec., si ha la testimonianza di Livio, per cui nell’anno 433 a.c. un’epidemia richiede la consultazione: Pestilentia eo anno aliarum rerum otium praebuit. Aedis Apollini pro valetudine populi vota est; multa duumviri ex libris placandae deum irae avertendaeque a populo pestis causa fecere.

Non sono specificati i multa riti prescritti dai duumviri e il verbo fecere indica che furono gli stessi duumviri a compiere gli atti cultuali, come più volte accadrà nel III secolo. Nello stesso anno Livio scrive che venne votato un tempio ad Apollo, ma non si sa se sulla base della consultazione sibillina. Lo ipotizza Gagè in base al fatto che le raccolte oracolari dei libri erano attribuite alla Sibilla, ritenuta ispirata da Apollo.



CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL IV SECOLO A.C.

I  LECTISTERNIA

Conosciamo le circostanze dei primi cinque lectisternia dalla testimonianza liviana: essi furono compiuti ad espiazione di pestilenze avvenute tra il 399 ed il 326. Diversa sembra invece la struttura della cerimonia a partire dalla fine del III sec., nel periodo della Seconda Guerra Punica, poiché essa pur restando sotto il controllo decemvirale muterà di carattere e di destinazione.

399 a.c. -  il I LECTISTERNIUM, una pestilenza, ed il primo tribuno militare con potestà consolare

A quel triste inverno seguì un’estate funestata da una pestilenza che colpì tutti gli animali; e poiché non se ne trovava la causa nè si riusciva a porre fine, si consultarono per decreto del senato i libri Sibillini.

Varie preoccupazioni oltre la pestilenza (tra cui soprattutto la vicina elezione dei nuovi tribuni militari e la paura che essi si potessero alleare con la plebe), spiega Livio inseguito, avevano spinto il Senato a consultare i Libri e ad attivare una politica propagandistica appellandosi al mondo religioso: far apparire la pestilenza come voluta dagli Dei irati per i rivolgimenti politici interni ed esterni (la guerra tra Roma e Veio)
Come Dionigi e Livio narrano, "duumviri libri Sybillini aditi sunt", (DLSAS) il collegio duumvirale venne incaricato di andare a consultare i libri Sibillini. Come indicato da quest’ultimi, si tenne a Roma un lectisternium, un particolare rito che esprimeva, attraverso la finzione rituale, la ricreazione della commensalità con gli Dei, le cui statue, vestite e ingioiellate venivano poste sui triclini del banchetto per parteciparvi ritualmente, coi deschi e le vivande approntati.

I "duumviri sacris faciundis", fatto allora per la prima volta nella città di Roma un lectisternium, per otto giorni cercarono di placare Apollo e Latona, Diana e Ercole, Mercurio e Nettuno, stesi su tre letti addobbati riccamente. Tale sacrificio fu celebrato anche privatamente. Aperte in tutta la città le porte delle case e posta ogni cosa all’aperto, a disposizione di chiunque volesse servirsene, si ospitarono i forestieri, a quanto si racconta, senza alcuna distinzione, noti ed ignoti, e si conversò in modo affabile e bonario anche coi nemici; ci si astenne dalle dispute e dai litigi; si tolsero anche, in quei giorni, le catene ai carcerati. Si può immaginare se l'aprire le case a tutti potesse inibire il contagio, ma d'altronde i romani non conoscevano ancora questo lato della medicina.

"Cuius insanabili perniciei quando nec causa nec finis inveniebatur, Libri Sibyllini ex senatus consulto aditi sunt. Duumviri sacris faciundis, lectisternium tunc primum in urbe Romana facto, per dies octo Apollinem Latonamque et Dianam, Herculem, Mecurium atque Neptunum tribus quam amplissimetum apparari poterat stratis lectis placauere. Privatim quoque idsacrum celebratum est. Tota urbe, patentibus ianuis promiscuoqueusu rerum omnium in propatulo posito, notos ignotosque passimadvenas in hospitium ductos ferunt." Dion Hal., exc. 12. 9.

"I Romani celebrarono quelle feste dette “letti”, per ordine degli oracoli Sibillini. Adornarono tre letti secondo l’ordine degli oracoli, uno per Apollo e Latona, un altro per Eracle ed Artemide, un altro ancora per Hermes e Poseidone, e per sette giorni continuarono a celebrare sacrifici pubblici e a far private offerte di primizie agli Dei, secondo le capacità di ciascuno, e ad allestire suntuosissimi banchetti e ad ospitare stranieri là residenti." Per Tito Livio la festa durò otto giorni.

Pisone il Censore aggiunge che sebbene fossero stati liberati gli schiavi prima messi in catene e la città rigurgitasse di stranieri, e le case fossero aperte giorno e notte e vi potesse entrare chi lo volesse, nessuno ebbe a lamentare furti o violenze, contro la tradizionale serie di disordini e crimini conseguenti alle feste.

Per il IV sec. a.c. Livio attesta almeno 4 lectisternium, celebrati per epidemie e furono lasciate aperte le porte della città e anche quelle delle case private, e ogni cosa venne messa a disposizione di tutti, anche dei forestieri, e che vennero tolte le catena ai prigionieri.

