LEPTIS MAGNA (Libia)



Leptis Magna, conosciuta anche come Lectis Magna in latino e Lepcis Magna nella pronuncia locale, detta anche Lpqy, Neapolis, Lebida o Lebda a tutt'oggi, fu un'importante città dell'Impero Romano. All'inizio fu un grande emporio fondato da uomini di Tiro, città fenicia dell'attuale Libia. La data di fondazione è incerta: dall'XI al VII secolo a.c.

I suoi resti sono locati a Khoms, in Libia, a 130 km a est di Tripoli, sulla costa, dove il fiume Wadi Lebda sfocia nel mare. Con Sabratha ed Oea costituiva l'antica regione degli Emporia, anche conosciuta col nome greco di Tripolitania.

La città, dal 1982 figura nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO, ma durante i recenti scontri in Libia, l'UNESCO ha più volte richiamato le parti in conflitto sulla necessità di salvaguardare i Patrimoni dell'Umanità nel paese.



LA STORIA

La città fu fondata da coloni fenici intorno al 1100 a.c., che le dettero il nome Libico-Berbero di Lpqy. Il territorio dell'antica Leptis era ideale per i Fenici: era un luogo centrale per i traffici con l'Africa ed era facile da difendere. 

SETTIMIO SEVERO
Si trattava infatti di un promontorio poco elevato nei pressi del fiume Wadi Lebda, quindi con acqua a disposizione e passaggio fluviale con l'entroterra, presso una spiaggia ben riparata che permetteva l'ingresso alle navi.
Ma divenne potente solo quando Cartagine divenne la regina del mediterraneo nel IV sec. a.c..


Il dominio di Cartagine

Leptis rimase indipendente amministrativamente ma non economicamente dal 200 a.c., e, come le altre città della Tripolitania, in quanto sotto il dominio cartaginese.

Nel VI sec. a.c. la città fu assalita da un esercito spartano, respinto però dai Cartaginesi, ai quali Leptis rimase sempre fedele, anche durante le guerre puniche.

Con Sabratha ed Oea costituiva l'antica regione degli Emporia, o Tripolitania, di cui Leptis era il centro amministrativo e fiscale. All'inizio lo sviluppo di questi empori fu lento, per espandersi poi più velocemente nel V e IV sec. a.c.. 

Questo perchè Cartagine non incoraggiava la libertà di commercio per il nord Africa, come dimostra il trattato che stipulò con Roma nel 507 a.c. e nel 348 a.c.. Il traffico navale commerciale era proibito da tutti i porti dell'Africa fenicia eccetto che da Cartagine.

Inoltre le tasse cartaginesi erano ingenti, Tito Livio (59 a.c. - 17 d.c.) informa che il tributo su Leptis ammontava a un talento di argento al giorno, equivalente al salario giornaliero di 2.500 lavoratori. 
Peraltro in tempo di guerra, i cittadini di Leptis dovevano fornire a Cartagine reclute e rifornimenti, perchè era proibito alla città mantenere un esercito e navi proprie.


Il dominio di Roma

Peraltro Sallustio, nominato Governatore della Numudia (46 a.c.) da Cesare, scrive che Leptis aveva proprie leggi e propri magistrati. Tutto ciò fino alla fine della III Guerra Punica nel 146 a.c. quando Leptis divenne parte della Repubblica Romana. 

Nelle battaglie contro Giugurta, re di Numidia, che aveva ucciso i commercianti italici di Cirta, gli abitanti di Leptis fornirono ai Romani navi da trasporto e furono ricompensati col titolo di città federata di Roma.

Così Leptis poté conservare magistrature puniche. Come al solito Roma consentì alla città di conservare il proprio pantheon come Melqart, assimilato poi all'Ercole dei Romani. Vi aggiunse naturalmente i propri Dei ma senza imposizioni di culto. Anche nella lingua Roma fu liberale, Leptis si continuò ad utilizzare la lingua punica insieme al latino.

Durante il conflitto tra Cesare e Pompeo però Leptis si schierò con quest'ultimo e questo le costò un tributo annuale in olio di oliva e la riduzione a "città stipendiaria". Secondo le fonti Leptis avrebbe pagato ogni anno a Roma ben tre milioni di libbre d'olio, ma la città era ricca di oliveti lungo la fascia costiera.

ARCO DI SETTIMIO
L'imperatore Augusto, realizzato che la ricca provincia africana pagava molti tributi, stabilì che dovesse essere accuratamente difesa, così inviò la III Legio Augusta a proteggere l'Africa. Ciò avvenne all'incirca nel 30 a.c., sicuramente a Theveste, che già faceva parte dell'impero dal 146 a.c. e dove stabilì il castrum la III Legio finchè non fu trasferita a Lambaesis.

Leptis Magna rimase abbastanza indipendente fino al regno dell'imperatore Tiberio, quando la città e i suoi dintorni furono effettivamente incorporati nell'Impero come parte della Provincia d'Africa. Da allora prosperò sotto Roma e divenne uno dei più grandi centri commerciali africani. 

Leptis iniziò la sua grandezza soprattutto nel 193, quando un suo figlio nativo, il berbero Lucio Settimio Severo, divenne imperatore. Egli ovviamente favorì Leptis sopra le altre città di provincia, ingrandendola, abbellendola e facendone la terza città dell'Africa, rivaleggiando con Cartagine e Alessandria.

Nel 205, Settimio con la famiglia imperiale visitò la città e ne ricevette grandi onori. Anzitutto egli vi fece edificare un grande foro con capienti magazzini e la fece estendere sul territorio. Il porto naturale aveva tendenza a insabbiarsi ma con le modifiche e i lavori di Settimio paradossalmente la situazione peggiorò, una delle cause del declino della città. Si salvò solo la parte orientale, che per quanto molto usata, si conserva ancora oggi.

Durante la crisi del III sec., la città declinò e perse d'importanza, finchè verso la metà del IV sec. venne abbandonata.
Ammiano Marcellino narra che la situazione si aggravò a causa di un governatore romano corrotto che durante un'incursione tribale chiese tangenti per proteggere la città.
La città in rovina non poteva pagare e quindi denunciò il governatore all'imperatore Valentianiano.
Ma il governatore corruppe la gente di corte accusando gli inviati Leptani che dovevano essere puniti "per aver portato false accuse".

La città ebbe una piccola rinascita a partire dal regno dell'imperatore Teodosio I. Nel 439, Leptis Magna e le altre città della Tripolitania caddero sotto il controllo dei Vandali col loro re Gaiseric, che per dare un esempio agli altri popoli sottomessi, fece spianare la città.

Belisario ricatturò Leptis Magna in nome di Roma nel 534, distruggendo il regno dei Vandali.. Leptis divenne capitale dell'Impero Romano d'oriente ma non fu mai ricostruita dalla distruzione dei Berberi.


DESCRIZIONE

Augusto fece dell'Africa un'unica provincia e concesse a Leptis il privilegio di autogovernarsi e l'esenzione dai tributi. Leptis fu trasformata in una vera e propria città romana, con una pianta a scacchiera delle vie cittadine, avente al suo centro l'incrocio tra il cardo e il decumano.

Nella parte più antica, dove sorgeva ancora la città punica, si progettò il Foro Vecchio. Qui sorgeva il tempio dedicato a Melquart, che divenne un santuario dedicato a Roma e Augusto. Accanto però fece erigere altri due templi dedicati a Bacco-Liber Pater ed a Melquart, associato ad Ercole. I tre santuari comunicavano tra loro per mezzo di arcate poste al livello del foro. Successivamente, tra il I e il II sec. d.c., nella stessa area vennero costruite la basilica e la curia.


Evergetismo

Incoraggiati dalla bellezza dei nuovi edifici diversi nobili locali iniziarono quel fenomeno di "evergetismo" che fu da sempre caratteristico di Roma. Per crearsi un lustro e farsi propaganda dei cittadini facoltosi facevano erigere a proprie spese degli edifici pubblici o abbellivano quelli preesistenti, avendone in cambio la possibilità di un'epigrafe che lo ricordasse ai presenti e ai posteri.

- Un benefattore del luogo di nome Iddibal patrocinò la costruzione di un tempio dedicato a Cibele accanto all'area civile romana.
- Un altro benefattore, Annibale Tapapio Rufo, per emulare Augusto fece costruire, nel 9 d.c. il macellum, mercato di carne e di pesce.
- Dieci anni dopo, Rufo fece costruire un teatro che, nella parte inferiore, era completamente scavato nella roccia e aveva un palcoscenico spettacolare, restaurato e coperto di marmi nel II secolo d.c..
- Nel 35 d.c. Suphunibal, figlia di Annibale, fece edificare, nella parte superiore della gradinata, un tempio dedicato a Cerere.
- Iddibal Cafada Emilio, un altro benefattore, eresse il Calcidico, un edificio di cui non si conosce la destinazione, forse a mercato di stoffe.


La via colonnata

MARCO AURELIO GIOVANE
Per mettere in comunicazione il porto con la parte meridionale di Leptis venne costruita una grandiosa via colonnata, lunga 400 m e larga 44. Essa collegava il porto alle terme e terminava in una piazza ottagonale decorata con un ninfeo.

Ciascun lato di questa imponente via era dotato di 125 colonne di marmo verde con venature bianche, sulle quali poggiavano delle arcate.

Il Foro Nuovo è, però, l'elemento architettonico più scenografico di Leptis.

Detto Foro Severiano, da Settimio Severo, comprendeva anche la basilica, ed era una piazza chiusa di m 100 per 60, con pavimento in marmo.

Il tempio principale era con otto colonne in marmo rosso su basi bianche e decorate con una gigantomachia in rilievo che rappresentavano gli Dei del pantheon romano e quelli orientali che combattevano contro giganti dal corpo serpentiforme.

