ARCUS CELIMONTANI

L'ACQUEDOTTO DI NERONE SU CUI SORGEVA L'ARCO (stampa del 1700 - Piranesi)

" È noto come l'acquedotto neroniano-celimontano nell'attraversare le strade del quartiere, prendesse forma monumentale, e come tali fornici di passaggio fossero costruiti in travertino, e ornati con cornici e con grandi iscrizioni sull'una e l'altra faccia dell'attico. Vedi CIL. VI, 1259; Lanciani, Aquae cL, p. 154. Due di questi fornici perirono nella II metà del secolo, quello di Basilide, di prospetto all'ospedale lateranense, e quello della Navicella."

A lume di ciò quando i diversi autori parlano degli archi celimontani posti in siti diversi non sbagliano, in quanto dei comuni acquedotti ospitavano degli archi monumentali, con epigrafi, travertini, ornamenti e pure statue.

ANTICA STAMPA CHE RITRAE A DESTRA L'ARCO DI DOLABELLA
A SINISTRA PARTE DELL'ACQUEDOTTO DI NERONE IN CUI  SI
INCASTONAVA UNO DEGLI L'ARCUS CELIMONTANI
"Al a. 20 nell'armario I, mazzo 111, n. 17, ritrovasi una condonazione fatta ai 28 giugno 1604 dai guardiani della Compagnia (del ss. Salvatore ad ss.) al popolo romano del prezzo di alcune pietre del Colosseo, condotte in Campidoglio per la fabbrica del nuovo palagio, in ricompensa che il popolo romano donato aveva allo spedale della Compagnia a s. Giovanni in Lateranno un'arco antico situato incontro all'abitazione del medesimo spedale "

Sappiamo però che il popolo non depredò mai il Colosseo, opera ardua per la mole e pericolosa perchè solo la Camera Apostolica aveva il diritto di dare licenza di "effondere" cioè di scavare, concessione che dava solo a patto di intascare un terzo o puraltro se i ritrovamenti erano preziosi. L'arco antico incontro al Lateranense poteva però essere uno degli archi Celimontani, di quelli che erano divenuti monumentali.

Del fornice alla Navicella ragiona il Vacca a questo modo, Mem. HO: "Accanto la chiesa di s. Maria della Navicella si trovarono molti travertini: non sono in opera ma scomposti; e perchè l'acquedotto, che passa innanzi s. Giovanni in laterano accenna andare al detto luogo, però credo che vi facesse un'angolo, il quale dividendo l'acqua partorisse due acquedotti... Bisogna che ivi l'acquedotto traversasse una strada, e per farla ampia e spaziosa... fabbricavano di travertini con buoni fianchi, come al presente ne vediamo un'altro dinnanzi all'ospedale di s. Giovanni nel medesimo acquedotto ".

DETTAGLIO DEI NOMI DI DOLABELLA E SILANO DALL'ISCRIZIONE SUL FORNICE







La prima parte dell'Arcus Coelimontani è ancora in piedi, all'incirca fino ai terreni del Laterano, mentre della parte restante non ne rimane che qualche frammento, soprattutto presso la chiesa di Santo Stefano Rotondo, sul colle Celio. Comunque ognuno di detti archi Celimontani è stato se non demolito, spogliato di tutti gli ornamenti, come si osserva dai tasselli sulle mura a cui erano ancorati i travertini mediante grappe.

Appena oltre la chiesa, poche alte arcate dell'acquedotto attraversano il luogo dove una volta sorgeva Porta Caelimontana, appartenente alla cinta delle mura serviane (IV secolo a.c.). Nell'anno 10 due consoli Dolabella e Silano, a cui si siferisce un'iscrizione sopra il fornice, trasformarono il passaggio dandogli l'aspetto attuale. L'arco, ex Porta Celimontana, prese così i loro nomi.

Un particolare curioso è che nello spessore di uno dei pilastri dell'acquedotto furono ricavate due stanze, nelle quali visse per due anni San Giovanni de Matha (1160-1213), fondatore dell'Ordine dei Trinitari, o Nuovi Crociati.

L'ACQUEDOTTO DI NERONE
Gli archi celimontani mettevano capo al gigantesco serbatoio delle « Stagna Neronis » sul sito del quale fu più tardi eretto il tempio di Claudio. 

Egli è forse in seguito dell'abbandono di tale serbatoio, che un nuovo ne fu costruito alla Navicella, accanto all'ospedale di s. Tommaso in Formis, nel campo indicato con ogni precisione nella tav. XXXVII della F. U. 

