GALLI SENONI (Nemici di Roma)


I Galli Sénoni erano una popolazione celtica che ebbe il suo habitat sia sulla costa orientale dell'Italia, nell'area della Romagna e delle Marche del nord, e dal fiume Montone verso sud, dall'ager Decimanus, a sud di Ravenna, fino al fiume Esino.

Ma si collocò pure in una regione della Francia, nei dipartimenti di Seine-et-Marne, Loiret e Yonne, la cui antica capitale era la città di Sens, dalla quale questo popolo prenderebbe il nome.



LA STORIA

Narra Tito Livio che i Senoni si stanziarono in suolo italico nella zona tra i fiumi Montone ed Esino.
Secondo Polibio, attorno al 400 a.c. un gruppo di Senoni attraversò le Alpi e si stanziò sulla costa orientale dell'Italia, nei territori orientali della Romagna e in quelli settentrionali delle Marche dove vivevano i Piceni, nel futuro ager Gallicus.

Ad ovest del fiume Montone, infatti, cominciava il territorio dei Galli Boi. La posizione era strategica per il controllo delle vie marittime e della valle del Tevere, e da qui discesero le incursioni nell'Italia meridionale e centrale.

Qui i Senoni, stanziati nel nord delle Marche fino alla valle del fiume Esino, nell'attuale provincia di Ancona, fondarono Sena Gallica (Senigallia) nel 391 a.c., che divenne la loro capitale tra il 389 e il 383 a.c.
Poi i senoni invasero l'Etruria e assediarono Chiusi. Gli abitanti della città chiesero aiuto a Roma che intervenne, ma, come narra Varrone, fu sconfitta rovinosamente nella battaglia del fiume Allia il 18 luglio del 390 a.c., secondo Polibio invece nel 387 a.c..

Le mura serviane avevano protetto Roma per più di 150 anni, ma non resistettero all'invasione dei Galli senoni del 390 a.c., infatti la città venne presa e saccheggiata.

IL SACCO DI ROMA

IL SACCO DI ROMA

Il sacco di Roma da parte dei Senoni, partiti dalla loro capitale Senigallia e guidati da Brenno, è uno degli episodi più drammatici della storia dell'Urbe, riportata negli annali con il nome di Clades Gallica, ossia sconfitta gallica. Ce ne danno notizia vari autori, tra cui Polibio, Livio, Diodoro Siculo, Plutarco, e Strabone.

Brenno unificò le tribù dei Galli Senoni conquistando tutte le terre tra la Romagna e il Piceno, poi assediò Chiusi, che invocò l'aiuto di Roma. Il Senato romano inviò a Chiusi tre ambasciatori della Gens Fabia per mediare tra i Galli e assediati..

Uno dei tre Fabii però uccise a tradimento un capo senone durante le trattative, scatenando l'ira dei Galli. Allora i Senoni mandarono ambasciatori a Roma, per chiedere che i tre Fabii gli fossero consegnati, ma i Fabii furono eletti dal popolo Tribuni consolari, e quindi intoccabili, per cui i Galli infuriati tolsero l'assedio a Chiusi, marciando verso Roma..

Il Senato inviò un esercito che fermasse i Galli sulla riva sinistra del Tevere, in corrispondenza dell'immissione dell'affluente Allia ma ebbero la peggio. La sconfitta fu così grave che il 18 luglio (Dies Alliensis) fu da allora considerato giorno nefasto nel calendario romano. Per questa ricorrenza vennero anche istituiti i cosiddetti Lucaria (19 e 21 luglio) che celebravano le divinità dei boschi che avevano offerto rifugio agli scampati della battaglia di Allia.

GALLI
I superstiti romani, incalzati dai Galli, si ritirarono entro le mura di Roma, dimenticando, come riferisce Tito Livio, di chiuderne le porte.

Diciamo che la dimenticanza non è credibile e che le porte vennero abbattute.