Il portico tutt'intorno al foro si reggeva su un centinaio di colonne di marmo verde venato, poggiate su basi in marmo bianco, quest'ultimo impiegato anche per i capitelli.

Gli archi sostenuti dai capitelli recavano scolpiti mostri della mitologia. Sotto le arcate della piazza sorgevano diversi edifici commemorativi.

La basilica, vicina al foro, era l'edificio più prezioso di tutta Leptis. Fu iniziata da Settimio Severo e terminata dal figlio Caracalla nel 216 d.c.. Era lunga 92 m e larga 40 e divisa in tre navate. Il secondo piano era sostenuto da 40 colonne in granito rosso egiziano.

Intorno al 300 d.c. la riforma territoriale voluta da Diocleziano divise l'impero in province, prefetture e diocesi e Leptis, con l'area confinante, venne inserita nella Tripolitania.

Il IV secolo d.c. fu inaugurato in modo funesto da due forti scosse di terremoto che causarono alla città gravi danni. Malgrado ciò, Leptis parve riprendersi sotto Costantino: furono nuovamente innalzate le mura cittadine che il terremoto aveva sbriciolato.

Nel 365 d.c., però, un nuovo terremoto distrusse numerosi monumenti che non vennero più ricostruiti per mancanza di fondi. Intervennero, poi, diverse sommosse a carattere religioso, quando la Tripolitania venne coinvolta nella lotta contro l'eresia donatista, nata tra coloro che rifiutavano di riconoscere quei vescovi che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano e avevano consegnato ai magistrati i libri sacri.

Intorno al 430 d.c. i Vandali diedero a Leptis il colpo di grazia, saccheggiando una città oramai ridotta in miseria. Nel V secolo, poi, si verificarono delle rovinose inondazioni dovute al cattivo drenaggio del Wadi Lebda e tempeste di sabbia seppellirono interi isolati e monumenti.

Quando i Bizantini occuparono Leptis costruirono delle mura difensive per il porto, mentre il resto della città rimase in uno stato di completo abbandono, tranne una piccola basilica situata in un angolo del Foro Severiano e il tempio di Roma e Augusto che era stato trasformato in chiesa.

Nel 634 le truppe arabe si impadronirono di quel che rimaneva di una splendida città. Sopravvisse solo un piccolo villaggio, sorto nel luogo in cui i Fenici si erano stabiliti ben 1700 anni prima. Un'invasione di nomadi, però, spazzò via il villaggio, che scomparve nell'XI sec. Le sabbie del deserto finirono per ricoprire Leptis fino a cancellarne ogni traccia.



I COMMERCI

Dall'area interna di Leptis provenivano molti prodotti particolarmente apprezzati dai romani: le zanne d’elefante per l'avorio, i leoni di Numidia per i circhi, la malachite per i gioielli, le pelli per i tappeti, gli schiavi e, dalla costa, come narra Plinio, una particolare qualità di garum e dei pesci amari molto ricercati.

ARCO DEL MERCATO
Tutto ciò si dipartiva dal porto di Leptis per consegnare le merci a Roma e nel resto dell’impero.

L’altra ricchezza era l’agricoltura, perchè Fenici prima, e i Romani poi, compirono il miracolo di trasformare i vasti territori predesertici in frutteti e oliveti. Pertanto si produceva olio, frumento, e anche della vite.

Il rinnovamento edilizio che seguì la pace augustea diede anche impulso a una corrente artistica di notevole importanza e nella città si trapiantò un’intera officina di scultori proveniente da Afrodisia (Turchia).

Sui modelli e sul gusto romani l'edilizia monumentale prese piede profittando pure delle adiacenti; il marmo, proveniente soprattutto dalla Grecia e quindi più caro, venne adoperato soltanto per le decorazioni.

Comunque i più grandi costruttori, durante i primi due secoli dell’Impero, furono proprio i privati cittadini; essi, semiti di stirpe punica o libio-punica, come mostrano i loro nomi (es. Annobal = Baal ha fatto la grazia), aggiungevano al proprio un nome romano, segno di voler sentirsi parte del nuovo mondo romano, così civile, raffinato e ricco di possibilità.

Nelle iscrizioni infatti, compare spesso l’appellativo di amator civium e di ornator patriae, segno di un sentimento di amore per la bellezza della propria città e per il vantaggio dei propri concittadini.



LE SCOPERTE 2005

Nel giugno 2005,  gli archeologi della University of Hamburg, lavorando sulla costa libica, rinvennero per una lunghezza di 30 piedi cinque splendidi mosaici policromi creati datati al I o II sec.

TESTA DI MEDUSA - FORO SEVERIANO
I mosaici mostrano con chiarezza eccezionale un guerriero in combattimento con un cervo, quattro giovani uomini che lottano con un toro selvaggio buttato a terra, e un gladiatore che riposa in uno stato di affaticamento, fissando il suo avversario ucciso.

I mosaici decoravano le pareti di una piscina con acqua fredda in un bagno privato all'interno di una villa romana a Wadi Lebda in Leptis Magna.

Uno di questi famosi mosaici, il mosaico "gladiator" è ritenuto dagli studiosi come uno dei migliori esempi di rappresentazione musiva mai visto, un "capolavoro paragonabile in qualità con l'Alexander Mosaico a Pompei."

I mosaici sono stati inizialmente scoperti nel 2000, ma sono stati tenuti segreti per evitare saccheggi. Sono attualmente in mostra al Museo di Leptis Magna.

Nel 1686 e nel 1708, il console di Francia a Tripoli, con il consenso delle autorità ottomane, evidentemente attirate molto dal denaro e meno esperte di arte e archeologia, spoliò di colonne e marmi quel che restava visibile di Leptis ed inviò tutto in Francia, dove il prezioso materiale venne utilizzato per edificare la reggia di Versailles. Altri marmi, in seguito, finirono a Londra e nel castello dei Windsor.

Il primo intervento scientifico in loco fu quello dell'epigrafista italiano Federico Halbherr, nel 1910, condotto con lo storico Gaetano De Sanctis.

Quando l'Italia occupò la Libia, nel 1911, ebbe inizio lo scavo sistematico della città. Il soprintendente per l'archeologia della Tripolitania, Salvatore Aurigemma, raccolse moltissimo materiale.

Il primo, però, a scavare sistematicamente l'antica Leptis fu Pietro Romanelli che, tra il 1919 e il 1928, scoprì le terme e la basilica di Severo.



I MONUMENTI FUORI LEPTIS

Nel 1686 e nel 1708, il console di Francia a Tripoli, con il consenso delle autorità ottomane, spoliò di colonne e marmi quel che restava visibile di Leptis ed inviò tutto in Francia, dove il prezioso materiale venne utilizzato per edificare la reggia di Versailles.

Parte di un antico tempio è stato portato da Leptis Magna al British Museum nel 1816 e installato presso la residenza reale Forte Belvedere in Inghilterra nel 1826.

Ora si trova entro il Windsor Great Park. Le rovine si trovano tra la riva sud del fiume Virginia Water e la strada Blacknest vicino al bivio con la A30 London Road e Wentworth Drive.



I MONUMENTI A LEPTIS

I principali:

- uno stupendo teatro di impianto augusteo;
- un mercato del I secolo a.c., modificato sotto Tiberio, ma che risale all’VIII sec. a.c.:
- le Terme adrianee;
- l'Arco di Severo, l'arco del 37 in onore di Tiberio, un altro arco quadrifronte di Traiano;
- il Nuovo Foro;
- un ippodromo;
- un anfiteatro;
- un circo;
- una basilica;
- tre templi;
- un’esedra monumentale;
- la curia;
- il calcidico (forse mercato per particolari merci);
- i modiglioni di ormeggio alle banchine del porto;
- resti di un tempietto dorico;
- resti del tempio di Giove Dolicheno;
- resti del faro;
- resti di case e ville;
- l’anfiteatro;
- ruderi di mausolei;
- le terme extraurbane;
- due fortezze sulle colline, per la difesa del limes tripolitanus.



LE MURA

Sembra che la città fosse già difesa da mura in età punica, e lo fu sicuramente al principio dell'Impero, perché lo testimoniano le fonti letterarie. La cinta muraria che sopravvive sul lato occidentale dal mare alla Porta di Oea ed oltre, con altri tratti sulla destra del torrente, è molto tarda, del III o IV sec. d.c., infatti fu costruita in gran parte con materiale di spoglio, giusto all'epoca della iconoclastia cristiana, cui seguì più tardi, l'iconoclastia islamica.

Sono invece di età bizantina le mura a ovest e a sud del Foro Vecchio dove la porta tra due torri quadrangolari immette nel cardo massimo. Le torri avevano un ristretto interno: del primo l'elemento meglio conservato è l'arco della porta; il secondo è probabilmente di età bizantina, ma forse ha sostituito una costruzione precedente: frammenti di un'iscrizione trilingue, latina, greca e neopunica, menzionano infatti un delubrum Caesaris.

Le mura costeggiano poi il Foro severiano, e continuando sulla destra del torrente dietro al bacino del porto. Da qui inizia un tratto più largo, sempre di età bizantina, come avessero deciso subito dopo la costruzione di allargare le difese.


Non si sa nulla invece delle mura dell'alto Impero che forse aveva solo un dosso di terra con fossato, che, dai cosiddetti Monticelli di Lebda a sud, terminasse ad oriente sulla destra del fiume all'altura di Sidi Barku presso il circo, per una lunghezza di circa 5,5 Km. Il che farebbe pensare ad una difesa di emergenza, forse per l'incursione dei Garamanti nel 69 d.c. Fino ad età molto tarda, la città non ebbe mura dalla parte del mare.