Di questo ricettacolo, al quale accennano Fulvio. ;3, 15; Marliano, 4, 9, e il Castiglione nelle note ad Vitruvium, tolse la pianta Pirro Ligorio circa l'anno 1560, della quale si conserva copia a e. 64 del cod. Bodleiano.

L'Ugonio, Sta:i. di Roma, XXXIV. descrive la scoperta di un tubo di piombo con iscrizione, fatta da queste parti l'anno 1588.

"Arcus Coelimontano Plurisariam
vetustate collapsos e corruptos
a solo sua pecunia restituerunt"

"Lucio Settimio e Marco Aurelio imperatori, restituirono dal suolo (recuperando cioè le parti crollate) a proprie spese gli Archi Celimontani più volte per antichità diroccati e guasti."

Gli ultimi frammenti dell'Arcus Caelimontani si possono vedere, integrati con moderni laterizi, nel punto in cui attraversano la valle formata dai colli Celio e Palatino, attualmente corrispondente a via di San Gregorio, che scende dal Colosseo verso l'estremità meridionale del Circo Massimo.

Oltre questo punto l'acquedotto raggiungeva la sua destinazione conclusiva: il complesso di edifici imperiali sul Palatino, oggi presso l'entrata al Colle Palatino. 

Poiché nell'antica Roma questa era una zona piuttosto vitale, è molto probabile che rami secondari dell'Arcus Caelimontani conducessero acqua alle fontane del Circo Massimo, agli esercizi che sorgevano lungo le sponde del Tevere (prossimo all'estremità opposta del circo), e così via.

Il fatto che gli archi suddetti traversassero una delle zone più prestigiose di Roma raggiungendo poi il Palatino ne spiega la cura e la sontuosità, e fa riflettere su quale poteva essere lo scenario di una sequela di archi giganteschi biancheggianti di travertino fino al cielo, con modanature, rilevi, colonnine e statue in genere di bronzo.

Ma fa pure riflettere di quanto duro lavoro e protervia sia costato lo smantellarne l'intero rivestimento e le ciclopiche mura quasi totalmente. Roma fu smantellata tempio per tempio, basilica per basilica, e terme, e bagni, portici, edifici colonnati, fontane, giardini, statue, archi, strade, tutto venne demolito per cancellare totalmente un passato di civiltà e di storia che non aveva pari nel mondo.

Se la Roma papalina e cristiana si fosse adoperata solo un sesto di quanto si è prodigata per le demolizioni di un'intera città di marmo, per restaurare ciò che il tempo danneggiava, noi avremmo oggi in piedi una città incredibilmente monumentale e bella come nessun'altra al mondo.


RODOLFO LANCIANI

1515, 21 aprile. ARCVS CAELEMONTANI. 

Scoperta di un « castellum aquae » nella vigna già di Bartolomeo della Valle, poi di Sigismonda moglie di Pietro Paolo pescivendolo, sita « prope aqueductus Claudianum merulanum » . Sigismonda vende al della Valle " totum plumbum quod inventum fuit et inveniri posset... occasione cuiusdam aque ductus plumbi subterranei qui ad presens prò parte discopertus . . . ». 

Il prezzo assolutamente enorme di duecento ducati d'oro dimostra trattarsi di una massa egualmente enorme di piombo. E siccome non c'è memoria di una condottura di gran modulo in questa contrada, paragonabile a quella della villa di L. Vero a Acqua Traversa, cosi io stimo trattarsi piuttosto di un castellum, simile a quello di vigna Lais (Lanciani, Sylloge, nn. 254-283) di villa de' Quintilii (ivi, nn. 194-201), che il comm. De Rossi usava paragonare pel numero e grossezza delle fistole all'organo d'una cattedrale. La vigna della Valle occupava parte del sito della villa Giustiniani-Lancellotti al Laterano.

ARCVS CAELIMONTANI. «Nell'arco vicino (a s. Tommaso in Formis) molto frescamente sono state scoperte l'infrascritte lettere (CIL. VI, 1384) ». Le lettere erano state nascoste sino allora da una fodera di muro del tempo di Settimio Severo.

(Rodolfo Lanciani)

BIBLIO

- Giuliano Malizia - Gli archi di Roma - Newton Compton Ed. - Roma - 2005 -
- Silvio De Maria - Gli archi onorari di Roma e dell'Italia romana - L'Erma di Bretschneider - Roma 1988 -
- Pier Luigi Tucci - Ideology and Technology in Rome's Water Supply: Castella, the Toponym Aqueductium, and Supply to the Palatine and Caelian Hill - Journal of Roman Archaeology 19 - 2006 -



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