In ogni caso, questa prima celebrazione di un lectisternium deve essere letta come un messaggio politico per la città di Roma e per tutta la sua popolazione, per patrizi e plebei, stranieri e schiavi. L’idea ispiratrice, nonostante le chiare connessioni con il mondo greco, quali la scelta delle divinità da invocare o la prassi cerimoniale, si lega ad un concetto fondamentalmente romano della religione: creare concordia tra i diversi strati della città.

Tale situazione si ripresenta analoga nei casi successivi di prescrizione di lectisternia per volere dei Libri Sibillini in connessione sempre all’espiazione di pestilenze, finalizzata al ripristino della concordia nazionale.


390 a.c. - Il II LECTISTERNIUM - Expiare i templi dopo l’occupazione gallica -

La II consultazione dei libri Sibillini registrata nel IV sec. riguarda l’incendio gallico di Roma del 390 a.c. Livio riporta come subito dopo la cacciata dei Galli, che avevano occupato il Campidoglio, ad opera di Furio Camillo, si fosse reso necessario ricorrere ai libri.

SIBILLA LIBICA
Il primo atto necessario dopo la devastazione dell’Urbe è ristabilire il culto degli Dei, iniziativa portata avanti da Furio Camillo, e dal senato con l’ordine dato ai duumviri di .cercare nei libri riti adeguati, per purificare i templi contaminati.

Livio scrive anche che furono celebrati i ludi Capitolini in onore di Iuppiter Optimus Maximus, che si stabilirono vincoli d’ospitalità con gli abitanti di Cere, poiché questi avevano accolto gli oggetti sacri dei Romani e le vergini vestali.

Jean Gagé nel 1955 ipotizza la celebrazione di un II lectisternium negli anni che vanno dal 398 al 363 a.c. e considera quello celebrato nel 364 il “III”lettisternio. Per il III ed il V lettisternio, inoltre, non si ha specifica menzione alla raccolta sibillina. Tuttavia essi possono essere analogamente inseriti nella serie dei lectisternia.


364 a.c. - IL III LECTISTERNIUM - I libri Sibillini e la clavifixio.

Livio non da notizia del II lectisternio, ma riferisce del III. La terza consultazione del IV sec, avviene nel 364 a.c., la prima registrata dopo il 367 a.c., anno dell’istituzione dei decemviri sacris faciundis, la nuova magistratura che sostituiva il collegio dei duumviri, nonché dell’approvazione delle leggi Liciniae-Sextiae, che con l’apertura ai plebei del consolato, segnano la parificazione dei due ordini.

Il collegio preposto alla lettura dei Sibillini, aumentato nel numero dei componenti, risulta ora composto, per metà da patrizi e per metà da plebei. Livio informa che nel 364 a.c venne celebrato a Roma il III lectisternium dalla fondazione dell’Urbs, per stornare una pestilenza che gravava da due anni sulla città. Tuttavia a nulla servì il rituale, per cui vennero introdotti a Roma dall’Etruria, i ludi scaenici.

La pestilenza durò anche l'anno seguente, in cui furono consoli Caio Sulpicio Petico e Caio Licinio Stolone, e si celebrò allora un lettisternio; Liv. 7. 2: " Et hoc et insequenti anno pestilentia fuit. Eo nihildignum memoria actum, nisi quod pacis deum exposcendae causatertio tum post conditam urbem lectisternium fuit ". Poiché la violenza dell’epidemia non diminuiva tra gli altri mezzi per placare l’ira dei celesti si istituirono anche i ludi scenici, una novità, poichè fino ad allora l’unico spettacolo era stato quello del circo.

Qui assistiamo, per la prima volta, al fallimento della soluzione proposta dai Sibillini; la pestilenza non si placa con il lettisternio, e neppure con la soluzione proposta dai pontefici, l’introduzione dei ludi scaenici, anzi l’anno dopo, nonostante l’introduzione dei ludi scenici, si verificano nuovi prodigi.

L’anno successivo, nel 363 a.c., con l’aggravarsi dell’epidemia, non vengono consultati i libri Sibillini e si ricorre invece alla tradizione dei seniores, i quali propongono, in base ad una ‘lex vetusta …priscis litteris verbisque scripta’, il ripristino dell’affissione del "Clavis Annalis". Livio annota:
"novità di non grande importanza, come quasi tutte le cose all’inizio, e per giunta straniera"

I più anziani ricordavano come una volta una pestilenza era stata arrestata grazie alla fissione del chiodo, compiuta dal dittatore.

"Spinto da tale superstizione il senato ordinò che si eleggesse un dittatore per la fissione del chiodo; fu eletto Lucio Manlio Imperioso…. 
E’ antica legge, scritta in lettere e parole arcaiche che il supremo magistrato alle idi di settembre conficchi il chiodo; esso venne affisso sul lato destro del tempio di Giove Ottimo Massimo, dalla parte dove si trova la cappella di Minerva.

Dicono che questo chiodo, poiché rari erano in quell’epoca gli scritti, fosse il segno indicativo del numero degli anni, e che la legge fosse consacrata alla cappella di Minerva, perché invenzione di Minerva è il numero. Anche a Volsini, secondo quanto afferma Cincio, relatore scrupoloso di tali documenti, si possono vedere, piantati nel tempio di Norzia, divinità etrusca, i chiodi indicativi il numero degli anni.