Contando che l'area compresa nelle mura del III-IV sec. si estende per circa 130 ettari, ma che esclude una larga parte della Leptis tardo-imperiale, si calcola che la città coprisse una superficie di circa 200 ettari.

IL PORTO

IL PORTO

Esso fu il principale porto della regione (Tripolitania) fra le due Sirti, detta in antico degli Emporia.
Il porto fu trasformato sotto Settimio Severo, che vi eresse un faro di cui restano solo le fondamenta.
Il faro era alto più di 35 m e secondo le fonti antiche era simile al più rinomato faro di Alessandria.

Delle installazioni portuali si conservano il molo orientale, i magazzini, le rovine di una torre di osservazione e una parte delle banchine utilizzate per il carico delle merci.
Nei pressi del porto si conservano i resti del tempio dedicato a Giove Dolicheno, con la sua scalinata.

Paradossalmente il tentativo di ingrandire e migliorare il porto fu la causa del suo declino.
Gli ingegneri romani sbagliarono i calcoli volendo ampliare il porto naturale con il risultato che il bacino si insabbiò poco a poco.



IL CHALCIDICUM

CHALCIDICUM
Il chalcidicum si trova nell'isolato immediatamente a ovest dell'arco di Traiano.

Costruito nel I sec. d.c., durante il regno di Augusto, ha un portico colonnato collegato alla via Trionfale per mezzo di una serie di gradini.

Al suo interno sorgeva un tempietto in onore di Augusto e di Venere, nume tutelare suo e di tutta la gens Iulia, e si conservano fusti in marmo cipollino e capitelli corinzi del II sec.d.c.

Presso l'angolo orientale si può notare un basamento a forma di elefante.



IL FORO VECCHIO


L’area del Foro, parte del più antico nucleo urbanistico della città, venne abbellita e ampliata da Augusto (27 a.c.-14 d.c.). La grande piazza trapezoidale era dominata da due grandi templi originariamente dedicati agli dei patri, Shadrapa (Liber Pater) e Milk’Ashtart (Ercole).

Il tempio di Ercole sarà da Tiberio (14-37 d.c.), ridedicato, ospitando il culto imperiale di Augusto e Roma, con dentro la cella un magnifico ciclo di statue della dinastia giulio-claudia. Successivamente si aggiunge un terzo tempietto, probabilmente per ridare ad Ercole il suo culto.


I tre templi del lato nord-ovest del Foro Vecchio:

1) Tempio di Liber Pater
2) Tempio di Roma e Augusto
3)  Tempio di Ercole; 
4) insediamento punico
5)  Curia;
6)  Basilica vetus
7) Tempio della Magna Mater
8) Trajaneum, poi basilica cristiana
9) esedra severiana
10) tempio a tre celle
11) battistero
12) fortificazione bizantina 

Il foro vecchio, il cui primo impianto risale ad Augusto, e su cui sorse una basilica trasformata poi in cristiana è il foro più antico di Leptis Magna, ed era al centro della vecchia città punica, dominata dal culto di Šadrafa-Liber Pater.

LA PALESTRA DELLE TERME

L'EMPORIO

Si sa dai saggi eseguiti che sotto la piazza del Foro Vecchio giace una serie di strutture fenicio-puniche nella parte est, certamente il famoso emporio punico di età tardo ellenistica. Evidentemente Augusto ordinò la nuova edificazione della piazza, naturalmente di architettura romana, con portici colonnati sui tre lati, a cura del proconsole Cneo Calpurnio Pisone nel 4-6 d.c. Dovette essere nuovamente lastricata nel 53-54 d.c. sotto l'imperatore Claudio.



I TRE TEMPLI   (del Foro Vecchio)

Entrando nel foro dalla Porta bizantina, si vedono le rovine di tre templi su alto podio. A sinistra il tempio d'età augustea tradizionalmente attribuito a Liber Pater, un Dio italico allegro e licenzioso come Bacco, ma secondo alcuni fu dedicato a Giove, di cui resta solo il podio e pochi resti della cella. Probabilmente hanno ragione entrambi, poichè il Dio Libero, o Liber Pater fu pian piano sostituito col Dio Iuppiter, cioè Iovis Pater.

Al centro della piazza si erigeva il tempio di Roma e di Augusto, dove l'imperatore era protetto dalla Dea in quanto imperatore e in quanto Dio. Fu costruito tra il 14 e il 19 d.c. in pietra calcarea, fronteggiato da un'alta tribuna decorata da rostri, che fungeva da palco  per gli oratori che arringavano la folla. 

I colonnati dei due templi maggiori furono rifatti in marmo nel II secolo d.c., ma una semicolonna originale del tempio di Roma e Augusto è rimasta sempre in piedi. A destra si hanno i resti del tempio di Ercole, il più rovinato dei tre, infatti le pareti del podio e il colonnato sono opera di restauro.



BASILICA VETUS   (del Foro Vecchio)

La basilica non si affacciava sulla piazza del Foro Vecchio, ma su una stradina che si dirigeva verso il Tempio Flavio e quindi verso la banchina occidentale del porto. Sul lato opposto della piazza restano alcuni fusti di colonna in granito grigio, fortemente erosi, vestigia dell'antica basilica civile, eretta nel I sec. d.c. e ricostruita nel IV sec. dopo un incendio. Accanto era collocata la curia del II sec. d.c.

A sinistra dell'ingresso alla piazza è un edificio di età traianea, in seguito trasformato in chiesa bizantina, di cui restano l'abside, le navate laterali e il nartece (piccolo atrio tuttora presente nelle chiese cattoliche). Al centro del foro si notano un piccolo battistero con vasca a pianta a croce e un'esedra.

E' stato scritto che i due grandi fori siano paragonabili per estensione e per magnificenza ai fori imperiali di Roma. Sembra un po' esagerata ma di certo erano magnifici.



LA CURIA (del Foro Vecchio)

La Curia di Leptis non si trovava sulla piazza del Foro Vecchio, ma su una stradina che si dirigeva verso il Tempio Flavio e quindi verso la banchina occidentale del porto. Sulla stessa via insiste uno dei suoi ingressi della basilica vetus, prima metà del I sec. - II sec.

La Curia,eretta su alto podio, affaccia verso sud-ovest con una fronte colonnata come la fronte del Calcidico sulla via Trionfale
La Curia, sorta agli inizi del IV secolo, tramandava nella sua planimetria quella della Curia Julia di età augustea.  Insomma un templum cum porticibus sviluppato su di un’area di 1.760 mq, ben più grande di quella dello stesso Tempio di Roma e Augusto, uno tra i maggiori di Leptis.



IL FORO SEVERIANO (O FORO NUOVO)

Il foro imperiale (o Severiano), era costituito dalla piazza forense, circondata all’interno da un portico quadrangolare, con portici e botteghe, un grande tempio e la monumentale basilica. Il nuovo foro, di circa 10.000 mq, quadrangolare e riccamente adornato di marmi importati e di granito, aveva al suo centro un tempio dedicato all'Imperatore Severo e alla sua famiglia imperiale.

FORO SEVERIANO
Le architetture di epoca severiana sono ovviamente le più ricche. Il foro nuovo della città, il cui porticato è ornato da enormi e bellissime teste di Vittoria e di Medusa, tutte diverse e con diverse espressioni. 

Di fronte alle teste rimaste intatte sono visibili alcuni pannelli verticali con iscrizioni dedicatorie che fungevano da plinti per le statue. La basilica conserva rilievi su pilastri con le fatiche di Ercole e altri straordinari decori.
Il progetto di abbellimento e ampliamento della città voluto da Settimio Severo prevedeva anche la ristrutturazione del centro cittadino, che fu da lui trasferito dal vecchio foro ad uno nuovo, dedicato stavolta alla sua dinastia imperiale.

Il nuovo Foro presentava così un magnifico scenario di colonne in cipollino con basi e capitelli in marmo bianco, del tipo cosiddetto romano-asiatico, molto diffusi nel II-III secolo d.c.  La trabeazione e gli archi sono, invece, in pietra; grandi clipei di Gorgoni e di Scilla e di Medusa sporgono da medaglioni inseriti negli spazi triangolari tra arco e arco. Di questi se ne conservano ben 70. Tutta la piazza era pavimentata in marmo, di 100 m per 60 ed era circondata da portici ad arcate.

Erano rappresentazioni simboliche della Dea romana che spaventava i nemici di Roma. Gli archi erano di pietra calcarea, mentre le teste erano scolpite in marmo. Davanti alle colonne dei portici erano basamenti per statue, che conservano le iscrizioni dedicatorie.

Sul lato sud-occidentale del foro sorgeva il tempio dedicato alla dinastia dei Severi, del quale rimangono soltanto la scalinata, il podio e un magazzino sotterraneo. Ad esso appartenevano pure alcuni fusti di colonna in granito rosa che si trovano sparse per il foro. Tutto il foro era interdetto al traffico, insomma era una zona pedonale.

Appoggiato al muro perimetrale del foro, si erige il tempio della Gens Septimia. Sembra che ciò che rimane del foro sia solo un’ala del progetto originario, stroncato dalla morte dell’imperatore Caracalla, (211-217 d.c.), e che doveva essere di raccordo tra il Foro nuovo e il vecchio di raccordo al foro vecchio. Oggi del tempio rimangono soltanto la scalinata, la piattaforma e un magazzino sotterraneo. Ad esso appartenevano pure alcune colonne di granito rosa che si trovano sparse per il foro.


RICOSTRUZIONE DEL TEATRO


IL TEATRO

Il teatro di Leptis fu eretto nel I secolo d.c., come mostrano le iscrizioni celebrative apposte da ricchi cittadini di Leptis con i finanziamenti di un ricco benefattore leptitano, Annibal Rufus.