Sicuramente le porte della città erano sacre e guardate da Giano, il Dio cui erano consacrate tutte le porte e pure il Gianicolo,

Era meno grave asserire che i romani si fossero dimenticati di chiuderle piuttosto che ammettere che Giano non era un buon guardiano delle porte, da cui l'assurdità della dimenticanza. I Galli misero a ferro e fuoco l'intera città, compreso l'archivio di stato, cosicché tutti gli avvenimenti antecedenti la battaglia sono in parte leggendari. Che fossero però tutti inventati è un'esagerazione, anche se bruciassero tutti i libri del mondo resta una memoria del passato nella gente, a volte un po' distorto e impreciso ma resta.

Mentre i Senatori cercavano di organizzare una resistenza sul Campidoglio, e i cittadini romani cercavano sul Gianicolo.
« Un'altra massa di persone - composta per lo più da plebei - non potendo trovare posto nell'area tanto ridotta del colle e non potendo essere sfamata in quel regime di così grave penuria alimentare, sciamò disordinatamente fuori dalla città e, dopo aver formato una sorta di linea continua, si incamminò verso il Gianicolo. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 40)

Intanto il Flamine di Quirino e le Vestali cercavano di mettere in salvo quanti più oggetti sacri possibile.
« Alla fine decisero che la soluzione migliore fosse quella di metterli dentro a piccole botti da sotterrare poi nel santuario accanto all'abitazione del flamine di Quirino, là dove oggi è considerato sacrilegio sputare. Il resto degli oggetti, dividendosene il carico, li portarono via per la strada che conduce dal ponte Sublicio al Gianicolo. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)

Qui un ceto Lucio Albinio, plebeo, avrebbe fatto scendere i propri familiari dal carro, per far posto alle Vestali, e le portò in salvo fino a Cere.
« E siccome quell'individuo - osservando la distinzione tra le cose divine e umane anche nel pieno della tragica situazione -, riteneva fosse un sacrilegio che le sacerdotesse di Stato andassero a piedi portando i sacri arredi del popolo romano mentre lui e i suoi se ne stavano sul carro sotto gli occhi di tutti, ordinò a moglie e figli di scendere e dopo aver fatto salire le vergini con gli oggetti sacri »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)

Questo racconto viene ritenuto leggendario per glorificare lo spirito romano. Noi siamo propensi invece a crederci, anzitutto perché i romani non avrebbero in quell'epoca mai glorificato un plebeo, e poi perché all'epoca le mogli e i figli contavano poco per cui un uomo aveva diritto di lasciare la propria famiglia in mano ai barbari condannandola allo stupro e alla morte, per favorire delle sacerdotesse.

Si narra che i Galli in Senato trovarono i senatori compostamente seduti sui propri scranni e li massacrarono. Evidentemente solo i più vecchi restarono, perché tutti i romani sapevano combattere e non era il massimo andare a morte certa senza opporsi. Anche perché poi si parla ancora dei senatori che di certo non potevano aver potuto votare.

GUAI AI VINTI!

MARCO FURIO CAMILLO

Solo il Campidoglio resistette e venne posto sotto assedio, mentre parte dell'esercito senone razziava le campagne intorno. La situazione era disperata ma la notizia del sacco di Roma giunse ad Ardea, dove gli ardeatini affidarono il loro esercito a Marco Furio Camillo, il quale riuscì a sconfiggere un contingente gallico uscito da Roma, e pure un contingente etrusco che razziava le campagne più a nord.

« Dal Senato fu inviato in qualità di dittatore contro i Veienti, che dopo vent'anni si erano ribellati, Furio Camillo. Egli li vinse prima in battaglia, quindi conquistò anche la loro città. Presa Veio, vinse anche i Falisci, popolo non meno nobile. 
Ma contro Camillo sorse un'aspra invidia, con il pretesto di un'ingiusta divisione del bottino, e per tale motivo fu condannato ed espulso dalla città. Subito i Galli Senoni calarono su Roma e, sconfitto l'esercito romano a dieci miglia dall'Urbe, presso il fiume Allia, lo inseguirono e occuparono anche la città. 
Nulla poté essere difeso tranne il colle Campidoglio; e dopo averlo a lungo assediato, mentre ormai i Romani soffrivano la fame, in cambio di oro i Galli levarono l'assedio e si ritrassero. Ma Camillo, che viveva da esiliato in una città vicina, portò il suo aiuto e sconfisse duramente i Galli. Ma non solo: Camillo inseguendoli ne fece tale strage che recuperò sia l'oro ch'era stato loro consegnato, sia tutte le insegne militari da essi conquistate. 
Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato "secondo Romolo" come fosse egli stesso fondatore della patria. »
(Eutropio, Breviarium ab Urbe condita)