Il console Marco Orazio dedicò il tempio a Giove Ottimo Massimo secondo il disposto di quella legge un anno dopo la cacciata dei re; la cerimonia della fissione del chiodo passo poi dai consoli ai dittatori, perché maggiore era la loro autorità."


362 a.c. - Il martirio per la salvezza della patria

Per il 362 a.c. abbiamo una consultazione dei Sibillini testimoniata da Dionigi. Il prodigium è una voragine che si apre nel foro e secondo i Sibillini la terra si sarebbe richiusa e avrebbe dato grande abbondanza di ogni tipo di beni, per il tempo a venire, "eis ton loipon chronon", se la terra stessa avesse ricevuto i 'doni più consoni al popolo romano’

"Accade a Roma tra molti altri prodigi divini anche questo, che fu il maggiore: nel mezzo del foro si aprì una voragine di profondità insondabile, che permase per parecchi giorni. Per decreto del senato gli addetti ai libri Sibillini li consultarono e riferirono che la terra si sarebbe richiusa e avrebbe da allora in poi dato grande abbondanza di frutti di ogni genere, se prima avesse ricevuto i doni più degni del popolo romano. Dopo questo annuncio, ciascuno portava alla voragine le primizie che riteneva abbisognassero alla patria, non solo di frutti ma anche di denaro.

"Ma M.Curzio, annoverato tra i primi giovani della città a motivo della sua saggezza e valore militare, chiese di essere ammesso in senato e qui disse che il bene più bello e necessario per Roma era il valore dei suoi uomini. Se la terra avesse ricevuto una primizia anche di questo e colui che fosse così sacrificato per la patria fosse un volontario, la terra avrebbe prodotto molti uomini valorosi. Ciò detto, e comunicato che non avrebbe ceduto questo privilegio a nessun altro, indosso le armi e montò sul cavallo da combattimento. Alla presenza del popolo accorso allo spettacolo, scongiurò prima di tutto gli Dei di mantenere quanto era stato promesso dagli oracoli e di concedere a Roma molti altri uomini simili a lui.
Poi allento le redini al cavallo, gli diede di sprone e si precipitò nella voragine. Dopo di lui furono gettati nell’abisso molte vittime e frutti della terra e denaro e vesti e primizie di ogni arte, a spese pubbliche. E subito la terra si richiuse."

"In quello stesso anno, in seguito ad un terremoto o a qualche altro cataclisma, si dice che s’aprì nel Foro, quasi nella parte centrale un vasto e profondissimo baratro e che non si riuscì a riempire quella voragine per quanta terra vi si gettasse, portandone ognuno in proporzione alle proprie forze, prima che si fosse cominciato per avvertimento degli dei a cercare quale fosse il principale della potenza del popolo romano: predicevano infatti gli indovini ch’esso doveva essere consacrato a quel luogo se si voleva che la Repubblica romana durasse in eterno.

Allora, a quanto raccontano; Marco Curzio, giovane prode in guerra, rimproverò coloro i quali si chiedevano se potesse esservi per i Romani qualche bene più grande delle armi e del valore, e, imposto silenzio, volgendo lo sguardo ai templi degli dei immortali, che dominano il Foro, e al Campidoglio, e tendendo le mani ora al cielo, ora alla spaccatura che si apriva nella terra, si votò agli dei Mani; montando quindi in armi un cavallo il più possibile bardato, si lancio nel baratro; doni votivi e biade furono versate sopra di lui dalla folla degli uomini e delle donne, e il lago Curzio avrebbe preso il nome non da quell’antico Curzio Mezzio, soldato di Tito Tazio, ma da questo."

TEMPIO DI CIBELE SUL PALATINO

348 a.c. - Una pace duratura non basta

Nel 348 a.c. a Roma regna una situazione ottimale di pace e concordia, ciononostante scoppia una pestilenza. Il senato autorizza il ricorso ai Sibillini che propongono la celebrazione di un lettisternio.
Liv. 7. 27: "Exercitibus dimissis, cum et foris pax et domiconcordia ordinum otium esset, ne nimis laetae res essent, pestilentia civitatem adorta coegit senatum imperare decemviris utLibros Sibillinos inspicerent; eorumque monitu lestisternium fuit.Eodem anno Satricum ad Antiatibus colonia deducta restitutaque Urbs quam Latini diruerant..."


344 a.c. L’aedes di Iuno Moneta e una pioggia di pietre

Nel 344 a.c. abbiamo la V consultazione sibillina per il IV secolo. Nell’anno si sarebbe resa necessaria una consultazione dei libri Sibillini per espiare una pioggia di pietre e l’improvvisa comparsa delle tenebre subito dopo la consacrazione del tempio a Iuno Moneta, votato l’anno prima da Marco Furio Camillo, durante la guerra contro gli Aurunci pro amplitudine populi romani, per l’ampliamento del popolo romano.

"Il tempio di Moneta fu consacrato l’anno dopo che era stato offerto in voto, essendo consoli Caio Marcio Rutulo per la terza volta e Tito Manlio Torquato per la seconda. La consacrazione fu immediatamente seguita da un prodigio, simile a quello anticamente accaduto sul monte Albano; infatti cadde una pioggia di pietre e parve che durante il giorno calasse la notte: e dopo che si furono consultati i libri, essendo la città in una atmosfera di fervore religioso, (cum plena religione civitas esset) il Senato decise che si nominasse un dittatore per stabilire delle ferie.