Più tardi, un altro nobile della città dedicò la porticus post scaenam del teatro stesso, cioè il porticato posto tra il teatro e il mercato, con un tempio agli Dei Augusti, che in quel tempo erano Cesare, Augusto, Livia, come segno di lealtà verso la casa imperiale. E' stato uno dei primi teatri in muratura dell'impero romano.


TEATRO
Esso è il secondo dell'Africa per dimensioni (dopo quello di Sabratha) e fu costruito sul sito di una precedente necropoli punica utilizzata tra il V e il III sec. a.c.

Aveva il palcoscenico in marmo e il frontescena, ancora visibile, a facciata monumentale, con tre nicchioni semicircolari e un triplice ordine di colonne.

PALCO DEL TEATRO

L'edificio risale all'epoca di Antonino Pio (138-161 d.c.). Vi si trovavano numerose sculture che raffiguravano divinità, imperatori e cittadini illustri, di cui due superstiti sono ancora nella loro posizione originaria: la statua di Bacco, ornata da viti e foglie, e quella di Eracle, con la testa ricoperta da una pelle di leone.

La cavea originaria del teatro era stata scavata nella roccia nel 90 d.c. i gradini riservati ai seggi dei notabili della città furono ricavati subito sopra l'orchestra, separati da quelli del pubblico pagante da una massiccia balaustra di pietra. In cima alla cavea si trovavano alcuni tempietti e un porticato con fusti di colonna in prezioso marmo cipollino.

PLASTICO DI UNO DEI 2 OTTAGONI DEL MERCATO

IL MERCATO

Il mercato venne edificato nel 9 a.c. da un magistrato locale, come attesta un’iscrizione lunga ben 13 m, posta sul lato sud-ovest, ovvero la fronte principale durante la prima fase del mercato sotto il regno augusteo.

Sul lato sud del mercato si trovano le basi marmoree dei banchi del pesce decorate con coppie di delfini.

Poi venne ricostruito durante il regno di Settimio Severo: alcune colonne con capitello di marmo risalgono all'epoca severiana. Questo mercato fu realizzato in pietra calcarea ricoperta di marmo, era di forma rettangolare ed aveva un cortile porticato, a colonne tonde e colonne angolari squadrate, sul quale vennero eretti due padiglioni ottagonali ricostruiti oggi sui modelli originali.


IL MERCATO NELLA SUA INTEREZZA

Il padiglione settentrionale sembra riguardasse il commercio dei tessuti e conserva, anch'essa in copia, una tavola di pietra (l'originale è custodito nel museo), del III sec. d.c., su cui sono incise le principali unità di misura: il braccio romano o punico (51,5 cm), il piede romano o alessandrino (29,5 cm) e il braccio greco o tolemaico (52,5 cm). Cosa si vendesse nell'altro padiglione non si sa.

RESTI DEL MERCATO

Hannobal Tapapus Rufus, figlio di Hilmico, lo costruì dunque a proprie spese e lo inaugurò nel 9 - 8 a.c., creando uno dei mercati più funzionali e più belli dell'antichità. Praticamente una rotonda con quattro portici intorno ai quali erano disposti i banconi sopra i quali si esponeva la merce.

Mense e banchi di esposizione e di vendita correvano a 360° negli intercolumni del portico ottagonale di calcare.

Nei portici che circondano i due tholoi c'erano dei tavoli. Uno di questi ha una iscrizione, noto come IRT 590:

"TIberivs CLaudivs AMICVS MARCVS HELIODORVS Apollonide aediles mensas Pecvnia Sva Dono Dedervnt"

il che significa che questi due uomini erano degli edili che avevano pagato di tasca propria i tavoli che avevano ordinato di fare. Queste ostentazioni di potere, fatte beneficando la popolazione, purtroppo non esistono più da nessuna parte.

LA BASILICA SEVERIANA

LA BASILICA (Foro Nuovo)

La Basilica fu una delle più grandi costruzioni edificate a Leptis La Grande. Misurava 525 piedi (160 m) di lunghezza e 225 piedi (69 m) di larghezza.

La basilica era a tre navate, con una sala colonnata fornita di un'abside abside a ciascuna estremità. A fianco delle absidi stavano le lesene riccamente scolpite e raffiguranti la vita di Dioniso e le dodici fatiche di Ercole (entrambi favoriti della famiglia Severo).  Il secondo piano era sostenuto da 40 colonne in granito rosso egiziano, il  marmo rosa di Siene, che veniva usato spesso per gli obelischi.

Edificata nel I sec. d.c. fu ricostruita nel IV sec. Doveva essere chiusa su quattro lati da un colonnato di cui oggi restano solo due colonne di granito. Il suo disegno imitava quello della Basilica Ulpia a Roma.

Visto che Settimio Severo, per ragioni di spazio, non potè costruire un foro a lui dedicato nell'Urbe come avevano fatto Cesare, Augusto, Nerva e Traiano, decise di dedicarsene uno nella città natia di Leptis.

LA BASILICA

La decorazione del marmo, specie nei disegni floreali, veniva realizzata con una tecnica speciale: il disegno era bucherellato in modo che la luce creasse giochi d'ombra, cioè acuendo i contrasti in modo da staccare di più i rilievi. Le decorazioni sui marmi del ninfeo erano ovunque, anche nei punti quasi invisibili. 

Due lunghe iscrizioni celebrano l'inizio, a opera di Settimio Severo, e il completamento, a opera di Caracalla, della basilica. In una seconda iscrizione si citano tutti gli imperatori, a cominciare da Nerva che lo hanno preceduto, con l'intento di legittimare il suo potere. La lista non include Commodo, suo figlio Marco Aurelio e suo fratello Geta. 

La decorazione della basilica era estremamente varia e molto probabilmente proveniva da Afrodisia (la città sede di una scuola di scultori e marmorari attivi soprattutto a Roma). I rilievi sono eseguiti con grande perizia, ma soprattutto se ne ricava l'impressione che avesse un intento puramente decorativo, più che per evocare miti, simboli o poteri vari.

L'ANFITEATRO

L'ANFITEATRO

Posto presso Leptis Magna, a poche centinaia di km a est di Cartagine e a circa 130 km dall'odierna Tripoli, l'anfiteatro venne costruito nel 56 durante il principato dell'imperatore Nerone approfittando della cavità di una vecchia cava di pietra.

L'anfiteatro, piuttosto vicino al mare, era interamente scavato in una depressione naturale, secondo alcuni in una cava dismessa, ma non tutti sono d'accordo, a sud est della città, e poteva ospitare 15.000-16000 persone.

Poichè la pietra sottostante è assolutamente identica a quella dell'anfiteatro, l'potesi della vecchia cava sembra attendibile.

L'asse maggiore dell'ellisse misura 100 m di lunghezza mentre quello minore 80 m. Anch'esso nacque per un fenomeno di evergetismo, cioè donato da una potente familia del luogo alla popolazione per immortalare il proprio nome nell'anfiteatro e guadagnarne la gloria.

Un'iscrizione informa che l'anfiteatro fu edificato da Marcus Pompeius Silvanus Staberius Flavinus d'Africa, nel terzo anno del suo officio, e che Quintus Cassius Gratus era il suo vice. Il monumento era dedicato all'imperatore Nerone e venne terminato infatti nel 56.

ANFITEATRO

I primi gradini erano riservati all'elite Lepcitaniana, e dalle iscrizioni possiamo dedurre che preferivano il lato sud-est, dove erano esposti a un dolce venticello.

L'arena misura 57 x 47 m. Oggi, gran parte è coperto con lastre di pietra che una volta erano sui sedili, e altri pezzi di pietra naturale. Tra queste pietre è un altare di Nemesi, la Dea del destino, una divinità preferita negli anfiteatri, dove il destino imperscrutabile decideva ogni giorno la vita e la morte dei combattenti dell'arena.

VISTA AEREA DI ANFITEATRO E CIRCO

IL CIRCO

Pur essendo più giovane dell'anfiteatro è più spoglio di questi, essendo meno ricoperto dalla sabbia e quindi più visibile e pertanto più spoliabile delle sue pietre, dei suoi marmi e delle sue statue.


RESTI DEL CIRCO

Dietro l'anfiteatro, più vicino al mare, ecco dunque il circo, a circa un km dalla città, che è circa un secolo più giovane dell'anfiteatro. Di notevole lunghezza, circa 450 m. doveva accogliere non solo la gente di Leptis, ma anche gli abitanti dei centri vicini, senza alcun intralcio per la città, essendone costruito fuori.

Esso è molto capiente, molto lungo con un lato diritto e uno tondo, come tutti i classici circhi romani, si calcola che circa 16.000 persone potrebbero essere sistemati in tribuna.

Sembra che l'arena venisse usata spesso sia per le lotte con le belve feroci che tra gladiatori. Ma soprattutto veniva usato per le corse dei cavalli. Sembra che ne resti ben poco, anche se in parte è ancora da scavare.



LA VIA COLONNATA

La piazza antistante il Ninfeo segnava l'inizio di una via monumentale, fiancheggiata da portici colonnati, diretta al porto. La strada era colossale, larga più di 20 m e lunga circa 400 m., fiancheggiata da 125 colonne con fusto in marmo cipollino, verde con venature bianche, e basi e capitelli in pentelico, su cui poggiavano delle arcate.

Le arcate sostenevano a loro volta dei giganteschi clipei, tutte teste di medusa ma ognuna diversa dall'altra.
Poiché collegava le terme e il nuovo foro dei Severi con il lungomare, era una delle strade più importanti della città. Doveva essere estremamente suggestiva soprattutto per la prospettiva del faro della città che, dal bacino portuale, si elevava perfettamente in asse con la via.