Da Veio si riuscì a inviare un messaggero a Roma, Ponzio Comino, per far nominare Furio Camillo dittatore. Ponzio riuscì a rompere l'assedio ed il Senato poté nominare Camillo dittatore per la seconda volta. Fu allora che le oche sacre del tempio capitolino di Giunone avvisarono Marco Manlio, console del 392 a.c., del tentativo di invasione dei Galli senoni, si che vennero respinti. Intanto, Roma, presa per fame, trovò un accordo con i Galli, che erano stati colpiti da un'epidemia. Il tribuno Quinto Sulpicio Longo e il capo dei Galli, Brenno, giunsero ad un accordo, in base al quale i Galli sarebbero andati via con un riscatto di 1.000 libre d'oro.

Brenno avrebbe fatto pesare anche la sua spada, urlando: "Vae victis!" ("Guai ai vinti!") ma Marco Furio Camillo si oppose preparandosi alla battaglia.
« Non auro, sed ferro, recuperanda est patria! »
(Non con l'oro si difende l'onore della patria, bensì col ferro delle armi!)

I Galli vennero sconfitti in due battaglie campali e completamente massacrati e Furio Camillo ottenne il trionfo. Secondo altri i Galli si ritirarono per fronteggiare gli attacchi dei Veneti, a nord dei loro territori originari, portando via il bottino di guerra. Secondo altri ancora Brenno avrebbe governato a Roma per qualche anno. Roma ne uscì molto impoverita, comunque entro dodici anni furono ricostruite le mura serviane (378 a.c.), sotto Servio Tullio.

« Camillo portò i suoi soldati giù nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano. Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi. Poi i velites attaccarono, costringendo i Galli ad entrare in azione, prima che avessero preso posizione con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel disordine più totale. 
Quando infine Camillo condusse i suoi soldati all'attacco, il nemico sollevò le proprie spade in alto e si precipitò all'attacco. Ma i Romani lanciarono i giavellotti contro di loro, ricevendo i colpi sulle parti dello scudo che erano protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti. 
I Galli allora abbandonarono effettivamente le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani. Ma i Romani, vedendoli così disarmati, misero subito mano alle spade, e ci fu una grande strage dei Galli che si trovavano in prima linea, mentre gli altri fuggirono ovunque nella pianura; le cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano che il loro accampamento poteva essere facilmente preso, dal momento che, nella loro arroganza, avevano trascurato di fortificarlo. Questa battaglia, dicono, fu combattuta tredici anni dopo la presa di Roma, e produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i Galli. 
Essi avevano potentemente temuto questi barbari, che li avevano conquistati in un primo momento, più che altro credevano che ciò fosse accaduto in conseguenza di una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei loro conquistatori. »
(Plutarco, Vita di Camillo.)

Il Metus Gallico (la paura del Galli), almeno per ciò che riguardava i Senoni, ebbe termine circa 100 anni dopo, con la battaglia del Sentino (295 a.c.). Vennero vinti dai consoli Publio Decio Mure e Quinto Fabio Massimo Rulliano e infine sottomessi nel 283 a.c. dal console Publio Cornelio Dolabella.

FURIO CAMILLO


LA CONQUISTA DELLA GALLIA SENONA

L'occupazione romana non avvenne circa nel 272 a.c., anno in cui Roma portò a termine la guerra con Taranto. A Sena Gallica fu dedotta una colonia romana. La presenza dei Galli Senoni è testimoniata nell'ager Gallicus anche dopo la sottomissione ai romani; sono attestate fasi di convivenza con i Romani insediati nelle città di fondovalle di Suasa, Ostra antica, etc. e i Senoni appostati nei loro villaggi sulle alture, ad esempio il sito archeologico di Montefortino di Arcevia, ed è probabile che la popolazione e la cultura gallica fu gradualmente assorbita da quella romana.

