PORTICUS AEMILIA (HORREA)



( Fonte )
Nel II secolo a.c., con l’aumento dei commerci e dei traffici dopo la II guerra punica, il porto Tiberino non fu più sufficiente al traffico fluviale, per cui si creò un nuovo complesso portuale in un’ampia zona pianeggiante  a sud dell’Aventino, fuori della porta Trigemina che si apriva sulle mura repubblicane, zona corrispondente all’attuale quartiere di Testaccio.

RICOSTRUZIONE
Nel 174 a.c. il porto, fino ad allora dotato di una semplice copertura in legno, fu lastricato in pietra e fornito di un grande magazzino per le derrate alimentari.

Si trattava dell'immenso Porticus Aemilia, il più vasto edificio commerciale costruito dai romani, come risulta dalla planimetria della Forma Urbis Severiana. Era un edificio monumentale, il primo scalo commerciale dell'urbe a cui, fin dai tempi più remoti, affluivano i prodotti e le merci provenienti dal mare e dall’alto Lazio.

Era situato sulla riva sinistra del Tevere, presso i grandi mercati del foro Boario e del foro Olitorio, realizzato in opera incerta di tufo, modalità molto in uso in epoca repubblicana.

RICOSTRUZIONE
Era lungo ben 487 m e largo ben m 60, estendosi tra le attuali via Marmorata e via B.Franklin, a distanza ravvicinata dall'Emporium, il porto fluviale a sud dell'Aventino.

IMMAGINE DELLA ZONA NELLA FORMA URBIS
L'interno era diviso da 294 pilastri che definivano una serie di ambienti disposti su sette file longitudinali che formavano 50 navate, larghe ognuna 8,30 metri, coperte con volte a botte e con pavimenti in terra battuta, per una superficie complessiva di 25.000 m2.

Questi ambienti servivano come magazzini della merce, del grano anzitutto, di beni alimentari in genere ma pure di altri generi di consumo.

Erano pertanto i famosi horrea romani, che prendevano il nome dai loro costruttori, Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo, tribuni edili dell'anno 193 a.c., e quindi dalla gens Aemilia. Tra il 193 e il 174 a.c. vennero così edificati il mercato dell’Emporium e il porticus Aemilia.  La facciata del magazzino era formata da una fila di pilastri in opera quadrata di tufo, davanti a cui passava la strada lastricata in basolato.

Gli architetti romani, tra l'altro non di professione ma solo di esperienza, cioè militari che avevano imparato a costruire dai castra, negli edifici pubblici avevano espresso il meglio del loro genio, sperimentando i diversi materiali da costruzione. i diversi abbinamenti di colori e materiali e le diverse tecniche edificatorie.

L'edificio, i cui resti sono conservati nel quartiere romano di Testaccio, viveva in stretta col porto dell'Urbe, distando solo 90 metri dal fiume e qui venivano immagazzinate le merci scaricate dalle imbarcazioni che rifornivano tutta Roma.

L'horrea degradava verso il fiume in quattro "navate" longitudinali, in modo che ognuna  prendeva luce da aperture poste nella cortina al di sopra del corpo antistante.

Nulla resta dei moli e delle scale verso il fiume di età repubblicana, imputabili, secondo Livio, agli stessi censori impegnati nei restauri del 174 e radicalmente trasformati in età traianea.

Una serie di passaggi in Livio menzionano l'Emporium e il porticus, citando i censori Q. Fulvius Flaccus e A. Postumius Albinus per la ricostruzione in pietra dell' ‘emporium’ fuori Porta Trigemina, e il restauro del Porticus Aemilia.

Le camere oggi visibili negli argini del fiume, alte circa 4 m, costituivano l'argine e le costruzioni del corpo più avanzato della città annonaria, l' Emporium vero e proprio. In seguito tutta la pianura del Testaccio, man mano che crescevano i bisogni della città, si andò colmando di edifici, soprattutto di magazzini annonari.

Quando, a partire dai Gracchi, ebbero inizio le distribuzioni gratuite di grano ed altri generi alimentari alla popolazione della città, fu necessario costruire altri magazzini: sorsero così gli Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, Aniciana, dai nomi dei consoli in carica al momento della costruzione o dal nome dei proprietari o del costruttore.