Essa raccordava l'Antico Foro col Nuovo Foro.


ARCO DI SETTIMIO SEVERO

GLI ARCHI

Sul decumanus si allineavano due archi monumentali: l'arco a due fronti che fu incorporato nelle mura del tardo Impero, e divenne quella che oggi chiamiamo la Porta di Oea, e l'arco a quattro fronti scoperto recentemente, e tuttora inedito, ancora più ad occidente.
Il tratto del decumanus tra l'Arco dei Severi e la cosiddetta Porta di Oea, scavato recentemente, presenta sulla sua destra la fronte di un edificio non identificato, costituito da un cortile porticato absidato sui lati minori e nicchie sul lato lungo, di fronte all'ingresso. Segue un edificio termale e abitazioni di età tarda, quindi un tempio all'interno di un cortile porticato.



ARCO DI ANTONINO PIO

Il primo, che sembra fosse eretto in onore di Antonino Pio, era ornato di colonne in avancorpo, due ai lati di ogni fornice, secondo lo schema solito, e alla sua decorazione dovettero appartenere un frammento con figura di Vittoria ed un altro con una grande egida con la testa di Gorgone.



ARCO DI MARCO AURELIO

Si questo non restano che le basi dei quattro piloni, con una colonna inserita nell'angolo esterno. Apprendiamo dall'iscrizione che fu eretto nell'anno 174 in onore di M. Aurelio, essendo proconsole d'Africa C. Settimio Severo, zio del futuro imperatore, e questo legato del proconsole.


ARCO DI SETTIMIO SEVERO

ARCO DI SETTIMIO SEVERO

All'incrocio del decumano massimo col cardo massimo stava l'arco quadrifronte dei Severi; un cippo della strada costruita nel 15-16 d.c. da L. Elio Lamia, ci dice che qui era il limite dell'abitato urbano.

Un grande architrave con l'iscrizione Augusta Salutaris e il nome del proconsole C. Vibio Marso, rinvenuto nelle adiacenze, potrebbe appartenere ad un'altra porta. L'arco di Settimio segnava l'incrocio delle due grandi strade,  tra il cardo massimo e il decumano, ma rimanendo sopraelevato di qualche gradino sul piano di esse, non era accessibile ai veicoli.

Fatto inusuale in quei tempi, il nucleo dell'arco fu costruito in pietra calcarea e poi rivestito in marmo, un bel risparmio di pietra marmorea. Di esso si è ritrovato fortunatamente quasi tutto il fregio ad altorilievo.
Esso è uno dei monumenti più celebri di Leptis in quanto esprime simbolicamente il suo legame artistico con Roma e il suo imperatore.

Di esso oggi non resta in piedi che uno solo dei quattro piloni originali, ma le basi degli altri tre hanno permesso di ricostruirne perfettamente pianta e misure (larghezza dei fornici: m 5,80; lato dei pilastri, senza le colonne in avancorpo, m 3) così come il recupero di gran parte della decorazione scultorea e di molti elementi dell'alzato (colonne, lesene, cornici) dà un'idea abbastanza chiara del suo aspetto originario: incerta tuttavia rimane ancora la ricostruzione della parte superiore.

Su ogni fronte due colonne in avancorpo su basamento fiancheggiavano l'apertura del fornice; lesene e pilastri, decorati da tralci di vite, stavano agli angoli esterni del monumento e ai lati dei fornici; cornici e fregi, dello stesso stile, al di sopra di questi, lacunari con rosoni nella volta di essi.

Magnifica la decorazione scultorea. Oltre alle sei Vittorie alate, che occupavano gli spazi triangolari tra la curva dei fornici e la modanatura del riquadro, alle aquile che guarnivano i triangoli sferici sotto la cupola, ai trofei tra colonne e lesene angolari, tale decorazione comprende due serie di rilievi.

La prima ha dei rilievi minori, sulle pareti interne dei quattro pilastri: con divinità accostate l'una all'altra, scene di guerra e scene di carattere religioso. Delle divinità alcune sono identificabili con quelle dell'Olimpo greco-romano, a cominciare dalla triade capitolina, di altre si suppone siano divinità orientali e africane. Le scene di battaglia ricordano le campagne orientali dell'imperatore.

I rilievi della serie maggiore hanno quattro grandi scene, forse poste sulle quattro fronti dell'attico, forse in luogo delle iscrizioni.

Due rappresentano scene di trionfo; solo una è quasi completa, ma l'altra era costruita, a quanto risulta dai frammenti superstiti, su uno schema analogo.

La quadriga imperiale, sulla quale sta Settimio Severo (203-204), fiancheggiato dai figli Caracalla e Geta, avanza da sinistra, preceduta da prigionieri incatenati; e da un ferculum su cui è una donna e altre figure piangenti; sul fondo personaggi togati; dietro la quadriga è un gruppo di cavalieri con vexillum.

Sullo sfondo il faro di Leptis.

Le stesse divinità ritornano ai lati della Tyche in uno degli altri due rilievi in scene di carattere religioso.

Qui le tre figure presiedono ad un atto di Concordia Augustorum: Settimio Severo stringe la mano ad uno dei giovani principi, probabilmente Caracalla, presenti Geta, Giulia Domna e forse anche il pretorio Fulvio Plauziano: altre figure, tra cui quella di Roma-Virtus, stanno ai lati del gruppo principale.

Nell'altra scena è un sacrificio in onore di Giulia Domna - Giunone, alla presenza di Settimio Severo - Giove. Probabilmente risale al 203, quando l'imperatore visitò la città e la provincia.

Ad essa lavorarono artisti di Afrodisiade, il cui stile si rivela anche nei pilastri della basilica e in tutte le altre costruzioni severiane, a tratti di chiara tradizione romana se ne affiancano altri caratteristicamente orientali, il frontalismo delle scene, il decorativismo lineare delle vesti, schiacciate contro le figure, preludono già all'arte bizantina.

L’opera che si ammira è, come si è accennato, una semi-fedele ricostruzione dell’antico monumento, al pieno recupero del quale gli archeologi stanno tuttora lavorando. L’arco è costituito da quattro imponenti pilastri che sorreggono una copertura a cupola. Ciascuna delle quattro facciate esterne dei pilastri era affiancata da due colonne corinzie, tra le quali erano scolpite decorazioni in rilievo rappresentanti le grandi virtù e le gloriose imprese dell’epoca dei Severi.

Nel punto di intersezione tra la cupola e i pilastri si notano le aquile con le ali piegate, simbolo della Roma imperiale. Sopra le colonne si trovano due bei pannelli che riproducono nei dettagli processioni trionfali, riti sacrificali e lo stesso Settimio Severo che tiene per mano il figlio Caracalla.

Sulla facciata interna delle colonne sono riportate scene di campagne militari, cerimonie religiose e immagine della famiglia dell’imperatore. Sulla facciata interna delle colonne invece scene di campagne militari, cerimonie religiose e l'immagine della famiglia dell'imperatore.

C'è una certa differenza tra i monumenti romani e quelli africani: i primi più espressionistici e realistici, i secondi più aulici e classicheggianti. Ciò è dovuto senz'altro alle diverse maestranze che curarono i monumenti e la loro decorazione, piuttosto che alle variazioni del gusto. A Leptis Magna dovevano essere gli artisti greco-orientali a dirigere le maestranze locali, inoltre spesso alcune parti architettoniche arrivavano già decorate dalle officine artistiche vicine alle cave del marmo in Bitinia e nella Caria, soprattuto di Afrodisia. 

Infatti c'è una grande somiglianza di questi ornamenti con lo stile e la tecnica dell'Asia Minore. Il resto delle decorazioni venne eseguita dalle maestranze locali adeguandosi a questi modelli, nonostante le alterazioni anche un po' rozze. 

Ce lo confermano i contrassegni con sigle di artigiani in alfabeto greco presenti su interi elementi, ad esempio le colonne del Foro con capitelli a foglia d'acqua secondo lo stile di Pergamo. Ma anche i rilievi delle lesene della basilica Severiana rilevano la provenienza "afrodisiense", importazione dei vari pezzi già lavorati e poi inseriti nell'edificio.



ARCO DI TIBERIO

I cittadini di Lepcis Magna onorarono il loro imperatore erigendogli un modesto arco onorifico, in pietra, a cavallo del cardo massimoVenne edificato nel 37 d.c.

Ma esso è uno è solo uno dei due archi dedicati a Tiberio.

In una strada parallela al Cardo Massimo sono stati rinvenuti i resti di un secondo arco. L'inusuale duplicato degli onori non è chiaro. 

L'iscrizione, su entrambi i lati di entrambi i monumenti, ricorda che fu costruito durante il governatorato di Gaio Rubellio Blando, agendo attraverso il suo vice Marco Atilio Luperco. (Blandus fu legato dell'Africa nel 35-36). 

Essa informa anche che l'arco ha commemorato la pavimentazione di diverse strade, ed è stato finanziato con le confische alle tribù native dopo la rivolta di Tacfarinas (17-24), all'inizio del regno di Tiberio.



ARCO DI TRAIANO

Dopo il successo delle sue campagne in Dacia, che era stata conquistata nel 106, Traiano assegnò alla città di Leptis il rango di colonia, ed era da ora in poi chiamato ufficialmente Colonia Ulpia Traiana Lepcitaniorum.

PLASTICO DELL'ARCO DI TRAIANO
Tutti gli abitanti nati liberi ebbero la piena cittadinanza, la città doveva essere governato da due magistrati (paragonabili ai consoli), e ci doveva essere un tempio chiamato Campidoglio, dove gli Dei supremi dei Romani, Giove, Giunone e Minerva, venissero venerati.