"L’anno 53 a.c. è caratterizzato dal tentativo di Cesare di consolidare la posizione dei romani nella Gallia e in Germania, dove attraverserà per la seconda volta il Reno. La base per i vari spostamenti è rimasta sempre Durocortorum, città nata quattro anni prima e diventata la Capitale della Gallia, corrispondente all’attuale Reims. Con ben dieci Legioni, il proconsole ha cercato in quell’anno di soffocare definitivamente le varie ribellioni avviate dagli Eburoni di Ambiorige, dai Treviri, dai Nervi, dagli Atuatuci, dai Senoni e dai Carnuti.
Ancora una volta l’impegno di Cesare è stato caratterizzato da azioni fulminee capaci di sconfiggere i nemici in certe occasioni addirittura senza combattere, nonché dalla capacità di impossessarsi di una quantità sconfinata di bestiame e prigionieri. Alla fine l’unico condannato a morte è stato Accone, principe dei Senoni, fatto decapitare. Da rilevare che in questa campagna Cesare ha potuto contare sul coraggio e sull’abilità di tre grandi condottieri come il comandante militare Tito Labieno, il luogotenente Gaio Fabio e il questore Marco Crasso.Come già detto, in quell’anno Cesare attraversò il Reno per la seconda volta attraverso un ponte costruito con la usuale ed efficiente tecnica.
La verità è che le popolazioni locali, timorose delle note capacità militari di Cesare, evitarono in tutti i modi di affrontare i romani in campo aperto, ritirandosi velocemente all’interno. Davanti a questo atteggiamento remissivo Cesare preferì tornare indietro. 
Sul posto lasciò tuttavia un’imponente fortificazione sotto il comando di Gaio Vulcacio Tullo.Nella sua azione di vendetta Cesare intraprese con Ambiorige una cruenta serie di battaglie nelle vicinanze di Atuatuca senza mai catturarlo. Ambiorige riuscì, infatti, ad attraversare miracolosamente il Reno facendo perdere le sue tracce. Da rilevare che oggi Ambiorige, grazie alla sua tenace lotta contro Cesare viene considerato in Belgio un eroe nazionale.
Nella cittadina di Tongeren (localizzata dove probabilmente c’era la vecchia Atuatuca Tongorum) è stata eretta un’imponente statua in omaggio al coraggioso condottiero che sfidò Cesare senza essere catturato.Infine, prima di tornare a Roma Cesare convocò a Durocortorum una grande assemblea per condannare la rivolta promossa da Senoni e Carnuti. Fu in quella circostanza che si decise la condanna a morte di Accone. Inoltre, per controllare le zone calde dei Galli, lasciò sul posto ben dieci legioni."


(Maurizio Miranda)
È probabile che i Senoni furono tra quelle bande di Galli che dal Danubio invasero la Macedonia e l'Asia Minore nel corso delle scorrerie balcaniche.



BATTAGLIA DI SENTINO

Detta anche Battaglia delle Nazioni, nel 295 a.c., si svolse durante la III guerra sannitica, tra i Romani alleati coi piceni, e un'alleanza di nemici composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri. Praticamente tutte le popolazioni del centro Italia erano contro Roma che tuttavia vinse.

« Vim Gallicam obduc contra in acie exercitum;
lue patrum hostili fuso sanguen saguinem. »
(Guida le schiere contro i Galli e lava col sangue dei nemici il sangue nostro)
(Accio, Eneadi)