Fu durante i lavori di arginatura del Tevere negli anni 1868-1870 che vennero alla luce i resti dell’antico Emporium, una banchina lunga circa 500 m e profonda 90, con gradinate e rampe che scendevano al fiume. Il fronte della banchina era munito di pietre d’ormeggio in travertino, ancora oggi visibili.

Le chiatte rimorchiate dai bufali, che risalivano il fiume, avevano qui un punto di approdo dove scaricare le merci, prevalentemente marmi, grano, vino e olio, provenienti soprattutto dal porto di Ostia. Interrati dai detriti trasportati dalla corrente, i resti furono riportati alla luce nel 1952 e, di nuovo reinterrati, nuovamente a partire dal 1974. Per essi è previsto ora il restauro e la trasformazione in area archeologica aperta alle visite del pubblico.

Si trattava di un esteso molo costituito da una serie di concamerazioni, il cui estradosso era pavimentato da grandi lastre di travertino ed utilizzato come piazzale di scarico e di smistamento. Un lungo muro inclinato chiudeva verso il fiume questi ambienti ed era munito di pietre d'ormeggio forate per il fissaggio delle gomene.

Il tutto addossato ad un più antico muraglione di mattoni che delimitava, verso il fiume, un'altra serie di magazzini coperti a volta aperti verso il quartiere commerciale di Testaccio.

TESTA DI LEONE DEL PORTICUS
Ai piani superiori si aprivano gli ambienti, utilizzati come uffici e stanze di stivaggio delle merci. L'attività dell'Emporium andò avanti fino all'entrata in funzione dei grandi porti di Claudio e Traiano di Ostia.

Col tempo i numerosi scarti delle anfore, contenitori di vino, olio e grano, perchè spaccati o sbrecciati, furono accatastati in una zona limitrofa dando origine alla collina artificiale di Testaccio, detta per l'appunto Monte dei cocci, alto 49 m e formato dalle testae (cocci), accumulati tra I e III sec. d.c.. Sembra però che molte anfore venissero appositamente spaccate, in quanto fosse più conveniente distruggere le anfore piuttosto che pulirle per riutilizzarle. I Romani andavano di corsa, dovevano sfamare un milioni di abitanti nell'Urbe.

Il declino dell’area portuale, del complesso dell’Emporium e degli horrea, iniziato già dal V secolo d.c.si desume dalle mancate citazioni nelle fonti tardoantiche dove la zona appare come Marmorata o Ripa Marmorata a causa dei marmi depositati per tutta l’età imperiale. Imponenti resti del porticus sono ancora visibili nelle vie G. Branca, Rubattino e Florio.



RODOLFO LANCIANI:

HORREA R. XIII. Gerolama vedova di Paolo Pini, nominata nell'anno precedente come proprietaria degli avanzi della Meta di Borgo, concede in affitto un orto in Marmorata, con cripte antiche. « In presentia mei notarij etc. personaliter constituta Honesta et nobilis mulier dfia Hieronima relieta quondam bone memorie dìii pauli de pinis ro. Civis et Tutrix et ciiratrix respective bellissarij et alioriim eius filiorum locarit providis viris Alberto filio Johannis Antonii de Canperinis de villa Sarnej piacentine diocesis et Joannoni quondam franceschinj de castro bellegna similiter piacentine diocesis olitoribus. In urbe videlicet certum ortum cum pratis et gripta turribus arboribus vitibus fructiferis et infructiferis positum In urbe et loco vocato la marmorata ipsorum heredum Infra eius coutìnia alias locatum cuidam rubeo olitorj : ad tres annos proxime futuros. Hanc autem locationem, fecit etc. prò annua responsione XX: ducatorum de carlenis ».
(Not. Gualderoni, prot. 900. e. 3' A. S.). 1519, 19 gennaio.


BIBLIO


- Pier Luigi Tucci - La controversa storia della Porticus Aemilia - Archeologia Classica - 63 - 2012 -
- Thomas Ashby - Gli horrea di Roma da Samuel Ball Platner, - A Topographical Dictionary of Ancient Rome - Oxford University Press - London - 1929 -
- Geoffrey Rickman - Roman Granaries and Store Buildings - Cambridge University Press - 1971 -
- M. Mimmo - Roma, Horrea Vespasiani.- Analisi tecnica e ricostruzione architettonica dell'edificio occidentale: aspetti generali- 2016 -






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