Per esprimere la loro gratitudine, i Lepcitaniani dedicarono un elegante arco onorifico al loro benefattore, presso il Chalcidicum. Ora l'Arco di Traiano sembra modesto perchè ne resta solo un fornice, ma ne aveva quattro, insomma era un arco quadrifronte (tetrapylon)

Sui quattro angoli possiamo vedere due bellissime colonne corinzie, e le colonne simili dentro l'arco, che supportano la volta, che dovette avere una bassa cupola.
L'iscrizione riporta:

IMP(eratori)  CAESARI DIVI NERVAE F. NERVAE TRAIANO AVGVSTO GERM(anico)  | DACICO PONT(ifici)  MAX(imo)  TRIB(vnicia POT(estate)  XIIII IMP(eratori)  VI CO(n)S(vli)  V P(atri)  P(atriae)  CON[lacuna] | 
ORDO ET POPVLVS COLONIAE VLPIAE TRAIANAE FIDELIS LEPCIS MAGNAE ARCVM | CVM ORNAMENTIS PECVNIA PVBLICA FECERVNT

RESTI DELL'ARCO DI TRAIANO
All'imperatore, Cesare, figlio del divino Nerva, Nerva Traiano Augusto Germanico, Dacico, pontefice massimo, nel XIV anno dei suoi poteri tribunizi, 6 volte imperatore, 5 volte console, padre della patria, [...] il Concilio e l'Assemblea della Colonia Ulpia Traiana Lepcis Magna dedicarono questo arco con i suoi ornamenti, eseguito con i fondi pubblici.

L'iscrizione, che può essere datata al 109-110, è il primo riferimento a Lepcis come stato di colonia. Esso cavalcava gli incroci del cardo massimo con la strada del teatro. L'arco quadrifronte somiglia all'arco di Settimio Severo, che fu costruito un secolo più tardi, e che probabilmente si ispirò a questo arco.

L'elefante che ora si trova nella sala centrale del Museo di Lepcis Magna, fu scoperto vicino all'Arco di Traiano.

IL COMPLESSO DELLE TERME

TERME ADRIANEE

L'edificio fu costruito sotto Adriano, quando era proconsole dell'Africa Valerio Prisco (126-127); fu restaurato e modificato sotto Commodo, e nel III sec., sotto Severo.  Fu lo stesso Adriano, agli inizi del II sec. d.c., a commissionare le terme che presero il suo nome. Il complesso fu inaugurato nel 137 d.c., secondo altri nel 127.

Come ogni terme romana, si sviluppa su un asse centrale nord-sud con ambienti disposti simmetricamente.
Gli ambienti principali erano: natatio, frigidarium e calidarium, disposti lungo l'asse centrale, con gli ambienti minori ed accessori disposti ai lati. Invece qui la palestra sta in posizione centrale, antistante il corpo principale delle terme, che è decisamente spostata verso oriente, forse per rispettare edifici e strade preesistenti.

LE TERME
Le terme sono accessibili dalla palestra, dalla quale si passa nella natatio, un vasto ambiente con il pavimento rivestito da marmi e mosaici in cui si trova una piscina all'aperto circondata da colonne su tre lati.  Di seguito si apre il frigidarium, con le vasche di acqua fredda, in una sala di 30 m per 15, pavimentata in marmo.

Ben otto massicce colonne con fusti di marmo cipollino alte quasi 9 m sorreggono il soffitto a volta, un tempo ornato con mosaici di colore blu e turchese, di cui oggi però non rimane praticamente nulla. 

La palestra del complesso è un ampio spazio rettangolare aperto, con i lati minori ad emiciclo, circondato da portici, con a nord due esedre rettangolari absidate. ll lato lungo meridionale combaciava con il portico di facciata delle terme. Dalla palestra si passava alla natatio, la piscina scoperta circondata su tre lati da portici e fiancheggiata da quattro stanzette, accessibili due, che dovevano fungere da spogliatoi, dal portico di facciata e dalla natatio, e due dal corridoio retrostante, forse piccoli magazzini con le forniture di manutenzione.

Ben quattro porte immettevano dalla natatio al corridoio, da cui si accedeva al frigidario, una grande sala di m 30 × 15, coperta da una triplice volta a crociera poggiante su otto colossali colonne di cipollino, che si apriva sui lati corti in due larghi bacini ancora rivestiti di marmo, come dovevano essere in antico anche le pareti della sala.

Sicuramente le volte erano ornate di mosaici, così come nel tepidario, di cui si sono reperiti dei frammenti. Numerose statue di divinità e simboli romani circondavano i bacini, come del resto nelle altre sale delle terme; al centro della sala c'è la larga base di una statua con dedica a Settimio Severo.

LE TERME

In origine il corridoio che divide la natatio dal frigidarium correva tutto all'intorno di questo, isolandolo dal resto dell'edificio: poi, tra il frigidarium e il complesso del tepidarium e calidarium, venne trasformato il largo corridoio in piccole piscine con elegantissime decorazioni

Il calidarium, coperto a volta, con due grandi vasche sui lati corti, e tre sotto le arcate a sud, immetteva alle quattro sale dei tepidaria, disposte ai lati della piscina dietro il frigidarium. I forni per il calore si trovavano all'esterno dell'edificio, sulla parte posteriore.

LE TERME
A sud delle terme giacevano le cisterne, dove è collocata l'iscrizione che ricorda l'acquedotto portato in città, sotto il regno di Adriano (119-120), da Q. Servilio Candido. 
Ad entrambe le estremità della sala si trova una vasca, mentre, lungo le pareti si allineano nicchioni che ospitavano 40 bellissime statue, di cui solo alcune sono conservate nei musei di Leptis e di Tripoli. Il resto andò distrutto a causa soprattutto dell'iconoclastia cristiana.

A sud del frigidarium c'era il tepidarium, adibito al bagno tiepido, in origine con una piscina centrale fiancheggiata su due lati da colonne, mentre le altre due vasche furono aggiunte successivamente. 

Tutto intorno le stanze del calidarium, per il bagno caldo, orientate a sud. Un tempo, probabilmente, avevano grandi finestre in vetro sul lato meridionale. 

Vi vennero poi aggiunte cinque laconica (bagni di vapore) durante il regno di Commodo. All'esterno, sul lato meridionale, erano collocate le fornaci per scaldare l'acqua, mentre sui lati orientale e occidentale degli edifici corrono le cryptae, i deambulatori.

Alcuni ambienti più piccoli erano gli apodyteria, ovvero gli spogliatoi. Le forica, le latrine, sono abbastanza ben conservate.

TERME DEI CACCIATORI

TERME DEI CACCIATORI

Le Terme dei Cacciatori risalgono alla seconda metà del II sec., con successive modifiche del III o IV sec.; ad età severiana sono da ricondursi le due composizioni principali della caccia, forse scelte in quanto l'edificio apparteneva ad una corporazione di fornitori di belve per gli spettacoli dell'anfiteatro, ma non ve ne sono le prove.

Le terme sono costituite da una serie di ambienti a pianta rettangolare ed altri poligonale, con volte a botte, tutti scavati nell'arenaria. Il complesso venne realizzato nel II secolo d.c. e fu utilizzato per quasi tre secoli. Conservano mosaici e affreschi, uno dei quali, situato nel frigidarium e nel quale sono raffigurate scene di caccia ambientate nell'anfiteatro, ha dato il nome al complesso.

Uno degli affreschi risale ad un'epoca precedente alle terme e vi è stato riutilizzato al momento della loro costruzione. Sono inoltre presenti pannelli marmorei scolpiti.

Queste terme, modeste come ampiezza, hanno una decorazione interna a mosaico e una pittura degli ambienti principali, nonchè forme architettoniche notevoli. Da principio il corpo centrale era costituito da un corridoio di ingresso che immetteva nella sala principale, il frigidarium, ampio ambiente rettangolare coperto da volta a botte con due absidi contenenti ciascuna una vasca. Il corridoio aveva sulla destra due ambienti minori rettangolari, accessibili solo dal frigidarium, adibiti probabilmente a spogliatoio e latrina.

Successivamente una vasca, coperta da volta a crociera, sostituì parzialmente questi ambienti. Dal frigidarium si passava in due sale ottagonali affiancate e coperte a cupola; in origine esse non comunicavano fra loro, ma solo ognuna di esse con una sala rettangolare retrostante.

Uno dei due ambienti ottagonali era un tepidario, l'altro e le due sale retrostanti, coperte da volte a botte, dei calidaria.

Un altro calidarium, con tre piccolissimi ambienti susseguentisi l'uno all'altro, fu aggiunto successivamente al corpo originario.

All'esterno dell'edificio, si allinearono avanti al corpo originario un portico a pilastri e, dietro questo, una lunga sala rettangolare, spartita da una fila di sei pilastri sorreggenti il tetto, che dovette servire da spogliatoio.

Altri due ambienti, fra cui uno con bella decorazione dipinta delle pareti, vennero aggiunte successivamente. In una prima fase la volta e la parte superiore dei muri del frigidarium erano rivestite di intonaco bianco con pitture incorniciate di stucco: non ne restano che poche tracce.

I catini delle absidi al di sopra delle vasche e le lunette sopra l'arco di apertura delle absidi stesse erano invece ornati con mosaici a figure. Appena visibili sull'abside orientale parte di una ninfa che allatta un capretto, la testa e le spalle di un Tritone, e motivi nilotici. Poi uno strato di intonaco dipinto fece scomparire la decorazione, e successivamente la parte inferiore dei muri venne stata rivestita di marmi colorati.

Le due scene si ispirano ai consueti motivi delle rappresentazioni di caccia: caccia al leone sulla parete settentrionale di cui resta quasi nulla, caccia al leopardo sulla parete opposta. La scena comprende gruppi di cacciatori in lotta con le fiere, con poche variazioni e diverse ripetizioni.