SENTINUM
"Ma, prima che i consoli (Fabio e Decio) giungessero In Etruria, i Galli Senoni mossero in gran numero alla volta di Chiusi, disponendosi ad assalire la legione e l'accampamento dei Romani. Scipione, che aveva il comando del campo, pensando di dover rimediare con la posizione all’inferiorità numerica dei suoi, fece salire l'esercito su un colle che sorgeva fra la città e l'accampamento; ma, come avviene quando si è presi alla sprovvista, s'avviò alla sommità senza aver ben esplorata il cammino. e questa era già stata occupata dai nemici ch'erano saliti da un'altra parte. Così la legione fu presa in mezzo assalita alle spalle e stretta com'era da Ogni parte dal nemico. 
Alcuni affermano perfino che ivi la legione sarebbe stata annientata, al punto che non rimase nessuno da poter dare la notizia, e che l'annunzio di quella sconfitta sarebbe stato recato al consoli, i quali si trovavano ormai non lontano da Chiusi, non prima che fossero in vista i cavalieri dei Galli, che portavano teste appese al petti dei cavalli e infisse su picche, e festeggiavano la vittoria coi loro tipici canti. 
Vi sono di quelli i quali tramandano che erano Umbri, non Galli, e che la sconfitta subita non fu così grave sarebbero stati accerchiati alcuni foraggiatori e in loro aiuto sarebbe accorso dal campo il propretore Scipione insieme coi luogotenente Lucio Manlio Torquato; riaccesasi la battaglia, gli Umbri vittoriosi sarebbero stati vinti a loro volta, e ad essi sarebbero stati tolti i prigionieri e la preda. Più verosimile che ad infliggerci quella sconfitta siano stati i Galli anziché gli Umbri, perché come spesso altre volte, così soprattutto quell'anno la città fu in preda al terrore di un improvviso attacco da parte dei Galli. 
Pertanto, oltre ad essere partiti per la guerra entrambi i consoli con quattro legioni e un grosso contingente di cavalleria romana con mille cavalieri scelti mandati per quella guerra dai Campani, e con un esercito di alleati e di Latini maggiore di quello romano, altri due eserciti furono inviati a fronteggiare l’Etruria non lunge dall'Urbe, uno nel territorio dei Falisci, l'altro nell'agro Vaticano. i propretori Cneo Fulvio e Lucio Postumio Megello. ricevettero entrambi l’ordine di acquartierarsi in quel luoghi."
(Tito Livio - Ab Utbe Condita)

I Sanniti, impegnati nella IIII guerra sannitica, nel 296 a.c. mossero in Etruria con un grande esercito, cercando l'alleanza di Etruschi, Umbri e Galli contro Roma e formarono così una coalizione di quattro popoli, che radunò un grosso esercito nel territorio di Sentino. I Piceni, invece, che avevano visto il proprio territorio settentrionale invaso dai Galli, e ne avevano conosciuto la barbarie, si allearono con i Romani.

A Sentino i Romani e alleati si accamparono a circa quattro miglia dal nemico. Ai Sanniti ed ai Galli fu affidato il compito di dare battaglia ai romani sul campo aperto, ad Umbri ed Etruschi, quello di attaccarne l'accampamento.

I Galli andarono ad occupare l'ala destra, i Sanniti la sinistra. Di fronte ai Sanniti, all'ala destra romana, Quinto Fabio schierò la I e la III legione, mentre contro i Galli alla sinistra Decio schierò la V e la VI.

Fabio adottò una tattica difensiva, mentre Decio impiegò subito la cavalleria, disorientata però dai carri nemici trainati da cavalli, che la fecero sbandare. Anche la fanteria romana iniziò a cedere, per cui Decio Mure, come aveva già fatto il padre, invocò la devotio.

«  Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Veseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini, e avendo aggiunto alla formula di rito la propria intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli dei celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici, e aggiungendo ancora che lo stesso luogo avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti - lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche. »
(Livio, Ab Urbe condita)

Con la certezza della Devotio la fanteria romana si risollevò anche grazie a dei rinforzi inviati dall'altro console. Fabio ordinò l'attacco contemporaneo dei cavalieri e delle riserve. Mentre i Galli riuscirono a resistere compatti, i Sanniti ruppero lo schieramento, e fuggirono nell'accampamento.
Ormai divisi, i Sanniti furono sterminati nella difesa dell'accampamento, e i Galli sul campo di battaglia, dove furono presi alle spalle dalla cavalleria.