Fu nominato Publio Valerio Publicola: come maestro della cavalleria gli venne dato Quinto Fabio Ambusto. Si decise che a celebrare le supplicazioni andassero non soltanto le tribù, ma anche i popoli confinanti, e si stabilì per loro un’ ordine di successione, fissando il giorno in cui ognuno doveva celebrarle."

La guerra contro gli Aurunci era cominciata a causa di un loro saccheggio che i Romani credevano organizzato dai Latini a loro danno. I rapporti con questi ultimi si erano guastati già nel 346 a.c., anno in cui alcuni delegati da Anzio avevano istigato ad una rivolta le città latine alleate di Roma. Giunone (Iuno) era una divinità diffusa in tutta l’Italia centrale e, per il periodo delle guerre Puniche il culto di Iuno venne utilizzato soprattutto per rinsaldare i rapporti con gli alleati latini e le città italiche.

La relazione del prodigium coi rapporti con i popoli vicini è accennato da Livio, dove il fenomeno della pioggia di pietre e dell’improvvisa oscurità è paragonato a quello accaduto anticamente sul monte Albano, sede dello Iuppiter Latiaris, centro religioso e punto della Lega Latina.

Per collegamento col prodigium del monte Albano, la pioggia di pietre divenne segnale di crisi nei rapporti con i popoli confinanti. La soluzione dei Sibillini riportata da Livio sono le supplicationes a cui vengono invitati non solo i cittadini romani, ma tutti i popoli vicini, secondo turni precisi. E' la prima volta che popolazioni non romane vengono coinvolte nell’espiazione di un prodigio avvenuto all’interno della città.


326 a.c. - Il V lettisternio: invitare a pranzo gli Dei

Il 326 a.c. si presenta come un anno tranquillo. Livio non collega il piaculum ad un evento prodigiale, sappiamo solo che il rito si tenne placandis habitumest deis. Non sappiamo però quali siano questi Dei, la cui identità Livio sembra dare per scontata. Da questa data in poi, lo storico non specificherà più il numero di successione dei lectisternia; forse perchè nel III sec. la cerimonia fosse ormai un rito espiatorio ordinario. Liv. 8.25: "Eodem anno lectisternium Romae, quinto post conditam urbem, isdem quibus ante placandis habitum est deis."

RITROVAMENTO DEI LIBRI SIBILLINI


CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL III SECOLO A.C.


295 a.c. - Vittorie e fulmini

Il primo ricorso ai libri Sibillini è nel 295 a.c. Livio presenta l’anno come fortunato, felix, dal punto di vista militare, ma anche di grandi apprensioni a causa di una pestilenza e di alcuni prodigi. Infatti girò la voce che in molti luoghi era piovuta terra e che parecchi soldati dell’esercito di Appio Claudio erano stati colpiti da fulmini. Per queste cose furono consultati i libri.


293 a.c. - L’introduzione di Asklepios /Aesculapius

La II consultazione sibillina del III sec. nel 293 a.c. segna l’introduzione del Dio in Roma. Ancora una volta una pestilenza, e libri Sibillini indicano come soluzione di portare il dio medico, da Epidauro a Roma.


Nel 292 a.c., viene dunque inviata una delegazione ad Epidauro. Così leggiamo in Livio:

"La felicità che quell’anno aveva procurato in tanti suoi eventi, servì appena a compensare un’ unico disastro: una pestilenza che devastò contemporaneamente la città e le campagne. Quella pestilenza sembrò ben presto il frutto di un disegno soprannaturale e furono dunque consultati i libri Sibillini per sapere come sarebbe terminata quella sciagura e se esisteva un rimedio che gli dei potessero concedere. Nei libri fu trovato che bisognava portare da Epidauro a Roma il simulacro di Esculapio. Per quell’anno comunque non se ne fece nulla perché i consoli erano interamente assorbiti dagli impegni militari; ci si limitò a tenere una giornata di pubbliche supplicazioni ad Esculapio.

CAPO BOEO
Poiché la città era in difficoltà a causa di una pestilenza, furono mandati degli ambasciatori perché trasferissero il simulacro di Esculapio da Epidauro a Roma; essi riportarono un serpente che si era introdotto nella loro nave e nel quale tutti pensavano che fosse presente il Dio stesso.

Siccome quel serpente sbarcò nell’isola Tiberina, in quel luogo fu eretto un tempio ad Esculapio.

Così i nostri concittadini pensarono che, se avessero mandato là una legazione, avrebbero ottenuto l’unico rimedio possibile voluto dai fati, confortati dal prestigio fino ad allora altissimo di quell’oracolo.

Non si ingannarono: l’aiuto fu chiesto e promesso con tale zelo, ed immediatamente gli Epidauri accompagnarono la legazione romana al tempio di Esculapio - distante dalla loro città 5 miglia - e la invitarono con estrema cortesia a prendervi quanto avessero pensato fosse salutare per la loro patria.