Altra scena figurata, con paesaggio e figure di carattere nilotico, che all'epoca andavano molto di moda, è su una delle pareti della vasca ricavata in un secondo tempo a nord del frigidarium. Nelle altre sale riquadrature in pittura o in stucco che talvolta imitano un rivestimento di marmi colorati, o si incorniciano di delicati motivi vegetali; nei pavimenti sono mosaici geometrici a bianco e nero.

Altro edificio termale consimile, almeno nell'aspetto architettonico esterno, è stato riconosciuto, ma non ancora scavato, vicino alla Casa detta di Orfeo da uno dei mosaici che la decorava, dalla stessa parte della città.


IPPODROMO

Lo stadio è accessibile attraverso un passaggio secondario che si apre sul lato occidentale dell'anfiteatro. Edificato nel 162, durante il regno di Marco Aurelio poteva ospitare 25.000 spettatori. Ne restano solo le fondamenta. Il circo è stato solo parzialmente esplorato; si allunga tra l'orlo del leggero risalto, che il suolo presenta a breve distanza dal mare, e la spiaggia: esso aveva pertanto la cavea appoggiata da un lato sul terreno naturale e dall'altro sorretta da sostruzioni. 

Era lungo circa 450 m x 100, e la spina era costituita da cinque ampi bacini rettangolari allineati l'uno appresso all'altro. Dei carceres e della porta triumphalis più nulla rimane, ma essi furono ancora visti in parte, e disegnati anche se un po' idealizzati, nel XVII sec. da un viaggiatore francese, il Durand.


PARTE DEL NINFEO

NINFEO di SEPTIMAE POLLA

Una strada colonnata, di cui non resta molto, collegava il nuovo foro al porto. All'inizio della strada e a oriente della palestra e delle terme di Adriano vi è una piazza ornata dal grande nymphaeum, o tempio delle Ninfe.

L'Esedra, di cui rimane pochissimo, tra cui alcune colonne di granito verde egizio, sopravvisse grazie all'iscrizione di una costosa statua d'argento dedicata a Septimia Polla, una sorella del padre dell'imperatore Settimio Severo. La statua pesava circa 52 kg. Naturalmente la statua era ricoperta d'argento e il resto era di marmo.


STATUA DEL NINFEO
SEPTIMIAE
POLLAE Lvci
SEPTIMI SEVERI
IIVIRi FLAMinis PERPetui
FILiae Pvblivs SEPTIMIVS
GETA HERes SORORI
SANCTISSIMAE
EX ARGento Pondo CXXXXIIII
S vnciae X Semis DECRETO
SPLENDIDISSIMI
ORDINIS POSVIT
EX TESTAMENTO
EIVS HVIC DONO
VICESIMAM ET
ARGenti Pondo IIII S vnciae X Semis
AMPLIVS QVAM
LEGATVM EST ADIECIT

A Septimia 
Polla, figlia di Lucius 
Settimio Severo, 
duumviro, sempre sacerdote, 
ha Publio Settimio 
Geta, erede della sua sacrissima
sorella, eretto questa [statua] 
da 144 libbre d'argento 
e 10 once 
della migliore
qualità, come decretato 
nel suo testamento. 
Per questo dono 
è stato aggiunto un ventesimo 
e 4 libbre, 10 once d'argento 
più di quanto
era stato lasciato in eredità.

Il ninfeo è in realtà una fontana monumentale con la facciata riccamente articolata da colonne con fusti di granito rosso e marmo cipollino e con nicchie, ora vuote, che un tempo ospitavano delle statue di marmo. Secondo alcuni il monumentale ninfeo curvilineo era stato costruito come tempio delle ninfe, poi trasformato in una fontana monumentale. Non tutti gli studiosi concordano, comunque il ninfeo ha delle decorazioni eccezionali.

Con l'avvento del cristianesimo questi monumenti non furono risparmiati e la maggior parte dei templi e delle basiliche vennero trasformati in chiese deturpandoli notevolmente. 

RICOSTRUZIONE DEL NINFEO
Al suo inizio Settimio Severo aveva costruito un grande ninfeo che nel 1937 in parte venne ricostruito da archeologi italiani che lo chiamarono Belvedere Mussolini.

Questo perché il leader del fascismo era stato invitato a raggiungere un terrazzo sulla sommità dell'edificio per avere una visione complessiva del sito. 

Italo Balbo, governatore della colonia, che aveva fatto un ottimo lavoro, fu invece rimproverato di aver speso troppi soldi su ricostruzioni tanto costose. 

Nel VII secolo la conquista degli arabi provocò il totale abbandono di Leptis. I suoi templi, basiliche, terme ed altri monumenti divennero per gli arabi una grande cava a cielo aperto. Finchè fortunatamente tutto venne sommerso dalla sabbia sottraendolo alla cupidigia di cristiani ed arabi.



I MOSAICI

I mosaici di Lebda sono un eccezionale reperto archeologico, unico per le dimensioni e per i pregiati decori interni. I 5 grandi pannelli rinvenuti riproducono con eccezionale veridicità e colore scene di caccia e di combattimenti tra gladiatori; un pannello in particolare – il gladiatore che dopo lo scontro osserva, in una posizione di riposo, il nemico sconfitto - è comunemente considerato dagli studiosi un capolavoro, uno dei migliori esempi noti di arte mosaicale.



MAUSOLEI

I mausolei, che emergono alla periferia di Leptis Magna, sono perloppiù mausolei a torre, come quelli di Qasr Shaddad, Qasr el-Banat, Qasr el-Geledah,  cioè a più piani sovrapposti-

Quello di Qasr ed-Duirat, è uno dei meglio conservati, anche se mostra solo lo zoccolo e il piano più basso del corpo, e negli elementi sparsi all'intorno una decorazione scultorea di gusto e fattura locale.

Era anch'esso dello stesso tipo dei precedenti, ma probabilmente era coronato da un elemento cilindrico con tetto a squame.

Altri mausolei sono quelli del tipo a guglia, soprattutto nell'interno della regione.



ACQUEDOTTO

A Leptis si conservano piuttosto bene i resti di un acquedotto, che convogliava le acque nelle cisterne vicine alle terme. L'acquedotto era duplice, con uno speco più alto e uno più basso, appoggiato al primo e costruito in un secondo tempo per usufruire anche di acque che il primo non sfruttava.
 
Il tipo di costruzione dell'acquedotto e dei serbatoi li caratterizza all'età severiana, o comunque alla prima metà del III secolo. Acquedotto e serbatoi non sorsero insieme, il serbatoio a monte è una costruzione quadrangolare rivestita esternamente con conci di calcare di travertino, di m 22,40 × 26, diviso internamente in tre ambienti a volta, ai quali corrispondono sulla fronte, verso il torrente, tre porte, successivamente chiuse in parte: al di sopra di queste sono cinque nicchie ornamentali.

L'acqua scendeva in una vasca posta all'esterno, alla testata dell'acquedotto più basso, mentre all'interno sembra proveniva da uno speco proveniente dal Cinyps ( uadi Qaam), che corre circa 25 km ad est di Leptis. Il secondo serbatoio, a valle, è più ampio (m 42,25 × 26), diviso internamente in cinque gallerie a volta comunicanti tra loro e aperte in origine verso l'esterno ciascuna con una porta, che l'acquedotto poi sbarrò per quasi tutta la loro altezza.

VILLA DAR BUC

VILLA DAR BUC AMMERA (o Villa Zliten)

Non lontano da Leptis è la Villa Dar Buc Ammera, che dista solo 3 km dalla città di Leptis Magna. Essa conteneva un grande mosaico dedicato ai combattimenti nell'arena, quando gli animali dovevano combattere uno contro l'altro, come il toro e l'orso. La villa risale al II sec. d.c. e in alcune stanze vi sono scene nilotiche.

È anche possibile vedere l'esecuzione dei criminali gettati ad bestias, come l'esecuzione di un criminale legato ad un palo che viene portato nell'arena, dove una pantera affamata lo ucciderà. Ha una pelle scura, e potrebbe essere stato uno dei Garamanti nativi.

Nell'Anno dei quattro imperatori (69), gli abitanti di Oea avevano attaccato gli abitanti di Leptis Magna. L'ordine fu ripristinato dal generale Valerio Festo nel 70, ed è possibile che i nemici giustiziati fossero i Garamanti.



I gladiatori del mosaico presentano due combattimenti, uno già terminato coll'avversario steso a terra. Nell'altro un Mirmillone (a sinistra: con schiniere e cresta sul casco) e un Trace (a destra: con alti schinieri).

Il combattente di sinistra sembra aver avanzato troppo la gamba destra, prendendosi un fendente sulla parte posteriore della coscia. Il sangue è uscito copioso e lui presto morirà di una morte dolorosa, a meno che non riceva il colpo di grazia.


ZEUGMA

- « Quel chiarore sul fondo? E' un mosaico. La malta idraulica lo proteggerà per secoli: è lo stesso materiale che usavano gli antichi romani per fissare i ponti ».
Mentre i contadini strappavano all'acqua gli ultimi alberi di pistacchio, gli archeologi cercavano di mettere in salvo l' ultimo tesoro scoperto dall'umanità. In questo angolo giallo di Turchia, nel giro di un anno erano venuti alla luce 700 mq di paradiso: mosaici romani intatti, un sito senza eguali nel mondo, figure straordinarie, comparabili per qualità a quelle del museo di Tunisi e a Pompei.