« In quella giornata vennero uccisi 25.000 nemici, mentre i prigionieri catturati ammontarono a 8.000. Ma la vittoria non fu certo priva di perdite, visto che tra gli uomini di Decio vi furono 7.000 caduti, tra quelli di Fabio più di 1.700. »
(Livio, Ab Urbe condita .)

Per i Galli Senoni la battaglia di Sentino, che si combatté sul loro territorio, segnò l'uscita di scena del loro potere e i Romani si impadronirono poco tempo dopo di metà del loro territorio.

Dopo la battaglia di Sentino (295 a.c. circa) i romani ebbero il definitivo controllo sulla Campania, l'Etruria, l'Umbria e appunto il territorio tra il fiume Esino e Ariminum, (Rimini) popolato dai Galli Senoni che fu denominato da quel momento Ager Gallicus.

Nel 284 a.c. nacque la colonia di Sena Gallica, la prima sull'Adriatico, sulla ex capitale dei galli. Nel 207 a.c. la città fu base di partenza delle truppe romane che sconfissero sul fiume Metauro i cartaginesi comandati da Asdrubale Barca, fratello di Annibale.

RESTI DEL TEMPIO DI CIVITALBA

IL TEMPIO DI CIVITALBA

"Il tempio di Civitalba sorgeva su un colle che sovrastava la piana di Sentinum dove, all’indomani del sacco gallico di Roma del 373 a.c., aveva avuto luogo la storica battaglia vinta dai Romani contro la coalizione di Galli Senoni, Etruschi, Umbri e Sanniti nel 295 a.c. 
A questo episodio, cui seguì la romanizzazione del territorio fino ad allora controllato dai Galli, allude non velatamente la narrazione del fregio del tempio, dove è raffigurato ad altorilievo lo scontro tra divinità e gruppi di guerrieri, chiaramente riconoscibili come Celti per le loro caratteristiche acconciature (capelli lunghi con creste sollevate, baffi spioventi), gli abiti e le armi (tuniche di pelliccia, scudi quadrangolari oblunghi). 
Nella sequenza, dominata dall’intenso dinamismo dei personaggi, impegnati nella lotta o nella fuga, è evidente la disfatta dei Celti che battono ormai in ritirata abbandonando il bottino appena trafugato, travolgendo con il carro i loro stessi compagni e soccombendo infine alla furia delle divinità."
(Marco Antonini)


GIULIO CESARE

 Al tempo di Gaio Giulio Cesare un gruppo di Galli Senoni viveva nel territorio oggi occupato dai distretti di Seine-et-Marne, Loiret e Yonne. Dal 53 al 51 a.c. furono in guerra con Cesare, che naturalmente li sconfisse e dopodiché scomparvero dalla storia. Furono poi inclusi nella Gallia Lugdunensis.


LA SOCIETA'

I senoni vivevano in abitati rurali, scarsamente popolati. Vivevano spesso del mercenariato, spesso associato alla razzia verso i territori più ricchi del meridione. Usavano l'inumazione in ampie fosse con corredo funebre; il corpo veniva posizionato in supino e con il volto orientato ad ovest, in casse lignee. La camera funeraria veniva sigillata con una pesante copertura di pietre. Esternamente, venivano collocati ulteriori elementi del corredo, quali vasellame, vasi bronzei, offerte in cibo, utensili culinari.
Erano potenti e coraggiosi guerrieri, non rispettavano nè le mogli nè i figli, su cui avevano potere assoluto di vita e di morte, nonostante le loro donne potessero ereditare ed amministrare beni in assenza del marito o alla sua morte.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe Condita - libro V -
- AA. VV. - Italia omnium terrarum alumna - Milano - Grazanti Scheiwiller - 1990 -
- Alessio Cinti - Metus Gallicus - Le ragioni di una conquista - Senigallia - 2011 - Biblioteca di testi brevi - Associazione Sena Nova -
- Cesare - Commentarii de bello Gallico - libri VII-VIII -
- Renato Agazzi - Giulio Cesare stratega in Gallia - Pavia - Iuculano - 2006 -
- Antonio La Penna - Gaio Giulio Cesare, Cesare in Gallia: diari di guerra, civiltà dei Galli - a cura di, Loescher -Torino - 1969 -

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