Ad una così pronta e generosa benevolenza, seguì subito la manifestazione del consenso da parte del dio stesso: se è vero che quel serpente, raramente visto nel passato dagli Epidauri, ma mai senza propria grande utilità, e venerato come ipostasi di Esculapio, cominciò a strisciare tranquillamente, con gli occhi miti, attraverso le zone più frequentate della città e, osservato per tre giorni tra la rispettosa ammirazione generale, dando chiaramente ad intendere che desiderava una sede più famosa, proseguì verso la trireme romana e tra il terrore dei marinai non abituati a quello strano spettacolo, salì sulla nave, fermandosi dove era l’alloggio del legato Quinto Ogulnio, e tranquillamente avvoltosi in molteplici spire, se ne stette quieto.

Allora i legati, lieti di aver raggiunto lo scopo, dopo i dovuti ringraziamenti e messi al corrente dagli esperti del rituale riguardante il serpente, salparono da lì e, compiuta una prosperosa navigazione, approdarono ad Anzio. Qui il serpente, che durante il viaggio era rimasto sempre immobile sulla nave, strisciando attraverso il vestibolo del tempietto di Esculapio rimase avvinghiato ad una palma altissima, che si ergeva presso un boschetto di mirto fitto di rami: gli furono posti accanto i cibi di cui soleva nutrirsi e, non senza che i legati non temessero fortemente che da lì non volesse tornare sulla trireme, prese dimora nel tempio di Azio.

Dopo tre giorni si fece docilmente trasportare a Roma e quando i legati furono scesi a terra sull’isola Tiberina, dove si trova il tempio a lui dedicato, vi giunse anch’esso a nuoto e scacciò col suo arrivo la calamità per cui rimedio era stato richiesto."


276 a.c. - Il grande freddo e l’occupazione dei templi

Con la perdita della II decade liviana, per gli anni fino alla II guerra punica, la successiva testimonianza dei libri Sibillini viene da una fonte tarda e cristiana.

Agostino nel De civitate Dei scrive che, nel periodo della guerra contro Pirro:
"a Roma sì era verificata una grave pestilenza, di cui erano vittima soprattutto le donne, le quali morivano in gravidanza prima di dare alla luce i figli e che dello stesso male soffrivano anche gli animali; si tratta di una specie di ‘paralisi della vita’ - espressa anche dal prodigium del congelamento delle acque correnti del Tevere - resa secondo un modulo narrativo ricorrente: una malattia ferma la riproduzione, minando i parti"

"Durante una così grande strage militare scoppiò anche una grave moria di donne. Morivano nella gravidanza prima di dare alla luce i figli. Morivano con la medesima patologia anche gli animali domestici al punto di far credere che perfino la generazione di animali cessasse. Quell’ inverno fu memorabile perchè incredibilmente rigido al punto che a causa delle nevi, le quali rimasero ad una preoccupante altezza per quaranta giorni anche nel Foro, perfino il Tevere gelò.

Allo stesso modo una straordinaria epidemia, finchè infierì, ne fece morire molti. Ed essendosi prolungata con maggiore virulenza nell’anno successivo (malgrado la presenza di Esculapio), si consultarono i libri Sibillini. Il responso fu che a causa dell’epidemia vi era il fatto che molti occupavano abusivamente parecchi edifici sacri. Gli edifici erano stati occupati senza che alcuno lo impedisse, perché erano state inutilmente a lungo rivolte suppliche a una così folta moltitudine di divinità.

Così un’ po’ alla volta i locali venivano disertati dai devoti in modo che essendo vuoti si potevano senza offesa di alcuno adibire agli usi umani. Per far cessare la pestilenza furono fatti restituire e restaurare. Gli edifici sacri occupati, nemine prohibente, quindi nella totale disattenzione dell’autorità, venivano per così dire rimessi nel mercato una volta ‘profanati’: la ‘profanazione’ li rendeva disponibile al pubblico uso.

Essendo consoli Fabio Gurgite per la seconda volta e Caio Genucio Clepsina [276 a.c.] una grave pestilenza divampò in Roma e nel suo territorio. Essa colpì tutti ma in modo particolare le donne e le femmine degli animali, così che uccidendo i feti nel grembo materno, toglieva ogni possibilità di futura prole, oppure a causa di parti immaturi venivano alla luce degli aborti, con grave pericolo per le madri: si poteva prevedere che, non essendo più osservata la regolarità dei parti vitali, sarebbe venuta a mancare ogni discendenza e gli animali si sarebbero estinti."

LE OFFERTE ALLA MADRE TERRA

248 a.c. - I ludi Saeculares

Varrone, nel I libro delle ‘Origini del teatro’ lasciò scritto così:

“Poiché avvenivano molti prodigi, e il muro e la torre che stanno tra la porta Collina e quella Esquilina erano stati colpiti da un fulmine, i quindecemviri, dopo avere consultato su ciò i libri Sibillini, dichiararono che si dovevano celebrare nel Campo di Marte per tre notti dei Giochi Tarentini in onore del Padre Dite e di Proserpina, si dovevano immolare a loro delle vittime nere e i giochi dovevano essere tenuti ogni cento anni."

I ludi Saeculares, antecedenti dei ludi Tarentini, dovevano allontanare il pericolo di un'interruzione generativa.