Un tesoro affidato alle cure della squadra del Centro di Conservazione di Roma guidata sul campo da Schneider. Primo obiettivo: salvare il salvabile, prima che la diga gonfiandosi coprisse tutto. Sei mesi di lavoro, grazie ai fondi del governo turco e soprattutto ai 10 miliardi di lire sborsati dagli americani del Packard Institute: una ventina di grandi mosaici figurativi recuperati insieme a migliaia di reperti.

Statue, gioielli, 65 mila bullae, ovvero i sigilli che venivano uniti alle merci o ai documenti, testimonianza di quanto fosse importante questa «dogana» ai confini del mondo. I mosaici geometrici, quelli meno preziosi, sono rimasti là sotto. Dai 4 ai 40 m di profondità. Poseidone e Teti sconfitti dall' «idra idroelettrica».
« Perduti? Non sono affatto perduti. L' acqua - assicura Schneider - è buona conservatrice. Resisteranno. Per le prossime generazioni ».


Le primissime generazioni, invece, al posto di quella diga grigia che si vede due km a valle, una delle 22 dighe grigie che strozzano il Tigri e l' Eufrate, avevano costruito duemila anni fa un ponte verso l'altro mondo. Dal secondo piano delle loro ville sulla riva, i comandanti di Roma guardavano verso il deserto dei Parti.

Al di là dell' Eufrate e oltre c'erano i barbari, le ricchezze dell' Oriente, l' ignoto. Al di qua, le fontane con i mosaici di Eros e Psyche, e la pax romana. Oggi, sotto questo lago appena nato, c' è quel che rimane della favolosa città di Zeugma, di cui scrissero Tacito e Cicerone e il cui nome significa ponte, punto di passaggio.

Fondata da un generale di Alessandro Magno, Seleuco, fiorì sotto gli imperatori romani raggiungendo il massimo splendore nel II sec. d.c., grande come tre volte Pompei, Zeugma aveva 70 mila abitanti, stretti intorno alla «forza di Difesa rapida» del tempo, i 5 mila soldati della Terza Legione Scitica. Duemila anni dopo, Zeugma è perduta.

« Perduta? Ma se là sotto c' è solo un quinto della città », si scalda il professor Kemal Sertok. E il resto? « Sotto ai nostri piedi. Qui siamo nella zona del teatro: importante come quello di Mileto. Su quell'altura c' è l' acropoli, con il tempio alla dea Tyche, la Fortuna dei romani. Abbiamo la sua immagine sulle monete. Bisogna solo scavare e portarlo alla luce ».
E i mosaici? Il professore sospira. « Il lago ha inondato alcune ville. Ma i mosaici abbiamo fatto in tempo a salvarli: in pochi mesi abbiamo fatto quanto gli archeologi, in uno scavo classico, fanno in dieci anni ».

Per salvarli hanno lavorato anche di notte, con le fotoelettriche. Duecento archeologi di tutto il mondo e centinaia di operai hanno sudato con 50 gradi all' ombra, la paura degli scorpioni e l' acqua alle caviglie. E pensare che il tesoro era lì da secoli, a pochi metri sotto terra. Zeugma, la città sepolta due volte: distrutta dai Sassanidi nell'anno 256, scomparve quasi all'improvviso, probabilmente per l' effetto di un' invasione e di un terremoto in rapida successione.

Da decenni gli studiosi (e i ladri di reperti) sapevano della sua esistenza. Da alcuni anni gli archeologi erano al lavoro. Con pochi soldi, e nessuna notorietà. La diga di Birecik hanno cominciato a costruirla nel ' 92. Ma solo alla fine del ' 99 sono venuti alla luce i mosaici più belli. Cosa costava ai turchi privarsi di una delle 22 dighe del progetto Sud-Est? Sottovoce, l' archeologa francese Catherine Abadie-Reynal accusa:
« Abbiamo chiesto almeno il rinvio dell' inondazione, ci hanno risposto di no ».

Cosa costava aspettare un anno? L' ingegner Cansen Akkaya, responsabile ambiente delle Opere Idrauliche dello Stato, alza il sopracciglio e fa due calcoli. L' arte un tanto al kilowatt. In energia elettrica non prodotta, il danno sarebbe stato di « due miliardi e mezzo di dollari. Quale Paese si sarebbe privato di 5 mila miliardi di lire all'anno? Un quinto dell' energia mondiale è prodotta da centrali idroelettriche. In Occidente le dighe non sono più di moda: costano troppo, rovinano l'ambiente ». -

VILLA SILIN

VILLA SILIN (Selene)

Rinvenuta da poco tempo, grazie ai continui scavi che tutt'ora vengono effettuati lungo il litorale che va da Tripoli e Leptis Magna, Villa Silin è la meglio conservata tra le splendide residenze private che in età romana sorgevano sulla costa Tripolitana. 

In queste ville vivevano i ricchi commercianti, arricchitisi grazie al commercio con Roma, che preferivano vivere lontani dai grossi insediamenti urbani.

Al suo interno si possono ammirare degli splendidi pavimenti decorati a mosaico, intere pareti e alcuni soffitti affrescati e delle terme private ancora intatte.

INTERNI DELLA VILLA
"La villa romana di Silin, a circa 15 km di distanza da Leptis, un edificio da sogno, degno dell’ambientazione di un romanzo storico dalla trama intrecciata e viva, un luogo di primaria importanza per il patrimonio archeologico, storico e culturale della Libia, in considerazione dell’unicità del complesso, per stato di conservazione, articolazione architettonica ed estensione degli apparati decorativi, oltre che per sinuosa bellezza oggettiva. Un gioiello.
La villa era la spettacolare residenza di uno dei facoltosi notabili locali di estrazione punica, “romanizzati” nei gusti e nei costumi del vivere quotidiano.

Il vasto edificio – circa 50 gli ambienti coperti – risale al II sec. d.c. La fronte a mare appare articolata in portici colonnati e giardini. 
L’impianto è suddiviso in due settori: uno, di rappresentanza, a occidente, l’altro a oriente, gravitante su un vasto giardino al quale è collegato il nucleo circolare delle terme. 

Quasi tutti gli ambienti recano decorazioni pavimentali, musive o in marmi commessi, e intonaci dipinti parietali.
Ancor oggi memore di tanta bellezza, scopro, con gioia e soddisfazione, che il progetto di restauro della villa Silin viene presentato proprio a Ferrara, la mia città."

La Villa Selene ("Casa della Luna"), alla foce del Wadi Yala che chiude la città di Homs, è famosa soprattutto per i suoi splendidi mosaici. Si pensa che il suo nome sia da ricollegarsi al moderno villaggio di Silin. Essa dista tre o quattro d'ore a piedi da Lepiis Magna. 

Questo giardino (peristylium), che è circondato da tre lati da un portico, è aperto sul Mediterraneo. A sinistra si scorge l'entrata alle due stanze da pranzo. Il giardino si apre a nord-est e a sud-ovest dove c'è l'entrata ad un altro giardino. Questa stanza da pranzo (triclinium) veniva usata d'estate. 

Su questa mappa, si può vedere la casa dell'atrio in verde. A un certo punto, un'ala delle camere è stata livellata, e sulle fondamenta è stato edificato uno dei portici. Il primo ingresso venne chiuso, e la sala venne trasformata probabilmente in una biblioteca. 

Le camere in beige sono stati aggiunte in seguito e includono il triclinio estivo. A destra, in blu, è possibile vedere lo stabilimento balneare. La stanza quadrata che circonda l'atrio fu decorato con affreschi. Qui a lato potete vedere due cacciatori. A destra troneggia un albero, i due leoni ben visibili, come lo scudo che il cacciatore porta sul braccio sinistro. Qui nessuna precauzione è inutile

La Villa gode di splendidi mosaici pavimentali, di cui uno sta nel triclinio d'inverno, insediato nella parte centrale della casa. Poichè i banchetti duravano molto ed erano occasione di amicizie e relazioni, i triclinii, le stanze da pranzo, erano fondamentali per i romani.

Era pertanto necessario che le stanze estive fossero all'aperto, spesso in stanze aperte sul giardino, o direttamente sotto la tettoia del giardino in estate. per l'inverno andava benissimo una stanza piuttosto centrale, quindi molto riparata dal freddo dell'esterno. 

Un mosaico rappresenta la storia di Licurgo e Ambrosia. Un altro raffigura le Iadi, le ninfe che si presero cura di Dioniso bambino. Quando Licurgo diede loro la caccia, esse fuggirono sul mare, ad eccezione di Ambrosia che venne mutata in vino.

In un'altra sala posta nell'atrium della villa, si osserva il famoso mosaico del circo di Leptis Magna. Mosaico importantissimo anche perchè delucida sulla pianta del circo. Di fronte si vedono i boxes di partenza (carceres) con le porte aperte che danno il via alle gare. Ci sono molti carri e cavalli, e la spina, con svariati monumenti e decorazioni.



BIBLIO

- Giacomo Caputo, Gustavo Traversari - Le sculture del Teatro di Leptis Magna - Editore: L'Erma di Bretschneider - 1976 -
- Veronica Riso - Lucerne del Tempio. Anonimo sul Decumano maggiore di Leptis Magna - Collana Archeologia - Armando Siciliano editore - 2011 -
- G. Levi Della Vida e M.G. Amadasi Guzzo - Iscrizioni puniche della Tipolitania (1927-1967) - Roma - 1987-
- Salvatore Aurigemma - Notizie archeologiche sulla Tripolitania - Bertero - Roma - 1915 -
- J.M. Reynolds e J.B. Ward-Perkins - The inscriptions of Roman Tripolitania - Roma-London - 1952
- P. Finocchi - L'Afrodite del Mercato di Leptis Magna - Roma - "L'Erma" di Bretschneider - Archeologia classica - rivista del dipartimento di scienze stor. archeol. e antrop. dell'antichità - XLIX - 1997 -



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