VIRGINIA



LA RIVOLTA

Nome: Virginia o Verginia
Nascita: 465 a.c.
Morte: 449 a.c.
Gens: Verginia


Si ritiene leggenda ma forse almeno in parte fu realtà, anche perchè la cacciata dei decemviri è storia. Ciò che invece poco convince è che la gens Verginea cui la fanciulla apparteneva non era plebea e nemmeno decaduta, perchè i suoi membri ebbero parecchie cariche e se ne hanno notizie fin dal 502 a.c.. E' anche vero però che nel tempo qualche ramo minore poteva diventare plebeo

« A questo orribile episodio ne seguì in città un altro, nato dalla libidine. Le conseguenze non furono tuttavia meno disastrose di quelle che, a causa dello stupro e del suicidio di Lucrezia, avevano in passato portato alla cacciata dei Tarquini dal trono e da Roma. »
 (Tito Livio, Ab urbe condita, III, 44)

Virginia era una bella giovane di famiglia plebea di cui si invaghì il decemviro Appio Claudio, durante il secondo decemvirato. Appio Claudio corteggiò la giovane con profferte di ricchezze e doni, ma Virginia già fidanzata al tribuno della plebe Lucio Icilio, si negò recisamente.
Allora Appio convinse un suo cliente, Marco Claudio, a sostenere che Virginia fosse una sua schiava, sapendo che il padre Lucio Verginio non potesse difenderla impegnato com'era nella campagna contro gli Equi sul monte Algido.

Marco, quando la ragazza era nel foro, cercò di rapirla sostenendo davanti alla folla che ella era una sua schiava, ma la gente, che conosceva la giovane e suo padre, non gli credette e salvò la giovane. Allora Marco portò la causa in tribunale, presieduto dal proprio mandante Appio Claudio.

I difensori della ragazza, testimoniarono la paternità romana di Verginia, e chiesero che ogni decisione fosse sospesa fine al ritorno del padre. Appio Claudio decise che la sentenza sarebbe stata aggiornata al ritorno del padre, ma che la ragazza avrebbe dovuto seguire Marco Claudio fino a sentenza definitiva, poi temendo la rivolta della folla e del fidanzato Icilio, pronto a venire allo scontro con i Littori, e dello zio Publio Numitorio, permise alla ragazza di tornare a casa, prima di ripresentarsi in giudizio per il giorno successivo, quando Claudio avrebbe emesso la sentenza definitiva.

Il fratello di Icilio e il figlio di Numitorio corsero ad avvertire il padre di Virginia che ottenne dal proprio comandante il permesso di tornare a Roma per difendere la figlia, prima che allo stesso comandante arrivasse l'ordine di Appio Claudio di trattenere sul campo il padre.

RIVOLTA DELLA PLEBE
Il giorno dopo mentre la folla si raduna per assistere al processo, e il padre si aggirava tra di essa sollecitandone l'aiuto, la giovane arrivò nel foro, accompagnata dalle matrone.
« Ma il pianto silenzioso delle donne che li accompagnavano commuoveva più di qualsiasi discorso. »
(Tito Livio, Ab urbe condita, III, 47)

Il processo iniziò con le dichiarazioni del padre, che però fu interrotto da Appio Claudio, che confermando la sentenza del giorno precedente, accordò la schiavitù provvisoria a Marco. Il padre reagì urlando:
« Mia figlia, Appio, l'ho promessa a Icilio e non a te, e l'ho allevata per le nozze, non per lo stupro. A te piace fare come le bestie e gli animali selvatici che si accoppiano a caso? Se questa gente lo permetterà, non lo so: ma spero che non lo permetteranno quelli che possiedono le armi! »
(Tito Livio, Ab urbe condita, III, 47)

Appio Claudio comandò ai Littori di sedare la rivolta, e la folla si disperse  lasciando sola Virginia. A quel punto il padre, ottenuto con uno stratagemma il permesso di appartarsi nel tempio di Venere Cloacina con la figlia, la uccise.
«Così, figlia mia, io rivendico la tua libertà nell'unico modo a mia disposizione! »
(Tito Livio, Ab urbe condita, III, 48)

Mentre il padre fuggiva dai Littori richiamati dal decemviro, Icillo e Numitorio sobillarono i presenti, prima di fuggire a loro volta.
 «Icilio e Numitorio sollevarono il corpo esanime della ragazza e lo mostrarono al popolo, lamentando la scelleratezza di Appio, la bellezza funesta di Verginia e la necessità che aveva portato il padre a un simile gesto. »
(Tito Livio, Ab urbe condita, III, 48)

Verginio, raggiunto il campo con le mani ed il coltello ancora insanguinati, accompagnato da altri plebei, raccontò gli orribili avvenimenti riuscendo a convincere i soldati a ritirarsi dal campo di battaglia, i nemici peggiori stavano in casa loro, ed erano i decemviri, che andavano cacciati con la minaccia della secessione dei plebei da Roma.



CONCLUSIONE

Il complotto ordito da Appio Claudio per possedere la ragazza si concluse con la rinuncia dei decemviri alla propria autorità, ed al ripristino delle magistrature ordinarie, quale prezzo perché i plebei rinunciassero ai propositi di secessione da Roma.

Dopo la caduta dei decemviri, ristabiliti i Tribuni della plebe dai consoli Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato, Appio Claudio fu accusato da Lucio Virginio, primo degli eletti tra i Tribuni, per aver falsamente accusato una cittadina romana, la figlia Virginia, di essere una schiava.

Nonostante Appio volesse far ricorso al diritto di appello, da lui negato quando era in carica come decemviro, Lucio Virginio ottenne che Appio Claudio fosse tradotto in carcere, dove si suicidò, non volendo attendere il giudizio. Tanto contava infine il popolo anche se povero o plebeo, visto che il potere era senatus populusque romanus, cosa che non accade spesso neppure nei tempi odierni.



RODOLFO LANCIANI

Nel gruppo ritrovato negli scavi del Comizio, della Curia, e del Calcidico, venne reperito un architrave (470) con la dedicazione " Senatus Populusque Romanus Libertati "; (in realtà la dedica integra dovrebbe essere " Senatus Populusque Romanus Libertati Publicae Perniciosus", riferito al decenviro Appio Claudio divenuto nemico pubblico della libertà del Popolo Romano.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab urbe condita libri - libro III -
- Dionigi - Antichità romane - Libro X -
- Eutropio - Breviarium historiae romanae -
- Giovanni Brizzi - Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio - Bologna - 1997 -
- Sesto Aurelio Vittore - De viris illustribus Urbis Romae -


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