238 a.c. - I giochi in onore di Flora

Secondo Plinio, nel 238 a.c., vennero istituiti, ‘ex oraculis Sibyllae’, i Floralia, i ludi Florales, in onore della Dea Flora:

"La vita degli antichi fu rozza e priva di cultura. Tuttavia risulterà chiaro che il loro modo di osservare non fu meno ingegnoso delle attuali teorizzazioni. Infatti, tre erano i momenti che essi temevano per il raccolto, e per questo istituirono delle celebrazioni e dei giorni di festa: i Robigalia, i Floralia, i Vinalia. Ma la vera ragione è che 19 giorni dopo l’equinozio di primavera, in uno dei 4 giorni che procedono il IV giorno prima delle calende di maggio tramonta il Cane, astro di per sé dannoso e il cui tramonto è necessariamente preceduto da quello della Canicola.

Pertanto gli antichi, nel 516° anno di Roma, seguendo gli oracoli della Sibilla, il IV giorno prima delle stesse calende istituirono i Floralia, perchè tutte le piante potessero avere una buona fioritura. Varrone data queste feste a quando il sole entra nel 14° grado del Toro. Pertanto se il plenilunio cade in questi 4 giorni, i cereali e tutto quello che si troverà in fiore ne verranno danneggiati.

Non vigevano ancora gli altri strumenti del lusso, il ricco possedeva il bestiame oppure vaste campagne ma già ognuno si procurava ricchezze con mezzi illeciti. Invalse la consuetudine di pascolare nei boschi pubblici, e ciò accade a lungo impunemente, non vi fu alcuna pena; il popolo non aveva difensori dei beni comuni, e ormai si riteneva da inetti pascolare sul proprio suolo privato.

Tale licenza fu denunciata agli edili della plebe Publicii: agli uomini degli anni precedenti era mancato il coraggio. Il popolo s’interesso attivamente alla cosa, i rei incorsero in una multa: la cura dei pubblici beni risultò di gloria ai difensori. Mi si offrì parte di quelle multe, e i vincitori delle liti istituirono con grande plauso nuovi giochi. Altro danaro delle multe fu investito in lavori sul colle, allora rupe scoscesa, ora comoda via chiamata Publicia"


228 a.c. - Un sacrificio umano

La successiva consultazione dei libri Sibillini si situa a poco più di un decennio della fine della prima guerra Punica, nel 228 a.c. In questo periodo, Roma oltre ad essere impegnata nell’integrazione all’interno della propria amministrazione del governo delle prime province acquisite dopo la vittoria su Cartagine, la Sicilia e la Sardegna, si trovava anche a dover contenere, assieme agli alleati latini, le infiltrazioni di tribù galliche provenienti da nord.

Si tratta di un momento di emergenza, in cui i Galli Insubri alleati con Boi e Gesati costrinsero per la prima volta gli eserciti romani a portarsi oltre il confine naturale del Po. Le fonti descrivono la consultazione dei Sibillini come risposta all’angoscia di uno scontro:

"I Romani furono colti da grande paura, sia per la vicinanza del nemico, la guerra si sarebbe svolta ai confini se non proprio alle soglie della loro città, sia per l'antica nomea dei Galli, il popolo che, a quanto pare, temettero più di ogni altro. Ad opera loro avevano già perso una volta la città, e da allora avevano istituito una legge, per cui i sacerdoti erano esentati dal prestare servizio in guerra, tranne nel caso che tornassero i Galli. La loro paura si rivelò anche nei preparativi che fecero adesso (si dice che mai, nè prima nè dopo, furono arruolate tante decine di migliaia di Romani), e dai sacrifici che offrirono agli Dei."

Ma il responso più famoso, e più terribile, è quello della II guerra punica, dopo la battaglia di Canne, in cui i libri consigliano di seppellire vivi, nel foro Boario, una coppia di Greci e una coppia di Galli in una cripta dalle pareti di pietra: "inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca in Foro Boario sub vivi demissi in loco saxo consaeptum, jam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum." Il responso è stato molto dibattuto, sia perchè non chiaro, sia perchè i Romani aborrivano i sacrifici umani, giudicati usanze barbare, contrarie al proprio sentimento.

Pure, quando scoppio la guerra, furono costretti per ubbidire ai libri Sibillini e a seppelire vivi nel Foro Boario, due persone, un uomo e una dona di nazionalità ellenica e due altre di nazionalità gallica. I Romani erano allarmati a causa di un oracolo della Sibilla, il quale avvertiva di fare attenzione ai Galli quando un fulmine sarebbe caduto sopra il Campidoglio, accanto al tempio di Apollo.

Poichè un tempo un oracolo aveva predetto ai Romani che Greci e Galli avrebbero occupato la città, due Galli e due Greci, maschi e femmine vennero sepolti vivi nel Foro in modo che il destino potesse essere compiuto, come se, da sepolti vivi, potessero essere considerati possessori di una parte della città.

Il delitto va considerato come ‘fatto religioso’ pienamente romano, anche considerando che la sepoltura di due coppie di stranieri è attesta nuovamente per il 216, il 213 e nuovamente per il 114 a.c., delineandosi dunque come remedium ‘tipico’ dei Sibillini. Ma è un'opinione altamente dibattuta, nelle date e nel merito.


218 a.c. - La sconfitta del Ticino e i prodigi

Nell’ inverno del 218 a.c., anno d’inizio della II guerra punica, Livio ricorda numerosi prodigi durante l’inverno, presumibilmente dopo la disfatta romana del Ticino, la prima grande sconfitta inflitta ai Romani dal generale punico.
- Un fanciullo di sei mesi, nato libero, lanciò il grido “Io trionfo” nel foro Olitorio;
- nel foro Boario un bue salì di sua iniziativa fino al terzo piano di un edificio e da lì, atterito dal tumulto degli inquilini, si butto di sotto;
- nel cielo apparirono le immagini sfolgoranti di alcune navi;
- il tempio di Spes nel foro Olitorio fu colpito da un fulmine;
- a Lanuvio una vittima sacrificale si era mossa
- un corvo era volato nel tempio andando a posarsi sul pulvinare;
- ad Aminterno e altrove si ebbero apparizioni in forma umana, vestite di bianco e che non si erano avvicinate a nessuno;
- nel Piceno erano piovute pietre e a Cere le sorti erano diminuite di volume;
- in Gallia un lupo aveva strappato dal fodero di una guardia la spada e l’aveva portata via.

I decemviri ebbero l’ordine di andare a consultare i libri;

  1. per la pioggia di pietre nel Piceno fu indetto un novendiale e quasi tutti i cittadini si adoperarono per espiare gli altri prodigi. 
  2. Prima di ogni altra cosa si provvide alla purificazione della città e furono immolate vittime adulte in onore degli Dei che i responsi avevano indicato. 
  3. A Giunone, nel suo tempio di Lanuvio, furono portate in dono quaranta libbre d’oro. 
  4. Sempre a Giunone, le matrone consacrarono una statua bronzea sull’Aventino.
  5. A Cere, dove le sortes erano diminuite di volume, fu indetto un lettisternio e una supplica alla dea Fortuna sul monte Algido. 
  6. Furono poi indetti in Roma un lettisternio alla Giovinezza e una supplicazione presso il tempio di Ercole e poi da parte di tutto il popolo in tutti i templi. 
  7. Al Genio furono sacrificate cinque vittime adulte. 
  8. Fu poi incaricato il pretore C. Attilio Serrano di formulare voti agli Dei, se la repubblica fosse rimasta nelle stesse condizioni per i dieci anni successivi.

Liv. 21.62: "Ob cetera prodigia libros adire decemviri iussi... et lectisternium Caere, ubi sortes attenuatae erant, imperatum, et supplicatio Fortunae in Algido; Romae quoque et lectisternium Iuuentati et supplicatio ad aedem Herculis nominatim, deinde uniuerso populo circa omnia puluinaria indicta, et Genio maioreshostiae caesae quinque et C. Atilius Serranus praetor uota suscipere iussus, si in decem annos res publica eodem stetisset statu. haec procurata uotaque ex libris Sibyllinis magna ex parte leuauerant religione animos."

LA SIBILLA TIBURTINA

217 a.c. /a - I terribilli signa dopo la sconfitta del Trebbia

La successiva consultazione sibillina è dell’anno 217 a.c., e come la precedente si collegava alla battaglia presso il Ticino, in relazione con la pesante sconfitta romana della Trebbia nel maggio del 217 a.c.

Ad aumentare la paura, da diverse parti furono annunciati prodigi:
- avevano preso fuoco in Sicilia le punte delle armi di alcuni soldati,
- in Sardegna, un bastone tenuto in mano da un cavaliere che stava effettuando il suo turno di guardia attorno alle mura prese fuoco;
- sui litorali si erano visti risplendere fuochi più e più volte;
- due scudi avevano sudato sangue;
- alcuni soldati erano stati colpiti da fulmini;
- era sembrato che il disco del sole si rimpicciolisse;
- a Preneste erano cadute dal cielo pietre infuocate;
- ad Arpi erano apparsi in cielo degli scudi mentre il sole combatteva con la luna;
- a Capena erano sorte, in pieno giorno, due lune;
- a Cere era sgorgata acqua mista a sangue;
- la fonte di Ercole aveva fatto scorrere acqua con grumi di sangue;
- ad Anzio, ad alcuni mietitori erano cadute nelle ceste delle spighe insanguinate;
- a Faleri il cielo si era aperto mostrando una luce intensissima;
- le sortes erano diminuite di volume e ne era caduta una che recava questa scritta: “Marte scuote la sua asta”;
- nelle stesse ore, a Roma, la statua di Marte sulla via Appia e le statue dei lupi avevano sudato;
- a Capua si era incendiato il cielo mentre la luna precipitava in mezzo alla pioggia.
- Alcuni si trovarono con le capre trasformate in pecore;
- una gallina divenne gallo e un gallo divenne gallina.

Quando questi prodigi furono riferiti esattamente dai testimoni introdotti in Curia, e il console consultò i senatori sulla liturgia da seguire. Fu decretato che quei prodigi venissero espiati in parte con vittime adulte, in parte con animali da latte, mentre dovevano essere tenute suppliche per tre giorni in tutti i templi. Gli altri prodigi, dopo che i decemviri avessero consultato i libri, dovevano essere espiati nel modo che i decemviri avessero riferito essere caro agli dei, stando alle formule dei libri.
  1. Fu decretato che fosse offerto a Giove un fulmine d’oro del peso di cinquanta libbre; 
  2. a Giunone e a Minerva doni d’argento; 
  3. a Giunone Regina sull’Aventino e a Giunone Sospita a Lanuvio dovevano essere sacrificate vittime adulte. 
  4. Inoltre le matrone, raccolto del denaro secondo le possibilità, dovevano portarlo in dono a Giunone Regina sull’Aventino; 
  5. doveva essere celebrato un lettisternio 
  6. anche le liberte dovevano raccogliere una somma in proporzione alle proprie ricchezze per fare un dono alla Dea Feronia.
  7. i decemviri sacrificarono un toro nel foro di Ardea e delle vittime adulte. 
  8. essendo giunto dicembre, fu compiuto un sacrificio a Roma nel tempio di Saturno 
  9. furono indetti un lettisternio e un pubblico banchetto. 
  10. in tutta la città risuonarono per un giorno e una notte le grida dei Saturnali. 
  11. fu ordinato al popolo di considerare sacro quel giorno e di mantenerlo tale per sempre.
Forse le cerimonie in onore di Marte vanno inseriti nei sacrifici ordinati dal senato accanto ai tre giorni di suppliche in tutti i templi. I decemviri comunque ebbero l’ordine di consulatare i libri solo dopo l’esecuzione delle cerimonie, sulle quali si erano già pronunciati i patres, esplicitamente consultati dal console de religione. Tutti i piacula disposti da questi ultimi sono volti, di nuovo, principalmente a Giunone, già presente nei rituali dell’anno precedente.
  1. Viene nuovamente onorata Iuno Sospita a Lanuvio e Iuno Regina sull’Aventino a cui le matrone sono chiamate a offrire un dono. 
  2. Vengono inoltre offerti doni alle tre divinità formanti la triade capitolina, Iuppiter, Iuno e Minerva. 
  3. Importante la partecipazione del mondo femminile, con le liberte accanto alle matrone, invitate ad offrire le loro ricchezze alla Dea Feronia, il cui santuario nei pressi di Terracina era un famoso centro di scambi tra le classi sociali. Infatti valeva come luogo di emancipazione degli schiavi.
Le vicende connesse alla II Guerra Punica produssero grande preoccupazione e  nuovo interesse per la divinazione. Negli anni 218-15 in cui al proliferare di prodigia et portenta si accompagnò l’istituzione di nuove prassi espiatorie, e giunta la primavera del 217, Annibale si apprestava a lasciare il quartiere d’inverno, 1'oracolo sibillino viene consacrato dal collegio.
Durante la II guerra Punica, per decreto del senato per i molti prodigi avvenuti, i duumviri consultarono i libri Sibillini, e annunziarono che:
  1. bisognava fare una supplica in Campidoglio ed un banchetto sacro con il ricavato di una colletta a cui potevano partecipare anche le liberte autorizzate a portare la veste lunga. 
  2. Si tennero dunque le pubbliche preghiere e l’inno fu cantato da fanciulli liberi e liberti insieme e da vergini, non orfani né di madre né di padre; 
  3. da allora anche ai figli dei liberti, purchè nati da matrimonio legittimo, fu concesso di portare la toga pretesta, e un collare di cuoio in luogo dell’ornamento del ciondolo.


LA SIBILLA NELLA CHIESA CATTOLICA

Rodolfo Lanciani

"La credenza che le sibille avessero profetizzato l'avvento di Cristo rese popolari le loro immagini. La chiesa degli Aracœli è particolarmente associata a loro, poiché la tradizione rimanda l'origine del suo nome a un altare - ARA PRIMOGENITI DEI - elevato al figlio di Dio dall'imperatore Augusto, che era stato avvertito del suo avvento dai libri di Sibilla. 

Per questo motivo le figure di Augusto e della Tiburtina Sibilla sono dipinte su entrambi i lati dell'arco sopra l'altare maggiore. In realtà hanno ricevuto il posto d'onore in questa chiesa; e precedentemente, quando a Natale il Presepio era esposto nella seconda cappella a sinistra, occupavano la prima fila, la sibilla che indicava Augusto la Vergine e il Bambino che appariva in cielo in un alone di luce. 

Le due figure, scolpite in legno, sono ora scomparse; furono dati via o venduti trent'anni fa, quando un nuovo set di 25 immagini fu offerto al Presepio dal principe Alexander Torlonia. I profeti e le Sibille appaiono anche nei monumenti del Rinascimento; sono stati modellati dalla Porta nella Casa Santa di Loretto, dipinta da Michelangelo nella cappella Sistina, da Raffaello in S. Maria della Pace, dal Pinturicchio negli appartamenti Borgia, incisa da Baccio Baldini, contemporaneo di Sandro Botticelli, e " graffite "di Matteo di Giovanni sul pavimento del Duomo di Siena."


BIBLIO

- Servius Grammaticus - In Vergilii Aeneida - trad.: Gennaro Franciosi -
- Aulo Gellio - Noctes Atticae - I -
- Cicerone - De divinatione - XLIII -
- Svetonio - Augustus - XXXI -
- R. Bloch - La religione romana - Le religioni del mondo classico - Laterza - Bari - 1993 -


2 comment:

Anonimo ha detto...

Habeo liberum decimum

Anonimo ha detto...

Hai libero il decimo o hai il X libro?

Posta un commento

 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies